Riassunto

Il Marine Isotope Stage 11 (MIS 11), nell’intervallo temporale compreso circa tra 424.000 e 374.000 anni fa, ha registrato il massimo calore interglaciale e il livello più elevato del mare globale, circa tra 410.000 e 400.000 anni fa. Il MIS 11 ha ricevuto un ampio studio riguardo le cause della sua prolungata durata e del clima più caldo rispetto all’Olocene, aspetto che risulta anomalo negli ultimi cinquecentomila anni. Tuttavia, esiste una notevole lacuna geografica nei record proxy del MIS 11 relativi all’Oceano Artico, dove si trovano evidenze frammentarie di estati prive di ghiaccio marino stagionale e temperature elevate della superficie marina (SST; circa 8-10 °C presso la Dorsale di Mendeleev). Abbiamo esaminato il MIS 11 nell’Oceano Artico occidentale e centrale utilizzando 12 carote a pistone e diverse carote più corte, impiegando proxy per la produttività di superficie (densità di microfossili), la temperatura dell’acqua di fondo (rapporti magnesio/calcio), la proporzione tra Acqua Profonda dell’Oceano Artico e Acqua Intermedia Artica (specie chiave di ostracodi), il ghiaccio marino (abbondanza di ostracodi epipelagici associati al ghiaccio marino) e le SST (foraminiferi planctonici). Abbiamo generato una nuova curva di δ18O di foraminiferi bentonici, che indica variazioni nel volume globale dei ghiacci, la temperatura del fondo dell’Oceano Artico e, potenzialmente, cambiamenti oceanografici locali. I risultati suggeriscono che il picco di calore si è verificato nel Bacino Amerasiano nel corso della metà del MIS 11, approssimativamente tra 410.000 e 400.000 anni fa. Le SST hanno raggiunto valori fino a 8-10 °C durante il massimo calore interglaciale, e il ghiaccio marino era assente durante le estati. Sono inoltre emerse prove di eventi suborbitali improvvisi che interrompono l’intervallo MIS 12-MIS 11-MIS 10. Queste fluttuazioni nella produttività, temperatura dell’acqua di fondo, e le masse d’acqua profonde e intermedie (Acqua Profonda dell’Oceano Artico e Acqua Intermedia Artica) potrebbero rappresentare eventi tipo Heinrich, coinvolgendo possibilmente estese piattaforme di ghiaccio che si protendevano dalle calotte glaciali Laurentide e Fennoscandiane fino ai confini dell’Artico.

Introduzione

L’intervallo climatico noto come Stadio Isotopico Marino 11 (MIS 11) fu un periodo interglaciale di lunga durata (circa 40.000-50.000 anni), caratterizzato dalle temperature più calde e dal livello del mare globale più alto registrati tra circa 410.000 e 400.000 anni fa (kiloanni). Il clima del MIS 11 ha rappresentato un enigma per i ricercatori per anni, dato che i pattern di insolazione orbitale e le concentrazioni di CO2 atmosferica erano simili a quelli riscontrati durante l’interglaciale Olocene (Masson-Delmotte et al., 2006), tuttavia, numerosi record paleoclimatici e modelli climatici indicano un livello del mare globale più elevato e condizioni climatiche più calde (Gruppo di Lavoro sugli Interglaciali Passati di PAGES, 2016), in particolare alle alte latitudini (de Vernal & Hillaire-Marcel, 2008). Il livello del mare nel MIS 11 è probabilmente stato da 6 a 13 metri sopra l’attuale livello del mare (Dutton et al., 2015), sebbene siano state proposte stime globali maggiori (fino a 20 m; Olson & Hearty, 2009) e minori (vicine al livello del mare attuale; Bowen, 2010; Bauch & Erlenkeuser, 2003) con una notevole variabilità regionale (Raymo & Mitrovica, 2012; cfr. Rohling et al., 2009; Elderfield et al., 2012; Spratt & Lisiecki, 2016). Nonostante ciò, a scala globale, si ritiene generalmente che il livello del mare durante il MIS 11 sia stato superiore rispetto sia all’Olocene che all’ultimo periodo interglaciale (MIS 5e, Eemiano, circa 6-9 m sopra il livello attuale, Kopp et al., 2009). Mentre le temperature della superficie marina (SST) erano superiori a quelle dell’Olocene nell’Atlantico (Bauch et al., 2000) e inferiori in altre aree (Milker et al., 2013), esistono evidenze che fossero relativamente stabili in confronto all’Olocene (Kandiano et al., 2017; Palumbo et al., 2019).

Oltre all’elevato livello del mare globale e alle condizioni climatiche calde, la durata del MIS 11, stimata in alcuni casi fino a 40.000 anni (Berger & Loutre, 2002; McManus et al., 1999; Rohling et al., 2010), eccede quella degli altri interglaciali del Quaternario.

Ad esempio, presso il sito 646 del Programma di Trivellazione Oceanica (ODP) a sud della Groenlandia, il polline predominante di peccio (Picea) e abete (Abies) testimonia un prolungato interglaciale MIS 11 (circa 50.000 anni) con una “Groenlandia quasi priva di ghiaccio” e Temperature della Superficie del Mare (SST) nel Nord Atlantico occidentale subpolare superiori all’attuale (de Vernal & Hillaire-Marcel, 2008). Quest’ultimo dato, però, è in contrasto con i mari nordici, dove durante il MIS 11 si sono registrate SST relativamente fredde, probabilmente a causa di un significativo impatto della deglaciazione del MIS 12 sulla stratificazione superficiale e sulla formazione di ghiaccio marino in inverno (Kandiano et al., 2012, 2016; Thibodeau et al., 2018). Inoltre, la presenza di detriti trasportati dai ghiacci (IRD) nel corso del MIS 11 nei mari nordici sud-occidentali suggerirebbe una continua presenza di iceberg in quella zona e l’esistenza di una calotta glaciale della Groenlandia orientale con ghiacciai che si estendevano fino al livello del mare.

Comprendere la variabilità della criosfera e del clima ad alte latitudini durante il MIS 11 è fondamentale per determinare la sensibilità delle calotte glaciali di Groenlandia e Antartide al CO2 atmosferico (Jouzel et al., 2007); il ruolo dell’insolazione guidata da fattori orbitali (Rohling et al., 2010; Willeit et al., 2019; Yin & Berger, 2015); il fenomeno dell’Amplificazione Artica, ossia il riscaldamento amplificato nelle regioni artiche dovuto alla perdita di ghiaccio marino e ad altri processi, in relazione alla temperatura media globale (Cronin et al., 2017); e la potenzialità di eventi abrupti su scala millenaria durante periodi climatici caldi (McManus et al., 1999). In modo significativo, il MIS 11 è rilevante anche per la comprensione dell’evoluzione climatica durante l’interglaciale Olocenico, in particolare per distinguere tra variabilità climatica naturale e influenza antropogenica sul clima (Palumbo et al., 2019; Ruddiman, 2007).

Il presente studio indaga la paleoceanografia dell’Oceano Artico durante il Marine Isotope Stage 11 (MIS 11) impiegando vari indicatori derivati da carote di sedimenti localizzate principalmente nell’Artico occidentale e centrale (Figure 1 e 2, Tabella 1). Il nostro principale scopo era colmare una significativa lacuna geografica nei record proxy relativi al clima del MIS 11, che potrebbe contribuire alla modellazione paleoclimatica del livello del mare e del clima durante periodi caldi passati (Kleinen et al., 2014; Otto-Bliesner et al., 2017; Raymo & Mitrovica, 2012). Specificamente, ci siamo concentrati sulle seguenti questioni: È avvenuto il massimo calore del MIS 11 nell’Oceano Artico all’inizio dell’interglaciale MIS 11, come durante l’Olocene (MIS 1; Kaufman et al., 2009, 2016; Briner et al., 2016) o piuttosto nella parte mediana o finale del MIS 11 (Rodrigues et al., 2011)? Quali erano le condizioni del ghiaccio marino durante il MIS 11? I record delle Temperature della Superficie del Mare (SST) e dei detriti trasportati dai ghiacci (IRD) indicano l’occorrenza di eventi suborbitali improvvisi che hanno interrotto il MIS 11, similmente agli eventi di Heinrich (HE) che hanno caratterizzato l’ultimo periodo glaciale (MIS 4-MIS 2, da 60 a 18 ka; Bassis et al., 2017)? È possibile associare la paleoceanografia dell’Artico, in particolare le condizioni del ghiaccio marino e l’intensità delle acque atlantiche in ingresso, a quelle nei mari nordici e nell’Oceano Atlantico Nord, alla corrente del Nord Atlantico in flusso verso nord (NAC) e alla Circolazione Meridionale Overturning dell’Atlantico (AMOC) (Sévellec et al., 2017)?

2. Terminologia MIS 11

Prima di procedere, è necessaria una chiarificazione delle seguenti convenzioni terminologiche. La Terminazione Glaciale V (anche denominata Terminazione 5) rappresenta il principale evento di deglaciazione verificatosi durante la transizione MIS 12-MIS 11 ed è utilizzata nel senso tradizionale definito dai record degli isotopi dell’ossigeno nei foraminiferi (Broecker & Van Donk, 1970) e da altre proxy. Alcuni record indicano inversioni suborbitali simili al “Younger Dryas” durante la Terminazione V (Helmke et al., 2005; Kandiano et al., 2012), anche se non esiste una nomenclatura formale per queste. Per quanto riguarda la terminologia delle sottofasi del MIS 11, diversi autori utilizzano termini e definizioni differenti, in parte a causa della natura soggettiva della definizione di periodi glaciali e interglaciali basata sulla scelta di allineare un record proxy a parametri orbitali come la precessione (ad es., Masson-Delmotte et al., 2006; Ruddiman, 2007). L’intero periodo noto come l’interglaciale MIS 11 è datato da circa 424 a 374 ka nello stack di δ18O dei foraminiferi bentonici del mare profondo (Lisiecki & Raymo, 2005). Le sottofasi del MIS 11 sono spesso designate utilizzando notazioni alfabetiche (ad es., MIS 11c e 11b; Voelker et al., 2010; Palumbo et al., 2019) o numeriche (MIS 11.3 per il picco interglaciale e le suddivisioni 11.22, 11.23 e 11.24; Rodrigues et al., 2011). Utilizziamo la notazione numerica per indicare le sottofasi o i periodi stadiali in cui si sono verificati eventi simili agli eventi di Heinrich durante la transizione MIS 11-MIS 10.

Il termine MIS 11c, utilizzato da Kandiano et al. (2007) per designare l’ottimo climatico interglaciale, è stato successivamente precisato come MIS 11c sensu stricto, datato da circa 420 a 398 ka (Kandiano et al., 2012). In un confronto con l’Olocene (MIS 1), Kandiano et al. (2012) hanno inoltre identificato una fase di ottimo climatico precoce da circa 420 a 411 ka e una fase tardiva da circa 411 a 398 ka durante il MIS 11c. Kandiano et al. (2016) hanno riconosciuto condizioni di picco interglaciale nei mari nordici durante il MIS 11c sensu stricto da circa 419 a 400 ka, periodo in cui il foraminifero planctonico subpolare Turborotalita quinqueloba (Natland) coesisteva con la specie polare Neogloboquadrina pachyderma (Ehrenberg; precedentemente denominata N. pachyderma con avvolgimento sinistro (s); vedi Darling et al., 2017).

In termini di flusso di detriti ghiacciati (IRDflux) nelle regioni centrali e orientali dei mari nordici, si osserva un picco di calore tardivo, evidenziato da una fase priva di IRD intorno a 404-406 ka (Kandiano et al., 2016). In uno studio di modellizzazione sul livello del mare nel MIS 11, Raymo e Mitrovica (2012) hanno identificato un picco del livello eustatico del mare tra circa 410 e 400 ka, in sostanziale accordo con i record isotopici marini calibrati orbitalmente e gli apici delle barriere coralline. Come si vedrà in seguito, le differenze terminologiche hanno implicazioni paleoceanografiche legate a variazioni nella temperatura della superficie marina (SST), nel trasporto di ghiaccio, nel flusso di acqua dolce e in altri fattori. Nel nostro studio consideriamo il MIS 11 datato a circa 424-374 ka, basandoci sullo stack δ18O dei foraminiferi bentonici di Lisiecki e Raymo (2005), e identifichiamo il picco interglaciale del MIS 11 come MIS 11.3, circa 410-400 ka.

Infine, i sedimenti quaternari artici includono una zona stratigrafica distintiva dominata dal taxon di foraminiferi planctonici subpolari noto come Turborotalia egelida (Cifelli & Smith). T. egelida potrebbe rappresentare un morfotipo della specie T. quinqueloba (Natland), rendendo necessari ulteriori studi tassonomici ed ecologici per perfezionarne la classificazione (O’Regan et al., 2019). Nonostante ciò, ciò che definiamo “zona egelida” è stata riconosciuta in studi iniziali (Backman et al., 2004; Herman, 1974; Poore et al., 1993) e, più di recente, identificata come ampiamente diffusa nel Bacino Amerasiano (Cronin et al., 2014; Polyak et al., 2013) e nell’Artico centrale (O’Regan et al., 2019).

La zona di egelida si distingue per l’elevata abbondanza di T. egelida (fino al 90% dell’intero assemblaggio; Cronin et al., 2013) e spesso per la presenza di esemplari di dimensioni relativamente ridotte (63–100 μm di diametro), in contrasto con la maggior parte dei sedimenti interglaciali, dominati da Neogloboquadrina pachyderma(s) (Eynaud et al., 2009). Generalmente, lo spessore della zona di egelida varia tra 12 e 63 cm a seconda del tasso di accumulo sedimentario del sito di carotaggio (Tabella 1, vedi sezione 5) e contiene quasi nessun detrito ghiacciato di dimensioni grosse, materiale granulometrico simile alla sabbia in quantità minima e foraminiferi bentonici rari. Sulla base di tutti i dati cronostratigrafici disponibili per ciascuna carota, consideriamo la zona di egelida rappresentativa dell’interglaciale MIS 11. In questa zona, gli esemplari di T. egelida possono essere così abbondanti da costituire l’elemento predominante della litofacies. La presenza del foraminifero planctonico subpolare più conosciuto, T. quinqueloba, è stata osservata anche nei sedimenti datati al MIS 11 sulla Dorsale di Lomonosov e appare intermittente nei sedimenti successivi al MIS 11 (O’Regan et al., 2019). Tuttavia, laddove identificata, la zona di egelida è unica per l’alta abbondanza di questa specie/morfotipo enigmatica e distintiva. L’attuale conoscenza sulla diversità genetica e biogeografia dei foraminiferi planctonici dell’Oceano Artico (Darling et al., 2007, 2017) suggerisce che T. egelida sia un migrante subpolare che penetra nell’Oceano Artico dalle latitudini più basse attraverso la Corrente Nord Atlantica, sia attraverso lo Stretto di Fram orientale che il Mare di Barents. Non si può escludere completamente una migrazione dall’Oceano Pacifico attraverso lo Stretto di Bering. Nel presente studio, consideriamo la zona di egelida come un biomarcatore estremamente utile per identificare l’interglaciale MIS 11 nell’Oceano Artico (vedi Cronin et al., 2013; Marzen et al., 2016).

La Figura 1 mostra una mappa dell’Oceano Artico con particolare enfasi sulle dorsali sottomarine del Northwind Ridge (NWR), del Mendeleev Ridge (MR) e del Lomonosov Ridge (LR). Queste dorsali sono elementi fondamentali della topografia del fondo marino artico e sono di grande interesse scientifico per la comprensione della storia climatica della Terra.

I punti rossi sulla mappa indicano specifici siti dove sono stati prelevati campioni di sedimenti, noti come carote di sedimenti. Queste carote sono estratte dal fondo marino e utilizzate per studiare le variazioni climatiche passate attraverso l’analisi degli isotopi marini presenti nei sedimenti. Gli isotopi marini sono varianti di elementi chimici che hanno un numero diverso di neutroni nel nucleo e sono usati dagli scienziati come traccianti per interpretare le condizioni passate degli oceani, come la temperatura e la salinità.

Lo Stadio Isotopico Marino 11 (Marine Isotope Stage 11, MIS 11) è un periodo particolarmente interessante per gli scienziati poiché rappresenta uno degli interglaciali più caldi degli ultimi 500.000 anni. Studiare questo periodo può fornire informazioni critiche sul comportamento del sistema climatico terrestre in condizioni più calde rispetto a quelle attuali, offrendo prospettive importanti sull’attuale cambiamento climatico antropogenico.

La mappa è basata sul International Bathymetric Chart of the Arctic Ocean (IBCAO), che è la rappresentazione più accurata della batimetria (profondità e forma del fondale marino) dell’Artico. La versione 3 del grafico, citata nella legenda della mappa, utilizza dati raccolti da varie spedizioni scientifiche per creare un modello ad alta risoluzione del fondale marino. La scala di colore sulla mappa indica la profondità, con le aree più scure che rappresentano le profondità maggiori e le aree più chiare che indicano le acque più basse.

In sintesi, questa mappa è uno strumento per i ricercatori per localizzare e correlare i dati raccolti dalle varie spedizioni scientifiche al fine di studiare le variazioni climatiche e oceanografiche durante il MIS 11. Le informazioni raccolte da questi siti contribuiscono a una migliore comprensione dei modelli di circolazione oceanica, dei cambiamenti dei ghiacci marini e dei processi climatici a lungo termine.

La Figura 2 rappresenta una sezione trasversale delle profondità dell’Oceano Artico e delle temperature associate, basata sui dati del World Ocean Atlas 2013 e visualizzata attraverso l’uso del software Ocean Data View (ODV).

Ecco una descrizione dettagliata di ciò che la figura mostra:

  1. Asse Verticale (Profondità dell’Acqua): Il grafico mostra la profondità dell’acqua in metri, con la superficie dell’acqua in alto (0 m) e il fondo marino verso il basso (fino a 5000 m). Questo fornisce una rappresentazione della colonna d’acqua e del rilievo del fondale marino lungo una trasversale nell’Oceano Artico.
  2. Asse Orizzontale (Distanza): Indica la distanza in chilometri lungo la sezione trasversale, che si estende attraverso diverse caratteristiche geografiche dell’Oceano Artico, presumibilmente da una costa all’altra o attraverso specifici punti di interesse.
  3. Colorazione e Temperatura: I colori rappresentano la temperatura dell’acqua in gradi Celsius, come indicato dalla barra dei colori sulla destra. I colori freddi (blu) indicano temperature più basse, mentre i colori caldi (rosso) indicano temperature più elevate. Questo mostra come la temperatura varia con la profondità e attraverso differenti regioni dell’oceano.
  4. Punti di Interesse: Sono etichettate diverse caratteristiche geografiche e dorsali sottomarine, come il Gakkel Ridge (una dorsale medio-oceanica nell’Oceano Artico) e le aree designate come AAW (Acqua Atlantica Calda), ABW (Acqua di Fondo dell’Atlantico) e EBDW (Acqua di Fondo Profonda dell’Eurasia).
  5. Caratteristiche Oceanografiche:
    • AAW (Acqua Atlantica Calda): È la massa d’acqua più calda che fluisce nell’Artico dall’Atlantico, il che ha un impatto significativo sulla temperatura dell’oceano e sulla distribuzione del ghiaccio marino.
    • ABW (Acqua di Fondo dell’Atlantico): Indica l’acqua di fondo fredda e densa che si forma nelle regioni polari e si muove lungo il fondale oceanico.
    • EBDW (Acqua di Fondo Profonda dell’Eurasia): È un’altra massa d’acqua di fondo che può avere proprietà distinte a seconda della sua origine e dei processi di mescolamento.

La figura è un esempio classico di come i dati oceanografici vengono visualizzati per esaminare la struttura termica dell’oceano e per comprendere meglio la circolazione oceanica, i cambiamenti climatici, e altri processi fisici. Le informazioni presentate in questa sezione trasversale sono vitali per gli scienziati che studiano l’ambiente artico e le sue risposte ai cambiamenti globali.

Materiali e Metodi

3.1. Carote di Sedimento e Contesto Oceanico Sono state analizzate dodici carote pistonate; sei di queste hanno fornito nuovi record degli isotopi stabili dei foraminiferi bentonici (δ18Ob) (Figura 1, Tabella 1). In aggiunta, sono state esaminate due carote scatola e una carote a grilletto per gli isotopi di ossigeno dei foraminiferi bentonici (δ18Ob) relativi agli ultimi circa 40.000 anni. La selezione delle carote è stata basata sulla conservazione di proxy faunistici e geochimici, sulla stratigrafia e cronologia delle carote, e sulla loro ubicazione nelle masse d’acqua intermedia e profonda sui Dorsali di Northwind, Mendeleev e Lomonosov (Schlitzer, 2016, Figura 2).

3.2. Cronologia

Esiste una vasta bibliografia sulla stratigrafia litologica, biologica e cronologica su scala orbitale del Quaternario nei sedimenti artici, che include studi sui foraminiferi planctonici (Poore et al., 1993), sulle proprietà fisiche (colore, granulometria e densità complessiva; O’Regan et al., 2008), sugli isotopi dell’ossigeno (Polyak et al., 2004; Spielhagen et al., 2004), sui livelli di manganese (Jakobsson et al., 2000; Löwemark et al., 2014), sulle concentrazioni degli elementi (calcio) (Wang et al., 2018) e sulla densità dei microfossili (un indicatore della produttività biologica) (Marzen et al., 2016; Wollenburg et al., 2007), tra gli altri. Molti studi adottano un approccio ciclostratigrafico completato dalla biostratigrafia per correlare e datare i sedimenti troppo antichi per la datazione con il radiocarbonio. Le sintesi biostratigrafiche dei sedimenti artici che utilizzano nannofossili calcarei, foraminiferi planctonici e bentonici, e ostracodi sono disponibili in Backman et al. (2009), Stein et al. (2010), Polyak et al. (2013), Cronin et al. (2014), e nelle relative referenze. Ulteriori dati cronologici provengono dalla racemizzazione degli aminoacidi (Kaufman et al., 2008), dalla datazione con lo stronzio (Dipre et al., 2018) e dalla luminiscenza stimolata otticamente (Jakobsson et al., 2003). La magnetostratigrafia è stata inoltre tentata nei sedimenti artici (rivista in Xuan & Channell, 2010), ma le complicazioni dovute a inversioni spontanee e a deviazioni anomale ne hanno precluso l’uso come strumento cronologico (Channell & Xuan, 2009). Il nostro metodo ha previsto l’utilizzo della datazione al radiocarbonio degli strati superficiali delle carote, da 10 a 30 cm, provenienti da carote scatola e multicore (vedi Poirier et al., 2012), due importanti marker foraminiferici, Bolivina aculeata (una specie predominante in MIS 5a, circa 80.000 anni fa, riassunto in Cronin et al., 2014) e la specie planctonica Turborotalita egelida (già discussa, circa 400.000 anni fa; O’Regan et al., 2019), e la ciclostratigrafia basata sulla densità dei microfossili calcarei (foraminiferi bentonici, ostracodi; Marzen et al., 2016). A causa dei tassi di sedimentazione altamente variabili durante i cicli glaciali e interglaciali, abbiamo sviluppato modelli di età-profondità per ogni carota utilizzando punti di riferimento foraminiferici e i confini delle Marine Isotope Stages (MIS) identificati dalla densità microfaunistica. Questi modelli di età sono illustrati nella Tabella 2 e nelle Figure Supplementari S1. La zona di egelida nell’Oceano Artico, che abbiamo identificato in tutte le carote in esame, ci ha permesso di allineare i record proxy di diverse carote artiche e di correlarli con i record delle acque nordiche e dell’Atlantico settentrionale.

3.3 Densità di Microfossili Calcarei e Produttività

L’Indice di Produttività Artica (API) è una composizione “impilata” costruita utilizzando i dati di densità di foraminiferi bentonici e ostracodi (specimen per grammo di sedimento per kiloanno) da 14 carote, ognuna con il proprio modello d’età. L’impilamento API è stato generato allineando e raggruppando i record di microfossili a un record target ad alta risoluzione e generando un modello d’età per il record impilato allineandolo allo stack di isotopo dell’ossigeno dei foraminiferi bentonici LR04 (δ18Ob). Questo metodo è stato discusso in dettaglio da Marzen et al. (2016). Il gruppo di carote copre le latitudini da 74,6 a 87,1° N e profondità d’acqua da 700 a 1900 m, campionando principalmente l’Acqua Intermedia dell’Artico (AIW) nel settore occidentale e centrale dell’Artico. La produttività bentonica può essere misurata utilizzando i tassi di accumulo di ostracodi e foraminiferi bentonici, che sono strettamente collegati alla produttività della superficie oceanica e al flusso alimentare (Marzen et al., 2016; Wollenburg et al., 2004, 2007).

Nello studio di Marzen et al. (2016), per la prima volta sono stati creati impilamenti API, uno per i foraminiferi, uno per gli ostracodi e uno combinato per foraminiferi e ostracodi. Poiché l’obiettivo dello studio iniziale era esaminare la variabilità su scala orbitale, i valori sono stati impilati in bin da 2,5 cm per un record target con un tasso di sedimentazione di circa 0,5–2,5 cm/ka, limitando la risoluzione temporale a eventi su scale temporali superiori a circa 5 kyr. Per il presente studio, abbiamo creato record ad alta risoluzione utilizzando bin più piccoli (ovvero, 0,5, 1, 1,5 e 2 cm) per le curve impilate al fine di esaminare pattern suborbitali.

3.4. δ¹⁸O dei Foraminiferi Bentici

Cinque specie di foraminiferi bentici sono state selezionate per le analisi isotopiche stabili: Cassidulina teretis, Oridosalis tener, Cibicidoides wuellerstorfi, Pullenia bulloides e Cassidulina reniforme. I foraminiferi sono stati raccolti con un pennello, e la conservazione visiva di ciascun esemplare è stata valutata su una scala da 1 (trasparente) a 4 (segni visivi di alterazione, inclusi ricristallizzazione e aggiunta di rivestimenti minerali autigenici). Tra queste specie, le tre più abbondanti (C. teretis, O. tener e C. wuellerstorfi) sono state utilizzate per costruire il record composito preliminare presentato in questo studio. Approfondimenti sull’ecologia e la tassonomia dei foraminiferi bentici sono forniti in lavori precedenti di Wollenburg e Mackensen (1998), Osterman et al. (1999), Scott et al. (2008), Seidenstein et al. (2018) e Cronin et al. (2019).

In totale, sono state ottenute 326 analisi degli isotopi dell’ossigeno, di cui 317 riguardano le tre specie più comuni; questi dati sono stati impiegati per sviluppare uno stack composito di δ¹⁸Oᵦ esteso fino a 500 ka (vedere le informazioni supplementari). Per ciascuna analisi isotopica stabile è stato utilizzato un minimo di circa 30 μg di calcite foraminifera (circa 2–8 esemplari individuali). Delle 256 analisi isotopiche stabili, sono state condotte presso l’Istituto Politecnico Rensselaer utilizzando uno spettrometro di massa a doppio ingresso Isoprime. Diciannove valori di δ¹⁸Oᵦ relativi a C. wuellerstorfi provenienti dal nucleo scatenante HLY-0205-18tc sono stati misurati su un Thermo Delta V+ con dispositivo Kiel IV presso l’Osservatorio della Terra Lamont-Doherty (LDEO). Altri 46 valori di δ¹⁸Oᵦ su C. wuellerstorfi dai nuclei scatola AOS94-B16 e AOS94-B17 sono stati precedentemente misurati su un Finnigan MAT252 con dispositivo Kiel presso l’Istituto Oceanografico di Woods Hole da Poore et al. (1999) e sono inclusi in questo studio. Tutte le misure sono espresse in notazione delta rispetto al Vienna Pee Dee Belemnite (VPDB), corrette per lo standard NBS19, con una precisione analitica media di ±0.05‰ (1σ) per le misurazioni da LDEO e l’Istituto Oceanografico di Woods Hole e di ±0.08‰ (2σ) per quelle effettuate presso l’Istituto Politecnico Rensselaer, relative a δ¹⁸Oᵦ.

Utilizzando le correzioni per effetti vitali pubblicate (Hoogakker et al., 2010; Kristjánsdóttir et al., 2007), e i risultati ottenuti dai nostri dati, i valori isotopici stabili di C. teretis (denominata C. neoteretis da alcuni autori; si veda Cronin et al., 2019) e O. tener sono stati corretti per allinearli a quelli di C. wuellerstorfi, che forma il suo guscio in equilibrio termodinamico con l’acqua marina circostante a temperature basse (Bemis et al., 1998). I valori isotopici corretti sono stati impiegati per compilare un record composito, poi calibrato su Uvigerina applicando un aggiustamento costante di +0.64‰ (Duplessy et al., 1984; Duplessy et al., 2002; Shackleton & Opdyke, 1973). A fronte di correzioni per effetti vitali contrastanti adottate in altri studi su C. teretis, abbiamo ricorso ad analisi accoppiate di C. wuellerstorfi e C. teretis per valutare i valori di correzione disponibili (Poole et al., 1994; Kristjánsdóttir et al., 2007; Groot et al., 2014; Chauhan et al., 2015). Le nostre analisi accoppiate hanno rivelato un offset medio di δ¹⁸Oᵦ di +0.45 ± 0.2‰ per C. teretis rispetto a C. wuellerstorfi, in linea generale con la correzione per effetto vitale (0.504‰) determinata da Kristjánsdóttir et al. (2007); vedi anche Lubinski et al., 2001). Di conseguenza, abbiamo applicato una correzione di -0.504‰ ai valori degli isotopi stabili di C. teretis, sottolineando che sono necessari ulteriori studi sugli offset di δ¹⁸Oᵦ nelle specie bentoniche (Bauch et al., 2011; Bauch & Erlenkeuser, 2003).

3.5. Altri Metodi Proxy

Oltre allo stack di produttività delle API e ai nuovi record δ^18O_b, questo articolo incorpora record proxy della temperatura dell’acqua di fondo (BWT) basati sulla paleotermometria del magnesio/calcio (Mg/Ca) degli ostracodi (Cronin et al., 2012, 2017; Farmer et al., 2012), la copertura del ghiaccio marino basata sull’abbondanza di una specie di ostracodo epipelagico (Acetabulastoma arcticum; Cronin et al., 2010, 2013), e taxa di ostracodi bentonici che sono dominanti nelle acque moderne AIW e AODW (Cronin et al., 2014; Poirier et al., 2012). I risultati per ciascun record proxy sono discussi nella sezione 5.

  1. L’Interglaciale MIS 11 4.1. Record Globali dell’MIS 11 Come contesto, la Figura 3 presenta record “globali” degli ultimi 800 ka per fornire un contesto nell’esaminare l’interglaciale MIS 11. La Figura 3a è il record combinato di CO2 atmosferica da vari carotaggi di ghiaccio antartico che mostra (1) l’incremento di circa 40 ppmv nei livelli di CO2 interglaciale da MIS 13 a MIS 11, durante l’Evento Mid-Brunhes (MBE), approssimativamente 450 a 350 ka, e (2) i livelli elevati sostenuti di CO2 interglaciale simili a quelli preindustriali (a o appena sotto 280 ppmv) durante il MIS 11, da 425 a 398 ka. Queste concentrazioni di CO2 dell’MIS 11, che utilizzano il modello di età di Yin e Berger (2015), rimangono relativamente alte per una durata più lunga rispetto a periodi più brevi di CO2 simile a quella preindustriale durante interglaciali più recenti.

La Figura 3b mostra la curva della temperatura antartica derivata dalle misurazioni dell’eccesso di deuterio dal carotaggio EPICA Dome C (Jouzel et al., 2007), che, sebbene non sia strettamente un proxy di temperatura globale, mostra comunque un andamento simile alla curva della CO2 e viene considerato un indicatore generale dei cambiamenti climatici dell’emisfero meridionale. Il record di deuterio durante la transizione MIS 11-MIS 10 mostra chiaramente fluttuazioni di temperatura simili a stadiali durante MIS 11.3, 11.2 e 11.1, che sono di ampiezza minore ma simili agli eventi Dansgaard-Oeschger dell’ultimo ciclo glaciale.

La curva marina δ18Ob (LR04; Lisiecki & Raymo, 2005; vedi anche Spratt & Lisiecki, 2016), che è un “stack” composito costruito da 57 record di δ18O di foraminiferi bentonici provenienti da carote sedimentarie marine, è mostrata nella Figura 3c. Le oscillazioni in δ18Ob in LR04 rappresentano gli effetti combinati del volume globale di ghiaccio terrestre e delle fluttuazioni della temperatura del fondo del mare profondo su scale temporali orbitali. La curva mostra il familiare modello a dente di sega dei cicli climatici di “100-kyr” degli ultimi 800 ka, una diminuzione costante di δ18Ob durante la transizione MIS 12-MIS 11 (Terminazione V), e variazione minima durante l’interglaciale MIS 11.

Il δ18Ob può essere convertito in δ18seawater quando viene corretto per i cambiamenti nella temperatura dell’acqua di fondo (BWT) utilizzando la paleotermometria Mg/Ca. Elderfield et al. (2012) hanno realizzato una tale ricostruzione presso il Sito ODP 1123 sulla Cresta di Chatham (Figura 3d). Il record di δ18O_acqua marina di Elderfield rappresenta una curva globale del livello del mare/volume dei ghiacci e, a differenza dello stack LR04, mostra una grande variabilità simile a quella stadiale durante la transizione MIS 11-MIS 10. Rohling et al. (2009, 2010) hanno mostrato anche una variabilità suborbitale nel livello del mare/volume dei ghiacci durante la transizione MIS 12-MIS 11 basata su δ18O_acqua marina costruito dai δ18O dei foraminiferi planctonici del Mar Rosso (vedi anche Rohling et al., 2014). Questi tipi di eventi suborbitali sono osservati anche nei record artici discussi di seguito.

(a) pCO2 Antartico: I dati di CO2 sono espressi come parti per milione (ppm) e sono ottenuti da misurazioni dirette nei carotaggi del ghiaccio. Il simbolo “p” sta per “partial pressure” (pressione parziale), e l’apice “CO2” indica che si tratta di biossido di carbonio. Non ci sono deponenti in questo caso.

(b) Record di Deuterio Antartico EPICA: Il deuterio, simboleggiato con “D” o “²H”, viene utilizzato per dedurre le variazioni di temperatura. Non ci sono esponenti o deponenti associati al deuterio nel contesto di questa discussione, tranne il “²” che indica l’isotopo del deuterio.

(c) Stack Isotopico di δ18O dei Foraminiferi Bentalici LR04: Qui, “δ” rappresenta la differenza o la variazione del rapporto isotopico rispetto a un valore di riferimento standard. L’apice “18” indica l’isotopo dell’ossigeno-18, e “O” sta per ossigeno. Il simbolo “δ18O” viene usato per indicare il rapporto isotopico dell’ossigeno nei foraminiferi, e la variazione in questo rapporto è correlata ai cambiamenti climatici passati.

(d) δ18Oseawater: Analogamente a (c), “δ18O” indica la variazione nel rapporto isotopico dell’ossigeno-18 rispetto a un valore standard, ma questa volta nell’acqua marina. Il “δ18Oseawater” è utilizzato come un indicatore dei cambiamenti storici nel volume del ghiaccio e nelle temperature oceaniche.

In queste misurazioni, gli esponenti (apici) e i deponenti (pedici) hanno significati specifici e importanti per interpretare i dati chimici e isotopici. Gli apici (come in “CO2” e “δ18O”) sono utilizzati per specificare particolari isotopi o molecole, mentre i pedici sono spesso utilizzati per fornire ulteriori informazioni su una misurazione (come in “δ18Ocalcite”, dove “calcite” sarebbe in pedice per specificare che il rapporto isotopico è misurato nella calcite).

4.2. Record Marini del Nord Atlantico e dei Mari Nordici di MIS 12-MIS 10

La corrente calda e salina del Nord Atlantico (NAC), che fluisce verso il vero cuore dell’Oceano Artico attraverso lo Stretto di Fram orientale e il Mare di Barents, svolge un ruolo cruciale nel trasporto di calore dall’equatore verso il polo e nella circolazione meridionale atlantica di rivolgimento (AMOC). Dopo il suo ingresso nell’Artico, la NAC si immerge formando il cosiddetto Strato Atlantico Subsuperficiale (AL), che circola all’interno del bacino centrale dell’Oceano Artico. Questo strato rappresenta una fonte essenziale di calore, trovandosi al di sopra dell’Acqua Superficiale Polare e al di sotto dell’Acqua Intermedia Atlantica (AIW) e dell’Acqua Profonda dell’Oceano Artico (AODW) (Rudels, 2015). La variabilità nella temperatura e salinità della NAC e la forza dell’AMOC influenzano l’AL, così come l’AIW superiore, risultando quindi determinanti per correlare gli eventi suborbitali nelle due regioni (Bauch, 2013).

Diverse ricostruzioni paleoceanografiche ad alta risoluzione della regione dell’Atlantico Nord e dei Mari Nordici evidenziano notevoli cambiamenti ad alta ampiezza nelle acque di origine della NAC. McManus e colleghi (1999) hanno dimostrato per primi, al sito ODP 980 nell’Atlantico Nord subpolare, che significative variabilità suborbitali si sono verificate negli ultimi 500.000 anni quando le calotte glaciali hanno raggiunto dimensioni critiche. Questa variabilità è stata in seguito confermata da Helmke e Bauch (2003), Kandiano e Bauch (2007), e Kandiano e colleghi (2016) per i Mari Nordici, e nelle medie latitudini del nord-est dell’Atlantico Nord da Voelker e colleghi (2010), Rodrigues e colleghi (2011), Doherty e Thibodeau (2018), e Kandiano e colleghi (2017).

La Figura 4 illustra diversi di questi record proxy per il periodo che va da MIS 12 a MIS 10 (450 a 350 ka), disposti da nord (in alto, pannello 4a) a sud (in basso, pannello 4j). Questi record evidenziano che i Detriti Iceberg (IRD) aumentano tipicamente durante le escursioni degli eventi simili a Heinrich sia nelle transizioni MIS 12-MIS 11 che MIS 11-MIS 10, sia nei mari Nordici (nucleo MD99-2277) che nell’Atlantico Nord (nuclei M23414, U1313 e nucleo U1308; Hodell et al., 2008). In secondo luogo, tutte le curve si mantengono relativamente piatte durante il picco interglaciale di MIS 11, da 410 a 400 ka, riflettendo un clima relativamente stabile con quasi nessun IRD, alte Temperature della Superficie del Mare (SST) derivate dagli alchenoni (MD03-2669) e δ18O dei foraminiferi planctonici (MD99-2277, ODP 980, U1313), e un’alta abbondanza di N. pachyderma (M23414). Tutti i record di δ18O bentonici (ODP 980, M23414 e U1313), che probabilmente registrano variazioni nella temperatura del fondo marino o nella forza della circolazione di rivolgimento, mostrano un andamento simile da glaciale a interglaciale con una rapida diminuzione di circa 1,8‰ a 2‰ da MIS 12 a MIS 11 e un incremento progressivo durante MIS 11 a MIS 10.

Prese nel loro insieme, queste registrazioni indicano che la variabilità suborbitale legata ai processi glaciali e alla circolazione oceanica sono state caratteristiche fondamentali sia durante la Terminazione V che nella transizione MIS 11-10 nelle regioni dei mari Nordici e dell’Atlantico Nord. Gli eventi freddi suborbitali transitori durante la Terminazione V erano probabilmente scatenati da afflussi di acqua dolce derivanti dallo scioglimento dei ghiacciai, forse della calotta glaciale della Groenlandia, e hanno influenzato gli strati d’acqua di superficie, a media profondità e più profondi, così come l’AMOC (Kandiano et al., 2017). Analogamente, durante la transizione verso il periodo glaciale di MIS 10, iniziando circa 395 ka, si sono verificati multipli cicli di raffreddamento/riscaldamento che riflettono un AMOC indebolito, simili a quelli osservati negli eventi di Heinrich durante l’intervallo MIS 5a-MIS 3 (Voelker et al., 2010).

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