A differenza della troposfera, la stratosfera non risente dell’inerzia termica degli oceani e, in assenza di dinamiche, sarebbe vicina all’equilibrio radiativo in tutte le latitudini, con una struttura termica e un ciclo annuale sottostanti determinati da un equilibrio tra il riscaldamento dovuto all’assorbimento delle radiazioni in arrivo (principalmente UV solari) e il raffreddamento a causa delle emissioni infrarosse (Shine, 1987). Il massimo riscaldamento radiativo si verifica al polo estivo, mentre il massimo raffreddamento si localizza al polo invernale. Agli equinozi, il massimo riscaldamento si sposta verso l’Equatore, con raffreddamento ai due poli. Di conseguenza, il polo invernale è relativamente freddo, mentre il polo estivo è relativamente caldo. Questo crea un gradiente di temperatura meridionale e, in base all’equilibrio del vento gradiente, un vortice circolare verso est nell’emisfero invernale e un flusso verso ovest nell’emisfero estivo. Queste caratteristiche si osservano nel clima stratosferico medio zonale osservato (Fig. 2), sebbene ci siano significative deviazioni dallo stato determinato dalla radiazione, particolarmente in inverno (cfr. Fig. 2 con Fig. 6 e 8 in Shine, 1987). Durante la notte polare, quando non vi è radiazione solare in arrivo, la stratosfera ad alta latitudine osservata è significativamente più calda di quanto ci si aspetterebbe se le temperature fossero determinate solo dal raffreddamento radiativo, specialmente nell’NH (Shine, 1987). Di conseguenza, i getti polari notturni orientati verso est sono più deboli rispetto a quelli in uno stato determinato dalla radiazione, con il getto NH che raggiunge appena oltre 40 m/s nella stratosfera superiore (Fig. 2a) rispetto ai circa 100 m/s nell’Emisfero Meridionale (SH; Fig. 2b), che è anche più vicino al valore dell’equilibrio radiativo (Shine, 1987).Differenze tra gli emisferi sono inoltre evidenti nel ciclo annuale delle temperature climatologiche e del vento zonale a 10 hPa (Fig. 2c). L’ampiezza del ciclo annuale è maggiore nell’Emisfero Meridionale (SH) rispetto all’Emisfero Settentrionale (NH), e la transizione dai venti orientati verso est ai venti orientati verso ovest nell’SH avviene 8 mesi, e non 6, dopo la transizione corrispondente nell’NH. Nonostante queste differenze, il ciclo annuale sottostante attraverso l’estratosfera extratropicale è fondamentalmente un fenomeno guidato dalla radiazione, con un’ampiezza comparabile alla variabilità intrastagionale e interannuale guidata dinamicamente (vedi sotto). La deviazione della stratosfera dall’equilibrio radiativo è dovuta a una circolazione meridionale media su scala emisferica, talvolta denominata ‘circolazione diabatica’. Essa comprende (i) ascesa alla tropopausa tropicale e attraverso l’intera stratosfera tropicale, e (ii) discesa nella stratosfera extratropicale, provocando rispettivamente raffreddamento e riscaldamento adiabatici. Murgatroyd e Singleton (1961) furono i primi a tentare un calcolo di questa circolazione, sebbene una piena comprensione teorica non sia stata raggiunta fino agli anni ’70 (Sez. 2.2). Tuttavia, la descrizione qualitativa della struttura della circolazione fatta da Murgatroyd e Singleton (1961) corrisponde bene alla comprensione attuale delle dinamiche stratosferiche.

2.2 Dinamiche delle onde e del flusso medio

In contemporanea con i calcoli di Murgatroyd e Singleton (1961), Charney e Drazin (1961) teorizzarono che la propagazione ascendente delle onde di Rossby nella stratosfera è possibile solo attraverso venti zonali medi orientati verso est rispetto alla velocità di fase dell’onda, e solo se questi venti non sono eccessivamente forti. Anche quando queste condizioni sono soddisfatte, solo le onde di scala maggiore riescono a propagarsi. Le onde planetarie che possono propagarsi sono principalmente forzate dalla topografia terrestre e dai contrasti terra-mare (Held et al., 2002; Garfinkel et al., 2020b), con un’ulteriore forzatura derivante da processi baroclinici (Tung e Lindzen, 1979; Boljka e Birner, 2020). Basandosi sui venti zonali medi zonali climatologici osservati (Fig. 2a e b), ciò spiega perché la circolazione nella stratosfera estiva è relativamente simmetrica zonalmente e perché le deviazioni dalla simmetria zonale sono più marcate nell’inverno dell’NH rispetto a quello dell’SH. In generale, le asimmetrie zonali sono dominate dalle prime e seconde armoniche dell’onda zonale, come illustrato dagli esempi di mappe giornaliere dell’altezza geopotenziale a 10 hPa in Fig. 3. È inoltre evidente la figura dell’assenza di asimmetrie zonali in estate (Fig. 3b e c) e le ampiezze d’onda più deboli nello SH rispetto all’NH (cfr. Fig. 3a e d), dovute alla differenza nella topografia superficiale e nei contrasti terra-mare tra gli emisferi.

Charney e Drazin (1961) dimostrarono anche che le onde di Rossby stazionarie e non dissipate che considerarono non avevano effetto sul flusso medio. Relazioni teoriche simili tra le onde di montagna (gravità) e il flusso medio furono derivate da Eliassen e Palm (1961) e costituiscono la base per un teorema di non accelerazione, o teorema di Eliassen-Palm, che afferma che, al secondo ordine nell’ampiezza dell’onda, le onde che sono stazionarie e conservative (cioè, onde che non variano nel tempo e non sono soggette a forzature o dissipazioni) non modificano il flusso medio. Seguendo ulteriori sviluppi teorici negli anni ’60 e ’70 (ad esempio, Dickinson, 1968; Matsuno, 1971; Uryu, 1973, 1974; Boyd, 1976), Andrews e McIntyre (1976, 1978) introdussero una forma generalizzata dei teoremi di Eliassen-Palm e Charney-Drazin espressa in termini delle equazioni del medio Euleriano trasformato (TEM), che sono ora ampiamente utilizzate per analizzare le interazioni onda-flusso medio (Sez. 8 in Held, 2019). La generalizzazione di Andrews e McIntyre (1976, 1978) è ubiqua perché è rilevante sia per le onde di gravità che per le onde di Rossby ed è applicabile sia nei tropici che nelle extratropici.

Andrews e McIntyre (1976, 1978) hanno derivato le equazioni TEM definendo una circolazione meridionale media residua e trasformando le equazioni termodinamiche e di momento zonale medie in coordinate di latitudine e log-pressione. Hanno definito la velocità meridionale e verticale residua, dove le velocità zonale, meridionale e verticale sono rappresentate rispettivamente da u, v e w, e θ è la temperatura potenziale. Q rappresenta il riscaldamento diabatico (radiativo) medio zonale. Hanno inoltre introdotto la densità dello stato di base, che si riferisce all’altezza della scala per le coordinate di log-pressione e una densità di riferimento a livello del mare.

Nelle loro equazioni, hanno incluso termini per la rotazione e il raggio della Terra e definito il vettore di flusso di Eliassen-Palm in termini di componenti zonali e verticali. Hanno osservato che, in condizioni stazionarie, la loro equazione termodinamica è simile a quella utilizzata da Murgatroyd e Singleton (1961) per calcolare la circolazione diabatica. Dunkerton (1978) ha usato questa equazione TEM per stimare la circolazione meridionale media residua in condizioni stazionarie, e i suoi risultati sono in notevole accordo con quelli di Murgatroyd e Singleton (1961).

Dunkerton (1978) ha concluso che è la circolazione media residua, che include i contributi dinamici dai flussi di calore e momento degli eddies, e non la circolazione meridionale media Euleriana (v, w), a essere responsabile dello spostamento della stratosfera dall’equilibrio radiativo. I dettagli teorici completi dei meccanismi dinamici coinvolti sono presentati nel classico lavoro sul controllo verso il basso della circolazione diabatica di Haynes et al. (1991). È importante notare che la circolazione meridionale media residua approssima il trasporto Lagrangiano e, su scala emisferica, forma la componente advettiva della circolazione di Brewer-Dobson, che include anche un mescolamento bidirezionale (Butchart, 2014).

Per quanto riguarda le equazioni TEM, le relazioni di non-accelerazione derivate da Eliassen e Palm (1961) si semplificano in un’espressione che stabilisce che il termine di forza sul lato destro dell’equazione del momento zonale è nullo. La lettera F indica la direzione e la grandezza della propagazione delle onde nel piano meridionale e, per onde di piccola ampiezza, rappresenta il flusso di attività dell’onda (Andrews, 1987). Il valore medio invernale climatologico osservato di questo termine, diviso per la densità di stato di base e il coseno della latitudine, è negativo in tutta la stratosfera (Fig. 4), esercitando quindi un effetto di accelerazione verso ovest (o decelerazione verso est) sul vortice circumpolare. Questo fenomeno spiega perché i getti polari notturni (Fig. 2a e b) sono più deboli di quanto si potrebbe aspettare da un punto di vista puramente radiativo (Sez. 2.1). Le frecce in Fig. 4 mostrano che le onde di Rossby si propagano verso l’alto dalla troposfera, ma una volta entrate nella stratosfera, si dirigono verso l’equatore. Questo accade principalmente a causa delle variazioni in latitudine dell’indice di rifrazione (dovute soprattutto alla sua dipendenza dal parametro di Coriolis) nell’equazione dell’onda (Matsuno, 1970), che determina la direzione di propagazione delle onde di Rossby nel piano (φ,z) (Butchart et al., 1982). Come previsto, i flussi d’onda sono più forti nell’inverno dell’emisfero settentrionale rispetto a quello meridionale, a causa del forzamento superficiale relativamente debole nell’SH.

Le onde di Rossby nella stratosfera sono spesso transitorie e quasi certamente smorzate termicamente (Andrews et al., 1987). Tuttavia, la principale causa del valore negativo di questo termine e, quindi, della decelerazione verso est (o accelerazione verso ovest) del flusso medio è la rottura delle onde, almeno nelle extratropici. Le onde che si propagano verticalmente e non incontrano uno strato critico (dove la velocità di fase si avvicina a quella del flusso medio impedendo la propagazione), raggiungono grandi ampiezze a causa della densità decrescente esponenzialmente con l’altezza, e le onde eventualmente si rompono. La rottura delle onde avviene anche quando incontrano uno strato critico, sia orizzontalmente che verticalmente. Sia le onde di gravità che quelle di Rossby mostrano un aumento dell’ampiezza con l’altezza. Nella stratosfera extratropicale (e tropicale), la maggior parte delle onde di gravità si propaga principalmente verso l’alto, con alcune che raggiungono la mesosfera, dove la loro rottura contribuisce significativamente a spostare la temperatura dall’equilibrio radiativo (Leovy, 1964). D’altra parte, poiché le onde di Rossby sono generalmente rifratte verso l’equatore prima di raggiungere la mesosfera (ad esempio, Fig. 4), la loro rottura avviene nella stratosfera ed è comunemente diagnosticata in termini di vorticità potenziale.

Le tre figure rappresentano una climatologia media basata sui dati di rianalisi ERA5.1 per gli anni 1979-2020. I dati di rianalisi combinano osservazioni da molteplici fonti con modelli meteorologici per fornire una stima coerente e dettagliata dello stato dell’atmosfera. Qui è rappresentata la media su scala zonale (cioè media intorno a ciascun meridiano terrestre) e mensile per la temperatura (in Kelvin, indicata dalle sfumature di colore) e per i venti zonali (in metri al secondo, indicati dai contorni neri) a un livello di pressione di 10 hPa, che si trova nella stratosfera.

esaminiamo ciascuna figura più nel dettaglio:

  1. Gennaio (Figura 2a): In questa mappa, l’asse verticale rappresenta la pressione atmosferica in hPa (ettoscopascal), che diminuisce con l’aumentare dell’altitudine. L’asse orizzontale mostra la latitudine, che va dai poli (a -90° e 90°) all’equatore (0°). La temperatura è indicata dalle sfumature di colore, con i toni del rosso che indicano temperature più alte e i toni del blu che indicano temperature più basse. I contorni neri rappresentano la velocità dei venti zonali, con linee continue per i valori positivi (venti da ovest verso est) e tratteggiate per i valori negativi (venti da est verso ovest). Il contorno di 10 m/s è l’intervallo standard tra una linea e l’altra. Possiamo vedere che nel mese di gennaio vi è un forte gradiente di temperatura dalla zona equatoriale verso i poli e che la velocità dei venti zonali è maggiore alle medie latitudini dell’emisfero sud rispetto a quelle dell’emisfero nord.
  2. Luglio (Figura 2b): Questa mappa è simile alla precedente ma rappresenta i dati del mese di luglio. Il gradiente di temperatura è invertito rispetto a gennaio, con il polo sud (emisfero australe) più freddo a causa dell’inverno australe. I venti zonali mostrano un forte getto subtropicale nell’emisfero nord, evidenziato da contorni neri densamente spaziati, indicando velocità del vento relativamente elevate.
  3. Ciclo annuale a 10 hPa (Figura 2c): Qui è mostrata la variazione stagionale della temperatura e dei venti zonali lungo tutto l’anno per ogni latitudine. L’asse verticale rappresenta la latitudine, mentre l’asse orizzontale rappresenta i mesi dell’anno. Le linee continue indicano la velocità dei venti zonali, mentre le sfumature di colore rappresentano la temperatura. Questa figura fornisce una visione complessiva di come cambiano i venti e le temperature nel corso dell’anno, con un chiaro cambiamento stagionale che si riflette nel movimento delle fasce di temperatura e velocità del vento.

In tutte e tre le mappe, la struttura complessiva riflette la circolazione atmosferica generale, con zone di alta e bassa velocità del vento che corrispondono a vari fenomeni meteorologici come i getti polari e subtropicali. Questi modelli sono cruciali per la comprensione del trasporto di calore e umidità, dei cambiamenti stagionali e della dinamica dell’atmosfera superiore.

La Figura 3 illustra quattro mappe della altezza geopotenziale a 10 hPa con i vettori del vento orizzontale in due date specifiche per ciascuno degli emisferi terrestri.

L’altezza geopotenziale è una misura che rappresenta l’energia potenziale gravitazionale per unità di massa dell’aria ed è proporzionale alla distanza verticale sopra il livello medio del mare. Viene spesso utilizzata in meteorologia come un indicatore del movimento verticale e della struttura delle masse d’aria. A 10 hPa, siamo nella stratosfera, e le altezze geopotenziali possono riflettere importanti pattern della circolazione atmosferica ad alta quota.

I vettori del vento (rappresentati dalle piccole frecce) indicano la direzione e l’intensità del vento orizzontale a quel livello. La direzione della freccia mostra dove il vento sta andando, mentre la lunghezza della freccia indica la sua velocità: una freccia più lunga significa vento più forte.

Analizziamo ora ogni pannello:

Pannello a (14 gennaio 2021, Emisfero Nord – NH): Mostra un tipico schema invernale dell’NH con una forte circolazione del vortice polare, evidenziato dalla concentrazione di linee di altezza geopotenziale e dai vettori del vento che circolano attorno all’area di bassa altezza geopotenziale (colori più scuri, verso il blu). Questo indica venti più forti che girano attorno al polo, tipici delle condizioni invernali.

Pannello b (14 gennaio 2021, Emisfero Sud – SH): La SH in gennaio è in estate e presenta un’alta altezza geopotenziale (colori più chiari, verso il rosso), indicando condizioni più tranquille e un vortice polare meno definito rispetto all’NH, come ci si aspetterebbe durante i mesi estivi.

Pannello c (16 luglio 2020, NH): Questa mappa mostra l’NH in estate. Contrariamente al pannello a, qui vediamo un’alta altezza geopotenziale (colori più chiari) sull’NH, che indica un vortice polare debole o inesistente e una circolazione atmosferica più stabile e meno dinamica rispetto all’inverno.

Pannello d (16 luglio 2020, SH): Riflette un tipico schema invernale dell’SH, con un’ampia area di bassa altezza geopotenziale (colori più scuri) che denota un forte vortice polare con venti intensi circolanti attorno al polo sud. Questo è simile alla situazione mostrata nel pannello a per l’NH ma in una stagione diversa.

In sintesi, queste mappe mostrano come la circolazione atmosferica cambia significativamente tra l’estate e l’inverno in ciascuno degli emisferi, con forti vortici polari e potenti venti circolari che si sviluppano durante l’inverno.

2.3 Vorticità Potenziale

Come per la temperatura potenziale (θ), la vorticità potenziale (PV) è una grandezza quasi conservativa nella stratosfera. La PV si definisce considerando la vorticità relativa lungo le superfici isentropiche (superfici di θ costante) e l’accelerazione gravitazionale. Nella stratosfera, queste superfici sono quasi orizzontali. La PV generalmente aumenta verso i poli a causa del parametro di Coriolis, ed è questo gradiente che facilita la propagazione delle onde di Rossby. Un avanzamento significativo nella nostra comprensione si verificò quando McIntyre e Palmer (1983) presentarono delle mappe grossolane della distribuzione isentropica di PV ottenute dalle nuove osservazioni satellitari, che mostravano come i gradienti di PV nella media stratosfera non fossero uniformi a tutte le latitudini. Hanno identificato un ‘vortice principale’ con gradienti ripidi di PV ai suoi bordi, circondato da una ‘zona di surf’ con gradienti di grande scala relativamente deboli (Fig. 5). Oggi questo vortice principale è noto come ‘vortice polare’. McIntyre e Palmer (1983) argomentarono che le estensioni di PV estratte dal vortice principale nelle loro mappe (vedi Fig. 5b) fornivano la prima ‘visione direttamente convincente della rottura delle onde di Rossby su scala planetaria’, e McIntyre e Palmer (1984) sostenevano che queste fossero, in realtà, le ‘onde più grandi del mondo in fase di rottura’.

Le mappe di PV sono utili per distinguere gli effetti reversibili della propagazione delle onde di Rossby, come la distorsione e lo spostamento del vortice polare, dagli effetti irreversibili della loro rottura. Quest’ultimo è caratterizzato da estensioni di PV estratte dal vortice polare (ad esempio Fig. 5) e dalla successiva miscelazione non lineare di PV nella zona di surf. Una conseguenza di questo è l’erosione del vortice con un’affinazione dei gradienti di PV ai suoi bordi (Fig. 5). Pertanto, sia i processi reversibili che quelli irreversibili possono contribuire alla variabilità del vortice polare.

McIntyre e Palmer (1983, 1984) ipotizzarono che la rottura delle onde e l’erosione concomitante del vortice avvenissero quasi costantemente durante l’inverno. Misurando semplicemente le dimensioni del vortice in termini di area racchiusa all’interno dei contorni di PV costante sulle mappe isentropiche (Fig. 6a), Butchart e Remsberg (1986) confermarono ciò per l’inverno del 1978/79. Questa conferma fu in seguito estesa a tutti gli inverni settentrionali dal 1964 al 1982 da Baldwin e Holton (1988). La Figura 6a mostra che, con la rottura delle onde, il vortice si indebolisce nel corso dell’inverno rispetto a quanto ci si aspetterebbe se non ci fossero onde e se la stratosfera evolutesse radiativamente (Fig. 6b). Se le ampiezze delle onde diventano sufficientemente grandi, il vortice può essere spostato dal polo o addirittura dividersi in due, e solitamente ciò corrisponde all’occorrenza di un evento di riscaldamento stratosferico improvviso (SSW) (Sez. 2.5).

La Figura 4 mostra due mappe di dati climatologici medi per i venti stratosferici e per la loro componente ondulatoria per due stagioni e due emisferi.

2.4 Variabilità del Vortice Polare

In termini di deviazione standard interannuale dei venti zonali medi mensili, la massima variabilità del jet polare notturno si verifica alle alte latitudini durante l’inverno nell’emisfero nord (NH), ma nell’inverno dell’emisfero sud (SH) è spostata verso le medie latitudini (Shiotani et al., 1993; Kuroda e Kodera, 2001) e non si estende fino alla stratosfera inferiore (Fig. 7a e c, rispettivamente). Invece, la variabilità nella primavera SH (Fig. 7d) è più simile a quella dell’inverno NH, sebbene leggermente più debole, ma più forte rispetto alla variabilità corrispondente osservata nella primavera NH (Fig. 7b). Questo è ciò che ci si aspetterebbe dalla variabilità risultante dalla forzatura delle onde di Rossby dalla troposfera. Il jet di metà inverno SH è generalmente abbastanza forte (Fig. 2) da limitare la propagazione delle onde di Rossby (Sezione 2.2) e quindi la variabilità, e il jet diventa comparabile in forza al jet di metà inverno NH solo quando si indebolisce in primavera (Fig. 2c). Al contrario, nell’NH ad aprile il passaggio alla circolazione estiva verso ovest è spesso già iniziato (Fig. 2c), e ciò inibisce la propagazione delle onde di Rossby.

Un approccio alternativo per analizzare la variabilità interannuale dei jet polari notturni è l’uso delle funzioni ortogonali empiriche (EOF; Feser et al., 2000). Per i dati di rianalisi dal 1980 al 1999, il primo EOF spiega l’87% della varianza nel vento zonale medio zonale a 50 hPa nell’NH, mentre allo stesso livello nell’SH i primi due EOF spiegano rispettivamente il 59% e il 35% della varianza (Butchart et al., 2011). Le variazioni nella forza del jet sono rappresentate dalla prima modalità di variabilità o EOF, mentre la seconda modalità corrisponde a uno spostamento meridionale del jet. I due massimi locali nella struttura latitudinale della deviazione standard interannuale per luglio (Fig. 7c) sono quindi semplicemente una manifestazione del maggiore contributo del secondo EOF nell’SH, rispetto all’NH, che deriva dalle fluttuazioni anno per anno nella latitudine del massimo del jet.

Poiché la forza del getto notturno polare modula la propagazione delle onde di Rossby dalla troposfera (Sezione 2.2, Charney e Drazin, 1961), c’è la possibilità che la forza del getto oscilli. Un indebolimento seguito da un’inversione del getto verso est a causa delle interazioni tra onda e flusso medio riduce la propagazione delle onde dalla troposfera. Questo a sua volta riduce l’effetto di decelerazione delle onde, e gli effetti radiativi ripristinano la forza del getto. Di conseguenza, viene permessa una maggiore propagazione delle onde, che inizia nuovamente a indebolire il getto; così si crea un ciclo di oscillazione. Oscillazioni stratosferiche di questa forma sono state identificate per la prima volta in esperimenti numerici idealizzati (Holton e Mass, 1976) e successivamente in un modello di circolazione generale (GCM), dove avevano un periodo di circa 100 giorni (Christiansen, 1999).

Stabilire il ruolo di queste oscillazioni nella variabilità osservata è più complesso. Hardiman et al. (2020) hanno scoperto che, per i 39 anni di dati ERA-Interim (Dee et al., 2011), un’onda sinusoidale a singola ampiezza fissa con un periodo di 120 giorni forniva un buon adattamento nella stratosfera media (10 hPa, 55-65° N) alle variazioni zonali del vento sub-stagionali rispetto al ciclo stagionale medio nel periodo novembre-marzo, se una fase ottimale e un offset costante venivano calcolati per ciascuno dei 39 anni. Una domanda importante ancora irrisolta è quanto della variabilità rappresentata dall’onda sinusoidale singola sia puramente interna (cioè si verificherebbe se il flusso di onde dalla troposfera rimanesse costante) e quanto sia invece risultato delle variazioni nel flusso di onde ascendente stesso, a livello della tropopausa (Scott, 2016).

In contrasto, Newman et al. (2001) hanno concluso che la variabilità interannuale delle temperature nella bassa stratosfera dell’Artico durante la primavera è quasi completamente determinata dalla variabilità del flusso di calore eddico (meridionale) vicino alla tropopausa, leggermente prima nell’anno. Per le onde di Rossby su larga scala, il flusso di calore è approssimativamente proporzionale alla componente verticale del flusso EP e, quindi, al flusso verticale di attività dell’onda. Nel corso dei 22 anni dal 1979 al 2001, Newman et al. (2001) hanno osservato che le temperature medie polari oltre i 60° N a 50 hPa, mediate dall’1 al 16 marzo, erano significativamente correlate con il flusso di calore eddico medio tra i 45–75° N a 100 hPa, mediato dal 15 gennaio al 28 febbraio. In particolare, hanno scoperto che un forte flusso di calore eddico delle onde planetarie nella regione 100–400 hPa e 45–75° N durante gennaio-febbraio porta a una stratosfera polare bassa calda a marzo, mentre un debole flusso di calore eddico delle onde planetarie porta a una stratosfera polare bassa fredda a marzo.

Newman et al. (2001) hanno notato che i loro risultati sono coerenti con un quadro teorico basato sulla propagazione lineare delle onde e sono anche robusti rispetto alla scelta dei periodi di mediazione e delle fasce di latitudine. Una relazione simile esiste tra le temperature della bassa stratosfera antartica in primavera e il flusso di calore eddico che emerge dalla troposfera leggermente prima durante l’anno, e per entrambi gli emisferi questa relazione sembra robusta attraverso una serie di simulazioni di modelli (Austin et al., 2003; Manzini et al., 2003; Eyring et al., 2006; Osprey et al., 2010).

Durante la stagione invernale prolungata, le temperature e i venti zonali ad alte latitudini nella media stratosfera possono variare notevolmente di giorno in giorno in entrambi gli emisferi, così come di anno in anno. Ad esempio, calcolando le deviazioni standard delle variazioni giornaliere nella temperatura media oltre i 60° N e nel vento zonale medio zonale a 60° N a 10 hPa da ottobre a marzo per ogni inverno e poi facendo la media per i 41 inverni dal 1979/80 al 2019/20, i valori risultano essere di circa 7 K e di circa 13 m/s, rispettivamente, e sono comparabili alla variazione interannuale nei valori giornalieri mostrata dall’ombreggiatura grigio chiaro nelle Fig. 8a e b.

Come già accennato, la più forte variabilità interannuale (e anche giornaliera) nell’Emisfero Sud si verifica circa due mesi più tardi nel ciclo annuale rispetto all’Emisfero Nord. Pertanto, il corrispondente periodo di sei mesi nell’Emisfero Sud è da giugno a novembre, e per i 41 inverni dal 1980 al 2020, le medie delle deviazioni standard delle serie temporali giornaliere a 10 hPa della temperatura media oltre i 60° S e del vento zonale medio zonale a 60° S sono di circa 4 K e di circa 9 m/s, rispettivamente, leggermente più deboli rispetto ai loro corrispettivi dell’Emisfero Nord. In entrambi gli emisferi, la variabilità giornaliera non è uniforme durante i sei mesi, ma include periodi in cui le temperature e i venti si evolvono più costantemente, simili ai mesi estivi (Fig. 8), quando la forza dinamica è debole o inesistente. In altri momenti si osservano significativi e rapidi aumenti di temperatura e decelerazione del getto polare notturno orientato verso est (ad esempio, le curve viola nella Fig. 8), in particolare nell’Emisfero Nord. Non si osservano corrispondenti rapidi cali di temperatura e/o improvvisa accelerazione del getto, poiché le onde di Rossby in propagazione verso l’alto possono solo rallentare il getto polare notturno (Sezione 2.2). Invece, un rafforzamento del vortice polare e un calo delle temperature polari anormalmente alte si verificano su scale temporali di smorzamento radiativo più lunghe, come illustrato dal comportamento visto nel 2008/09 (Fig. 8a e b).

A seconda della definizione usata, gli eventi in cui si verifica un significativo e rapido aumento delle temperature polari e una inversione dei venti da est a ovest a 60° di latitudine, come nel gennaio 2009 (ad esempio, Manney et al., 2009), sono generalmente descritti come “riscaldamenti stratosferici improvvisi” (Butler e Gerber, 2018).

La Figura 5 presenta due immagini di vorticità potenziale (PV) nella stratosfera per due date specifiche nel gennaio 1979. La vorticità potenziale è una proprietà fisica dell’atmosfera che combina la vorticità del vento con la distribuzione termica verticale e ciò la rende molto utile per identificare e tracciare movimenti dinamici nell’atmosfera, come i flussi d’aria e i sistemi meteorologici.

Pannello a (17 gennaio 1979): Questa immagine mostra la PV sull’isentropica di 850 K (una superficie di pressione costante nell’atmosfera che corrisponde qui a circa 10 hPa) per il 17 gennaio 1979. Le aree più scure con valori più alti di PV indicano regioni con maggiore attività o turbolenza atmosferica, che sono spesso associate a condizioni meteorologiche più dinamiche e possono indicare la presenza di un ciclone o di un fronte freddo.

Pannello b (27 gennaio 1979): Una mappa simile per il 27 gennaio 1979, mostrando come la distribuzione della PV è cambiata nel corso del tempo. Le variazioni nella PV possono indicare movimenti significativi all’interno della stratosfera e cambiamenti nei sistemi meteorologici.

La nota in basso sottolinea che queste mappe sono basate sui dati di rianalisi ERA-Interim. La rianalisi è un processo che combina modelli meteorologici con osservazioni storiche per fornire una rappresentazione più accurata e dettagliata dello stato dell’atmosfera in passato. Si fa anche notare che, a gennaio 1979, le osservazioni dirette della stratosfera erano relativamente scarse, quindi i dettagli extra nelle mappe rianalizzate riflettono una migliore comprensione della struttura atmosferica resa possibile dalla tecnologia e dai metodi attuali di rianalisi.

In sintesi, queste mappe ci danno un’immagine più chiara e dettagliata della struttura atmosferica in due momenti del gennaio 1979, che non era possibile ottenere al momento con le osservazioni disponibili all’epoca.

La Figura 6 presenta due diversi approcci alla rappresentazione della vorticità potenziale (PV) nell’atmosfera durante l’inverno nell’Emisfero Nord.

Pannello a: Questo pannello mostra l’area racchiusa dai contorni di PV sull’isentropica di 850 K per l’inverno del 1978/1979 nell’Emisfero Nord. L’asse orizzontale rappresenta il tempo, che si estende dai mesi di novembre a marzo, mentre l’asse verticale rappresenta i livelli di pressione atmosferica in hPa, con la quota più alta in alto e la quota più bassa in basso. Le linee curve rappresentano contorni di uguale vorticità potenziale. Queste curve possono essere utilizzate per visualizzare la struttura e l’evoluzione dei grandi sistemi meteorologici, come i vortici polari. L’area tra i contorni indica regioni con specifici valori di PV, dove aree più dense di contorni indicano gradienti più elevati di vorticità, spesso associati a fenomeni meteorologici significativi.

Pannello b: Qui vediamo una simulazione idealizzata dell’inverno nell’Emisfero Nord in assenza di onde di Rossby, che sono grandi onde atmosferiche responsabili di trasportare energia e quantità di moto attraverso le latitudini medie e alte. Le onde di Rossby influenzano la formazione di sistemi di bassa e alta pressione e sono un fattore critico nella determinazione dei pattern meteorologici. Questa simulazione mostra come sarebbe la struttura della vorticità potenziale senza queste onde. L’asse orizzontale rappresenta giorni consecutivi, e l’asse verticale rappresenta ancora i livelli di pressione atmosferica. Le linee curve e fluide rappresentano un flusso più uniforme e meno perturbato rispetto a quello reale, evidenziando come le onde di Rossby contribuiscano alla complessità della circolazione atmosferica reale.

Confrontando i due pannelli, si può notare come il pannello a mostri una maggiore complessità e variazione nei contorni di PV, riflettendo l’influenza delle onde di Rossby e altri processi atmosferici dinamici. Il pannello b, invece, presenta un flusso più semplice e uniforme, dimostrando che le onde di Rossby introducono significative perturbazioni nel flusso atmosferico.

In sintesi, queste immagini illustrano la differenza tra la struttura atmosferica reale, con tutte le sue complessità, e una versione idealizzata, semplificata, senza le onde di Rossby, dimostrando l’importanza di questi grandi pattern ondulatori nella determinazione del tempo e del clima.

Le quattro mappe nella Figura 7 illustrano la deviazione standard interannuale della velocità del vento zonale medio mensile direzione est (cioè, la componente del vento che soffia da ovest verso est) a diverse altitudini e latitudini per quattro mesi specifici (gennaio, aprile, luglio e ottobre). Queste mappe sono basate sui dati di rianalisi ERA5.1 per il periodo 1979-2020. La deviazione standard è una misura statistica che indica quanto i valori si discostano dalla media; in questo contesto, riflette quanto i venti zonali differiscono da un anno all’altro nello stesso mese.

Pannello a (Gennaio): La mappa mostra che la deviazione standard è maggiore a basse latitudini, specialmente intorno all’equatore, che è una caratteristica tipica del fenomeno del Quasi-Biennial Oscillation (QBO), un’oscillazione quasi biennale della direzione dei venti zonali nella stratosfera equatoriale.

Pannello b (Aprile): Qui si vede una minore deviazione standard rispetto a gennaio, ma si nota ancora variabilità significativa nei venti zonali, specialmente nella stratosfera superiore a basse latitudini.

Pannello c (Luglio): La mappa di luglio mostra una situazione simile a quella di aprile, con una deviazione standard che rimane alta vicino all’equatore, indicando variabilità significativa dei venti zonali.

Pannello d (Ottobre): In ottobre, la deviazione standard appare più uniforme attraverso diverse latitudini rispetto agli altri mesi, ma mantiene ancora alcune aree di maggiore variabilità.

La presenza di una maggiore deviazione standard nelle basse latitudini in tutte e quattro le mappe suggerisce che il QBO è un fattore importante nella variabilità interannuale dei venti zonali nella stratosfera equatoriale. La deviazione standard maggiore a basse latitudini significa che la velocità del vento zonale in queste regioni può variare di più da un anno all’altro rispetto alle alte latitudini. Questo ha implicazioni per la comprensione della circolazione atmosferica e per la previsione meteorologica e climatica, dato che il QBO può influenzare il clima a livello globale. La discussione dettagliata su questi aspetti viene fatta nella sezione 3.1 del documento da cui proviene la figura.

i quattro grafici nella Figura 8 rappresentano la variabilità giornaliera della temperatura e dei venti zonali a un livello di pressione di 10 hPa, che si trova nella stratosfera superiore, per due specifiche bande di latitudine in entrambi gli emisferi.

Pannello a (Temperatura media zonale 60-90°N): Illustra la variazione giornaliera della temperatura nella stratosfera alta nell’Emisfero Nord, dalla fascia di latitudine 60° a 90°N. La linea nera rappresenta la media di lungo periodo per ogni giorno dell’anno, calcolata su molti anni di dati (1979-2020). Le aree ombreggiate indicano i percentili della distribuzione della temperatura per ogni giorno: più scura per il range dal 30° al 70° percentile e più chiara per il range dal 10° al 90° percentile. Questo mostra la variabilità normale attesa delle temperature giornaliere. La linea viola mostra le temperature giornaliere specifiche dell’anno 2008/09, permettendo di confrontare queste temperature con la variabilità storica.

Pannello b (Vento zonale medio 60°N): Questo grafico fornisce una visualizzazione simile al Pannello a, ma per i venti zonali (venti che soffiano da ovest verso est lungo le latitudini). Anche qui la linea nera mostra la media di lungo periodo dei venti zonali, mentre le aree ombreggiate e la linea viola rappresentano rispettivamente la variabilità storica e i valori giornalieri per l’anno 2008/09.

Pannello c (Temperatura media zonale 60-90°S): Corrisponde al Pannello a ma per l’Emisfero Sud. La linea viola in questo grafico rappresenta i valori giornalieri per l’anno 2009, mostrando come la temperatura in quell’anno specifico si confronta con la variabilità storica.

Pannello d (Vento zonale medio 60°S): Simile al Pannello b, ma situato nell’Emisfero Sud. Anche qui, la linea viola mostra i dati giornalieri per l’anno 2009.

I grafici indicano sia la variabilità stagionale normale di temperatura e venti a questa quota che come un anno specifico si confronta con questa variabilità. La deviazione dalle medie storiche può essere associata a fenomeni meteorologici significativi o a tendenze climatiche a lungo termine. Notare che la linea viola che si discosta dalle aree ombreggiate indica che la temperatura o la velocità del vento in quel particolare anno era insolita rispetto alla norma storica.

2.5 Riscaldamenti Stratosferici Improvvisi

Nel decennio successivo alla prima osservazione di un riscaldamento stratosferico di metà inverno da parte di Scherhag nel 1952 (vedi Introduzione), sono apparsi molti altri rapporti su eventi anomali di riscaldamento nella letteratura scientifica (ad esempio Keegan, 1962; Scherhag, 1960; Craig e Hering, 1959; Palmer, 1959; Teweles, 1958; Teweles e Finger, 1958), e all’inizio degli anni ’60 tali eventi avevano ottenuto il nome di “riscaldamenti stratosferici improvvisi” (Reed et al., 1963). Tuttavia, oggi si considera più appropriato riferirsi a questi eventi come “riscaldamenti stratosferici improvvisi” (Butler et al., 2015). Inizialmente, i RSI erano semplicemente classificati come riscaldamenti di metà inverno o riscaldamenti finali, che sono una manifestazione della variabilità annuale nel tempismo e nella struttura verticale della transizione primaverile da una circolazione verso est a una verso ovest nella stratosfera di medie e alte latitudini (Matthias et al., 2021). Negli anni ’60, i riscaldamenti furono ulteriormente suddivisi in “minori” e “maggiori” (Butler et al., 2015). I “riscaldamenti minori” si verificano quando si osserva un aumento significativo della temperatura (cioè almeno 25 K in un periodo di una settimana o meno) a qualsiasi livello stratosferico in qualsiasi area dell’emisfero invernale, ma senza soddisfare i criteri per un riscaldamento maggiore. Un riscaldamento è classificato come “maggiore” se a 10 hPa o sotto, la temperatura media latitudinale aumenta verso i poli dai 60° di latitudine e si verifica un’inversione della circolazione associata (cioè i venti medi orientati verso est oltre i 60° di latitudine sono seguiti da venti medi orientati verso ovest nella stessa area). Questi criteri per distinguere i riscaldamenti maggiori da quelli minori sono ancora utilizzati oggi, e gli eventi di riscaldamenti maggiori possono essere identificati nella Fig. 8b e d come i momenti in cui i venti zonali scendono sotto la linea del vento zero nelle figure. Questo si verifica solo una volta nell’Emisfero Sud (nel 2002); ossia, solo un riscaldamento maggiore è stato osservato nell’Emisfero Sud dal 1979 e, in effetti, da quando sono iniziati i registri. Per qualsiasi data specifica durante l’inverno dell’Emisfero Nord, l’ombreggiatura grigio chiaro nella Fig. 8b indica che ci sono venti occidentali in meno del 10% degli anni, ma poiché i RSI possono verificarsi in qualsiasi momento durante l’inverno, i riscaldamenti maggiori sono effettivamente osservati circa ogni due anni (Baldwin et al., 2021), sebbene la frequenza esatta delle occorrenze vari da decennio a decennio (Domeisen, 2019) per motivi che non sono ancora completamente compresi.

Le prime ricerche per comprendere i Riscaldamenti Stratosferici Improvvisi (RSI) hanno contribuito allo sviluppo della teoria TEM sulle interazioni onda-flusso medio (Sezione 2.2), ed è ormai riconosciuto che l’indebolimento e l’inversione del getto notturno polare, che si verifica durante i riscaldamenti, sono il risultato di valori negativi insolitamente grandi di ∇ ·F nella Eq. (3). Questo si verifica generalmente a causa di un’amplificazione e una rifrazione delle onde di Rossby che si propagano verso l’alto verso i poli, dove depositano il loro momento ondoso verso ovest principalmente a causa della rottura non lineare delle onde (Sezione 2.3). Una conseguenza del ∇ ·F non nullo è l’induzione di una circolazione meridionale media residuale (Haynes et al., 1991) con una discesa adiabatica che produce il riscaldamento osservato della stratosfera polare. Matsuno (1971) fu il primo a proporre un modello per i RSI basato su onde planetarie che si propagano dalla troposfera, e in questo modello i RSI sono classificati come riscaldamenti di numero d’onda (zonale) uno o due, a seconda di quale sia l’onda dominante (O’Neill e Taylor, 1979). Riscaldamenti con numero d’onda più alto non avvengono poiché solo le onde di Rossby di più grande scala possono propagarsi nella stratosfera, come conseguenza del teorema di Charney e Drazin (1961) (Sezione 2.2).

Ciò fornisce una distinzione dinamica tra riscaldamenti maggiori e minori, poiché l’inversione del flusso a 10 hPa impedisce la propagazione delle onde verso l’alto oltre quel livello dopo un riscaldamento maggiore. Di conseguenza, dopo un riscaldamento maggiore, il forte raffreddamento radiativo fa diminuire le temperature polari, sebbene a una velocità più lenta rispetto all’aumento precedente, e i RSI sono spesso seguiti da un periodo in cui il vortice polare è relativamente freddo e tranquillo (ad esempio, vedere le curve dell’inverno 2008/09 nelle Fig. 8a e b).

Un aspetto del meccanismo dei RSI meno compreso è la causa dell’amplificazione delle onde. La rarità dei RSI nell’Emisfero Sud fornisce forti evidenze dell’importanza del flusso d’onda dalla troposfera, dato che la topografia e il contrasto terra-mare dell’Emisfero Sud non sono sufficienti a produrre una forzatura delle onde planetarie abbastanza forte per RSI più frequenti come quelli osservati nell’Emisfero Nord. Tuttavia, anche nell’Emisfero Nord, flussi d’onda ascendenti anomaliamente grandi rispetto ai valori climatologici, come mostrato ad esempio nella Fig. 4, sono essenziali per i RSI.

Alcuni studi hanno sostenuto che i flussi anomali risultano da fenomeni di blocco atmosferico (ad esempio, Quiroz, 1986; Martius et al., 2009) e/o da altri eventi precursori nella troposfera (ad esempio, Taguchi e Hartmann, 2006; Cohen e Jones, 2011), mentre altri studi hanno enfatizzato l’importanza dello stato della stratosfera. Una possibilità originariamente proposta da Palmer (1981a) per spiegare l’occorrenza del RSI del 1979 è che la stratosfera sia predisposta a favorire un’accentuata propagazione verso l’alto delle onde di Rossby e di gravità (Albers e Birner, 2014; Hitchcock e Haynes, 2016). Un’alternativa, suggerita per la prima volta da Plumb (1981), è che i feedback interni tra onde e flusso medio all’interno della stratosfera portino a una crescita risonante delle ampiezze delle onde di Rossby (Matthewman e Esler, 2011). Molto probabilmente, sia lo stato della stratosfera sia i precursori troposferici sono importanti per la generazione dei RSI, dato che si stima che solo circa un terzo dei RSI sia preceduto da flussi anomali estremi di onde planetarie dalla bassa troposfera (Birner e Albers, 2017).

Nonostante l’incertezza sul meccanismo preciso di generazione dei RSI, si sa che i parametri geometrici del vortice associati al riscaldamento sono importanti (Albers e Birner, 2014). Pertanto, la classificazione matematica tradizionale dei RSI in termini di numero d’onda dominante è spesso integrata da classificazioni più basate sulla fisica dei RSI, legate alla morfologia del vortice polare come diagnosticato dalle mappe della distribuzione isentropica di PV (Waugh, 1997). Charlton e Polvani (2007) sono stati i primi ad adottare questo approccio, classificando i RSI come eventi di “spostamento (del vortice)”, caratterizzati da uno spostamento chiaro del vortice polare dal polo, o “divisione (del vortice)”, quando il vortice polare si divide in due vortici separati di dimensioni comparabili. Esempi di eventi di riscaldamento con spostamento e divisione del vortice sono mostrati nelle Fig. 9b e c, rispettivamente. Non esiste una semplice relazione tra i parametri geometrici del vortice e una decomposizione di Fourier dei campi (Waugh, 1997), ma i riscaldamenti di numero d’onda uno generalmente portano a uno spostamento del vortice, e la presenza di numero d’onda due è essenziale per la divisione del vortice. La classificazione dei RSI in base a se sono eventi di divisione o spostamento del vortice si è dimostrata utile per tracciare la natura e il tempismo degli impatti a livello superficiale dei RSI (Hall et al., 2021a). Pertanto, comprendere la generazione dei RSI potrebbe portare a una migliore comprensione dei loro effetti a livello superficiale (Sez. 6.3).

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