Ricostruzioni paleoclimatiche e paleoambientali
La paleoclimatologia è un settore della climatologia basato sull’evidenza che molti sistemi naturali sono dipendenti dal clima e agiscono come trasduttori, convertendo il segnale climatico in una registrazione più o meno permanente. Molti tipi di dati (glaciologici, geologici, biologici) possono essere utilizzati per ricostruzioni paleoclimatiche, pur avendo caratteristiche diverse riguardo alla copertura spaziale e alla capacità di risoluzione degli eventi climatici nel tempo. Il requisito fondamentale per una corretta interpretazione paleoclimatica è la datazione accurata dei campioni, che consente di determinare la sincronia di certi eventi o se alcuni eventi hanno indotto o ritardato il verificarsi di altri. I sedimenti oceanici, che sono potenzialmente disponibili nel 70% della superficie terrestre e forniscono una registrazione continua del clima per periodi di molti milioni di anni, sono caratterizzati da un’incertezza relativa nella datazione pari a 61% dell’età del campione (l’incertezza assoluta aumenta, dunque, all’aumentare dell’età del campione). Inoltre, essendo gli oceani caratterizzati da un tasso di sedimentazione molto lento, i loro sedimenti sono generalmente utilizzabili soltanto per studi di eventi climatici a bassa frequenza, dell’ordine di 103-104 anni. L’attenzione dei ricercatori si è quindi spostata sulle aree a elevato tasso di sedimentazione, che forniscono dati paleoclimatici ad alta risoluzione e quindi la possibilità di documentare variazioni climatiche su scale temporali più precise, dell’ordine di centinaia di anni e, in casi eccezionali, di decenni. Lo studio degli incrementi di crescita annuale (anelli) dei tronchi d’albero provenienti dalle aree continentali, noto come dendroclimatologia, è di grande utilità in p.; variazioni di larghezza, densità e composizione isotopica degli anelli di accrescimento sono ottimi indicatori delle condizioni climatiche del passato e inoltre l’età dei singoli anelli è, salvo rari casi, determinabile con grande precisione.
Un utile strumento per verificare la validità di alcune ipotesi sulla natura e sulle cause delle fluttuazioni climatiche si è rivelato l’uso di modelli numerici. Studi basati su tali modelli hanno evidenziato, per es., che variazioni dell’insolazione prodotte da cambiamenti nei parametri orbitali della Terra, ritenute la causa principale dell’innesco e della cessazione delle più importanti glaciazioni del Quaternario superiore, sembrerebbero di per sé insufficienti a produrre le variazioni ambientali osservate. Per paleoclima si intende il clima di periodi geologici e storici precedenti lo sviluppo degli strumenti di misura delle componenti climatiche e del tempo atmosferico. La paleoclimatologia è la disciplina scientifica che studia il clima della Terra e le sue variazioni nel corso della lunga storia del nostro pianeta. Il clima del passato viene ricostruito studiando numerosi archivi paleoclimatici che includono sedimenti, rocce, carote di ghiaccio, concrezioni di grotta (speleotemi) e anelli di crescita degli alberi. Questi contengono alcune caratteristiche chimio-fisiche e biologiche (indicatori climatici o proxy), che variano con il variare delle condizioni climatiche presenti al momento della loro formazione, registrandone e conservandone la testimonianza. Le ricerche paleoclimatiche coprono l’intera storia della Terra. Gli studi che riguardano gli ultimi secoli e millenni producono ricostruzioni ad alta risoluzione temporale delle variazioni delle temperature e delle precipitazioni, che costituiscono la base per quantificare e comprendere la variabilità naturale del clima. Gli studi sulle ultime decine di migliaia, milioni o centinaia di milioni di anni rivelano cambiamenti climatici legati alla posizione reciproca di Sole e Terra, a variazioni delle quantità di gas serra in atmosfera, che hanno controllato l’avvento e la fine delle ere glaciali, a cambiamenti della circolazione oceanica, infine, a processi geologici come il sollevamento delle montagne e la deriva dei continenti.
Proxy “proxy data” (letteralmente, dati per procura, ovvero proprietà fisiche, geochimiche o biologiche sensibili ai fattori climatici)
Denominazione di dati relativi a epoche remote, dedotti indirettamente. La raccolta regolare di dati meteorologici su scala mondiale ha avuto luogo solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; le condizioni climatiche antecedenti non possono, dunque, essere identificate con dati diretti, ma possono essere valutate a partire da misurazioni ambientali di quantità che sono più o meno direttamente collegate alla situazione climatica locale. Nella paleoclimatologia questi dati, chiamati proxy data, hanno origini molteplici e sono ottenuti in base a vari elementi: le composizioni isotopiche (dell’ossigeno, del deuterio e del carbonio) misurate nei sedimenti oceanici e lacustri, nelle calotte polari, nelle stalattiti e nelle stalagmiti, negli anelli degli alberi e negli strati geologici; le testimonianze delle faune e delle flore del passato, quali i pollini, le microfaune marine, gli insetti, i mammiferi, i molluschi, le piante fossili; le prove geologiche e geomorfologiche fornite dallo studio di morene, evaporiti, paleosuoli, varve, dune, scogliere coralline, e così via. Questi dati, analizzati simultaneamente e in modo coerente, consentono di creare un’immagine razionale delle variazioni climatiche avvenute lungo particolari momenti della storia della Terra. Un tipo di p. molto conosciuto è quello che proviene dall’analisi degli anelli arborei (dendrologia). In generale, un anno caldo e piovoso risulterà in un anello di maggiore spessore, ma l’analisi può scendere più in dettaglio e trarre utili informazioni dalla struttura degli anelli, dalla densità del legno e dalle abbondanze relative di isotopi di ossigeno e idrogeno presenti. La ricostruzione climatica si può spingere verso ere molto più remote analizzando campioni di ghiaccio estratti tramite carotaggi a grandi profondità. Infatti, i ghiacci perenni presenti sulle montagne più elevate e soprattutto nelle calotte polari sono il risultato dell’accumulazione di precipitazioni nevose durante decine di migliaia di anni. Questi ghiacci sono ovviamente composti di ossigeno e idrogeno. Piccole percentuali di idrogeno sono presenti sotto forma di deuterio, un suo isotopo. Analizzando campioni di ghiaccio risalenti a periodi storici in cui l’andamento climatico è noto, si è derivata per es. una relazione tra temperatura media e concentrazione di deuterio nel ghiaccio. Supponendo la validità di questa relazione anche in epoche preistoriche, si è potuto ricostruire l’andamento della temperatura in quei lontani periodi. Oltre a questo dato, i carotaggi di ghiaccio polare consentono di determinarela concentrazione di pulviscolo atmosferico e anidride carbonica in ere remote. Anche le paleotemperature oceaniche, ricavate dall’esame dei sedimenti, forniscono un metodo estremamente interessante quando sia applicato a lunghe sequenze di osservazioni. Le faune e le flore forniscono elementi di datazione e indicazioni sui paleoambienti e i paleoclimi; le morene danno informazioni sulle fasi di massima estensione glaciale; i terrazzi marini forniscono dati soprattutto sui livelli estremi di elevazione raggiunti dal mare in corrispondenza delle massime temperature realizzatesi durante le fasi interglaciali; dai depositi di Löss e dai suoli fossili si ricavano informazioni più complete sulla cronologia climatica, ma le correlazioni con i depositi glaciali e marini rimangono generalmente difficili. Le registrazioni naturali sono tuttavia influenzate dal clima stesso e possono subire alterazioni dovute ad azioni di bioturbazione insieme con altre trasformazioni fisiche e chimiche. La loro interpretazione in termini di variazioni climatiche richiede dunque l’applicazione di specifiche tecniche di elaborazione: per es., le funzioni di trasferimento basate sull’analisi multivariata, utilizzate per i sedimenti marini, gli anelli degli alberi e i pollini. I valori p. sono datati conteggiando gli strati annuali (come nel caso degli anelli degli alberi, delle varve lacustri e delle torbiere, e per gli strati delle carote di ghiaccio) con metodi radiometrici (come nei casi dell’isotopo 14C del carbonio, e del rapporto di masse tra il cripto e l’argo, Kr/Ar) o con riferimento ad avvenimenti ben definiti avvenuti a scala planetaria, come i depositi di ceneri vulcaniche, i terrazzamenti marini e le inversioni del campo magnetico terrestre.