Uno dei processi che fornisce un collegamento tra i tropici e gli extratropici nella stratosfera è la circolazione meridionale residua (Eq. 1). Le onde planetarie extratropicali guidano la circolazione diabatica (Sezione 2.2), che è il principale fattore del ciclo annuale di temperatura nella tropopausa tropicale. Allo stesso modo, la componente verticale della circolazione meridionale secondaria del QBO causa riscaldamento e raffreddamento adiabatico nella stratosfera subtropicale, inducendo così un’oscillazione del periodo simile nelle temperature della regione che si estende fino a circa 45° di latitudine (Randel et al., 1999). Nei subtropici, la circolazione secondaria ha movimenti discendenti (ascendenti) alle altitudini dove si verifica ascensione (discesa) all’Equatore, pertanto l’anomalia di temperatura del QBO all’Equatore cambia segno superati i 15° di latitudine. Questa QBO della temperatura subtropicale è principalmente limitata all’emisfero invernale a causa della modulazione del ciclo stagionale (Pahlavan et al., 2021a).

Altre modalità attraverso le quali la variabilità tropicale, e in particolare il QBO, influenzano a distanza la stratosfera extratropicale, sono meno comprese (Anstey e Shepherd, 2014). Questi impatti si estendono anche nella troposfera (Sezione 6.3) e verso l’alto nella mesosfera, e sono comunemente riferiti come “teleconnessioni QBO” (Anstey et al., 2022b).

4.1 Teleconnessioni QBO Angell e Korshover (1964) fornirono la prima evidenza che il QBO potesse influenzare la stratosfera ad alte latitudini quando riportarono un segnale QBO nelle temperature polari (e nell’ozono) in entrambi gli emisferi. Con più anni di osservazioni (1962–1977), Holton e Tan (1980) scoprirono che la forza del vortice polare invernale nell’emisfero nord (NH) correlava bene con la fase del QBO equatoriale: un vortice più caldo e debole coincideva con venti equatoriali diretti verso ovest a 50 hPa, mentre con venti diretti verso est il vortice era più freddo e forte. Un corollario di questo cosiddetto “effetto Holton-Tan (HT)”, inizialmente riportato da Labitzke (1982), è che la probabilità di un SSW (Riscaldamento Stratosferico Improvviso) è maggiore quando i venti QBO sono diretti verso ovest a 50 hPa piuttosto che verso est (Baldwin et al., 2021). Holton e Tan (1980) osservarono anche un segnale QBO nel vento zonale dell’emisfero sud (SH), questa volta in primavera. Un’illustrazione dell’effetto HT in entrambi gli emisferi è presentata nella Figura 13. Confrontando questa figura con la deviazione standard interannuale dei venti zonali medi mensili (Figura 7), si evidenzia l’importanza delle teleconnessioni QBO nel modulare la variabilità del vortice polare.

Una piena comprensione dei meccanismi sottostanti la teleconnessione del vortice polare QBO rimane ancora sfuggente, nonostante numerose indagini sull’effetto HT seguite alla sua scoperta (Anstey e Shepherd, 2014). Holton e Tan (1980) osservarono che la linea del vento zonale zero al margine del QBO tropicale era tipicamente più spostata verso i poli durante la fase di vento verso ovest rispetto alla fase di vento verso est, e suggerirono che ciò contribuisse a confinare le onde planetarie extratropicali più verso le alte latitudini, portando così a un vortice più caldo e debole. Questo viene spesso indicato come il “meccanismo Holton-Tan”. In contrasto, Garfinkel et al. (2012) suggerirono che l’aumentata rifrazione polare delle onde planetarie risultasse dalla circolazione meridionale secondaria del QBO che modifica l’indice di rifrazione dell’onda di Rossby nei subtropici. Poiché l’attività delle onde planetarie extratropicali è ulteriormente modulata dalla forza del vortice (Sezione 2.4), ciò ha finora ostacolato i tentativi di isolare quale dei due meccanismi proposti per l’effetto HT sia più rilevante (Anstey et al., 2022b).

Recentemente, Yamazaki et al. (2020) hanno proposto un’alternativa troposferica per l’inverno boreale, in cui un’anomalia di convezione risultante dall’effetto QBO sulla troposfera tropicale (vedi Sez. 6.2) genera un treno di onde di Rossby nella troposfera delle medie latitudini. Questo, a sua volta, influenza la propagazione verso l’alto delle onde planetarie nel vortice polare.

Gli studi basati su modelli suggeriscono che, in generale, l’effetto HT è sensibile allo stato del vortice polare (Anstey e Shepherd, 2014), anche se in alcuni modelli le teleconnessioni QBO sono influenzate anche da bias nella circolazione (Karpechko et al., 2021). La dipendenza dalla forza del vortice potrebbe essere una delle ragioni delle variazioni intra-stagionali osservate e delle differenze tra gli emisferi nella risposta extratropicale al QBO: nell’emisfero nord (NH) l’effetto HT è più evidente in dicembre e gennaio (Zhang et al., 2019), mentre nell’emisfero sud (SH) il vortice polare invernale è molto più forte (Sez. 2.1) e la risposta è più marcata intorno al periodo del riscaldamento finale (Baldwin e Dunkerton, 1998). Le interazioni trovate tra le teleconnessioni stratosferiche del QBO e il ciclo solare (Naito e Hirota, 1997) e l’El Niño-Oscillazione Australe (ENSO; Garfinkel e Hartmann, 2007) rendono incerte le cause di queste differenze, dato che sia la variabilità del QBO che quella del vortice polare sono, separatamente, impattate da questi modelli di variabilità a scala temporale più lunga. L’incertezza riguarda anche quali altitudini del QBO abbiano la maggiore influenza sugli extratropici (Anstey et al., 2022b).

4.2 Interruzioni del QBO Nel febbraio 2016, un sottile strato di venti verso ovest iniziò a formarsi all’equatore all’interno della fase in declino dei venti verso est del QBO (Newman et al., 2016; Osprey et al., 2016). Questo evento fu una completa sorpresa e nei mesi successivi, l’usuale oscillazione dei venti equatoriali sembrò arrestarsi (Fig. 11), suscitando preoccupazioni tra i principali ricercatori che il QBO potesse entrare in una “spirale mortale” (Dunkerton, 2016) e scomparire del tutto. Ora sappiamo che ciò non è avvenuto, e verso la fine del 2016 il ciclo regolare dei venti equatoriali è ripreso (Fig. 11), anche se con un avanzamento di fase diverso da quello che sarebbe stato previsto se l’interruzione non fosse occorsa (Anstey et al., 2021). Rispetto ai precedenti cicli QBO osservati, il comportamento anomalo del 2016 è stato senza precedenti (Newman et al., 2016; Osprey et al., 2016). Non poteva essere spiegato dal modello canonico del QBO, basato solo sul trasporto verticale del momento (Sez. 3.1). Invece, Osprey et al. (2016) e Coy et al. (2017) attribuirono l’inaspettata accelerazione verso ovest vicino ai 40 hPa a un incremento del flusso di EP orizzontale, F(φ) (Eq. 3), proveniente dai tropici dell’emisfero nord. Questo fu probabilmente la prima evidenza osservativa dell’influenza diretta della stratosfera extratropicale sulla variabilità della stratosfera tropicale, piuttosto che un’influenza indiretta tramite la circolazione meridionale. Ulteriori prove di questa influenza diretta sono emerse quando il QBO è stato nuovamente interrotto a sorpresa nel dicembre 2019, ma questa volta le onde di Rossby in propagazione orizzontale provenivano dall’emisfero sud (SH) (Anstey et al., 2021).

Una spiegazione dinamica per queste interruzioni è ancora agli inizi. Anche se diversi studi hanno esaminato il ruolo di vari tipi di onde e hanno rilevato che le onde miste Rossby-gravità tropicali giocano un ruolo importante nelle accelerazioni anomale verso ovest (Lin et al., 2019; Kang et al., 2020; Kang e Chun, 2021), altri studi (Hitchcock et al., 2018) hanno evidenziato l’importanza dei meccanismi di retroazione. In ogni caso, si conclude che durante i cicli interrotti c’è stata una significativa influenza extratropicale sulla variabilità nella stratosfera tropicale. Una conseguenza di questa influenza diretta delle onde extratropicali è che il paradigma secondo cui i venti zonali tropicali conservano una memoria da un anno all’altro (l’effetto “volano” a basse latitudini; Scott e Haynes, 1998), fornendo così un meccanismo per la variabilità interannuale, potrebbe essere meno appropriato di quanto precedentemente pensato e potrebbe dover essere rivisto una volta acquisita una piena comprensione delle interruzioni del QBO.

5 Modelli e Prevedibilità

5.1 Modelli che risolvono la stratosfera I primi tentativi di indagare sulla dinamica stratosferica in un modello di circolazione generale (GCM) furono effettuati da Manabe e Hunt (1968), anche se il modello utilizzato era solo emisferico e con una simulazione di meno di un anno. Generalmente, i primi GCM tendevano a trascurare la stratosfera, basandosi sulla sua piccola frazione (circa il 17%) della massa atmosferica e sulla necessità di ottimizzare l’uso delle risorse informatiche disponibili. Quando la stratosfera era rappresentata nei GCM (es. Kasahara e Sasamori, 1974; Fels et al., 1980), non erano fattibili simulazioni di lunga durata della variabilità a causa dei vincoli computazionali.

I computer utilizzati per modellare l’atmosfera si sono evoluti in supercomputer intorno al 1980 e, successivamente, molti modelli hanno eseguito simulazioni pluriennali della stratosfera (Rind et al., 1988; Boville, 1995; Hamilton, 1995; Manzini e Bengtsson, 1996; Butchart e Austin, 1998). In queste simulazioni, la stratosfera era tipicamente più vicina all’equilibrio radiativo di quanto osservato (confronta Sez. 2.1) con significativi bias freddi alle alte latitudini, specialmente durante l’inverno e la primavera dell’emisfero sud (SH) (il cosiddetto “problema del polo freddo”) e il QBO era praticamente assente dalla stratosfera tropicale (Pawson et al., 2000).

I bias nelle stratosfere simulate sono critici perché, a partire da Boville (1984), è diventato evidente che la circolazione troposferica simulata è più sensibile alla stratosfera di quanto ci si aspetterebbe dalla sua relativamente piccola massa (vedi anche Sez. 6.3). Inoltre, quando Farman et al. (1985) scoprirono il buco nell’ozono sopra l’Antartide, le prime versioni dei modelli sviluppati per includere la chimica (modelli chimico-climatici o CCM) per valutare i cambiamenti dell’ozono erano limitati dai bias di temperatura stratosferica (Austin et al., 2003). Miglioramenti nella stratosfera simulata si sono rivelati desiderabili anche per i modelli di previsione meteorologica numerica, al fine di assimilare meglio le misurazioni di radianza satellitare, che sono spesso significativamente influenzate dalla stratosfera (English et al., 2000; Polavarapu et al., 2005). Il problema del polo freddo è derivato da una circolazione diabatica (Sez. 2.1) troppo debole a causa delle carenze nel drag ondulatorio ascrivibile all’assenza di onde di gravità (McLandress, 1998).

L’incremento della risoluzione è stato in parte efficace nell’alleviare il problema (Hamilton et al., 1999), ma più significativa è stata l’introduzione di parametrizzazioni delle onde di gravità non orografiche (NOGW) per compensare la mancanza di forzanti dalle onde a scala sub-griglia (Manzini et al., 1997; Scaife et al., 2002). Nonostante la loro semplicità e il fatto di non essere ben corroborate dalle osservazioni (Plougonven et al., 2020), tali schemi hanno permesso ai modelli di simulare bene il getto polare notturno in entrambi gli emisferi. Tuttavia, c’è ancora lavoro da fare per migliorare la variabilità di questi getti (Butchart et al., 2011; Ayarzagüena et al., 2020; Hall et al., 2021b). Ad esempio, mentre i modelli climatici di ultima generazione simulano abbastanza bene la frequenza degli eventi di riscaldamento stratosferico improvviso (SSW) (Baldwin et al., 2021), tendono a sottorappresentare gli eventi di scissione del vortice rispetto a quelli di spostamento (Hall et al., 2021b).

Quando Scaife et al. (2000) testarono per la prima volta le parametrizzazioni NOGW nel loro GCM, scoprirono che un’oscillazione simile al QBO con venti discendenti verso est e verso ovest si manifestava nella stratosfera tropicale. Prima di questo, il QBO era generalmente assente dai GCM o molto debole (Cariolle et al., 1993). Una oscillazione di ampiezza realistica era stata ottenuta precedentemente da Takahashi (1996) senza drag parametrizzato NOGW, ma solo utilizzando una risoluzione verticale fine (circa 500 m) e riducendo notevolmente la diffusione a scala sub-griglia. Fenomeni spontanei simili al QBO sono stati ottenuti anche in altri GCM semplificati senza parametrizzazione NOGW, aumentando la risoluzione verticale (Horinouchi e Yoden, 1998; Hamilton et al., 1999).

Nonostante ciò, oggi, i modelli climatici e di previsione stagionale che riescono a simulare un QBO lo fanno quasi sempre implementando parametrizzazioni di NOGW (Butchart et al., 2018; Bushell et al., 2022; Richter et al., 2022; Stockdale et al., 2022). Il numero di questi modelli è cresciuto notevolmente dal lavoro pionieristico di Scaife et al. (2002), ma finora, in media, la qualità dei QBO simulati non è migliorata molto (Richter et al., 2020).

Una caratteristica del QBO generalmente ben simulata è il periodo medio (vedi Fig. 14a), che è solitamente ottenuto regolando il drag parametrizzato delle NOGW (onde di gravità non orografiche), che è debolmente vincolato (Bushell et al., 2022; Garfinkel et al., 2022). Più difficile da ottenere è la corretta struttura verticale, con i modelli che tendono a sotto-rappresentare la forza dell’oscillazione nella stratosfera inferiore (Richter et al., 2020; Bushell et al., 2022), nonostante la loro capacità di simulare, in media, ampiezze realistiche nella stratosfera media (confronta Fig. 14b e d). Ci sono anche problemi nel riprodurre l’asimmetria di fase corretta (Schenzinger et al., 2017). In media, la fase verso est è relativamente troppo forte nei modelli (Fig. 14c), mentre nelle simulazioni inizializzate i modelli fanno fatica a mantenere la forza della fase verso ovest (Stockdale et al., 2022). In generale, i modelli tendono a sotto-rappresentare la variabilità da ciclo a ciclo (Bushell et al., 2022).

I problemi nella simulazione del QBO sono in gran parte attribuiti alle incertezze nella parametrizzazione delle NOGW (Bushell et al., 2022). Migliorare queste parametrizzazioni è un’area di ricerca attiva e i recenti sviluppi hanno incluso rappresentazioni più basate sulla fisica della sorgente delle NOGW (Richter et al., 2010; Lott e Guez, 2013; Bushell et al., 2015). Anche le onde equatoriali risolte contribuiscono al forcing del QBO, in particolare le onde di Kelvin durante la fase verso est (Pahlavan et al., 2021b). C’è ancora incertezza (variabilità) tra i modelli nelle onde risolte (onde di Kelvin e onde miste Rossby-gravità) legate alle sorgenti convettive, così come alla risoluzione e ai bias del vento medio, con una particolare correlazione tra il forcing delle onde risolte e la risoluzione verticale del modello (Holt et al., 2022). Ridurre l’incertezza nel forcing delle onde (sia parametrizzate che risolte) dovrebbe portare a miglioramenti nelle simulazioni del QBO (Anstey et al., 2022b). Ciò, a sua volta, influenzerà la rappresentazione delle teleconnessioni extratropicali del QBO (Sez. 4.1) nei modelli, che sono note per essere sensibili ai bias nel QBO (Anstey et al., 2022c) così come alla circolazione stratosferica media (Karpechko et al., 2021).

5.2 Prevedibilità della Stratosfera Le variazioni stratosferiche possono essere previste sia empiricamente tramite metodi statistici, sia, come qui considerato, dinamicamente usando modelli numerici. Miyakoda et al. (1970) furono i primi a tentare di sviluppare previsioni numeriche della stratosfera, ma la loro simulazione GCM di 14 giorni per marzo 1965 non riuscì a catturare il riscaldamento stratosferico improvviso (SSW) che si verificò. Il SSW di febbraio 1979 è stato il primo ad essere simulato con successo e anche il primo osservato dallo spazio (Palmer, 1981a, b), utilizzando nuove sonde operative di temperatura della stratosfera (Miller et al., 1980). La simulazione riuscita del SSW del 1979 da parte di Butchart et al. (1982) fu avviata 5 giorni prima del picco del riscaldamento, ma si basava su condizioni al contorno prescritte alla tropopausa. In seguito, Simmons e Strüfing (1983) e Mechoso et al. (1985) scoprirono che questo SSW era prevedibile rispettivamente fino a 10 e 5 giorni prima.

Con l’aumentare dei SSW e degli studi di caso concomitanti (Mukougawa e Hirooka, 2004; Allen et al., 2006; Tripathi et al., 2016; Rao et al., 2018), l’attuale consenso è che i SSW possono essere previsti deterministicamente da 1 a 2 settimane in anticipo (Domeisen et al., 2020b), con una maggiore abilità nei modelli che hanno una rappresentazione migliorata della stratosfera (Allen et al., 2006; Marshall e Scaife, 2010; Song et al., 2020). Per un singolo modello, la capacità predittiva varia tra i vari SSW (Taguchi, 2016; Karpechko, 2018; Rao et al., 2019) a causa delle differenze nella fenomenologia e nei meccanismi di generazione degli eventi di divisione del vortice e di spostamento del vortice (Sez. 2.5). Queste differenze contribuiscono a stabilire se la prevedibilità deriva principalmente dalla stratosfera o dalla troposfera (Sun et al., 2012). La prevedibilità derivante dalla troposfera è sensibile ai bias del modello che influenzano le onde planetarie e dipende dai loro tempi di propagazione (Noguchi et al., 2016), mentre la prevedibilità derivante dalla stratosfera dipende probabilmente più dallo stato stratosferico di fondo prima di un SSW (de la Cámara et al., 2017). In generale, la previsione della scissione del vortice sembra più difficile rispetto allo spostamento del vortice (Taguchi, 2018a; Song et al., 2020).

Rispetto alla troposfera, la stratosfera extratropicale dimostra una prevedibilità estesa (Waugh et al., 1998; Lahoz, 1999), sebbene per eventi estremi del vortice come un SSW o, in alternativa, un’intensificazione del vortice polare, la prevedibilità sia ancora limitata dall’incertezza delle condizioni iniziali e dagli errori dei modelli (Tripathi et al., 2015). Tra i sistemi di previsione, c’è comunque una correlazione tra un’elevata abilità previsionale nella stratosfera e un’alta abilità nella troposfera (Domeisen et al., 2020b), e la maggior parte dei sistemi prevede con maggiore consistenza l’intensificazione del vortice polare e i riscaldamenti finali piuttosto che i SSW (Ichimaru et al., 2016; Domeisen et al., 2020b). Per la stratosfera dell’emisfero nord in inverno/primavera, l’abilità previsionale deterministica è generalmente limitata a un intervallo da 1 a 2 settimane (Domeisen et al., 2020b). Nell’emisfero sud, le perturbazioni al vortice polare in inverno persistono fino alla primavera a causa della ridotta variabilità intrastagionale (Fig. 8), risultante dalla minore forzatura delle onde planetarie (Byrne e Shepherd, 2018). Di conseguenza, la stratosfera dell’emisfero sud è potenzialmente prevedibile su tempi più lunghi, come evidenziato dall’abilità significativa trovata da Seviour et al. (2014) nella previsione della forza del vortice polare stratosferico antartico in primavera a tempi di previsione medi di un mese (Fig. 15).

Durante l’inverno boreale, la stratosfera extratropicale è stata trovata prevedibile anche in senso probabilistico su scale temporali stagionali, ben oltre la portata della prevedibilità deterministica (Scaife et al., 2016; Taguchi, 2018b; Portal et al., 2022). Scaife et al. (2016) hanno osservato che nelle previsioni stagionali capaci di riprodurre le frequenze climatologiche generali dei SSW e degli eventi di forte vortice polare (SPV), la proporzione dei membri dell’ensemble che prevedevano l’occorrenza di un evento SSW o SPV variava di anno in anno (Fig. 16). Negli inverni in cui si verificava un SSW (SPV) “osservato” (basato su osservazioni proxy derivate dall’ensemble di previsione – vedi Scaife et al., 2016, per i dettagli), la proporzione di membri dell’ensemble che prevedevano un SSW (SPV) aumentava, in media, del 12%, indicando una potenziale abilità previsionale probabilistica su scala stagionale con una significatività oltre il 95% (Scaife et al., 2016). I principali contributori a questa abilità previsionale probabilistica sono probabilmente l’ENSO e il QBO, sebbene, in media, i sistemi di previsione stagionale più avanzati tendano a sovrastimare il forcing ondulatorio anomalo del vortice polare dovuto all’ENSO mentre sottostimano la modulazione della forza del vortice da parte del QBO, almeno per un periodo di retrovalutazione quando la variabilità interannuale osservata del vortice polare era significativamente influenzata dal QBO (Portal et al., 2022).

La capacità di previsione del QBO stesso è molto alta nella stratosfera inferiore e media su scale temporali sub-stagionali fino a stagionali (Lim et al., 2019b; Coy et al., 2022). Fino a un anno, si ottiene ancora un’elevata abilità previsionale per le previsioni della progressione delle fasi del QBO (Coy et al., 2020), anche se le previsioni inizializzate generalmente hanno meno successo nel mantenere ampiezze adeguate del QBO (Stockdale et al., 2022). Questo è in gran parte attribuito alle debolezze in tutti i modelli nel prevedere lo sviluppo di una fase verso ovest sufficientemente forte, che, a sua volta, può essere collegata alle carenze nella rappresentazione generale del QBO nei modelli (Coy et al., 2022; Stockdale et al., 2022). Oltre i 12 mesi, i sistemi di previsione decennale hanno dimostrato di esibire abilità predittiva fino a 4 anni per la fase del QBO (Pohlmann et al., 2013; Scaife et al., 2014), con il potenziale di estendere questo ulteriormente migliorando la rappresentazione e la previsione della variabilità dell’ozono nei modelli (Pohlmann et al., 2019). Una maggiore abilità previsionale dell’ENSO ha anche il potenziale di estendere i tempi di previsione abile del QBO, poiché si è scoperto che eventi ENSO forti bloccano la fase del QBO tra i membri dell’ensemble in simulazioni non inizializzate (Christiansen et al., 2016; Serva et al., 2020).

Tuttavia, sfruttare le previsioni abili del QBO pluriennali è attualmente ostacolato dalle carenze nelle ampiezze e nella struttura verticale dei QBO previsti (Pohlmann et al., 2019). I risultati multimodelli mostrano che carenze simili sono già presenti su scale temporali stagionali-annuali e contribuiscono quasi certamente alla mancanza di abilità nel prevedere le teleconnessioni extratropicali invernali del QBO oltre il primo mese (Stockdale et al., 2022). Le due recenti interruzioni del QBO (Sez. 4.2) aggiungono ulteriore incertezza sulla robustezza del QBO come fonte di prevedibilità, poiché il segnale prevedibile è stato perso durante ogni interruzione prima di riemergere alcuni mesi dopo, ma con uno spostamento significativo di fase rispetto a quello che sarebbe stato atteso (Anstey et al., 2021). Nessuna delle interruzioni è stata prevista dalle previsioni stagionali operative (Osprey et al., 2016; Anstey et al., 2021), anche se per l’evento del 2016 Watanabe et al. (2018) hanno trovato abilità previsionale con tempi di anticipazione di circa un mese. La prevedibilità su questa scala temporale è coerente con eventi che hanno origine nelle extratropici (Sez. 4.2), ma è molto ridotta rispetto alle scale temporali associate al ciclo quasi-regolare ininterrotto del QBO.

I grafici rappresentano una rappresentazione grafica dei risultati di diversi modelli climatici relativi al Quasi-Biennial Oscillation (QBO), che è un fenomeno atmosferico caratterizzato da oscillazioni dei venti equatoriali stratosferici che alternano tra est e ovest con un periodo di circa due anni.

Di seguito un esame più approfondito dei grafici :

  1. Grafico (a) – Periodo dominante del QBO: Questo grafico mostra la lunghezza del periodo del QBO in mesi per diversi modelli climatici. Ogni colonna rappresenta un modello differente. I periodi possono variare leggermente da modello a modello, e ciò è rappresentato dall’altezza delle colonne. I simboli sopra le barre (come triangoli o cerchi) indicano ulteriori misurazioni o conferme delle caratteristiche del QBO.
  2. Grafico (b) – Amplitude of 10 hPa QBO (Westerly to Easterly): Questo grafico illustra l’ampiezza del QBO a 10 hPa per la transizione da venti prevalenti da ovest (westerly) a venti prevalenti da est (easterly). L’ampiezza è misurata in metri al secondo (m/s) e ogni colonna rappresenta un modello climatico differente, mostrando come ciascuno simula l’intensità del cambio di fase del QBO.
  3. Grafico (c) – Amplitude of 10 hPa QBO (Easterly to Westerly): Analogamente al grafico (b), ma questa volta mostra l’ampiezza del QBO per la transizione da venti prevalenti da est a venti prevalenti da ovest. Anche questo è un indicatore della forza dell’oscillazione a 10 hPa.
  4. Grafico (d) – Amplitude of 50 hPa QBO: Questo grafico rappresenta l’ampiezza del QBO a un livello più basso della stratosfera, a 50 hPa. Anche qui, l’ampiezza è espressa in m/s e ogni colonna rappresenta un modello differente, mostrando come ciascun modello simula l’ampiezza del QBO a questo livello.

Le barre colorate indicano probabilmente risultati di diversi insiemi di dati o periodi di simulazione all’interno di ogni modello, e la variabilità delle ampiezze attraverso i modelli suggerisce differenze nella capacità di ciascun modello di simulare il QBO. La coerenza o la discrepanza tra le misure ottenute dalle diverse direzioni di analisi è indicata dai simboli ‘+’ e ‘o’ sopra le barre nei grafici (a) e (b) per confermare la robustezza delle conclusioni.

La didascalia suggerisce che questi grafici provengono dalla Figura 2 di un articolo di Richter et al. (2020) pubblicato dall’American Geophysical Union, quindi rappresentano un’analisi scientifica dettagliata delle proprietà del QBO come simulato da vari modelli climatici.

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