Riassunto. L’intensificarsi del riscaldamento nell’Artico ha stimolato un crescente interesse per le dinamiche climatiche e meteorologiche delle aree polari e le loro interazioni con le zone a latitudini più basse. Diverse teorie promettenti riguardo ai collegamenti tra le zone polari e quelle a media latitudine pongono l’accento sulla propagazione delle onde di Rossby come meccanismo fondamentale, nonostante il debole gradiente meridionale di vorticità planetaria, essenziale per queste onde, nelle alte latitudini. In questo articolo, analizziamo le teorie di base e proponiamo che le onde di Rossby possano chiarire alcuni aspetti della variabilità polare, in particolare in presenza di gradienti di vorticità relativa.

Proponiamo che il flusso atmosferico polare su larga scala possa essere interpretato come una combinazione di turbolenza geostrofica e propagazione delle onde di Rossby, simile a quanto avviene nelle medie latitudini, ma con una prevalenza maggiore del flusso turbolento. Pertanto, mentre i vortici isolati tendono a prevalere, persistono anche elementi ondulatori. Ad esempio, l’analisi statistica dei dati osservati rivela l’esistenza di anomalie subpolari che sono quasi-stazionarie o si propagano debolmente verso ovest, in linea con un certo ruolo della propagazione delle onde. La persistenza osservata nei cicloni e negli anticicloni polari è attribuita in parte alla ridotta dispersione delle onde, meccanismo che nei climi a media latitudine contribuisce al declino delle anomalie in fase di sviluppo downstream. Inoltre, la predominanza dei vortici nella dinamica polare sembra favorire la comparsa di strutture modali annulari nelle analisi delle componenti principali della circolazione extratropicale.

Infine, esaminiamo come le onde di Rossby possano essere scatenate dalle alte latitudini. I meccanismi lineari che normalmente compensano il riscaldamento localizzato a latitudini più basse risultano meno efficaci nelle regioni polari. Proponiamo che la reazione diretta alla perdita di ghiaccio marino si manifesti spesso come una depressione termica, dove il raffreddamento radiativo equilibra il riscaldamento. Se il gradiente di vorticità relativa è adeguato, ciò potrebbe innescare una risposta delle onde di Rossby, sebbene generalmente più debole rispetto a quelle generate a latitudini inferiori.

1 Introduzione

Il notevole riscaldamento dell’Artico negli ultimi decenni ha catalizzato un interesse crescente per le dinamiche climatiche e meteorologiche delle aree polari (Screen et al., 2018; Overland et al., 2015). Un tempo percepito come una regione tranquilla e dominata da fenomeni anticiclonici, l’Artico è ora riconosciuto per la sua varietà di sistemi meteorologici, inclusa un’intensa attività ciclonica (Walsh et al., 2018). Entrambe le regioni polari sono considerate fulcri vitali per i principali modelli di variabilità atmosferica emisferica, noti come modi annulari (Thompson e Wallace, 2000). La circolazione atmosferica polare è stata identificata come un fattore chiave nell’influenzare le variazioni nell’estensione del ghiaccio marino, con cicloni (Simmonds e Rudeva, 2012), anticicloni (Wernli e Papritz, 2018) e modelli di circolazione estesa (Overland e Wang, 2010) tutti collegati a rapidi cali dell’estensione dei ghiacci. L’implicazione dell’Artico sul clima delle medie latitudini è diventata una questione di primaria importanza nella ricerca climatologica recente (ad esempio, Cohen et al., 2014; Blackport e Screen, 2020), mantenendo alto l’interesse sull’interazione tra le dinamiche polari e quelle delle medie latitudini, essenziale per comprendere e prevedere le condizioni climatiche e meteorologiche di entrambe le regioni (Jung et al., 2014; Barnes e Simpson, 2017; Zappa et al., 2018).

Le onde di Rossby, che alternano anomalie di vorticità ciclonica e anticiclonica, sono predominanti sia nel clima medio che nella variabilità delle medie latitudini (Rossby, 1939; Blackmon, 1976). Queste onde derivano la loro esistenza dal gradiente meridionale di vorticità assoluta, che limita fortemente la circolazione atmosferica sia nei tropici che nelle medie latitudini. Un elemento fondamentale di questo sistema è la variazione meridionale della vorticità planetaria, misurata tramite il gradiente del parametro di Coriolis, noto come “effetto beta”. Anche se il parametro di Coriolis è elevato nelle regioni polari, il suo gradiente meridionale è debole e tende a zero vicino ai poli, rendendo l’effetto beta meno influente e creando condizioni generalmente meno favorevoli per la propagazione delle onde di Rossby rispetto a quelle a latitudini inferiori. Tuttavia, i meccanismi delle onde di Rossby vengono frequentemente considerati negli studi sul clima polare e le sue connessioni con le latitudini più basse, per esempio:

  1. Onde di Rossby sia stazionarie che transitorie, potenzialmente innescate nei tropici, sono state ritenute responsabili del trasporto di calore e umidità verso l’Artico, contribuendo al suo recente riscaldamento (Ding et al., 2014; Lee, 2014; Graversen e Burtu, 2016; Dunn-Sigouin et al., 2021).
  2. Onde amplificate e/o persistenti nelle medie e alte latitudini sono state associate al riscaldamento dell’Artico, con ipotesi di interazioni causali reciproche (Francis e Vavrus, 2012; Woods et al., 2013; Mann et al., 2017; Kornhuber et al., 2017).
  3. Il recente declino del ghiaccio marino nei mari di Barents-Kara è stato ipotizzato come il catalizzatore di un modello stazionario di onde di Rossby che ha contribuito a un trend di raffreddamento nelle recenti inverni eurasiatiche (Honda et al., 2009; Mori et al., 2019; Cohen et al., 2019; Outten et al., 2022), con possibili impatti sulla stratosfera (Kim et al., 2014; Kretschmer et al., 2016).

Questo studio si propone di esplorare il ruolo delle onde di Rossby nelle zone polari, considerando la debolezza dell’effetto beta in queste regioni. Pertanto, l’obiettivo principale del documento è esaminare alcuni principi fondamentali della dinamica delle onde di Rossby nella troposfera e applicarli specificamente alle aree polari, definite qui come quelle oltre i 65° di latitudine nord. Si intende così facilitare l’applicazione di concetti dinamici più avanzati per meglio comprendere le trasformazioni climatiche e meteorologiche in atto nelle regioni polari.

**Un’anticipazione di questa analisi è offerta dall’esame di alcuni dati relativi alla circolazione artica nel 2020. La Figura 1 presenta un diagramma di Hovmöller dell’altezza geopotenziale a 500 hPa, che illustra la struttura della circolazione atmosferica nei mesi di maggio e giugno. Durante questi mesi, la circolazione è caratterizzata da ampie strutture ondulate, con alternanza di fenomeni ciclonici e anticiclonici. Questi mostrano tratti evolutivi tipici delle onde di Rossby, simili a quelli osservati nelle medie latitudini, in particolare per quanto riguarda la velocità di fase dei singoli centri e la velocità di gruppo, attraverso cui l’energia dell’onda si trasferisce ai nuovi centri d’azione ad est. Tuttavia, emergono alcune differenze significative: (1) i centri sono molto più persistenti, con durate che superano le due settimane in alcuni casi, e (2) la velocità di fase è orientata verso ovest, a differenza dei casi delle medie latitudini, dove le anomalie tendono a spostarsi verso est seguendo il flusso medio. Queste anomalie persistenti e lente sono state associate a condizioni anticicloniche e/o flussi meridionali che hanno intensificato gli episodi di ondata di calore e attività di incendi boschivi in Siberia durante i mesi di maggio e giugno (Overland e Wang, 2021). Nella parte successiva dell’estate, la circolazione diventa meno organizzata in termini di strutture ondulate, con vortici ciclonici e anticiclonici di varie dimensioni e una scarsa propagazione di fase evidente. Una marcata anomalia di bassa altezza vicino alla linea internazionale del cambio di data indica la presenza di un ciclone del Mare di Beaufort estremamente persistente verso la fine di luglio. Da questi esempi si può dedurre che le onde di Rossby svolgono un ruolo, seppur non costante, nella dinamica polare, e che in questi casi le loro proprietà fisiche differiscono notevolmente da quelle delle onde a medie latitudini.Per ulteriore motivazione, la Figura 2 illustra come il tempo di decadimento delle perturbazioni vari in base alla latitudine. Questa analisi è stata condotta tramite la funzione di autocorrelazione ritardata dell’altezza geopotenziale a 500 hPa, misurata ogni 30° di longitudine. I dati di ri-analisi giornalieri NCEP2 dei mesi invernali (DJF) dal 1979 al 2018 sono stati utilizzati per documentare situazioni con onde stazionarie forti nell’emisfero nord in inverno e onde stazionarie deboli nell’emisfero sud in estate. Qui, la scala temporale di decadimento è calcolata attraverso la scala di e-folding, determinando il ritardo temporale a cui l’autocorrelazione diminuisce fino a 1/e. In entrambi i casi, le regioni di media latitudine mostrano scale temporali brevi, da 2 a 2,5 giorni, in linea con il transito frequente di sistemi sinottici e pacchetti d’onda baroclinici lungo le rotte delle tempeste. Tuttavia, la scala temporale aumenta con l’aumentare della latitudine, aggiungendo un giorno extra nel caso nord e fino a tre giorni nel caso sud. Queste scale temporali prolungate corrispondono qualitativamente alle osservazioni fatte dagli esempi nella Figura 1, nonostante le differenze stagionali ed emisferiche.

Per confronto, la Figura 2 presenta anche un’analisi simile ottenuta dalla funzione di corrente di una simulazione del modello barotropico, come utilizzato da Patterson et al. (2020). Seguendo l’approccio di Vallis et al. (2004), l’equazione della vorticità barotropica viene risolta su una sfera e forzata da agitazioni nelle medie latitudini per simulare gli effetti della crescita baroclinica nelle rotte delle tempeste (vedi Appendice A per maggiori dettagli). Il paragone con questo sistema altamente idealizzato e le osservazioni è puramente qualitativo; tuttavia, la similitudine nelle scale temporali di decadimento suggerisce che la dinamica delle onde di Rossby barotropiche possa avere un ruolo cruciale nel definire le variazioni latitudinali della scala temporale di e-folding osservata.

**Nel proseguimento del documento, discuteremo come le previsioni teoriche sul comportamento delle onde di Rossby possano, almeno qualitativamente, spiegare le caratteristiche osservate, come la maggiore durata a latitudini elevate. Nella Sezione 2, rivedremo alcune teorie pertinenti sulle onde di Rossby, concentrandoci sulle latitudini polari. In seguito, presenteremo analisi osservative sulla capacità di propagazione delle onde (Sez. 3), l’equilibrio tra flusso ondulatorio e turbolento (Sez. 4), e la relazione delle strutture di flusso con la latitudine (Sez. 5). La Sezione 6 esplora i meccanismi mediante i quali le onde di Rossby potrebbero essere innescate nelle regioni polari per influenzare eventualmente le latitudini più basse. Le considerazioni finali nella Sezione 7 sottolineano alcune ulteriori applicazioni per comprendere le statistiche dei flussi e i modi annulari.

La Figura 1 è un diagramma di Hovmöller che rappresenta le anomalie dell’altezza geopotenziale a 500 hPa, osservate durante l’estate del 2020 tra i 65°N e i 75°N. Questo grafico è utilizzato per analizzare le variazioni spazio-temporali di una variabile atmosferica in una specifica banda di latitudini.

Dettagli del grafico:

  • Asse Verticale (Tempo): Il tempo è rappresentato verticalmente, estendendosi dal 1° maggio al 1° agosto. Questo asse mostra l’evoluzione temporale delle anomalie geopotenziali durante i mesi estivi.
  • Asse Orizzontale (Longitudine): La longitudine varia da 0 a 300 gradi lungo l’asse orizzontale, coprendo un ampio raggio geografico nell’area indicata.
  • Colorazione: Le anomalie negative, che indicano altezze inferiori alla media, sono colorate in varie tonalità di blu, mentre le anomalie positive, che rappresentano altezze superiori alla media, sono in tonalità di rosso. Le tonalità più chiare come il giallo e l’arancione segnalano valori vicini alla media zonale.
  • Linee tratteggiate: Queste linee sono tracciate per evidenziare la direzione e la velocità con cui le anomalie di fase si propagano attraverso il diagramma, offrendo una visione diretta della dinamica delle onde atmosferiche.

Interpretazione: Il diagramma evidenzia una serie di strutture ondulate, alternando regioni di alta e bassa pressione atmosferica che si spostano o permangono nel periodo analizzato. L’utilizzo del diagramma di Hovmöller facilita la comprensione dei meccanismi dinamici all’opera nelle alte latitudini, come le onde di Rossby, che giocano un ruolo cruciale nel modulare i sistemi meteorologici e nel trasporto di energia atmosferica. Le linee tratteggiate forniscono indicazioni preziose sulla traiettoria delle anomalie di pressione, essenziali per studiare la direzione e la velocità delle onde nella regione.

La Figura 2 illustra la variazione della scala di tempo di e-folding in relazione alla latitudine, utilizzando dati osservativi dell’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500) dalla ri-analisi NCEP2 e dati derivati dalla simulazione di un modello barotropico. La scala di e-folding è una misura del tempo necessario affinché l’ampiezza di una perturbazione atmosferica diminuisca di un fattore e, approssimativamente il valore di 2.718, e viene usata per valutare la persistenza delle strutture atmosferiche.

Dettagli del grafico:

  • Asse orizzontale: Indica il tempo in giorni necessario per raggiungere la scala di e-folding.
  • Asse verticale: Mostra la latitudine, variando da 30° a 85° sia per l’emisfero nord che per quello sud.
  • Curve nel grafico:
    • Linea tratteggiata (“Z500 NH DJF”): Rappresenta i dati dell’altezza geopotenziale a 500 hPa nell’emisfero nord durante i mesi invernali.
    • Linea continua (“Z500 SH DJF”): Mostra i dati corrispondenti per l’emisfero sud durante i mesi estivi.
    • Linea a puntini (“STF BT model”): Illustra i risultati di una simulazione di un modello barotropico.

Osservazioni chiave:

  • La figura evidenzia un incremento nel tempo di e-folding all’aumentare della latitudine in entrambi gli emisferi, indicando che le perturbazioni atmosferiche sono più persistenti a latitudini più elevate.
  • È evidente una differenza tra i dati dell’emisfero nord e sud, con l’emisfero sud che mostra generalmente tempi di e-folding maggiori rispetto all’emisfero nord a latitudini equivalenti.
  • Il modello barotropico tende a sovrastimare la persistenza delle perturbazioni a latitudini elevate rispetto ai dati osservativi, suggerendo potenziali discrepanze tra il modello e i processi atmosferici reali.

Questa analisi aiuta a comprendere la dinamica delle perturbazioni atmosferiche e la loro variabilità latitudinale, nonché a valutare l’efficacia dei modelli atmosferici nel riprodurre questi fenomeni.

Di seguito una spiegazione della Figura 3, che illustra l’efficacia dell’approssimazione del piano β nell’analisi della variazione del parametro di Coriolis con la latitudine:

Spiegazione della Figura 3

La Figura 3 offre due curve distinte che rappresentano differenti aspetti dell’approssimazione del piano β nel contesto della variazione del parametro di Coriolis:

  1. Decremento del parametro β con la latitudine (Curva Blu):
    • Questa curva mostra come il parametro β, un indicatore del gradiente nord-sud del parametro di Coriolis, si riduce man mano che la latitudine aumenta da 0° (equatore) fino ai poli.
    • β è normalizzato rispetto al suo valore all’equatore, permettendo di osservare chiaramente come diminuisca con l’aumentare della latitudine. La curva mostra che il decremento di β è relativamente lento fino a circa 45° di latitudine, dopo di che la riduzione diventa più rapida, approssimandosi a zero verso i poli.
  2. Errore nell’approssimazione del parametro di Coriolis (Curva Rossa):
    • La seconda curva, in rosso, esprime l’errore percentuale nell’approssimazione di δf, la variazione del parametro di Coriolis, calcolata su una distanza di 5° in direzione polare da una data latitudine, utilizzando l’approssimazione del piano β.
    • L’errore inizia a essere minimo vicino all’equatore ma aumenta significativamente con l’incremento della latitudine. Questo incremento dell’errore diventa particolarmente marcato oltre i 50°, indicando che l’approssimazione del piano β perde di precisione a latitudini elevate.

Conclusione

Questa figura evidenzia che, sebbene l’approssimazione del piano β sia utile per studi a latitudini basse e medie, diventa meno affidabile a latitudini più alte. Gli aumenti sostanziali dell’errore nelle previsioni a latitudini polari suggeriscono la necessità di utilizzare modelli più complessi o differenti approcci per analizzare accuratamente il comportamento atmosferico in queste regioni.

Teoria delle onde di Rossby e l’approssimazione del piano β

2.1 Il Piano β

La variazione del parametro di Coriolis, che dipende dalla latitudine, può essere approssimata attraverso un’espansione in serie, concentrando l’analisi vicino a una latitudine specifica, φ0. In questo contesto, si assume che tale parametro cambi linearmente in funzione della distanza da questa latitudine di riferimento. I termini chiave in questa approssimazione includono la variazione del seno e del coseno di φ0, nonché termini di ordine superiore che diventano rilevanti a latitudini elevate.

Nella pratica, questa approssimazione viene semplificata ulteriormente per studi atmosferici, ignorando i termini di ordine superiore. Questo semplifica il modello a una variazione lineare del parametro di Coriolis con la latitudine su un piano tangente alla superficie terrestre, noto come il piano β. Questa semplificazione è fondamentale per analizzare e prevedere il comportamento delle onde di Rossby, che sono influenzate significativamente da come il parametro di Coriolis varia con la latitudine.

Questo parametro, notato come β, tende a diminuire man mano che ci si sposta verso i poli, raggiungendo valori significativamente inferiori a latitudini più elevate. Ad esempio, a una latitudine di 70 gradi, il valore di β è circa la metà rispetto a quello a 45 gradi. Tale diminuzione ha importanti implicazioni per il movimento delle masse d’aria: man mano che si muovono verso i poli, le masse d’aria sperimentano un incremento nella vorticità planetaria. Per mantenere un equilibrio, acquisiscono una vorticità relativa opposta, che può essere descritta come negativa o anticionica.

La serie di Taylor, usata per arrivare a questa approssimazione, tuttavia, diventa meno affidabile a latitudini molto alte. È importante notare che esistono modifiche a questa teoria, come quelle proposte da Harlander nel 2005, che adottano un sistema di coordinate rotato per migliorare l’approssimazione in tali regioni.

Alcuni limiti di questa approssimazione e ulteriori dettagli su come influisce sullo studio delle dinamiche atmosferiche sono discussi in dettaglio nell’Appendice B del documento di riferimento. Queste considerazioni sono essenziali per chi studia fenomeni meteorologici e modelli climatici che dipendono fortemente dal comportamento delle onde di Rossby.

2.2 Equazione della Vorticità Barotropica

Il modello più elementare in grado di sostenere l’analisi delle onde di Rossby è rappresentato dall’equazione della vorticità barotropica, definita su un piano chiamato piano β. In questo modello, le velocità nel piano, designate con u per la direzione est-ovest e v per nord-sud, interagiscono con la vorticità relativa, un concetto che quantifica la tendenza di un fluido a ruotare.

Per cercare soluzioni che descrivano il movimento ondulatorio dell’atmosfera, si parte da un flusso di base uniforme e si procede con la linearizzazione del sistema. Le onde di Rossby che emergono da questo modello sono caratterizzate da una propagazione che dipende dalla direzione e dall’intensità del vento di fondo e da un parametro, indicato con β, che misura come la rotazione della Terra influisce sulla dinamica dell’atmosfera.

Queste onde possono muoversi contro la direzione del vento predominante. In particolare, le onde più lunghe, o con minor numero d’onda, tendono a spostarsi verso ovest, mentre quelle più corte si dirigono verso est. La velocità di gruppo, che è la velocità con cui si muove l’energia dell’onda, è generalmente superiore alla velocità di fase, che è la velocità con cui si muovono le creste e le valli dell’onda.

Un aspetto interessante delle onde di Rossby è che esse sono dispersive, il che significa che la velocità di propagazione delle onde cambia in base alla loro lunghezza. Inoltre, i modelli mostrano che queste onde hanno una capacità unica di sviluppare nuovi sistemi meteorologici a est dei sistemi esistenti, un processo che è fondamentale per la formazione di nuovi fronti e perturbazioni meteorologiche.

La teoria prevede anche che, a latitudini più elevate, dove il valore di β è inferiore, le onde di Rossby tendono a essere meno energiche e meno dispersive. Di conseguenza, si prevede una minore attività di queste onde e una ridotta capacità di generare nuovi sistemi meteorologici verso valle, o a est, delle posizioni correnti. Questo può avere implicazioni significative per la previsione del tempo e la comprensione dei pattern climatici nelle regioni polari.

2.3 Considerazioni sull’Attività delle Onde di Rossby

Le onde di Rossby si propagano attraverso il sistema atmosferico quasi-geostrofico, un modello che utilizza la relazione di Eliassen-Palm per descrivere come si muovono queste onde. In questo sistema, si considera una quantità chiamata densità di attività dell’onda, che si riferisce all’intensità e alla distribuzione delle onde nell’atmosfera. Questa densità è influenzata dalla vorticità potenziale quasi-geostrofica, un parametro chiave nel monitorare il movimento e la stabilità atmosferica.

La teoria assume che le onde di Rossby abbiano una piccola ampiezza e siano modulate lentamente. Questo significa che il flusso di queste onde, noto come flusso di Eliassen-Palm, è strettamente legato alla velocità con cui si muovono i gruppi di onde, un concetto fondamentale per comprendere come l’energia delle onde si distribuisca nell’atmosfera.

Analizzando ulteriormente la dipendenza dalla latitudine, osserviamo che le caratteristiche di queste onde cambiano quando si spostano da una latitudine a un’altra. Se un’onda si muove verso latitudini più alte, dove il parametro che descrive il gradiente di vorticità è più debole, la teoria suggerisce che anche l’intensità della vorticità dell’onda diminuirà. Ciò è coerente con la necessità di mantenere costante la densità di attività dell’onda.

Tuttavia, le situazioni reali mostrano spesso un comportamento più complesso. L’attività dell’onda può concentrarsi o disperdersi a seconda delle latitudini, influenzando significativamente i venti zonali, ovvero i venti che soffiano da ovest verso est. Questo fenomeno è particolarmente rilevante per le onde che si propagano verso il polo, poiché possono indebolire i venti zonali, riducendo la loro capacità di supportare ulteriori propagazioni di onde.

Le regioni ad alta latitudine sono spesso teatro di una convergenza dell’attività dell’onda, portando alla formazione di fenomeni atmosferici intensi come i blocchi ad alta latitudine. Questi blocchi possono avere impatti significativi tanto sulle regioni polari quanto sulle medie latitudini, influenzando le condizioni meteorologiche estreme.

La teoria delle onde lineari fornisce una buona base per comprendere questi processi, ma si scontra con limiti quando le onde non sono di piccola ampiezza o sono modulate rapidamente. Recentemente sono stati sviluppati modelli migliorati per affrontare queste complessità, ampliando la nostra capacità di prevedere e analizzare il comportamento atmosferico alle alte latitudini. Questi studi sono essenziali per tracciare il movimento delle onde stazionarie e per comprendere meglio le dinamiche climatiche globali.

2.4 Teoria del Tracciamento dei Raggi nelle Onde di Rossby

Nel 1981, Hoskins e Karoly hanno introdotto un metodo per analizzare le onde di Rossby attraverso il tracciamento dei raggi, adattando l’equazione della vorticità barotropica a una proiezione di Mercatore per meglio rappresentare la geometria sferica della Terra. Questo metodo considera non solo il gradiente planetario β, ma anche i gradienti meridionali della vorticità relativa.

Utilizzando questa approccio, la velocità zonale e il gradiente di vorticità meridionale vengono adeguati per la proiezione di Mercatore, indicati rispettivamente come uM(y) e βM. Questi elementi modificati aiutano a determinare come le onde si muovono e interagiscono con l’ambiente atmosferico circostante.

La teoria del tracciamento dei raggi identifica i percorsi delle onde, detti raggi, che seguono la direzione della velocità di gruppo locale — la direzione in cui si propaga l’energia dell’onda. Concentrandosi sulle onde stazionarie, il metodo inizia fissando un numero d’onda zonale k e un punto di partenza. Il numero d’onda meridionale l viene calcolato basandosi sui valori locali di uM e βM, e il raggio viene tracciato di conseguenza. A seconda dei valori calcolati, il raggio può dirigere sia verso il polo che verso l’equatore.

Quando si considera l’Equazione (9) per l, si ottengono soluzioni sia positive che negative, rappresentando i raggi che si muovono rispettivamente verso il polo e verso l’equatore. Questo studio si concentra sui raggi che si muovono verso il polo, tipici delle onde generate a basse latitudini che si spostano verso le regioni polari.

Il concetto chiave qui è il numero d’onda stazionario totale, Ks, che rappresenta un indice della capacità dell’onda di mantenere la sua struttura mentre si sposta. Man mano che il raggio si sposta verso il polo, Ks generalmente diminuisce, il che richiede che il numero d’onda meridionale l diminuisca, rendendo il percorso del raggio più zonale. Questo processo continua fino a che il raggio non raggiunge una “latitudine di inversione”, dove cambia direzione da est a ovest, riflettendo l’onda verso l’equatore.

La teoria del tracciamento dei raggi, sebbene utile, si basa su un’approssimazione che assume un flusso di fondo lentamente variabile, e quindi ha delle limitazioni quando applicata a flussi più realistici. Di conseguenza, è spesso utilizzata per una comprensione qualitativa piuttosto che quantitativa. Nonostante ciò, il metodo fornisce spunti preziosi per comprendere il comportamento delle onde di Rossby, specialmente per quanto riguarda il loro movimento verso e dalle regioni polari, dove le onde tendono a riflettersi verso l’equatore a causa della diminuzione di β e Ks.

2.4 Propagazione delle Onde di Rossby e Considerazioni Relative

Le onde di Rossby più lunghe tendono a raggiungere latitudini più elevate rispetto a quelle più corte. Questo fenomeno si verifica perché la latitudine alla quale le onde iniziano a riflettersi verso l’equatore è determinata da specifici valori di latitudine dove le caratteristiche delle onde cambiano. Man mano che ci si sposta verso latitudini più alte, ci sono variazioni nei parametri che governano la propagazione dell’onda, il che porta a un dominio delle onde con minori numeri d’onda zonali. Queste onde, sebbene abbiano scale fisiche più corte alle alte latitudini a causa della convergenza dei meridiani, mostrano cambiamenti significativi nel loro comportamento.

Secondo Hoskins e Karoly (1981), man mano che un’onda si propaga verso latitudini più alte, l’ampiezza delle sue perturbazioni aumenta. Questo aumento è attribuito al modo in cui la velocità del gruppo dell’onda cambia con l’avvicinarsi alla latitudine di inversione, suggerendo un incremento nell’attività dell’onda stessa. Questo comportamento implica anche che le onde che si originano a latitudini elevate tenderebbero a indebolirsi man mano che si spostano verso latitudini più basse.

Estendendo ulteriormente questo concetto, Karoly (1983) e Yang e Hoskins (1996) hanno esaminato le onde non stazionarie, ovvero quelle che si muovono con una frequenza non nulla e una certa velocità di fase. Nonostante la base qualitativa della propagazione delle onde rimanga simile, ci sono state osservazioni di differenze notevoli, particolarmente rilevanti per le alte latitudini. In particolare, la propagazione effettiva delle onde è possibile solo sotto certe condizioni specifiche legate al flusso atmosferico dominante e alla velocità delle onde stesse. Ciò ha portato alla conclusione che le onde con una rapida propagazione verso est sono meno probabili alle alte latitudini, dove invece dominano le onde che si propagano verso ovest.

Inoltre, la direzione della propagazione del gruppo di onde non segue sempre direttamente la direzione dell’onda stessa, specialmente quando la componente zonale dell’onda è ridotta. Questo ha implicazioni significative per il modo in cui le onde si muovono e interagiscono con l’ambiente circostante alle alte latitudini, spesso riflettendosi e cambiando direzione in modo marcato.

Questi concetti sono stati validati attraverso esperimenti e modelli che hanno dimostrato come le onde si avvicinano e si allontanano dalle alte latitudini, confermando le teorie sulla riflessione e sul cambio di direzione delle onde di Rossby in base a variazioni specifiche nella loro struttura e ambiente.

Differenze nelle Onde Rossby tra Alte e Medie Latitudini

Nell’ambito della teoria delle onde Rossby, ci aspettiamo differenze significative nel comportamento di queste onde quando si passa dalle medie alle alte latitudini. La propagazione delle onde tende a essere generalmente più debole nelle alte latitudini, principalmente a causa del gradiente di vorticità meno marcato, il che porta a spostamenti meridionali delle particelle più estesi. Inoltre, solo i numeri d’onda zonali più bassi sono capaci di raggiungere le regioni polari. Grazie al principio di conservazione dell’attività dell’onda, queste onde manifestano un aumento dell’ampiezza una volta che raggiungono le alte latitudini.

Un fenomeno interessante osservabile nelle alte latitudini è la prevalenza delle onde con velocità di fase verso ovest, le quali non sono influenzate dalla presenza di linee critiche. Ciò comporta che i percorsi dei raggi d’onda tendono a essere più meridionali rispetto a quanto predetto dalla teoria delle onde stazionarie. Un altro aspetto rilevante è la similitudine tra le velocità di fase e di gruppo in queste regioni, che tende a ostacolare il processo di sviluppo a valle. Questo processo è un meccanismo fondamentale per il decadimento degli eddies nelle latitudini più basse, suggerendo una dinamica di decadimento diversa nelle alte latitudini.

Gradienti di Vorticità Potenziale e Propagazione delle Onde Rossby

Il numero d’onda stazionario è un utile strumento diagnostico per valutare la capacità di una corrente di fondo di sostenere le onde Rossby. Studi condotti da Hoskins e Ambrizzi nel 1993 e successivamente da Hoskins e Woollings nel 2015 hanno evidenziato l’importanza delle guide d’onda alle medie latitudini per la propagazione di queste onde. Tuttavia, recenti osservazioni di Wirth nel 2020 hanno messo in luce alcune limitazioni delle teorie tradizionali, suggerendo l’uso dei gradienti di vorticità potenziale come indicatori più affidabili per la guidabilità delle onde.

Questi gradienti includono gli effetti sia della vorticità relativa che planetaria, permettendo di riflettere il potenziale per la propagazione delle onde anche in regioni ad alte latitudini, dove il parametro β è piccolo. In particolare, l’analisi si concentra sui gradienti meridionali della temperatura potenziale su una specifica superficie di vorticità potenziale, che segue strettamente la tropopausa dinamica attraverso un’ampia gamma di latitudini. Questo ci consente di confrontare direttamente il potenziale per la propagazione delle onde Rossby in diverse latitudini.

I gradienti di temperatura sono più marcati nelle regioni dei getti alle medie latitudini, e si indeboliscono spostandosi verso i poli durante l’estate, in concomitanza con il calo dei getti subtropicali. In inverno, invece, l’Artico mostra gradienti di temperatura molto più deboli rispetto a quelli più a sud, ad eccezione di alcune aree come l’Alaska e i mari nordici. In queste regioni, le creste stazionarie intensificano i gradienti di vorticità alla fine delle tracce delle tempeste, portandole ad alte latitudini. Anche se meno favorevoli, le condizioni non sono proibitive per la propagazione delle onde Rossby. Tuttavia, in altre aree di longitudine, i gradienti sono notevolmente più deboli. La scarsa intensità di questi gradienti nella tropopausa ad alte latitudini durante l’inverno è evidente, soprattutto se confrontata con la stratosfera superiore, dove si osservano forti gradienti di vorticità associati al vortice polare a latitudini subpolari.Nel periodo estivo e autunnale, quando la circolazione atmosferica si contrae verso il polo, i gradienti di temperatura potenziale nell’Artico aumentano effettivamente, nonostante il generale indebolimento dei getti alle medie latitudini. Questo incremento è associato al getto frontale artico, un getto zonale profondo e locale che si origina dal contrasto di temperatura tra il caldo continente asiatico e il freddo Oceano Artico. Durante queste stagioni, i gradienti nelle regioni artiche possono raggiungere quasi la metà dell’intensità di quelli presenti alle medie latitudini, suggerendo un ruolo più significativo della dinamica delle onde Rossby polari.

In estate, il gradiente di temperatura nella regione del Mare di Barents e del Mare di Kara è più marcato rispetto a quello invernale che si riscontra in gran parte dell’Europa a medie latitudini, una zona dove sono frequenti la rottura e il blocco delle onde Rossby. Sulle coste artiche si registrano numeri d’onda stazionari che suggeriscono un certo potenziale per la guida delle onde in queste aree. Inoltre, il contrasto termico tra terra e mare nell’Artico si è accentuato nel tempo e si prevede che questo fenomeno continuerà ad aumentare con il riscaldamento globale, potenziando così il getto frontale artico e migliorando le condizioni per la propagazione delle onde.

Questi cambiamenti sono stati collegati agli eventi di onde Rossby persistenti e alle ondate di calore in Europa negli ultimi anni. Al di fuori dei 75° N nell’Artico, i gradienti sono molto deboli, rendendo improbabile la prosperità delle onde Rossby in queste aree. Tuttavia, a latitudini subpolari, intorno ai 60-70° N, esiste un potenziale per la propagazione delle onde, anche se più debole rispetto alle medie latitudini. Questi gradienti dipendono dai gradienti di vorticità relativi associati alla variazione meridionale del vento zonale, il che potrebbe spiegare l’intermittenza osservata in alcuni collegamenti tra l’Artico e le medie latitudini.

Nei grafici dell’emisfero sud, si notano gradienti non trascurabili nelle regioni costiere dell’Antartide, sebbene siano più deboli rispetto a quelli dell’emisfero nord. In questo contesto, è stato dimostrato che la propagazione delle onde intorno all’Antartide può essere potenziata dall’effetto topografico del bordo continentale, un aspetto che non è evidenziato nei metodi diagnostici tradizionali della tropopausa.

Di seguito una spiegazione della Figura 4, che mostra le climatologie stagionali del gradiente meridionale di temperatura potenziale θ sulla superficie di 2 PVU, basate sui dati di rianalisi ERA-Interim.La figura è organizzata in quattro colonne, ciascuna delle quali rappresenta una diversa stagione dell’anno: DJF (Dicembre-Gennaio-Febbraio), MAM (Marzo-Aprile-Maggio), JJA (Giugno-Luglio-Agosto) e SON (Settembre-Ottobre-Novembre). Per ogni stagione, sono mostrate due mappe, una per l’emisfero nord e una per l’emisfero sud, visualizzate in proiezione polare.

Ogni mappa include linee di contorno che si incrementano di 0.005 K/km, con linee tratteggiate per indicare gradienti negativi, ovvero aree dove la temperatura diminuisce verso il polo. Le aree ombreggiate rappresentano valori più piccoli, indicando zone con gradienti di temperatura potenziale particolarmente bassi o inversi.

I colori variano dall’azzurro al rosso, segnalando un passaggio da valori più freddi a più caldi del gradiente di temperatura. Questo aiuta a visualizzare come i gradienti di temperatura cambiano tra le latitudini e sono influenzati dalle stagioni. Questi gradienti sono cruciali per comprendere la dinamica atmosferica, poiché influenzano la propagazione delle onde atmosferiche, come le onde Rossby, che sono particolarmente sensibili a tali variazioni termiche.

In conclusione, questa figura offre un quadro dettagliato e stagionalmente differenziato di come i gradienti di temperatura potenziale variano globalmente, fornendo spunti essenziali per gli studi sulla dinamica del clima e dell’atmosfera.

4 Interazione Onda-Turbolenza e Dinamiche Polari

Studiando più a fondo le dinamiche polari, si evidenzia il ruolo cruciale dell’interazione tra la turbolenza atmosferica e le onde di Rossby. Charney nel 1971 ha sviluppato la teoria della turbolenza geostrofica per descrivere la circolazione atmosferica, secondo cui la relazione geostrofica limita il flusso permettendo all’energia di trasferirsi verso scale spaziali più ampie, un fenomeno tipico della turbolenza bidimensionale. Le evidenze osservative confermano l’importanza della turbolenza geostrofica, soprattutto a scale sinottiche e inferiori (Boer e Shepherd, 1983). Nonostante ciò, la transizione dell’energia verso scale maggiori è limitata dall’effetto β, che diviene predominante man mano che si aumenta la scala, poiché la velocità di gruppo cresce con l’ampiezza della perturbazione (Eq. 5). Di conseguenza, le perturbazioni si disperdono come onde di Rossby piuttosto che intensificarsi ulteriormente (Rhines, 1975). In generale, l’effetto β, insieme al gradiente di vorticità potenziale (PV), frena lo sviluppo delle scale meridionali, portando a un flusso anisotropico e alla formazione di zone, tipiche delle atmosfere con correnti a getto (Vallis e Maltrud, 1993).

Si ipotizza che onde e turbolenza coesistano su vasta scala (Sukoriansky et al., 2007), con un equilibrio che varia tra le regioni polari e le medie latitudini. Nei poli, dove il gradiente di PV è meno marcato, le onde di Rossby hanno un impatto minore, facendo sì che la turbolenza influenzi maggiormente la variabilità atmosferica. Questo minore efficienza nella propagazione delle onde ai poli suggerisce un’accresciuta crescita energetica verso scale più grandi, specialmente in direzione meridionale, rendendo il flusso più isotropico rispetto a quanto osservato a latitudini più basse.

Tali teorie sono state verificate attraverso analisi spettrali dei dati di ri-analisi. La Figura 5 illustra come l’energia cinetica turbolenta integrata verticalmente varii in funzione della latitudine e del numero zonale. I dati utilizzati comprendono tutte le stagioni dell’emisfero nord, ottenendo risultati analoghi anche limitando l’analisi ai soli mesi invernali. Le onde stazionarie invarianti nel tempo sono state escluse dall’analisi. Questo grafico evidenzia una maggiore concentrazione energetica nelle medie latitudini, dove l’instabilità baroclinica stimola un’intensa crescita dei vortici sinottici, particolarmente nei numeri d’onda dal 6 al 10. Questo fenomeno si attenua per numeri d’onda inferiori a sei, segnalando una riduzione della cascata energetica verso scale superiori, come precedentemente descritto (Boer e Shepherd, 1983).Le osservazioni nelle latitudini polari mostrano un’energia cinetica dei vortici più bassa, e le analisi dello spettro indicano una minore tendenza all’appiattimento per i bassi numeri d’onda. Questo fenomeno suggerisce che la transizione dell’energia verso scale più grandi potrebbe essere meno limitata nelle regioni polari, come previsto a causa del gradiente di vorticità potenziale più debole. Tuttavia, la situazione rimane complessa. L’Artico non è una zona isolata e vi sono frequenti interazioni con le medie latitudini attraverso lo scambio di masse d’aria e sistemi meteorologici, come evidenziato da vari studi. Le linee tratteggiate mostrate nell’analisi collegano aree di scala fisica uniforme, suggerendo che le masse d’aria potrebbero spostarsi lungo queste traiettorie attraversando diverse latitudini. La loro vicinanza ai contorni energetici indica che il trasporto di energia dalle medie latitudini verso il polo potrebbe giocare un ruolo significativo nella configurazione degli spettri polari.

L’analisi della isotropia del flusso offre spunti chiari. La turbolenza geostrofica, quando pura, mostra un equilibrio tra l’energia delle componenti zonale e meridionale, mentre il movimento ondoso presenta una forte prevalenza di una direzione sull’altra. L’analisi di questa distribuzione energetica rivela che, contrariamente alle zone a medie latitudini dove il flusso è maggiormente dominato dalle direzioni meridionali, nelle latitudini più alte l’energia si distribuisce in modo più equilibrato tra le componenti zonale e meridionale. Questo conferma l’ipotesi di una maggiore isotropia nella circolazione polare rispetto a quella a latitudini più basse. Inoltre, studi hanno mostrato che anche le dimensioni dei vortici tendono a uniformarsi nelle alte latitudini, mentre nelle medie latitudini la dimensione zonale prevale su quella meridionale, sostenendo l’idea di una maggiore limitazione della transizione di energia verso scale maggiori in direzione meridionale.Le onde di Rossby e la turbolenza si trovano insieme in quasi tutte le latitudini. Tuttavia, le evidenze indicano che le regioni polari sono dominate da strutture ondulatorie meno intense a vantaggio di vortici più isotropi, diversamente da quanto si osserva nelle medie latitudini. La letteratura precedente ha già documentato la presenza di vortici polari isotropi e persistenti (per esempio, Cavallo e Hakim, 2010; Aizawa e Tanaka, 2016). Parallelamente, sono state rilevate caratteristiche simili a onde, persistenti e con movimento lento verso ovest, a latitudini piuttosto elevate (come indicato da Branstator, 1987; Kushnir, 1987; Dunn-Sigouin e Shaw, 2015), il che corrisponde all’anisotropia osservata tra i 60 e i 70 gradi nord nella Figura 6. Queste onde quasi stazionarie nella zona subpolare emergono probabilmente come risultato diretto della cascata di scale energetiche. Hendon e Hartmann (1985) hanno osservato che il numero d’onda stazionario Ks coincide con la scala di Rhines, che si ritiene influenzi l’inibizione della cascata verso scale più grandi. Questa associazione si basa sulla velocità del vento effettiva, che è comparabile alla velocità media, una supposizione plausibile. Pertanto, è probabile che la cascata porti le onde di Rossby nelle regioni subpolari a scale di lunghezza tali per cui queste onde risultano quasi stazionarie.

Descrizione Dettagliata della Figura 5

La Figura 5 presenta un grafico dell’energia cinetica dei vortici integrata verticalmente, mostrando come questa vari in funzione del numero d’onda zonale e della latitudine. I dati derivano dalla ri-analisi ERA-Interim e comprendono le misurazioni da tutti i mesi dell’anno, escludendo le onde stazionarie medie temporali.

Componenti del Grafico:

  • Asse verticale (Y): Mostra la latitudine, che varia dai tropici ai poli (da 0 a 90 gradi). Questo asse illustra la distribuzione latitudinale dell’energia dei vortici.
  • Asse orizzontale (X): Indica il numero d’onda zonale (k), che descrive la dimensione delle strutture atmosferiche. Numeri d’onda più bassi corrispondono a fenomeni meteorologici di dimensioni più grandi.
  • Intensità del colore: I vari toni dal chiaro al scuro rappresentano differenti livelli di energia cinetica. Le tonalità più scure indicano aree con maggiore energia, suggerendo regioni di intensa attività turbolenta.
  • Linee tratteggiate: Connettono punti che hanno la stessa scala di lunghezza zonale. Queste linee possono essere interpretate come traiettorie lungo le quali si mantengono coerenze strutturali a scale simili.

Osservazioni chiave:

  • Nelle medie latitudini, l’energia raggiunge i suoi picchi per numeri d’onda tra 6 e 10, suggerendo che le scale di vortici sinottici sono più comuni in queste regioni.
  • L’energia diminuisce con l’incremento della latitudine, particolarmente nelle regioni polari, dove si osserva meno appiattimento per i numeri d’onda bassi. Questo potrebbe indicare una minore restrizione nella trasformazione dell’energia verso scale più grandi, probabilmente a causa del gradiente di vorticità potenziale meno marcato.

La figura aiuta a visualizzare la variazione spaziale dell’energia cinetica in atmosfera, offrendo una prospettiva chiara su come l’energia dei vortici sia distribuita in funzione delle latitudini e delle dimensioni delle strutture atmosferiche. Queste informazioni sono essenziali per comprendere la dinamica delle interazioni tra diverse scale meteorologiche e per analizzare il comportamento della turbolenza in differenti regioni geografiche.

La Figura 6 illustra la metrica di anisotropia dei vortici, espressa come M = (u0² – v0²) / 2, mostrata nel medesimo formato della Figura 5.Questo grafico quantifica le differenze nell’energia cinetica tra le componenti zonali e meridionali del vento, offrendo una visione sulla distribuzione spaziale dell’anisotropia nel flusso atmosferico.

Componenti del Grafico:

  • Asse verticale (Y): rappresenta le latitudini, estendendosi dall’equatore verso i poli (da 0 a 90 gradi). Questo asse evidenzia la variazione latitudinale dell’anisotropia nei vortici.
  • Asse orizzontale (X): mostra il numero d’onda zonale (k), che corrisponde alla grandezza delle strutture di flusso atmosferico, con numeri più bassi indicativi di strutture più grandi.
  • Scala dei colori: Il gradiente di colore varia dal blu al rosso. I toni blu segnalano una predominanza delle componenti meridionali del flusso (più energia meridionale), mentre i toni rossi indicano una predominanza delle componenti zonali (più energia zonale).
  • Linee tratteggiate: Connettono punti di identica scala di lunghezza zonale, utili per tracciare la coerenza delle strutture atmosferiche attraverso le varie latitudini.

Interpretazioni principali:

  • Medie Latitudini: Le aree in blu a numeri d’onda elevati indicano un dominio delle componenti meridionali, suggerendo fronti d’onda estesi in direzione nord-sud e conseguenti movimenti zonali. Questo riflette un flusso caratterizzato da un’elevata anisotropia con una netta direzione di propagazione.
  • Basse Latitudini: Le aree in rosso a bassi numeri d’onda mostrano un predominio delle componenti zonali, caratteristiche di vortici e strutture atmosferiche orientate est-ovest.
  • Alte Latitudini: Verso i poli, l’intensità del colore si attenua, indicando una riduzione dell’anisotropia e un avvicinamento verso una maggiore isotropia del flusso, dove l’energia è distribuita più uniformemente tra le componenti zonali e meridionali.

Questa figura è cruciale per comprendere le variazioni nella struttura e nella dinamica del flusso atmosferico a diverse latitudini e scale, illustrando come l’anisotropia influenzi la distribuzione energetica nelle diverse regioni climatiche.

Analisi delle Correlazioni di Flusso Atmosferico per Latitudine

In questa sezione, presentiamo una serie di esempi scelti di analisi delle correlazioni per illustrare le strutture di flusso tipicamente osservate in relazione alla latitudine. Questa metodologia, l’analisi della correlazione a un punto, è stata riconosciuta come strumento efficace per identificare strutture di flusso atmosferico in vari contesti applicativi, come sottolineato da Blackmon et al. nel 1984. Seguendo le linee guida di Chang e Yu (1999) e Wirth et al. (2018), abbiamo deciso di non filtrare i dati prima dell’analisi per evitare distorsioni dei pacchetti d’onda. Di conseguenza, le correlazioni visualizzate rappresentano semplicemente le strutture dominanti tra una vasta gamma di variabilità atmosferica.

Invece di utilizzare il vento meridionale, comunemente impiegato per evidenziare le caratteristiche ondulatorie, in questo studio abbiamo optato per l’altezza geopotenziale. Questa scelta consente di bilanciare le variazioni zonali e meridionali e di minimizzare i segnali artificiali nelle alte latitudini, dove i meridiani convergono.

La Figura 7 sintetizza, attraverso i grafici Hovmöller, l’analisi della correlazione per diverse latitudini durante l’estate dell’emisfero sud (DJF), selezionata per la sua semplicità, caratterizzata da onde stazionarie deboli e un getto zonale uniforme nelle medie latitudini. Questi grafici sono stati generati eseguendo correlazioni ritardate dell’altezza geopotenziale a 500 hPa lungo un cerchio di latitudine rispetto all’altezza nel punto base, ripetendo il processo per punti base distanziati di 30° in longitudine e mediando i risultati. Le correlazioni sono state calcolate per ciascuna stagione DJF dal 1979 al 2018 utilizzando dati di ri-analisi NCEP2 e poi aggregate su tutti gli anni considerati.

L’analisi a 45° S evidenzia la tipica evoluzione di un pacchetto d’onde di Rossby dispersivo nelle medie latitudini, come documentato da Chang e Orlanski nel 1993. I centri d’azione si spostano verso est nel tempo, seguendo la velocità di fase dell’onda, mentre l’ampiezza del pacchetto d’onde evolve in base a una velocità di gruppo che procede verso est più velocemente della velocità di fase. Questo porta alla formazione di nuovi sistemi a valle dei precedenti, un fenomeno noto come sviluppo a valle, in linea con la teoria delle onde di Rossby, che afferma una velocità di gruppo verso est superiore alla velocità di fase.

Più a sud, a 60° S, si osserva un’evoluzione simile ma con una struttura del pacchetto d’onde meno marcata, mostrando solamente tre centri d’azione. Qui, il flusso presenta una certa struttura ondulatoria, ma il ruolo dello sviluppo a valle nel processo di decadimento della caratteristica centrale è meno evidente.

Procedendo verso latitudini sempre più polari, precisamente a 75° S, si osserva un cambiamento notevole nel comportamento delle correlazioni: queste risultano positive in tutto il dominio analizzato, il che implica l’assenza di strutture ondulatorie medie. Queste correlazioni sono particolarmente intense vicino al tempo e al punto centrale, tuttavia, l’indebolimento delle correlazioni per ritardi e distanze maggiori indica che il punto base è connesso con tutti gli altri punti lungo il cerchio di latitudine. La convergenza dei meridiani vicino al polo potrebbe influenzare questo fenomeno. Inoltre, le mappe di correlazione spaziale (non presentate qui) mostrano che le strutture del modo anulare diventano più evidenti in queste correlazioni remote man mano che si aumenta la latitudine base, come documentato da Gerber e Thompson nel 2017. Le correlazioni locali rivelano la presenza di un vortice coerente che si sposta verso monte, direzione ovest, all’interno di una struttura modo anulare più ampia.

Nella Sezione 7, si tocca brevemente il tema del possibile ruolo delle correlazioni positive locali legate ai singoli vortici nella definizione dei modelli del modo anulare.

Per illustrare i modelli spaziali legati alla variabilità delle alte latitudini, la Figura 8 esibisce una sequenza temporale di mappe di correlazione per punti base situati a 65° di latitudine, stavolta nell’emisfero nord, dimostrando che anche in quella regione si manifestano caratteristiche ondulatorie. Qui, l’anomalia centrale tende a muoversi verso monte, direzione ovest, con il tempo, come già osservato a 75° S. Si notano indizi di un pacchetto d’onde che attraversa questa caratteristica, intensificandola e successivamente attenuandola, nonostante le correlazioni distanti dalla caratteristica centrale siano deboli. La traiettoria di questa onda forma un arco proveniente da sud-ovest e si dirige verso sud-est, in linea con un raggio diretto polare deviato in alta latitudine dall’effetto β. Questa traiettoria mostra una pronunciata componente meridionale, contrariamente alla propagazione prevalentemente zonale osservata a latitudini inferiori. Come descritto nella Sezione 2.4, questo comportamento è coerente con la presenza di una velocità di fase verso ovest che favorisce percorsi d’onda più meridionali. Si nota anche una debole anomalia negativa a sud della caratteristica centrale, poiché il comportamento a questa latitudine inizia a riflettere il modo anulare, e in generale, il modello ricorda la variabilità osservata in tempi intermedi sopra la Groenlandia, come descritto da Rennert e Wallace nel 2009. Strutture simili a quelle mostrate nella Figura 8 si riscontrano in entrambi gli emisferi, benché con variazioni tra le diverse località. Le firme del modo anulare sono particolarmente evidenti nelle regioni delle tracce di tempesta dell’Atlantico e del Pacifico. Un’analisi dettagliata della varietà di queste strutture è prevista per lavori futuri.Per quantificare le variazioni latitudinali, sono state calcolate le velocità di fase e di gruppo usando i dati aggregati dei grafici Hovmöller e presentate per l’emisfero sud nella Figura 9a. Questi calcoli sono stati effettuati individuando le massime correlazioni a ritardi di ±2 giorni e applicando un’interpolazione lineare su questi dati. Per calcolare la velocità di gruppo, si è seguito lo stesso metodo, utilizzando l’involucro dell’onda calcolato attraverso la trasformata di Hilbert, come descritto da Ambaum nel 2008. È importante notare che, in questo caso, non è necessaria la trasformazione semigeostrofica di Wolf e Wirth (2015), dato che l’analisi delle correlazioni include sia condizioni cicloniche che anticicloniche nel punto base. Sebbene queste velocità siano etichettate come di fase e di gruppo, le strutture sottostanti alle alte latitudini non sembrano essere predominante ondulatorie.

I profili risultanti evidenziano alcune caratteristiche chiare nei grafici Hovmöller e sono in accordo qualitativo con la teoria. La velocità di gruppo, che è diretta verso est, risulta superiore alla velocità di fase in tutte le latitudini, con valori massimi alle medie latitudini e decrescenti sia verso le basse che le alte latitudini, in linea con altri studi (Chang e Yu, 1999; Randel e Held, 1991) e con la minor velocità del vento di fondo U nelle zone considerate. Alle alte latitudini, la velocità di fase si riduce e diventa negativa, come osservato a 65° N nella Figura 7. Queste velocità di fase negative sono coerenti con l’equazione (4) quando sia U che K sono bassi, e supportano l’ipotesi della Sezione 2.4 secondo cui la propagazione verso ovest è comune alle alte latitudini. La velocità di gruppo è minima per le latitudini superiori a 65°, come nelle strutture che retrogradano lentamente ma che sono regionalizzate, descritte da Branstator (1987).

Secondo una delle principali previsioni della Sezione 2.2, alle alte latitudini le onde diventano meno dispersive, mostrando una minore differenza tra le velocità di fase e di gruppo. Questa differenza è chiaramente illustrata nella Figura 9b, confermando che le due velocità tendono ad avvicinarsi man mano che si sale di latitudine. Questo rinforza l’impressione qualitativa derivata dai grafici Hovmöller che le onde alle alte latitudini sono meno dispersive. La Figura 9c offre una rappresentazione della differenza teorica tra le velocità, secondo l’equazione (5), usando lunghezze d’onda costanti per tutte le latitudini. Questo confronto qualitativo con la differenza osservata suggerisce l’uso di una lunghezza d’onda irrealisticamente corta per rendere la grandezza simile a quella mostrata nella Figura 9b. Ulteriori discrepanze possono emergere dalle differenze nei gradienti di vorticità relativa, particolarmente vicino ai getti, e dalle variazioni nelle scale tipiche delle onde di Rossby in funzione della latitudine, come indicato da Barnes e Hartmann nel 2011. Questa teoria è decisamente semplificata e non può spiegare quantitativamente le velocità osservate, ma può ancora offrire utili spunti qualitativi (cfr. Chang e Orlanski, 1993; Branstator e Held, 1995; Ambrizzi e Hoskins, 1997). Suggerisce che la natura meno dispersiva delle onde ad alta latitudine deriva direttamente dal basso valore di β. Comportamenti molto simili sono stati osservati nei risultati di Fragkoulidis e Wirth (2020), che hanno usato un metodo basato su Fourier per analizzare i pacchetti d’onde nei dati di ri-analisi. La loro Figura S12 mostra che la differenza tra le velocità di fase e di gruppo zonali si riduce quasi a zero sia nelle regioni polari che in ogni stagione.

La Figura 7 rappresenta l’analisi delle correlazioni con ritardo dell’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500) nella stagione DJF (Dicembre, Gennaio, Febbraio), utilizzando dati dalla ri-analisi NCEP2 per l’emisfero sud. L’analisi è stata condotta per tre diverse latitudini: 45° S, 60° S e 75° S. In ogni latitudine, sono stati selezionati 12 punti base distribuiti uniformemente lungo l’emisfero, e i modelli di correlazione risultanti sono stati mediati per ottenere i profili mostrati.

  • A 45° S: I contorni in rosso e blu rappresentano rispettivamente aree di correlazione positiva e negativa. Queste strutture ondulate indicano la presenza di pacchetti d’onde di Rossby, che si muovono da ovest verso est. Le variazioni temporali (asse verticale) nelle strutture ondulate riflettono le diverse velocità di fase e di gruppo delle onde atmosferiche.
  • A 60° S: Qui, le strutture di correlazione appaiono meno marcate e diffuse rispetto a quelle a 45° S. Ciò suggerisce una ridotta attività delle onde o differenti velocità di propagazione a questa latitudine. Le forme e le configurazioni indicate suggeriscono l’interazione tra le onde atmosferiche e i venti prevalenti.
  • A 75° S: Il grafico mostra un pattern di contorni quasi esclusivamente in rosso, con una disposizione quasi circolare e senza strutture ondulatorie chiare. Questo implica che, a questa latitudine, le correlazioni tra i punti sono prevalentemente positive e uniformi, indicando l’assenza di onde trasversali significative. Questo comportamento potrebbe essere attribuito a condizioni più omogenee o alla predominanza di dinamiche atmosferiche differenti, come l’effetto della convergenza dei meridiani vicino al polo.

In conclusione, la Figura 7 illustra come le correlazioni lagged di Z500 variano notevolmente tra diverse latitudini nell’emisfero sud, dimostrando le diverse interazioni tra dinamica atmosferica e onde di Rossby tra le medie e le alte latitudini.

La Figura 8 mostra l’analisi della correlazione ritardata per l’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500) durante la stagione DJF (Dicembre, Gennaio, Febbraio), usando dati di ri-analisi NCEP2 a 65° N. La figura riporta la media di 12 mappe di correlazione, ciascuna calcolata per punti base distribuiti uniformemente in longitudine.

I vari pannelli illustrano le correlazioni per diversi lag temporali, variando da -6 giorni a +6 giorni con intervalli di due giorni. I contorni in rosso indicano correlazioni positive, mentre quelli in blu indicano correlazioni negative. L’intervallo tra i contorni è di 0,1 e le linee di correlazione zero sono omesse per chiarezza visiva.

Analisi dettagliata dei pannelli:

  • Lag -6 e Lag -4 giorni: Predominano le correlazioni negative, indicando che le condizioni atmosferiche in questi periodi precedevano le configurazioni centrali al giorno zero.
  • Lag -2 giorni: Questo pannello mostra una transizione verso una combinazione di correlazioni positive e negative, segnalando un cambiamento nella dinamica atmosferica.
  • Lag 0 giorni: Il massimo delle correlazioni positive è centrato in questo pannello, rappresentando il punto di riferimento principale per l’analisi. Le condizioni atmosferiche a questo momento sono prese come base per confrontare i cambiamenti nei lag temporali circostanti.
  • Lag +2 a Lag +6 giorni: Si osserva una prevalenza di correlazioni positive che si estendono e diventano più evidenti, mentre le aree di correlazione negativa diminuiscono e si spostano. Questo indica che le strutture atmosferiche osservate al giorno zero tendono a spostarsi o evolversi nel tempo.

Questi pannelli forniscono una comprensione della velocità e della direzione della propagazione delle onde atmosferiche alla latitudine data, mostrando come le strutture meteorologiche cambiano e interagiscono nei diversi periodi analizzati. Questa serie di mappe di correlazione offre un’utile visualizzazione delle dinamiche atmosferiche in gioco a questa specifica latitudine durante la stagione invernale dell’emisfero nord.

La Figura 9 mostra un’analisi dettagliata delle velocità di fase e di gruppo e delle loro differenze per le onde atmosferiche basata sui dati di altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500) durante la stagione DJF nell’emisfero sud.

  • Pannello (a) – Velocità delle Onde: Il grafico illustra le velocità di fase (linea tratteggiata) e di gruppo (linea continua) rispetto alla latitudine, espresse in metri al secondo (m/s). La velocità di fase rappresenta la velocità con cui un punto fisso dell’onda si muove, mentre la velocità di gruppo indica la velocità a cui l’energia o l’informazione dell’onda si propaga. Notiamo che, in tutte le latitudini, le velocità di gruppo sono consistentemente superiori alle velocità di fase, con entrambe che diminuiscono man mano che ci si sposta verso latitudini più alte.
  • Pannello (b) – Differenza tra Velocità: Questo pannello mostra la differenza tra la velocità di gruppo e quella di fase (c_g – c_p), misurata in metri al secondo. Questa differenza, che aumenta leggermente con la latitudine, indica che le onde tendono a diventare meno dispersive man mano che si avvicinano ai poli, dove le differenze tra le velocità di gruppo e di fase si riducono.
  • Pannello (c) – Differenze Teoriche: Qui, sono presentate le differenze teoriche tra le velocità di gruppo e di fase calcolate utilizzando la teoria barotropica per diverse lunghezze d’onda zonali (4000 km, 5000 km, 6000 km). Queste curve dimostrano come, secondo la teoria, la differenza tra le velocità cambia in funzione della latitudine e della lunghezza d’onda. Le linee tratteggiate suggeriscono che un aumento nella lunghezza d’onda porta a un incremento nella differenza tra le velocità di gruppo e di fase a qualsiasi latitudine.

La Figura 9 fornisce un confronto illuminante tra i dati osservati e le previsioni teoriche riguardo alla dispersione delle onde atmosferiche. Analizzare queste differenze e il loro comportamento teorico offre una visione più profonda di come le onde atmosferiche si propagano e interagiscono con la dinamica atmosferica a diverse latitudini. Questi dati sono fondamentali per comprendere meglio la complessità dei processi meteorologici e climatici globali.

La risposta delle onde di Rossby a forzamenti localizzati nelle alte latitudini

Le ricerche precedenti hanno confermato il ruolo significativo delle onde di Rossby nella dinamica dei poli. Emergono interrogativi su come queste onde possano essere scatenate o forzate nelle alte latitudini. Studi recenti hanno evidenziato la propagazione delle onde di Rossby in risposta a disturbi localizzati nell’Artico, utilizzando modelli diversi e valutandoli attraverso il flusso di attività delle onde di Rossby, secondo la metrica definita da Takaya e Nakamura nel 2001. La propagazione osservata è generalmente debole, coerente con i gradienti più lievi di potenziale vorticosità (PV) presentati nelle figure, ma è tutt’altro che trascurabile. In alcune circostanze, le onde ritenute originarie dell’Artico potrebbero in realtà derivare da altre aree, per poi essere amplificate dal riscaldamento artico, come osservato in vari studi (ad esempio, Gong et al., 2020). Questa sezione esplora i meccanismi possibili per cui una risposta stazionaria dell’onda di Rossby può essere innescata nelle regioni polari, per esempio attraverso il riscaldamento diabatico legato alla diminuzione del ghiaccio marino nella regione di Barents-Kara, un fenomeno particolarmente rilevante durante l’autunno e l’inverno.

Dal punto di vista concettuale, la reazione della circolazione all’imposizione di un forzamento localizzato può essere distinta in un impatto diretto, visibile entro giorni dall’inizio del forzamento, e un impatto indiretto che si manifesta su una scala temporale di settimane. Quest’ultimo coinvolge spesso un adeguamento delle statistiche degli eddies baroclinici, influenzando di conseguenza la circolazione su larga scala. Sebbene una risposta attiva delle tracce delle tempeste sia meno probabile alle alte latitudini, alcune ricerche hanno suggerito un suo possibile ruolo (Inoue et al., 2012). Ad esempio, in risposta a una perturbazione della temperatura superficiale del mare (SST) a medie latitudini, Deser et al. (2004) hanno rilevato una risposta diretta che riflette la reazione lineare prevista dell’atmosfera al riscaldamento in queste zone.La teoria lineare si è dimostrata molto utile nel comprendere la risposta al riscaldamento in diverse latitudini, quindi esaminiamo ora come questa teoria possa essere applicata al riscaldamento ad alta latitudine, ad esempio quello causato dalla riduzione localizzata del ghiaccio marino. Hoskins e Karoly nel 1981 hanno descritto la risposta lineare al riscaldamento nei tropici e nelle medie latitudini utilizzando un modello lineare e stazionario. Questo modello includeva la vorticità e la temperatura potenziale, con variazioni dalla media climatologica e la variazione del riscaldamento diabatico anomalo.

Nei tropici, il riscaldamento è profondo e bilanciato efficacemente da una salita e un conseguente raffreddamento adiabatico, che genera un movimento verticale intenso, una fonte efficiente di onde di Rossby. Alle medie latitudini, i gradienti di temperatura orizzontale sono più grandi, e il riscaldamento è quindi bilanciato più efficacemente dall’advezione orizzontale. Questo processo è tipicamente facilitato dalla formazione di un ciclone vicino alla superficie a valle, dove i venti meridionali portano aria più fresca sopra la regione di riscaldamento per bilanciare l’aumento di calore.

Invece, nelle regioni polari, l’ascensione dell’aria è spesso fortemente inibita a causa dell’elevata stabilità statica, rendendo improbabile il bilanciamento tramite movimento verticale, specialmente in inverno quando le inversioni sono comuni. In estate, queste inversioni sono meno intense e frequenti. In questo contesto, il riscaldamento potrebbe essere bilanciato più realisticamente dall’advezione orizzontale, simile a quanto accade nelle medie latitudini. Tuttavia, i gradienti meridionali di temperatura sono più deboli e i flussi zonali medi sono deboli, rendendo meno probabile questo tipo di bilanciamento.

Osservando le strutture di risposta della circolazione alla perdita di ghiaccio marino nei modelli numerici, proponiamo un meccanismo alternativo: la risposta diretta comprende una depressione termica, dove il riscaldamento è semplicemente bilanciato da un aumento dell’emissione di radiazione a lunghe onde, come osservato in studi recenti. Questo approccio suggerisce che la perdita di calore radiativo può essere un meccanismo efficace per bilanciare il riscaldamento alle alte latitudini, in accordo con le simulazioni che hanno indagato scenari simili.Le depressioni termiche si caratterizzano per avere il picco di riscaldamento vicino o direttamente sulla superficie, un fenomeno frequentemente osservato negli studi numerici sulle perdite di ghiaccio marino (Deser et al., 2010; Sellevold et al., 2016). Nel caso di riscaldamento imposto, la vorticità potenziale mostra una tendenza diabatica positiva al di sotto e negativa al di sopra (Hoskins et al., 1985). Di conseguenza, una depressione termica con il massimo riscaldamento sulla superficie mostra un’anomalia ciclonica superficiale e poco profonda, che è coerente con l’anomalia positiva nella temperatura potenziale a quella quota. Tuttavia, si osserva un’anomalia anticiclonica profonda sopra di essa (Spengler e Smith, 2008). Questa disposizione riflette la tipica struttura dei monsoni con bassa pressione sulla superficie e flusso anticiclonico nelle alte quote. Questo segno distintivo delle depressioni termiche è stato riscontrato in vari esperimenti numerici sulla perdita di ghiaccio marino (Honda et al., 2009), includendo studi significativi sui modelli lineari di Sellevold et al. (2016) e Deser et al. (2007), così come nelle risposte dirette e transitorie di Deser et al. (2004).

Ulteriormente, i risultati di un esperimento di perturbazione con un modello di circolazione generale idealizzato (GCM) sottolineano l’importanza delle depressioni termiche. Seguendo la metodologia di Hell et al. (2020), abbiamo impiegato un modello aquaplanet con radiazione grigia e un oceano piatto, imponendo un riscaldamento ad alta latitudine attraverso la convergenza dei flussi di calore oceanici Q. Un riscaldamento di 200 W/m² è stato applicato in una zona che copre 90 gradi di longitudine tra i 70° e 85° N. L’esperimento è stato equilibrato per 180 giorni dopo l’attivazione del forzamento del flusso Q, con i dati raccolti giornalmente per i successivi 720 giorni.

La risposta al riscaldamento è evidente nella Figura 10. Un’intensa anomalia di riscaldamento, localizzata nella zona del riscaldamento (Fig. 10a), diminuisce con l’altezza (Fig. 10b), concentrando la maggior parte del riscaldamento sotto i 600 hPa. È da notare anche il riscaldamento stratosferico legato a un indebolimento del vortice polare, come osservato da Hell et al. (2020). Una sezione verticale della velocità meridionale attraverso la zona di riscaldamento (Fig. 10c) rivela chiaramente la depressione termica, con un’anomalia ciclonica sulla superficie e un’anomalia anticiclonica che si estende su tutta la troposfera. La profondità di questa anomalia aumenta la probabilità di scatenare una risposta efficace delle onde di Rossby, anche se altre strutture nella risposta non mostrano chiare formazioni ondulatorie. In questa simulazione, il getto zonale è posizionato a una latitudine inferiore (Fig. 10f), rendendo il gradiente di vorticità relativa probabilmente insufficiente per supportare tale fenomeno.Nel contesto dei campi di pressione, si osserva un minimo locale nella pressione al livello del mare direttamente correlato all’area di riscaldamento (vedi Fig. 10d), con un massimo locale nell’altezza della troposfera media situata sopra di esso (vedi Fig. 10e). Generalmente, tale risposta si allinea con la fase negativa del modo annulare settentrionale, come spesso riscontrato in seguito a intensi riscaldamenti polari.

In sintesi, i meccanismi lineari che tipicamente equilibrano il riscaldamento in altre latitudini risultano meno efficaci alle latitudini polari. Proponiamo quindi che la risposta diretta al riscaldamento superficiale ad alta latitudine sia principalmente un ammortizzamento radiativo che dà origine a una struttura di depressione termica, illustrata nella Fig. 10. Con il massimo di riscaldamento posizionato vicino alla superficie, il calore diminuisce man mano che ci si eleva nella troposfera, inducendo così una circolazione anticiclonica. Questo anticiclone, stimolato diabaticamente, include un’anomalia nella vorticità potenziale che potrebbe evolvere in una risposta di onda di Rossby, come osservato in questo caso e in certi studi modellistici citati nella letteratura scientifica.

Tuttavia, la reazione dell’onda si mostra spesso debole nei modelli a causa del debole gradiente di vorticità potenziale alle alte latitudini, e può dipendere sensibilmente dalla profondità del riscaldamento. L’estrema stabilità durante l’inverno polare suggerisce che un riscaldamento abbastanza intenso da scatenare un’onda di Rossby è più probabile in altre stagioni, come l’estate o l’autunno. L’entità della risposta dipenderà dalla forza e dalla profondità dei gradienti di vorticità relativa. Comunque, come indicato nella discussione sulla traiettoria dei raggi nella Sezione 2.4, è probabile che l’ampiezza dell’onda diminuisca ulteriormente man mano che si propaga verso latitudini più basse. Infine, la struttura della depressione termica può anche generare un feedback negativo debole sul flusso di calore superficiale anomalo che l’ha generata, presumibilmente causato da una ridotta copertura di ghiaccio marino. Questa struttura, trattenendo l’anomalia termica atmosferica vicino alla superficie, può ridurre lievemente il contrasto di temperatura tra l’atmosfera fredda e l’oceano caldo, risultando così in un feedback negativo sui flussi di calore superficiali anomali diretti verso l’alto (Hendon e Hartmann, 1982).

La figura 10 mostra la risposta di un modello di circolazione generale idealizzato a un riscaldamento localizzato alle alte latitudini. Ogni pannello fornisce un’analisi diversa dell’impatto di questo riscaldamento sull’atmosfera.

  1. Pannello (a) – Temperatura a 2 metri (T2M): Qui vediamo come la temperatura vicino alla superficie aumenta notevolmente nella zona di riscaldamento, con un picco massimo di 15 K al centro, indicato dalla concentrazione di tonalità più scure.
  2. Pannello (b) – Variazioni di temperatura a 75° N: Questo grafico lineare mostra le variazioni di temperatura lungo un taglio longitudinale a 75° nord. L’aumento di temperatura è massimo al centro e diminuisce gradualmente muovendosi verso est e ovest dalla località di riscaldamento.
  3. Pannello (c) – Velocità meridionale a 75° N: Presenta la componente nord-sud della velocità del vento a 75° nord, mostrando come il vento varia da sud a nord, evidenziando i cambiamenti nella circolazione atmosferica in risposta al riscaldamento.
  4. Pannello (d) – Pressione a livello del mare (SLP): Mostra un minimo di pressione nel punto di riscaldamento, illustrato dalla croce, con le linee di contorno che indicano una diminuzione della pressione fino a 9 hPa sotto la norma, suggerendo la formazione di una depressione causata dal riscaldamento.
  5. Pannello (e) – Altezza nella metà della troposfera (Z@S3): Visualizza un aumento dell’altezza atmosferica direttamente sopra la regione di riscaldamento, segnalando un sollevamento dell’aria che coincide con l’area di calore sottostante.
  6. Pannello (f) – Velocità zonale nella metà della troposfera (u@S3): Rappresenta la componente est-ovest della velocità del vento a metà troposfera, mostrando come il flusso zonale sia alterato dalla presenza del riscaldamento, con variazioni significative nella velocità del vento.

In ciascun pannello, le linee di contorno rappresentano lo stato medio atmosferico e aiutano a identificare come le condizioni normali siano modificate dalla presenza del riscaldamento. La posizione del riscaldamento, marcata con una croce, funge da epicentro per le anomalie climatiche osservate nei vari pannelli. Questa configurazione illustra l’ampio impatto che il riscaldamento localizzato può avere su vari aspetti della dinamica atmosferica.

Conclusioni

La variabilità su grande scala nelle zone extratropicali è frequentemente il risultato dell’interazione tra le onde di Rossby e la turbolenza geostrofica. Quest’ultima favorisce la cascata di energia verso scale maggiori, limitata però nelle dimensioni meridionali dall’effetto beta e dalla propensione all’efficiente diffusione delle onde di Rossby. Le regioni polari, caratterizzate da un parametro β ridotto, mostrano un flusso più influenzato dai vortici rispetto a quello influenzato dalle onde, più comune a latitudini inferiori. Tale dinamica si manifesta nel cambiamento delle strutture di correlazione, che passano da configurazioni a treni d’onda a configurazioni monopoliche all’aumentare della latitudine, accompagnate da una maggiore isotropia nelle strutture dei vortici.

Anche a latitudini relativamente elevate, fino a circa 75°, si osservano ancora caratteristiche ondulatorie, che offrono spunti sui modelli di flusso persistente nelle regioni polari e subpolari, come evidenziato dalle ondate di calore in Siberia nel 2020. L’avanzamento lento verso ovest di anomalie circolatorie si allinea con una propagazione ondulatoria, il cosiddetto “beta-drift”, distinta dall’avvezione del flusso di fondo prevalentemente occidentale nei livelli superiori. Nonostante un β debole, i gradienti di vorticità relativa nelle regioni polari sostengono la propagazione delle onde, con gradienti di vorticità potenziale che, sebbene modesti, risultano significativi specialmente nei mesi estivi e autunnali.

La coesistenza di flussi turbolenti e ondulatori persiste anche a queste elevate latitudini, sebbene con un equilibrio diversificato rispetto a quello delle medie latitudini. È essenziale riconoscere che, nonostante le distinte caratteristiche di queste due regioni, esse non sono sistemi isolati, ma partecipano attivamente a scambi frequenti di masse d’aria e sistemi meteorologici.

Le onde di Rossby sono facilmente scatenate dalla convezione profonda nei tropici e dalla crescita baroclinica nelle medie latitudini, propagandosi poi verso latitudini più elevate. Tali onde, deviate e rifratte nei pressi delle latitudini subpolari, sono spinte indietro verso i gradienti di vorticità potenziale più marcato delle medie latitudini, e spesso proseguono verso l’equatore. Solo le onde più estese raggiungono le latitudini più elevate, dove la convergenza dell’attività ondulatoria può intensificare l’ampiezza delle onde, come dimostrato dall’esempio del 2020. In queste regioni, dove il vento zonale è debole, la convergenza delle onde può provocare la rottura delle stesse, con conseguente capovolgimento irreversibile dei contorni di vorticità potenziale e formazione di anticicloni isolati nelle alte latitudini.Si deve notare che questi fenomeni possono portare naturalmente a situazioni in cui onde medie amplificate coesistono con anomalie persistenti nella circolazione polare, senza che necessariamente vi sia un’influenza causale dall’Artico, come discusso anche da Kelleher e Screen nel 2018. Tuttavia, il presente studio evidenzia il ruolo significativo delle onde di Rossby nella dinamica polare e la loro chiara propagazione tra le regioni medio-latitudinali e quelle polari. Queste dinamiche sottolineano l’importanza delle onde di Rossby nel contesto dei collegamenti tra l’Artico e le medie latitudini, richiamando l’attenzione sulla necessità di ulteriori ricerche.

Il contributo specifico di questo lavoro è mostrare come le onde di Rossby possano essere scatenate da un riscaldamento localizzato alle alte latitudini, attraverso una risposta a una bassa pressione termica locale. Questo meccanismo, però, si rivela molto più debole rispetto a quelli che attivano le onde alle latitudini inferiori e sembra dipendere dai cambiamenti stagionali sia nella forza motrice che nella stabilità atmosferica.

Una conclusione pratica significativa di questa ricerca è che il comportamento delle onde di Rossby nelle alte latitudini può influenzare i tempi prolungati osservati in queste aree, come dimostrato nella Figura 2. Alle latitudini medie e basse, la dispersione delle onde di Rossby è un meccanismo efficace che aiuta al decadimento dei vortici, facilitando il trasporto dell’attività ondulatoria verso valle. Invece, alle alte latitudini, le onde sono meno dispersive e quindi il loro sviluppo a valle non contribuisce significativamente al decadimento dei vortici. Questa mancanza di decadimento è indicata come motivo principale per la maggiore persistenza del flusso in queste regioni.

I cicloni polari persistenti ne sono un chiaro esempio. Alcuni cicloni si formano direttamente nell’Artico mentre altri vengono trasportati nella regione dalle latitudini inferiori, tanto che Serreze e Barrett nel 2008 hanno descritto l’Artico come una “zona di raccolta” di cicloni. Questi cicloni artici tendono a avere durate molto più lunghe rispetto a quelli delle latitudini inferiori, come osservato da Hoskins e Hodges nel 2002 e da Vessey et al. nel 2022, confermando i dati di persistenza mostrati nella Figura 2. La notevole persistenza di alcuni cicloni è stata collegata alla frequente fusione di vortici esistenti con quelli nuovi, un fenomeno studiato da Yamagami e colleghi nel 2017. Sebbene si possa tentare di associare questo fenomeno alla fusione di vortici nella cascata energetica di turbolenza geostrofica, questa analogia potrebbe risultare troppo semplificata, dato che le strutture vorticose tridimensionali potrebbero giocare un ruolo cruciale. In ogni caso, se la dispersione delle onde di Rossby fosse un meccanismo attivo per il decadimento dei vortici come nelle regioni di media latitudine, la durata dei cicloni artici sarebbe significativamente ridotta.Le modalità anulari rappresentano un ulteriore esempio dell’importanza delle dinamiche polari discusse in questo contesto. Esse si manifestano come i principali modelli di variabilità nei flussi extratropicali, sia nelle osservazioni che nei modelli, caratterizzate da anomalie simmetriche zonali nel vento, nell’elevazione e nella pressione superficiale. Gerber e Thompson nel 2017 hanno illustrato come questa annularità possa derivare sia da relazioni dinamiche, che producono correlazioni positive lungo i paralleli, sia da relazioni statistiche. Anche se il flusso a medie latitudini presenta strutture di correlazione ondulatorie piuttosto che anulari, la coerenza del flusso nella regione polare facilita l’emergere della struttura del modo anulare tramite l’analisi delle funzioni ortogonali empiriche (EOF). In alcuni casi, omettere la regione polare dall’area di studio porta a modelli EOF dominati da onde medie piuttosto che da dipoli meridionali, come indicato da Spensberger e colleghi nel 2020. Proponiamo che la formazione di modelli EOF anulari sia favorita dalla prevalenza di vortici isolati nelle regioni polari, i quali generano anomalie di circolazione dello stesso segno, in contrasto con le anomalie alternate tipiche del flusso ondulatorio.

Ci auguriamo che questo documento possa incentivare ulteriori ricerche sulla dinamica su larga scala delle regioni polari e il suo impatto su meteorologia e clima. Ad esempio, l’analisi qui presentata fornisce solo un accenno alla variazione e ai dettagli regionali delle strutture di flusso polare. Una limitazione dell’analisi di correlazione impiegata in questo studio è la sua natura simmetrica, che aggrega anomalie cicloniche e anticicloniche in un unico modello. Prevediamo che le caratteristiche del flusso polare possano presentare notevoli asimmetrie, supportate da alcune evidenze nelle statistiche di skewness (Luxford e Woollings, 2012), nelle distribuzioni di eventi estremi (Messori et al., 2018; Papritz, 2020) e negli effetti diabatici (Cavallo e Hakim, 2010). Infine, sebbene sia possibile generare anomalie calde e circolazioni anticicloniche semplicemente trasferendo una massa d’aria dalle latitudini inferiori alla regione polare, non esiste un meccanismo equivalente per la generazione di anomalie fredde o di cicloni in quella regione.

Appendice A: Implementazione del Modello Barotropico nei Studi Climatici

Il modello barotropico impiegato in questa ricerca è lo stesso introdotto da Vallis et al. nel 2004, e successivamente adottato in vari studi, inclusi quelli di Barnes e Hartmann nel 2011 e Kidston e Vallis nel 2012. Questo modello simula la formazione di vortici nelle medie latitudini attraverso un meccanismo di agitazione casuale, che serve a imitare la generazione di eddies tipica dell’instabilità baroclinica. Tali vortici sono essenziali per il mantenimento di un getto a medie latitudini.

Nel modello, la vorticità relativa viene calcolata su una superficie sferica, considerando il raggio terrestre e le coordinate zonali e meridionali. L’agitazione casuale è modellata seguendo un processo stocastico di Ornstein–Uhlenbeck, dove numeri casuali sono generati a ogni passo temporale e modificati in base a specifiche funzioni matematiche per adeguarsi al tempo di decorrelazione e agli intervalli di tempo del modello.

L’agitazione è applicata selettivamente alle medie latitudini, con specifici parametri che limitano l’ampiezza e la distribuzione delle perturbazioni. Inoltre, viene utilizzato un damping lineare di Ekman per simulare l’attenuazione dei movimenti e una iperdiffusione di quarto ordine per gestire la perdita di vorticità a scale piccole e non risolte. Il modello, configurato con una risoluzione T42, viene eseguito per un periodo prolungato di 10.000 giorni per assicurare la robustezza e l’accuratezza dei risultati ottenuti.

Appendice B: Limiti del Modello del Piano β

Il modello del piano β mostra limitazioni significative dovute alla variazione di due parametri, β e γ, con la latitudine. Mentre β diminuisce all’aumentare della latitudine, γ aumenta, portando a un incremento degli errori nell’approssimazione del piano β. In particolare, questo modello tende a sovrastimare la variazione latitudinale della forza di Coriolis a nord della latitudine centrale, e a sottostimarla verso l’equatore. Per esempio, la differenza calcolata dal modello in f tra un punto di riferimento e un altro situato cinque gradi più a nord può essere sovrastimata fino al 33% a latitudini elevate come 80°.

Questa imprecisione nell’approssimare la forza di Coriolis si riflette direttamente sugli errori nelle velocità di fase delle onde di Rossby, con conseguente sovrastima della velocità di fase nelle regioni polari e sottostima nelle regioni equatoriali. Queste discrepanze sono più accentuate a latitudini maggiori.

In alcuni studi relativi alle atmosfere planetarie, l’importanza dell’effetto γ giustifica l’uso di un modello basato sul piano γ, dove il contributo di β può essere ignorato a favore di γ. Tuttavia, nell’atmosfera terrestre, gli impatti di γ sul comportamento delle onde di Rossby sono generalmente minori. Ricerche hanno dimostrato che γ può alterare l’orientamento e aumentare l’estensione meridionale delle onde, influenzando così la dinamica delle onde atmosferiche. Nonostante γ abbia un’importanza comparabile a quella di β nelle regioni polari, in casi specifici come quello dei vortici monopoli isolati, i termini di γ si neutralizzano, lasciando prevalere l’influenza locale di β nel determinare la direzione del movimento.

https://wcd.copernicus.org/articles/4/61/2023

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