“La stratosfera: una rassegna della dinamica e variabilità. Si esamina la variabilità su larga scala, da intra-stagionale a inter-annuale, della stratosfera. La maggior parte di questa variabilità è di natura dinamica, indotta da onde provenienti dalla troposfera. È caratterizzata principalmente da fluttuazioni nella forza del vortice polare durante l’inverno e da un’oscillazione quasi biennale dei venti equatoriali. Le teorie esistenti sulla variabilità sono generalmente formulate in termini di interazioni tra le onde e il flusso medio, con affinamenti dovuti, in parte, a connessioni a distanza tra i tropici e le regioni extratropicali. I modelli di previsione climatica e stagionale riescono a riprodurre gran parte della variabilità osservata nella stratosfera polare e stanno ottenendo crescenti successi anche nei tropici. Rispetto alla troposfera, i modelli mostrano scale temporali di prevedibilità più lunghe per le variazioni all’interno della stratosfera. Nonostante contenga solo circa il 17% della massa dell’atmosfera, la variabilità della stratosfera esercita un’influenza significativa verso il basso sulla troposfera, che può incidere sugli estremi meteorologici a livello del suolo. La stratosfera è quindi una preziosa fonte di abilità aggiuntiva per le previsioni a livello del suolo. Tuttavia, una spiegazione dinamica completa dell’accoppiamento verso il basso deve ancora essere definita.”

1 Introduzione

La scoperta dell’esistenza della stratosfera, o perlomeno di un secondo strato nell’atmosfera terrestre, risale ai primi del Novecento, quando Assmann (1902) e Teisserenc de Bort (1902) osservarono indipendentemente, attraverso misurazioni con palloni aerostatici, che tra gli 10 e i 12 km di altitudine fino a circa 17 km (la massima quota raggiunta dai palloni) l’atmosfera manteneva una temperatura costante, a differenza delle zone più basse dove si registrava un calo della temperatura all’aumentare dell’altitudine. Il termine “stratosfera”, derivante dal francese stratosphère, che significa “sfera degli strati”, fu coniato da Teisserenc de Bort (1902), che introdusse anche il termine “troposfera” per indicare lo strato più basso dell’atmosfera. Attualmente si riconosce che la stratosfera non è isotermica e si estende fino a circa 50 km di altitudine, con temperature che generalmente aumentano con l’altezza (Fig. 1). Sopra di essa, le temperature scendono nuovamente nella mesosfera, per poi risalire nella termosfera (Fig. 1). Questi tre strati – stratosfera, mesosfera e termosfera – vengono spesso raggruppati sotto il termine di “atmosfera media” (Andrews et al., 1987). Essi contengono circa il 17% della massa totale dell’atmosfera terrestre, la maggior parte della quale si trova nella stratosfera (Baldwin et al., 2019). Questa rassegna si focalizza sulla dinamica e sulla variabilità guidata dalla dinamica della stratosfera, considerando anche l’influenza che essa esercita sulla troposfera.

La stratosfera è inoltre sede dello strato di ozono (McElroy e Fogal, 2008), che ci protegge dalle pericolose radiazioni ultraviolette (UV) (Boucher, 2010). Per spiegare alcune delle prime osservazioni relative all’ozono, Dobson et al. (1929) proposero l’idea di una circolazione di massa su scala globale che, con successive modifiche e miglioramenti, è divenuta nota come la circolazione di Brewer-Dobson (Butchart, 2014).

Questa circolazione è guidata dinamicamente (Sez. 2.2), e una delle sue conseguenze è che essa sposta le temperature medie stagionali e zonalmente mediate della stratosfera extratropicale lontano dall’equilibrio radiativo. Al contrario, su scale temporali stagionali e su scale spaziali ampie, il clima della stratosfera può essere descritto come in uno stato di equilibrio radiativo-dinamico (Sez. 2.2).

Un concetto simile di circolazione globale di trasporto fu proposto da Brewer (1949) per spiegare perché la stratosfera fosse osservata essere secca. Con quantità molto ridotte di vapore acqueo, gli effetti dinamici del riscaldamento latente dovuti alle transizioni di fase dell’acqua possono essere trascurati nella stratosfera. Gli effetti trascurabili del riscaldamento latente e una forte stratificazione stabile, dovuta alle temperature che aumentano con l’altitudine, distinguono la dinamica della stratosfera da quella della troposfera, che generalmente coinvolge processi umidi.

La variabilità dei venti e delle temperature nella stratosfera deriva principalmente da processi dinamici, anche se le fluttuazioni nella radiazione solare in entrata, iniezioni temporanee di aerosol vulcanico e cambiamenti nella composizione, come il degrado e il recupero dell’ozono, contribuiscono anche alla variabilità su una varietà di scale temporali. Questa rassegna considera solo la variabilità su larga scala di origine dinamica, per la quale i due fenomeni più distintivi sono i riscaldamenti stratosferici improvvisi (SSWs; Sez. 2.5), che si verificano ad alte latitudini in inverno, prevalentemente nell’emisfero settentrionale, e l’oscillazione quasi-biennale (QBO; Sez. 3.1) osservata nei venti stratosferici equatoriali. Recensioni complete sulla QBO e sugli SSWs possono essere trovate nelle serie di recensioni di Baldwin et al. (2001, 2021, rispettivamente).

Il primo SSW registrato si è verificato a Berlino nel gennaio 1952 quando Scherhag (1952) registrò un aumento delle temperature stratosferiche di circa 30 K in soli 2 giorni. Osservazioni negli anni successivi hanno mostrato che questo non era un evento isolato o locale, con SSW simili che si verificavano approssimativamente ogni due anni durante l’inverno boreale e con un rapido aumento delle temperature osservato anche nella media zonale (Baldwin et al., 2021).

L’attuale comprensione teorica dei Riscaldamenti Stratosferici Improvvisi (SSWs) trae origine dalle ricerche pionieristiche di Matsuno (1971) e si basa su tre meccanismi dinamici principali: la propagazione delle onde di Rossby dalla troposfera, l’interazione di queste onde con il flusso medio dovuta alla rottura e dissipazione delle onde, e una circolazione meridionale media indotta (Haynes et al., 1991) che conduce a un rapido riscaldamento adiabatico (cioè, il SSW). Questi stessi meccanismi dinamici spostano la stratosfera extratropicale lontano dall’equilibrio radiativo e spiegano le strutture osservate che variano in latitudine della temperatura media zonale e dei campi dei venti (Sez. 2.2). La variabilità intra-stagionale e interannuale è a sua volta guidata dalla variabilità in questa forzatura dinamica della stratosfera lontano dall’equilibrio radiativo.

La variabilità tropicale negli strati bassi e medi della stratosfera è dominata dalla QBO, che, come gli SSW, fu scoperta dalle osservazioni rese disponibili negli anni ’50 (Ebdon e Veryard, 1961; Reed et al., 1961). La QBO è uno dei modelli più distintivi di variabilità naturale osservati in qualsiasi parte dell’atmosfera terrestre, non direttamente associato ai cambiamenti stagionali. È caratterizzata da strati alternati di venti orientati a est e a ovest che scendono attraverso la stratosfera equatoriale circa ogni 28 mesi. Il modello canonico originale proposto per spiegare questa oscillazione (Lindzen e Holton, 1968; Holton e Lindzen, 1972) rimane valido ancora oggi. Questo modello richiama anche la propagazione verticale delle onde dalla troposfera e le interazioni onda-flusso medio, sebbene ora le onde siano onde di Kelvin equatoriali e onde di gravità-Rossby, più uno spettro ampio di onde di gravità (Sez. 3.1).

Nonostante le onde provenienti dalla troposfera siano fondamentali nella maggior parte della variabilità dinamica osservata in tutta la stratosfera, le fluttuazioni nel flusso d’onda dalla troposfera non sono essenziali per ottenere tale variabilità. Infatti, la QBO deriva principalmente dall’interazione tra le onde e il flusso medio piuttosto che da un’oscillazione nelle fonti d’onda e nel filtraggio all’interno della troposfera (Anstey et al., 2022b). Analogamente, Hardiman et al. (2020) sostengono che, per le medie mensili, le oscillazioni tra le onde e il flusso medio possono spiegare gran parte della variabilità sub-stagionale e interannuale nella forza del vortice polare dell’emisfero settentrionale. Le teleconnessioni tra i tropici e le regioni extratropicali svolgono anche un ruolo nel determinare la variabilità nelle diverse aree, ad esempio, la forza del vortice polare dell’emisfero settentrionale e la probabile occorrenza di un SSW dipendono dalla fase della QBO (Anstey e Shepherd, 2014).

Si riteneva che l’influenza inversa delle regioni extratropicali sui tropici fosse relativamente debole (O’Sullivan, 1997) fino a quando due interruzioni dei cicli regolari della QBO negli anni recenti, causate dalle onde provenienti dalle regioni extratropicali (Newman et al., 2016; Osprey et al., 2016; Anstey et al., 2021), hanno indotto a una rivalutazione (Sez. 4.2).

I progressi realizzati negli ultimi due decenni hanno stabilito che la variabilità nella stratosfera può esercitare un’influenza significativa verso il basso sulla troposfera, sia nelle regioni extratropicali (Kidston et al., 2015) che nei tropici (Haynes et al., 2021), così come su un’ampia gamma di scale temporali. Questo ha radicalmente modificato la visione tradizionale che la massa relativamente ridotta della stratosfera la relegasse a un ruolo dinamico passivo o marginale nel clima e nelle condizioni meteorologiche di superficie. Invece, è ora ampiamente riconosciuto che l’accoppiamento dinamico tra stratosfera e troposfera sia reciproco. Pertanto, una migliore comprensione della variabilità stratosferica, unitamente ai progressi nella sua rappresentazione nei modelli globali (Gerber et al., 2012; Anstey et al., 2022a), potrebbe portare a benefici in termini di proiezioni climatiche più affidabili (Gerber e Manzini, 2016) e previsioni meteorologiche di superficie più precise (Butler et al., 2016; Domeisen et al., 2020a) nonché nella previsione di eventi estremi (Domeisen e Butler, 2020).

il grafico sopra è un profilo standard di temperatura contro altitudine e pressione per l’atmosfera terrestre, come descritto dal Committee on Extension of Standard Atmosphere nel 1976 e da Minzner nel 1977. Ecco una spiegazione dettagliata:

  • Assi verticali e orizzontali: L’asse verticale rappresenta l’altitudine in chilometri (km) dalla superficie terrestre fino a 100 km. L’asse orizzontale inferiore mostra la temperatura in kelvin (K), mentre l’asse orizzontale superiore mostra la pressione atmosferica in hectopascal (hPa) su una scala logaritmica.
  • Troposfera: È lo strato più basso dell’atmosfera e si estende dal livello del mare fino alla tropopausa. Nel grafico, si nota che la temperatura diminuisce con l’altitudine nella troposfera, riflettendo il gradiente termico negativo tipico di questo strato, dovuto al riscaldamento dal basso (la superficie terrestre).
  • Tropopausa: Questo è il confine tra la troposfera e la stratosfera. Si trova a circa 12 km di altitudine nelle medie latitudini e segna il livello in cui il gradiente di temperatura cambia direzione.
  • Stratosfera: È lo strato sopra la tropopausa. Qui, la temperatura inizia a aumentare con l’altitudine, principalmente a causa dell’assorbimento della radiazione ultravioletta dall’ozono, creando un gradiente termico positivo.
  • Stratopausa: Situata intorno ai 50 km di altitudine, la stratopausa è il punto in cui la temperatura raggiunge il suo massimo nella stratosfera e segna il confine superiore prima che la temperatura ricominci a diminuire nella mesosfera.
  • Mesosfera: In questo strato, che si estende dalla stratopausa fino alla mesopausa, la temperatura diminuisce nuovamente con l’altitudine. È il terzo strato dell’atmosfera terrestre.
  • Mesopausa: Si trova all’incirca tra gli 80 e i 90 km di altitudine ed è il punto più freddo dell’atmosfera terrestre. Segna il confine superiore della mesosfera.
  • Termosfera: Oltre la mesopausa inizia la termosfera, dove la temperatura aumenta nuovamente con l’altitudine. Questo aumento è dovuto all’assorbimento della radiazione solare ad alta energia da parte dei gas rarificati presenti in questo strato.
  • Pressione atmosferica: La pressione atmosferica, mostrata sull’asse orizzontale superiore, diminuisce esponenzialmente con l’altitudine. Al livello del mare, la pressione è intorno a 1000 hPa e diminuisce drasticamente con l’aumentare dell’altitudine, riflettendo il fatto che l’atmosfera diventa sempre più rarefatta man mano che ci si allontana dalla superficie della Terra.

Questo profilo è fondamentale per comprendere la struttura dell’atmosfera e la distribuzione della temperatura e della pressione con l’altitudine, che sono essenziali per la meteorologia, la climatologia, l’aviazione e le scienze atmosferiche.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »