https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2015JD023488
In questo studio introduciamo un nuovo approccio per determinare i confini dei vortici polari mesosferici, attraverso una definizione basata sulla chimica piuttosto che sulla dinamica del vento. Questa metodologia si rivela particolarmente utile nella mesosfera, una regione in cui le misurazioni dei venti sono rare e quelle rianalizzate risultano spesso non affidabili. Un vantaggio notevole della nostra definizione chimica è la sua indipendenza dai fenomeni dei doppi getti, che altrimenti complicherebbero l’identificazione dei vortici in questa zona dell’atmosfera.
Il cuore del nostro metodo consiste nell’analizzare i gradienti orizzontali del monossido di carbonio (CO), seguendo un principio simile a quello utilizzato per la definizione dei bordi dei vortici nella stratosfera, che si basa sui gradienti di vorticità potenziale (PV). Abbiamo applicato questa nuova definizione per mappare il vortice artico nella mesosfera, utilizzando i dati raccolti dal Microwave Limb Sounder nel periodo 2004-2014. Inoltre, abbiamo confrontato le dimensioni e le forme dei vortici ottenuti tramite i metodi basati sul CO e sul PV, laddove le due metodologie si sovrappongono nella stratosfera superiore.
Un caso di studio specifico, relativo all’inverno 2008-2009 nell’emisfero nordico, mette in luce l’efficacia del nostro metodo basato sui gradienti di CO, mostrando come esso resti fedele nella rappresentazione dei vortici singoli giorni e sottolineando l’impatto dei doppi getti sulla tradizionale identificazione dei vortici polari.
Sulla base dei nostri risultati, suggeriamo di passare da una definizione dei vortici basata sulla vorticità potenziale o sulla funzione di flusso nella stratosfera, a una definizione basata sui gradienti di CO per le regioni al di sopra degli 0,1 hPa (circa 60 km di altitudine). Questo approccio permette di individuare una regione coesa ad alta concentrazione di CO a circa 80 km di altitudine, confinata alle latitudini medie e alte per il 99,8% del tempo durante l’inverno artico. L’adozione di questa metodologia basata sul gradiente di CO per l’identificazione del vortice polare consente di estendere di circa 20 km l’area in cui le informazioni sul vortice sono considerate affidabili, raggiungendo i 80 km di altitudine in una zona atmosferica dove i dati rianalizzati presentano il maggior grado di incertezza.
1. Introduzione
Nella stratosfera polare invernale, un imponente ciclone circolare, noto come “vortice polare”, domina la circolazione atmosferica. Questo fenomeno nasce dalla riduzione dell’insolazione solare e la sua grandezza e forma giocano un ruolo cruciale nell’influenzare l’estensione della perdita di ozono polare. Le perturbazioni all’interno del vortice creano una connessione verticale tra la stratosfera, la troposfera sottostante e la mesosfera sovrastante, evidenziando l’importanza di questi fenomeni per l’intero sistema climatico terrestre. Tradizionalmente, il bordo del vortice polare viene associato al getto polare notturno occidentale, e le sue caratteristiche climatiche nella stratosfera sono ben documentate e studiate.
Per demarcare il vortice polare nella stratosfera inferiore, si è ampiamente ricorso al concetto di vorticità potenziale (PV). Allo stesso modo, nella stratosfera superiore, sono stati sviluppati e applicati con successo metodi di identificazione basati sulla funzione di corrente, su diagnostici ellittici e su momenti del vortice. Nonostante l’alta affidabilità di queste metodologie, la documentazione sull’estensione verticale del vortice polare nella mesosfera e sulla sua estensione spaziale al di sopra della stratopausa rimane limitata.
L’approccio tradizionale per definire il vortice, basato sui dati di rianalisi meteorologica e sui venti orizzontali, incontra notevoli difficoltà quando esteso alla mesosfera. Questo è dovuto agli errori significativi nei dati rianalizzati, causati dalla mancanza di dati assimilati e dalla presenza di variabilità rapide e su piccola scala, come le onde di gravità, le maree e la turbolenza. Queste limitazioni diventano particolarmente evidenti durante gli eventi di stratopausa elevata, quando le rianalisi falliscono nel catturare le strutture termiche su larga scala osservate al di sopra dei ~50 km.
Un ulteriore ostacolo all’identificazione del vortice nella mesosfera è rappresentato dalle strutture a doppio getto, che complicano l’applicazione delle diagnostiche basate sul vento. Di fronte a queste sfide, emerge la necessità di sviluppare un’alternativa alla diagnostica dinamica basata sul vento. In questo contesto, ci basiamo sul lavoro di McDonald e Smith per introdurre un approccio innovativo che utilizza il monossido di carbonio (CO) per caratterizzare il vortice polare mesosferico, offrendo una nuova prospettiva sull’analisi di questo importante fenomeno atmosferico.
È ampiamente riconosciuto che il vortice polare funge da meccanismo efficiente per la discesa dell’aria mesosferica nella stratosfera invernale. Questo processo, unito a una miscelazione limitata ai margini del vortice, crea notevoli gradienti dei traccianti atmosferici proprio lungo il confine del vortice. In questo studio, ci avvaliamo della ben nota capacità del monossido di carbonio (CO) di agire come tracciante atmosferico per esplorare l’estensione spaziale e la variabilità del vortice mesosferico.
Nel periodo invernale, l’aria all’interno del vortice diventa chimicamente distinta rispetto a quella esterna, a causa della discesa di aria ricca di CO da altitudini maggiori, che si traduce in rapporti di miscelazione del CO più elevati all’interno del vortice stesso. Basandoci sul lavoro precedente di Sparling e ampliandolo, abbiamo condotto un’analisi statistica delle misurazioni del CO per verificare se le masse d’aria all’interno del vortice fossero chimicamente distinte da quelle presenti a latitudini inferiori. È emerso che le funzioni di distribuzione di probabilità del CO nell’emisfero sono bimodali nella stratosfera e nella mesosfera invernali, con un picco che rappresenta i bassi rapporti di miscelazione del CO fuori dal vortice e un altro che indica i rapporti elevati all’interno di esso. Questo carattere bimodale è stato utilizzato per definire una metrica di distinzione chimica, che varia da 0 a 1, dove valori compresi tra 0 e 0.33 indicano una netta distinzione chimica, permettendo di differenziare l’aria interna al vortice da quella esterna basandosi esclusivamente sui loro diversi rapporti di miscelazione di CO.
A differenza dei precedenti studi che identificavano l’aria del vortice basandosi sulla forma della distribuzione di probabilità del CO, il nostro approccio mira a identificare il bordo del vortice attraverso l’osservazione dei massimi gradienti orizzontali di CO, offrendo una nuova prospettiva per la comprensione delle dinamiche del vortice polare.
Il metodo MS13 è stato ideato come un criterio conservativo per definire il vortice polare, mostrandosi particolarmente efficace nell’identificare esclusivamente il nucleo interno del vortice, e non l’intera area isolata dal getto polare notturno. L’approccio che adottiamo, basato sui gradienti di monossido di carbonio (CO), deriva dalla tendenza di questi ultimi a allinearsi con i flussi a getto, offrendo così un metodo fisicamente significativo per delimitare l’estensione geografica dell’aria con caratteristiche chimiche distintive. Questo approccio si rivela particolarmente utile quando il vortice appare di dimensioni ridotte e la distribuzione probabilistica (PDF) del CO non evidenzia un picco chiaro per alte concentrazioni di CO, situazione in cui il criterio di distinzione chimica di MS13 non viene soddisfatto.
Per superare queste limitazioni, abbiamo elaborato un nuovo metodo che, pur basandosi sui rapporti di miscelazione del CO simili al metodo di MS13, non si affida esclusivamente alla PDF statistica, ma considera anche la distribuzione spaziale del CO. Questo nuovo approccio, che definiamo metodo del gradiente di CO, sfrutta i gradienti spaziali delle concentrazioni di CO per definire il bordo del vortice. Tale metodo consente non solo di ottenere una definizione robusta della massa d’aria del vortice nei casi in cui il criterio di MS13 è rispettato, ma anche nei casi in cui il vortice è di dimensioni contenute e il criterio di distinzione chimica di MS13 non viene incontrato.
La seconda sezione del nostro lavoro dettaglia le analisi meteorologiche e le osservazioni satellitari su cui si basa lo studio. La terza sezione introduce l’algoritmo basato sul gradiente di CO, distinguendolo dagli algoritmi precedenti di Nash et al. [1996] e MS13. Nella quarta sezione, confrontiamo il vortice identificato attraverso il gradiente di CO con quello definito mediante la funzione di corrente nella stratosfera superiore e mesosfera artica, scegliendo di non includere l’analisi dell’Antartico per mantenere il focus sulla presentazione della tecnica, sebbene l’algoritmo si dimostri efficace anche nell’emisfero meridionale, con prospettive di future analisi comparative interemisferiche. La quinta sezione illustra uno studio di caso che evidenzia l’efficacia della definizione del gradiente di CO su base giornaliera, e discute l’importante impatto delle strutture a doppio getto nella mesosfera sulla configurazione del vortice. Le conclusioni, presentate nella sesta sezione, chiudono il lavoro.
2. Dati Satellitari e Meteorologici
2.1. Microwave Limb Sounder
Per identificare l’aria all’interno del vortice polare, abbiamo utilizzato i dati di monossido di carbonio (CO) forniti dal Microwave Limb Sounder (MLS) a bordo del satellite Aura del Sistema di Osservazione della Terra della NASA. Questi dati sono stati impiegati sia nell’applicazione dell’algoritmo MS13 che nella nuova metodologia basata sul gradiente di CO che descriveremo. Aura è stato messo in orbita il 15 luglio 2004, seguendo un percorso polare sincronizzato con il sole. Il MLS, un radiometro, capta le emissioni microonde termiche dalla bordatura terrestre, coprendo quotidianamente un’area tra gli 82°S e gli 82°N. Ogni giorno sono misurati quasi 3500 profili verticali, distribuiti su 120 altitudini tangenziali e separati da un angolo di 1,5° in grande cerchio lungo la traiettoria orbitale. Per questo studio, abbiamo utilizzato i dati CO versione 3.3. Il CO è estratto dalle radianze alla linea spettrale di 230,538 GHz, con dati ritenuti scientificamente validi tra i 215 hPa e i 0.0046 hPa; specificatamente, ci siamo concentrati sul range verticale da 10 hPa a 0.01 hPa, equivalente a circa 30 km a 80 km di altitudine. La risoluzione verticale dei dati CO varia da 3,5 km a 5 km nella stratosfera e bassa mesosfera, fino a 6 km intorno agli 80 km. Studi comparativi tra le misurazioni di MLS, ACE-FTS e ODIN-SMR rivelano un bias positivo del 25-50% per il CO di MLS nella mesosfera. Il metodo che introdurremo si basa sui gradienti orizzontali di CO, minimizzando quindi l’incidenza di tali bias. I dati sono filtrati seguendo criteri di stato, qualità, soglia e convergenza definiti dal team scientifico di MLS. I profili giornalieri di CO di MLS sono interpolati in mappe tridimensionali con una risoluzione orizzontale di 2,5° in latitudine per 3,75° in longitudine, attraverso una triangolazione spaziale di Delaunay, riducendo il rumore spaziale mediante una smussatura ponderata inversamente alla distanza.
Il bilancio di CO nella mesosfera deriva dalla sua produzione attraverso la fotodissociazione di CO2 e dalla sua perdita per ricombinazione chimica con OH. Poiché entrambi i processi di fotodissociazione di CO2 e di produzione di OH necessitano di luce solare, il CO rappresenta un tracciante efficace dei movimenti atmosferici nella stratosfera e mesosfera polari invernali. È importante notare che durante gli equinozi, al di sotto dello 0.1 hPa, il CO non si mantiene costante, suggerendo cautela nell’interpretare i gradienti di CO come indicatori del limite del vortice durante la sua formazione e nel riscaldamento finale di primavera. Il nostro focus si concentra sull’inverno polare, periodo in cui il CO ha una lunga durata e i suoi ampi gradienti orizzontali possono essere interpretati come confini tra masse d’aria chimicamente distinte.
2.2. Analisi Retrospettiva dell’Era Moderna per Ricerca e Applicazioni
L’Analisi Retrospettiva dell’Era Moderna per Ricerca e Applicazioni, meglio conosciuta con l’acronimo MERRA, rappresenta una pietra miliare nel campo della climatologia e della meteorologia. Questo avanzato sistema di rianalisi globale abbraccia un’estesa gamma altitudinale, dalla superficie terrestre fino alla mesosfera superiore, offrendo una panoramica senza precedenti delle dinamiche atmosferiche.
Gli autori Rienecker et al., nel 2011, hanno fornito un’esaustiva descrizione del sistema MERRA, mettendo in luce la sua capacità di assimilare osservazioni e valutare con precisione le prestazioni dei modelli. Attraverso l’utilizzo di variabili standard e una griglia orizzontale dettagliata, MERRA permette di analizzare con grande accuratezza fenomeni atmosferici complessi.
In questo contesto, l’identificazione dell’aria dei vortici polari emerge come una delle applicazioni più significative. Utilizzando algoritmi sviluppati da Nash et al. nel 1996 e da Harvey et al. nel 2002, si è riusciti a mappare la vorticità potenziale e le funzioni di corrente atmosferica con un dettaglio senza precedenti. Questi metodi hanno permesso di definire con nuova precisione i confini del vortice polare, sia nella stratosfera che nella mesosfera.
L’interpolazione dei dati giornalieri su una griglia di 2° per 2,5° e su livelli di temperatura potenziale da 300 a 4600 K ha aperto nuove frontiere nella comprensione delle dinamiche verticali atmosferiche. La scelta di questi specifici livelli di temperatura potenziale ha garantito una risoluzione verticale di circa 2 km, essenziale per studiare i fenomeni nella stratosfera superiore e nella mesosfera inferiore.
L’approccio innovativo di definire il vortice polare mediante il calcolo della vorticità potenziale e l’uso della funzione di corrente ψ ha evidenziato differenze significative tra i metodi tradizionali e quelli più recenti, specialmente in condizioni di stabilità statica ridotta causata da anomalie calde polari. Queste ultime, influenzate dalle onde di gravità, limitano l’efficacia della vorticità potenziale nel demarcare chiaramente il vortice nella mesosfera.
Attraverso un confronto dettagliato tra le definizioni dinamiche del vortice e l’area del vortice definita dai gradienti di monossido di carbonio, gli autori hanno non solo validato i nuovi metodi, ma hanno anche aperto la strada a una comprensione più profonda della struttura e della dinamica dei vortici polari. Questo lavoro sottolinea l’importanza delle tecniche di rianalisi come MERRA nell’avanzamento della ricerca atmosferica, offrendo strumenti sempre più precisi per lo studio dei cambiamenti climatici e dei fenomeni meteorologici estremi.
Definizione del Vortice
La definizione del bordo del vortice polare è un tema centrale nella ricerca atmosferica, soprattutto per la sua importanza nella comprensione dei fenomeni meteorologici estremi. Tradizionalmente, questa definizione si basa sull’analisi della vorticità potenziale (PV) e della velocità del vento orizzontale. Tuttavia, esiste un metodo innovativo che utilizza il gradiente di monossido di carbonio (CO) per delineare il bordo del vortice, specialmente utile nella mesosfera dove l’approccio basato sulla PV riscontra limitazioni.
Questa sezione esplora in dettaglio le due metodologie per la definizione del vortice nella stratosfera superiore, mettendo in luce le loro similitudini. L’algoritmo basato sulla PV, descritto da Nash et al. nel 1996, è illustrato attraverso l’esempio di un classico giorno invernale nell’Artico. Una mappa proiettata sui poli del 12 gennaio 2009 mostra la PV su una superficie isentropica di 1400 K (circa 45 km di altitudine), evidenziando il bordo del vortice Nash con una linea bianca. A confronto, si mostra anche il contorno del vortice basato sulla funzione di corrente ψ in grigio, e l’isotaca di 100 m/s del getto polare notturno in rosso.
La determinazione del bordo del vortice Nash inizia con il calcolo della PV media e della velocità media del vento in funzione della latitudine equivalente (elat). Dopo aver calcolato le prime e seconde derivate della PV rispetto a elat, si identifica il bordo del vortice là dove il prodotto della derivata prima per la velocità media del vento raggiunge il suo massimo. In questo specifico caso, tale punto si trova a 51° elat, leggermente spostato rispetto al massimo gradiente di PV, con un valore corrispondente di PV di 0,0029 K m^2 kg-1 s-1.
Sono inoltre definiti i bordi interno ed esterno del vortice, laddove la seconda derivata della PV mostra un minimo e un massimo rispettivamente, situati a 47° e 55° elat, con valori di PV di 0,0016 e 0,0045 K m2 kg-1 s-1.
Questa analisi dimostra l’efficacia di combinare misurazioni diverse per una descrizione più accurata e completa del vortice polare, sottolineando l’importanza di adattare le metodologie di definizione del vortice alle specifiche condizioni atmosferiche e altitudinali.
La definizione del vortice secondo Nash si dimostra efficace e diretta, particolarmente adatta per studiare la stratosfera invernale inferiore e media. Tuttavia, come evidenziato da Harvey et al. nel 2009, questo approccio basato sulla vorticità potenziale (PV) mostra dei limiti quando si esplora l’area sopra la stratopausa. Per affrontare questa sfida, abbiamo sviluppato una nuova metodologia per definire il vortice nella mesosfera invernale, un approccio che, pur attingendo alla logica della definizione di Nash, sostituisce la PV con il monossido di carbonio (CO) e omette la considerazione della velocità del vento.
Questo metodo innovativo, che chiamiamo metodo del gradiente di CO, è presentato nella Figura 1. In particolare, la Figura 1c illustra la distribuzione dei rapporti di miscelazione del CO a 2 hPa (circa 45 km di altitudine) per lo stesso giorno analizzato precedentemente; il contorno del bordo del vortice, determinato attraverso il metodo del gradiente di CO, è evidenziato in bianco. A fini comparativi, il bordo del vortice identificato attraverso la funzione di corrente ψ è rappresentato dal contorno grigio.
L’identificazione del bordo del vortice tramite il gradiente di CO inizia con la definizione della latitudine equivalente (elat) sulla base della distribuzione emisferica del CO. Analogamente a come avviene per la PV, l’incremento del CO si traduce in un aumento dell’elat basato sul CO, come dimostrato dalla curva nera nella Figura 1d. Procedendo con il calcolo della derivata del CO rispetto a elat (curva blu nella Figura 1d), identifichiamo tutti i massimi locali di questa derivata come potenziali candidati per definire il “bordo” del vortice. Nei casi in cui si individua un unico massimo locale, il “bordo” del vortice è semplicemente definito dall’elat che corrisponde al picco massimo della derivata; in questa analisi, il bordo del vortice è stato localizzato a 59° elat, con una concentrazione di CO di 0,22 ppmv.
Se invece si rilevano più picchi, il criterio prevede di scegliere il picco più prossimo all’equatore come “bordo” del vortice, a condizione che l’intensità della derivata superi il 50% del massimo assoluto. Questo approccio garantisce flessibilità sia nei giorni caratterizzati da molteplici massimi locali del gradiente di CO sia nelle situazioni in cui piccoli picchi locali, legati alla filamentazione, non riflettono accuratamente il vero bordo del vortice.
Infine, simile alla procedura per la PV, anche per il CO vengono definiti i bordi “interno” ed “esterno” del vortice (rappresentati dalle linee tratteggiate nella Figura 1d), basandosi sui valori di elat e CO. Specificamente, il bordo interno del vortice si situa a 64° elat con una concentrazione di CO di 0,33 ppmv, mentre il bordo esterno si trova a 54° elat con un valore di CO di 0,11 ppmv. Questa metodologia offre una nuova prospettiva sull’identificazione e sulla comprensione della dinamica dei vortici polari, in particolare nella mesosfera invernale.
La Figura 1e ci presenta un approccio innovativo per delimitare la regione centrale del vortice, adottando il metodo PDF proposto da MS13, differenziandosi dalla Figura 1c per il criterio di identificazione. Questo metodo è ulteriormente esemplificato nella Figura 1f, che illustra come il valore di CO sia stato determinato attraverso l’analisi PDF. Il contorno nero mostra il PDF dei valori di CO per tutto l’emisfero settentrionale al livello di pressione di 2 hPa in quel particolare giorno, con i contorni blu e rosso che rappresentano adattamenti gaussiani al PDF bimodale dell’emisfero.
In questa occasione specifica, le due distribuzioni gaussiane non presentano sovrapposizioni, il che porta a una metrica di distinzione chimica pari a zero. La linea verticale nera, che si erge al picco del PDF più elevato (in rosso), segnala un valore di CO di 0,42 ppmv. Secondo MS13, valori di CO che superano questa soglia classificano l’aria come appartenente al nucleo del vortice. In un giorno rappresentativo della stratosfera invernale come questo, il metodo del gradiente di CO conferma che tutta l’aria compresa nel PDF più alto (rosso) è posizionata all’interno del vortice. Di conseguenza, questo metodo non solo riconosce l’aria del nucleo del vortice ma anche quella interna al vortice che non fa parte del nucleo stesso.
È fondamentale sottolineare l’importanza di identificare l’aria del nucleo del vortice seguendo il metodo delineato da MS13, evitando di affidarsi ai valori massimi di PV. Nella Figura 1a, si nota che i valori di PV più elevati non coincidono con il nucleo del vortice ma tendono a spostarsi verso il suo bordo. Questo fenomeno riflette un contributo maggiore alla PV derivante dalla vorticità relativa piuttosto che dalla stabilità statica a quest’altitudine, offrendo una prospettiva più dettagliata e accurata nella comprensione della struttura del vortice.
La Figura 1 offre una panoramica complessiva e dettagliata sui diversi metodi di identificazione e definizione del vortice polare attraverso l’analisi di dati fisici e chimici.
Nella parte (a) abbiamo una mappa polare che visualizza la distribuzione della vorticità potenziale (PV) su una superficie isentropica a circa 45 km di altitudine, con i colori che rappresentano i diversi valori di PV. Il contorno bianco definisce il bordo del vortice seguendo il criterio di Nash et al. [1996], mentre il contorno grigio segue la definizione di Harvey et al. [2002]. Il contorno rosso evidenzia l’isotaca di 100 m/s, indicando dove la velocità del vento raggiunge questo valore.
Nel pannello (b) si osserva un’analisi grafica con il valore medio di PV (nero), la sua derivata rispetto alla latitudine equivalente (blu) e la media della velocità del vento (rosso), tutte funzioni della latitudine equivalente. Le linee nere verticali identificano i bordi interni ed esterni del vortice secondo i massimi e minimi della derivata.
Il pannello (c) mostra una mappa simile a quella del pannello (a), ma al posto del PV, vengono rappresentati i valori di concentrazione di monossido di carbonio (CO) a 2 hPa. Qui, il contorno bianco descrive il bordo del vortice determinato attraverso il metodo del gradiente di CO.
Nel grafico (d) troviamo la relazione tra il valore medio di CO (nero) e la sua derivata rispetto alla latitudine equivalente (blu), che aiuta a identificare il bordo del vortice come fatto per il PV in (b), ma con i dati di CO.
Il pannello (e) ci mostra nuovamente una mappa di CO, dove questa volta il contorno bianco segna l’area identificata come nucleo del vortice secondo l’algoritmo di MS13, mentre il contorno grigio continua a rappresentare il bordo del vortice secondo Harvey et al. [2002].
Infine, il pannello (f) illustra il profilo di distribuzione di frequenza (PDF) di CO nell’emisfero, dove i contorni blu e rosso si adattano a una distribuzione bimodale gaussiana del PDF. La linea nera verticale indica il limite del nucleo del vortice come definito nel pannello (e).
Attraverso questa figura si può apprezzare come i diversi metodi di analisi – basati su caratteristiche fisiche come la PV e la velocità del vento, e chimiche come la concentrazione di CO – siano utilizzati per delineare con precisione sia il bordo del vortice polare che la regione centrale, o nucleo, del vortice stesso.
La Figura 2 ci offre una visione comparativa del comportamento del bordo del vortice polare su un periodo decennale, evidenziando come la posizione di questo bordo vari durante i mesi invernali.
Nel pannello (a), assistiamo a una rappresentazione grafica della frequenza con cui determinate latitudini equivalenti vengono raggiunte dal bordo del vortice nei mesi di dicembre (in nero), gennaio (in rosso) e febbraio (in blu). Questa latitudine equivalente non è legata alla posizione geografica diretta ma piuttosto a una misura che riflette la posizione del bordo del vortice in termini di circolazione atmosferica. Le varie curve dunque non solo indicano dove si posiziona il vortice, ma ci danno anche una misura di quanto esso si estende o si restringe nel corso dell’inverno.
Passando al pannello (b), le curve descrivono le differenze di latitudine equivalente (Δelat), ottenute sottraendo la latitudine equivalente del bordo del vortice calcolata secondo il metodo di Nash da quella ottenuta tramite il metodo del gradiente di CO. Anche queste differenze sono presentate per dicembre, gennaio e febbraio. Se il valore di Δelat è positivo, significa che il metodo del gradiente di CO localizza il bordo del vortice più a nord rispetto al metodo di Nash; se negativo, il contrario.
In conclusione, la Figura 2 si rivela un utile strumento di confronto tra due diverse metodologie utilizzate per tracciare il bordo del vortice polare e dimostra come la sua posizione si modifichi nel tempo, offrendoci spunti preziosi sulla dinamica della stratosfera invernale.
4. Valutazione dell’Algoritmo del Gradiente di CO
L’algoritmo del gradiente di CO è stato applicato giornalmente a ciascun livello di quota tra i 10 hPa e gli 0.01 hPa (30–80 km) durante gli inverni dell’emisfero nord dal 2004–2005 fino al 2013–2014. Questa analisi offre un’approfondita valutazione quantitativa della concordanza tra il bordo del vortice secondo Nash e quello definito dal gradiente di CO nella stratosfera superiore.
La Figura 2 illustra le funzioni di densità di probabilità (PDF) per: (a) i valori dei bordi dei vortici secondo Nash (rappresentati con linee continue) e secondo il gradiente di CO (rappresentati con linee tratteggiate), espressi in termini di elats; e (b) le differenze di elat tra i bordi dei vortici del gradiente di CO e quelli di Nash (differenza CO meno Nash), attorno ai 45 km nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio (DJF), dal dicembre 2004 al febbraio 2014. I bin per gli elats sono impostati a intervalli di 5 gradi, mentre quelli per le differenze di elat a 4 gradi. Sono stati definiti i bordi dei vortici di Nash e del gradiente di CO per un totale di 301 giorni di dicembre, 310 giorni di gennaio e 275 giorni di febbraio.
Le PDF mensili per i valori dei bordi del vortice di Nash mostrano variazioni significative nel corso dell’inverno. In dicembre, la PDF è ampia e unimodale, con centro a 50°N. In gennaio, diventa più stretta e si sposta verso il polo, centrata a 60°N. La PDF di febbraio per i valori dei bordi del vortice di Nash presenta una distribuzione bimodale con picchi vicino a 35°N e 70°N, riflettendo così due distinti regimi vorticosi: anni con vortici polari grandi e anni con vortici di dimensioni ridotte.
In confronto, le PDF per i valori dei bordi dei vortici del gradiente di CO in dicembre, gennaio e febbraio sono rappresentate con linee tratteggiate. In generale, la PDF di gennaio (in rosso) mostra un buon accordo con quella di Nash, con un picco a 65°N. Tuttavia, emergono notevoli discrepanze in dicembre (in nero) e febbraio (in blu). Le divergenze di dicembre sono attribuibili alla presenza di elevati livelli di CO nella mesosfera che non coprono interamente la regione del vortice, portando quindi a un bias del vortice del gradiente di CO verso latitudini più elevate. Le più grandi discrepanze in febbraio si verificano negli anni caratterizzati da “grandi vortici”, quando il metodo del gradiente di CO non riesce a identificare il picco di elat più basso, a causa della riduzione dei gradienti seguita a perturbazioni stratosferiche.
La Figura 2b illustra come, nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio, rispettivamente rappresentati in nero, rosso e blu, le differenze di elat evidenziano una caratteristica comune: le distribuzioni mensili pluriennali raggiungono il loro apice a +5° in tutti e tre i mesi, estendendosi con code che superano i +50°. Queste differenze positive indicano che il vortice definito dal gradiente di CO si estende su una regione meno ampia rispetto a quella del vortice di Nash. Nello specifico, in dicembre si notano significative differenze positive quando il getto della notte polare si posiziona nei subtropici o a medie latitudini, e l’alto contenuto di CO non ha ancora saturato la regione a nord del getto. Analogamente, in febbraio, si registrano notevoli differenze positive in anni caratterizzati da un vortice stratosferico superiore particolarmente intenso, a seguito di maggiori perturbazioni che hanno mescolato il CO all’interno e all’esterno del vortice. Le mediane delle differenze di elat per dicembre, gennaio e febbraio si attestano rispettivamente a 10°, 4° e 12°. Particolarmente in gennaio, l’83% delle volte la differenza di elat tra il bordo del vortice del gradiente di CO e quello di Nash è inferiore ai 10 gradi, indicando un buon allineamento tra i due metodi nella stratosfera superiore durante questo mese. Questo dato suggerisce che, per gli studi focalizzati sulle proprietà chimiche distintive del vortice, il metodo basato sul gradiente di CO può essere la scelta prediletta nel 17% dei casi quando le differenze eccedono i 10 gradi.
Procedendo, esaminiamo i confronti medi per i mesi di dicembre, gennaio e febbraio relativi alla frequenza del vortice, utilizzando le definizioni di vortice basate sul gradiente di CO e sul vortice ψ a determinate altitudini nella stratosfera superiore e nella mesosfera. Quest’analisi rappresenta un ulteriore esercizio di validazione volto a confermare che l’algoritmo del gradiente di CO produca risultati in linea con quelli derivati da metodi consolidati. La Figura 3 presenta mappe polari che indicano la percentuale di giorni invernali durante i quali viene identificato il vortice ψ (a sinistra) e il vortice del gradiente di CO (al centro). I punti di griglia con un valore di 0,5 indicano che la regione è stata parte del vortice per il 50% dei giorni nei mesi invernali. Le frequenze massime corrispondono al nucleo del vortice, e queste si riducono man mano che ci si allontana verso il bordo del vortice. Le differenze nelle frequenze – ottenute sottraendo le frequenze del vortice ψ da quelle del vortice del gradiente di CO – sono visualizzate nella colonna di destra a quote di 50 km (in alto), 60 km (al centro) e 75 km (in basso). Secondo la Figura 3a, il vortice ψ è presente più dell’80% del tempo nella stratosfera superiore, attorno ai 50 km di altitudine, sopra la Groenlandia e l’Oceano Artico Orientale.
I gradienti orizzontali di frequenza del vortice mostrano una maggiore variazione sopra il meridiano di Greenwich rispetto a quella osservata sopra la linea del cambio di data, un fenomeno che riflette l’effetto della rottura delle onde planetarie e una generale crescita della variabilità in quest’ultima regione. Specificamente, nell’area vicino ai 50 km di altitudine, il vortice identificato dal gradiente di CO (come mostrato nella Figura 3b) evidenzia le frequenze più elevate (72,4%) a nord-est della Groenlandia. Questo risulta in una distribuzione che è zonalmente asimmetrica, con gradienti notevolmente più marcati sopra il meridiano di Greenwich rispetto a quelli sopra la linea del cambio di data. A questa stessa quota, si nota che l’approccio basato sul gradiente di CO tende a sottostimare la frequenza del vortice rispetto all’identificazione tramite il metodo ψ, con una sottostima del 9,5% nel cuore del vortice e fino al 40% nelle aree prossime al bordo del vortice, particolarmente sopra l’Artico Canadese e l’Atlantico del Nord. Sebbene il metodo del gradiente di CO dimostri di isolare in modo affidabile il nucleo del vortice, tende a minimizzare l’ampiezza latitudinale del vortice stesso.
Ulteriori analisi nelle Figure 3d e 3e forniscono un confronto delle frequenze medie del vortice durante i mesi di dicembre, gennaio e febbraio, utilizzando rispettivamente i metodi basati su ψ e sul gradiente di CO, ma questa volta focalizzandosi sulla bassa mesosfera, attorno ai 60 km di altitudine. A questo livello, l’approccio del gradiente di CO per l’identificazione del vortice si allinea in maniera eccellente con quello basato su ψ. Le frequenze massime del vortice, riscontrate sopra la Groenlandia settentrionale e l’Oceano Artico, sono del 88,1% e 88,6% per i metodi ψ e gradiente di CO, rispettivamente. Entrambi i metodi, riflettendo nella Figura 3d per il vortice ψ e nella Figura 3e per il vortice del gradiente di CO, segnalano un vortice che si sposta dal polo verso il meridiano di Greenwich, mostrando asimmetrie zonali che sono indicative della rottura delle onde planetarie sopra la linea del cambio di data. La Figura 3f sottolinea che le differenze tra i due metodi di identificazione del vortice rimangono inferiori al 13% nella bassa mesosfera, indicando una buona coerenza tra le due tecniche di identificazione.
La Figura 3 ci offre una visione dettagliata della frequenza del vortice polare durante i mesi invernali di dicembre, gennaio e febbraio, articolata su tre distinti strati atmosferici: la stratosfera superiore, la mesosfera inferiore e la mesosfera superiore. La rappresentazione è data sotto forma di tre serie di mappe per ogni strato, ognuna delle quali fornisce un’interpretazione basata su differenti criteri.
Le mappe a sinistra applicano la definizione ψ per evidenziare la frequenza del vortice polare. I colori più intensi e caldi in queste mappe segnalano zone dove il vortice è più frequentemente presente, disegnando un pattern di regolarità o variabilità stagionale nelle diverse regioni polari.
Al centro, troviamo le mappe basate sulla definizione del gradiente di CO. Queste mappe centrali seguono una logica simile, dove tonalità più vivaci indicano una presenza più costante del vortice, offrendo un confronto alternativo o complementare rispetto alla definizione ψ.
Sulla destra, le mappe illustrano la differenza tra le frequenze del vortice misurate dai due metodi. Il blu segnala dove il metodo del gradiente di CO rileva una frequenza minore rispetto alla definizione ψ, mentre il rosso dove rileva una frequenza maggiore.
La legenda colori sottostante fornisce una chiave di lettura per i valori di frequenza: dal blu per le frequenze più basse, al rosso per quelle più alte, con un range da 0.1 a 0.9. La barra a destra differenzia i metodi di misurazione con un intervallo che va da -0.5 a +0.5. La frequenza è calcolata come la proporzione dei giorni invernali compresi tra il dicembre 2004 e il febbraio 2014 in cui è stato registrato il vortice in ciascun punto della griglia.
In sintesi, la Figura 3 è uno strumento prezioso per i ricercatori che cercano di decifrare come le varie tecniche di definizione del vortice polare possano portare a conclusioni divergenti, e per mappare dove e in quali strati dell’atmosfera tali discrepanze si manifestano più marcatamente.
Alla quota di circa 75 km nella mesosfera superiore, si ritiene che il metodo del gradiente di CO sia preferibile rispetto all’uso di ψ per gli studi focalizzati sul vortice polare, in ragione delle sue peculiari caratteristiche chimiche. Il metodo ψ si basa sui venti orizzontali e le strutture di doppio getto provocano notevoli variazioni quotidiane nella posizione del bordo del vortice, il che non viene rappresentato nelle immagini. D’altra parte, il metodo del gradiente di CO, non dipendendo dal campo dei venti, evita l’influenza dei massimi dei getti che si verificano a diverse latitudini. La Figura 3g evidenzia una frequenza massima del vortice del 76% sopra la Groenlandia settentrionale, secondo l’algoritmo ψ. Il vortice ψ, il 20% delle volte, si estende ampiamente da polo a 40°N, mentre nelle restanti occasioni ha dimensioni molto più ridotte. Al contrario, la Figura 3h dimostra che il metodo del gradiente di CO individua il vortice polare il 96% delle volte direttamente sopra il polo. I contorni di frequenza del vortice appaiono zonalmente simmetrici e mostrano che il vortice del gradiente di CO si estende oltre i 40°N per il 60% del tempo.
In generale, il vortice medio nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio, basato sui gradienti di CO, si manifesta con maggiore frequenza sopra il calottino polare, è più centrato sul polo, più simmetrico zonalmente e geograficamente più esteso rispetto al vortice identificato attraverso la definizione di ψ. Sebbene il vortice basato sui gradienti di CO si presenti zonalmente simmetrico nella media stagionale, la sua struttura nella mesosfera tende a essere notevolmente asimmetrica su una scala temporale giornaliera. Questo suggerisce che il vortice del gradiente di CO non risente eccessivamente delle zone illuminate dal sole dove la chimica dell’OH è attiva, considerando il periodo di tempo preso in esame. Le discrepanze osservate nella Figura 3i sulla costa orientale dell’Asia rivelano che il vortice del gradiente di CO è presente fino al 47% in più rispetto al vortice ψ. A queste altitudini, la persistenza di significativi gradienti di CO lungo il margine polare del getto subtropicale mesosferico, situato tra i 30°N e i 40°N, suggerisce che il bordo del vortice definito chimicamente si trova più comunemente alle medie latitudini anziché alle alte latitudini. Di conseguenza, il metodo del gradiente di CO è considerato più affidabile del metodo ψ nel demarcare l’aria chimicamente distinta all’interno del vortice mesosferico.
La Figura 4 ci presenta una panoramica decennale delle latitudini equivalenti medie del vortice polare, illustrando come queste si modificano nel corso dei mesi invernali di dicembre, gennaio e febbraio. L’analisi è condotta a tre diverse altitudini: nella stratosfera superiore, nella mesosfera inferiore e nella mesosfera superiore. Il 15 di ciascun mese è marcato esplicitamente, mentre il primo di ogni mese è indicato con segni minori.
Le medie giornaliere su dieci anni sono rappresentate da linee spesse: quelle in nero per il bordo del vortice basate sulla definizione ψ e quelle in rosso per il bordo del vortice definito dai gradienti di CO. Attorno a queste medie, un’area ombreggiata illustra la variabilità annuale, mostrando l’ampiezza delle oscillazioni del bordo del vortice durante la stagione invernale e come questa variabilità si differenzia in base al metodo utilizzato, ψ o gradiente di CO.
La latitudine equivalente è un concetto usato per descrivere la posizione del vortice non solo in termini di latitudine geografica ma tenendo conto anche del movimento atmosferico reale. Per esempio, una latitudine equivalente di 60 gradi potrebbe rappresentare un’area attorno al polo nord che racchiude lo stesso spazio di un cerchio geografico a 60 gradi di latitudine. Questo approccio riconosce la complessità del flusso atmosferico che si discosta dal modello di un cerchio a latitudine costante.
In sostanza, questa figura offre agli scienziati uno strumento per tracciare e analizzare i cambiamenti stagionali e a lungo termine del vortice polare, evidenziando la sua dinamica sia quotidiana che annuale e fornendo un quadro più chiaro delle sue variazioni stagionali.
Nel periodo invernale, abbiamo condotto un’analisi sull’evoluzione temporale dell’area del vortice stratosferico, confrontando due metodi di definizione: uno basato sui gradienti di monossido di carbonio (CO) e l’altro sulla funzione di corrente ψ. Questo studio si propone di capire in che misura le discrepanze tra questi due approcci dipendano dal tempo.
Utilizzando dati raccolti ai medesimi livelli altitudinali analizzati precedentemente, abbiamo osservato che l’area del vortice, definita tramite latitudine equivalente, aumenta man mano che questa latitudine diminuisce. In particolare, nella stratosfera superiore (a circa 50 km di altezza), l’area media del vortice identificata tramite ψ varia tra i 50° e i 60° di latitudine equivalente durante i mesi invernali. Un’analisi decennale rivela un’ampia variabilità giornaliera in questo intervallo, con un evidente aumento della dispersione dopo il 15 gennaio, segno di una marcata differenza nelle dimensioni del vortice tra anni più o meno turbolenti.
A questa quota, dove prevalgono i flussi del getto polare notturno, il confine del vortice definito da ψ si è rivelato affidabile. Inoltre, si è notato che il confine del vortice basato sul potenziale vorticoso si colloca entro un raggio di 5 gradi di latitudine equivalente rispetto a quello definito da ψ, per l’88% delle osservazioni.
Contrastando questo dato con le misurazioni basate sui gradienti di CO, che in media risultano inferiore di 9,8 gradi, emerge che le minori stime dell’area del vortice all’inizio di dicembre possono essere attribuite al confinamento di CO ad alta concentrazione nel nucleo del vortice. Questa discrepanza si riduce gradualmente verso la fine di dicembre, quando l’espansione dell’area ad alta concentrazione di CO comincia a coprire la regione al di là del getto polare notturno.
Tra metà dicembre e metà gennaio, le differenze nelle aree medie del vortice calcolate con i due metodi scendono al di sotto dei 5 gradi di latitudine equivalente, mostrando un’eccellente corrispondenza. Questo periodo di allineamento si spiega con il riempimento dell’intero vortice, a questa quota, con aria mesosferica. Tuttavia, verso fine gennaio e durante febbraio, l’area del vortice definita dai gradienti di CO si riduce nuovamente rispetto a quella definita da ψ. Tale riduzione è imputabile all’intensificarsi della miscelazione, conseguenza delle perturbazioni indotte dalle onde planetarie, che diminuisce l’estensione dell’area con elevate concentrazioni di CO all’interno del vortice. Seguendo queste perturbazioni, sebbene il getto polare notturno al confine del vortice si riformi rapidamente, non si osservano più significativi gradienti di CO a causa della diluizione del gas all’interno del vortice. In queste circostanze, il metodo basato sui gradienti di CO si dimostra meno efficace.
Nel cuore dell’inverno, la nostra analisi si concentra sulle variazioni dell’area del vortice nella mesosfera, esplorando due distinti livelli altitudinali per confrontare le metodologie di definizione basate sui gradienti di CO e sulla funzione di corrente ψ. In particolare, esaminiamo come queste differenze si manifestano e quali implicazioni possano avere per la nostra comprensione del vortice polare e dei processi ad esso associati.
Nella mesosfera inferiore, a circa 60 km di altitudine, troviamo una sorprendente coerenza tra l’area del vortice calcolata tramite i gradienti di CO e quella determinata dalla funzione ψ, con una differenza media di soli 2,4 gradi di latitudine equivalente. Questo accordo sottolinea la possibilità di utilizzare i gradienti di CO come strumento affidabile per delineare l’area del vortice a questa altitudine, segnando una transizione metodologica significativa rispetto all’utilizzo esclusivo della funzione ψ a quote inferiori.
Proseguendo verso la mesosfera superiore, a circa 75 km di altitudine, le discrepanze tra i due metodi di definizione diventano più marcate. In questo caso, l’area del vortice determinata attraverso i gradienti di CO risulta significativamente più ampia, superando quella basata su ψ di 14,2 gradi di latitudine equivalente. Tale divergenza si manifesta fin dai primi di dicembre e, sebbene tenda a ridursi con il passare del tempo, rimane sostanziale, evidenziando le sfide poste dalla complessa dinamica atmosferica a queste elevate quote.
Queste significative sottostime dell’area del vortice possono portare a una rappresentazione inaccurata di numerosi aspetti chiave, tra cui la forza del vortice, la composizione della massa d’aria e il trasporto di traccianti chimici, nonché complicare l’analisi dell’accoppiamento verticale e l’identificazione di fenomeni quali l’incremento dell’energia delle onde di gravità al limite del vortice. Alla radice di queste discrepanze vi è la presenza di molteplici correnti a getto nella mesosfera superiore, che introducono un’ulteriore complessità nella definizione del vortice basata esclusivamente su velocità del vento orizzontali.
Il metodo del gradiente di CO emerge quindi come uno strumento prezioso, estendendo la nostra capacità di identificare accuratamente il vortice polare fino a circa 80 km di altitudine, una regione altrimenti soggetta a significative incertezze nelle rianalisi. Durante il decennio coperto dai dati MLS, questo approccio ha consentito di delineare con precisione un’area coerentemente caratterizzata da elevate concentrazioni di CO nelle latitudini medie e alte durante i mesi invernali.
Sulla base di queste osservazioni, si raccomanda vivamente di avvalersi dei gradienti di CO per demarcare il vortice mesosferico in studi che mirano a indagare la composizione chimica e il potenziale trasporto verso il basso dell’aria del vortice, offrendo così nuove prospettive su questo fenomeno atmosferico cruciale.
Studio di Caso Durante l’Inverno Artico 2008–2009
Le analisi climatologiche finora presentate hanno evidenziato come i massimi gradienti di CO, in funzione della latitudine equivalente (elat), costituiscano un metodo efficace per individuare la massa d’aria del vortice polare artico nella mesosfera. In questa sezione, ci avvaliamo dell’inverno artico del 2008–2009 per mettere alla prova la definizione chimica del vortice su una base giornaliera, oltre a mostrare l’effetto di strutture a doppio getto, cioè la presenza di due o più picchi di velocità del vento a latitudini marcatamente diverse, sull’evoluzione quotidiana della struttura del vortice mesosferico.
L’allargamento verso l’alto e verso l’equatore del getto polare notturno, noto nella mesosfera come il getto subtropicale mesosferico (MSJ), rappresenta un fenomeno costante nella mesosfera invernale, con le massime velocità del vento registrate tra i 30°N e i 40°N a un’altezza di circa 70 km. L’MSJ dimostra una significativa variabilità sia intra-stagionale che interannuale, tuttavia mantiene la sua presenza con intensità variabili per tutto l’inverno. Accanto all’MSJ, si manifestano picchi di vento di breve durata a latitudini più elevate, complicando l’identificazione precisa dei confini del vortice polare basati sulle velocità del vento.
Con l’intento di sottolineare l’impatto delle strutture a doppio getto sull’identificazione del vortice di ψ, e per mostrare come il metodo del gradiente di CO per la definizione del vortice sia insensibile a tali strutture, passiamo ora ad illustrare l’evoluzione quotidiana del vortice mesosferico durante l’inverno artico 2008–2009.
La Figura 5 offre una rappresentazione grafica attraverso un contorno traspolare che include il CO (colorato) e la velocità del vento (contorni neri sottili), insieme ai bordi del vortice definiti sia dalla funzione ψ (in bianco spesso) che dai gradienti di CO (in rosso spesso), dal 1 dicembre 2008 al 28 febbraio 2009 a una quota di 0.03 hPa o circa 70 km di altitudine. Invece di adottare medie zonali, si è optato per una sezione traspolare lungo il meridiano di Greenwich e la linea internazionale del cambio di data per evidenziare i massimi dei getti di portata regionale. Le velocità del vento superiori ai 50 m/s indicano la presenza costante dell’MSJ intorno ai 40°N, nonché di getti secondari a latitudini superiori. I confini del vortice polare sono stati resi più chiari mediante una media mobile di 3 giorni. A questa altitudine, le concentrazioni massime di miscelazione di CO si osservano sopra il polo, con il margine del vortice definito dal gradiente di CO (in rosso spesso) che segue i massimi gradienti orizzontali di CO, mentre la posizione del bordo del vortice di ψ (in bianco spesso) risente in modo significativo delle variazioni nel campo dei venti. I confini del vortice mostrano divergenze ripetute all’emergere di massimi di getto locali a latitudini elevate, evidenziando la complessità e la dinamicità della struttura del vortice mesosferico.
A dicembre e agli inizi di gennaio, si osserva che il vortice identificato dalla funzione ψ si espande con il rafforzamento del MSJ (getto subtropicale mesosferico) e si contrae al rafforzamento del getto polare. Al contrario, l’evoluzione del confine del vortice definito dai gradienti di CO avviene in modo più graduale. Questa tendenza non è isolata a questo specifico inverno ma rappresenta un comportamento ricorrente. In particolare, nei mesi di dicembre e inizio gennaio, l’analisi dei gradienti di CO suggerisce che il confine del vortice dovrebbe rimanere allineato con il MSJ intorno ai 40°N, a dispetto dell’emergere di massimi di getto a latitudini più elevate.
Durante l’importante evento di riscaldamento stratosferico del 24 gennaio, entrambi i metodi di definizione del vortice indicano la presenza di un vortice debole o mal definito nella mesosfera. Nelle fasi iniziali di febbraio, con la ripresa del vortice, i confini definiti sia dalla funzione ψ che dai gradienti di CO si riallineano nuovamente con il MSJ intorno ai 40°N. Questo periodo è seguito dalla formazione di intensi gradienti di CO lungo un getto polare notturno eccezionalmente potente (a 80°N e lungo la linea del cambio di data) a metà febbraio, con un conseguente spostamento verso il polo di entrambi i confini del vortice. Verso la fine di febbraio, il confine del vortice definito dai gradienti di CO si riallinea nuovamente con il MSJ vicino ai 40°N, comprendendo all’interno sia l’aria del nucleo del vortice che quella situata all’esterno del nucleo ma ancora all’interno del vortice. In questo stesso intervallo temporale, il vortice secondo la definizione ψ rimane in corrispondenza del getto polare notturno vicino agli 80°N, includendo soltanto l’aria presente nel nucleo del vortice.
Questa complessa evoluzione mette in luce le sfide nell’identificazione dei confini del vortice in presenza di molteplici massimi dei getti e dimostra l’utilità del metodo basato sui gradienti di CO per determinare i confini del vortice.
Ulteriormente, viene presentata la struttura tridimensionale quotidiana del vortice polare stratosferico e mesosferico, comparando i risultati ottenuti tramite la funzione ψ e i gradienti di CO per sottolineare l’effetto delle doppie strutture dei getti sulla configurazione del vortice mesosferico. Questo studio consente di esaminare contemporaneamente la posizione del bordo del vortice a diverse quote. La Figura 6 illustra alcuni scatti del vortice artico in otto giorni selezionati, catturando la variazione nella struttura del vortice durante dicembre e all’inizio di gennaio, prima della divisione del vortice il 20 gennaio 2009. Le immagini, realizzate in proiezione stereografica polare, mostrano l’asse verticale rappresentato dalla pressione, che varia da 10 hPa a 0.01 hPa (da circa 30 km a circa 80 km). A ogni livello di pressione, il vortice definito dai gradienti di CO è evidenziato da contorni rossi e simboli rossi all’interno del vortice, mentre il confine del vortice secondo la definizione ψ è sovrapposto (contorni grigi), escluso il livello di 0.01 hPa, che supera il dominio di MERRA. La Figura 6a mostra la struttura tridimensionale del vortice il 3 dicembre 2008, giorno in cui l’estensione del vortice definita dai gradienti di CO supera quella del vortice ψ nella mesosfera.
In questo studio, analizziamo come due diversi metodi di identificazione del vortice si comportano in un giorno specifico, quando il vortice determinato dai gradienti di CO nella mesosfera si allinea con il getto subtropicale mesosferico (MSJ), mentre il vortice secondo la funzione ψ si restringe ai livelli superiori a causa di un picco di getto vicino al polo. Le osservazioni tratte dalle figure 6b-6d mostrano un’espansione e contrazione rapidissima del vortice di ψ nella mesosfera, influenzata dalle strutture a doppio getto all’inizio di dicembre, come già anticipato nella Figura 5. Questi cambiamenti significativi nell’area del vortice non sono ristretti a un singolo livello altimetrico, ma avvengono attraverso un’estesa colonna verticale, suggerendo una dinamica complessa.
Questo lavoro rappresenta la prima analisi approfondita dell’impatto che l’alternanza rapida di intensità tra il MSJ e il getto polare notturno ha sui metodi convenzionali di identificazione della struttura del vortice. Nonostante la Figura 5 indichi che le elevate concentrazioni di miscelazione di CO si mantengono stabili lungo la linea del cambio di data fino ai 40°N in questo periodo, si ipotizza che la suddetta rapida espansione e contrazione del vortice mesosferico potrebbe non corrispondere a una dinamica reale. Le principali discrepanze tra il vortice di ψ e quello definito dai gradienti di CO si manifestano proprio lungo la linea del cambio di data, dove la rottura delle onde planetarie crea una cosiddetta “zona di surf” mesosferica, inducendo deformazioni del vortice e trasportando aria polare ad alta concentrazione di CO verso latitudini più basse. Tale zona di surf, estendendosi dai 60 ai 75 km, interagisce sia con il getto polare notturno che con il MSJ.
L’indipendenza dell’algoritmo del vortice del gradiente di CO dalla presenza di multipli picchi di getto fa sì che le dimensioni del vortice di CO rimangano relativamente stabili durante questo periodo. Questa caratteristica evidenzia come l’approccio basato sui gradienti di CO offra una prospettiva più coerente e forse più affidabile sulla struttura del vortice in presenza di complesse dinamiche atmosferiche.
Nelle ultime settimane di dicembre 2008 e nei primi giorni di gennaio 2009, si evidenzia un’interessante dinamica tra due diverse definizioni del vortice atmosferico. Le osservazioni rivelano che il vortice definito dai gradienti di CO si posiziona esattamente al di sopra del vortice identificato dalla funzione ψ, con una transizione fluida tra le due aree del vortice. Questo fenomeno diventa particolarmente evidente a quote superiori a circa 0.1 hPa (~60 km), dove l’area coperta dal vortice secondo ψ si riduce significativamente, contrariamente all’area del vortice definito dai gradienti di CO che, invece, rimane consistente con quella a quote inferiori.
Senza l’ausilio dei dati relativi al CO per interpretare la struttura del vortice, si potrebbe cadere nell’errore di pensare che il vortice perda di intensità attorno agli 80 km di altitudine. Invece, l’analisi basata sui gradienti di CO suggerisce che il vortice si estenda verso quote ancora più elevate. Questo dettaglio è di fondamentale importanza per gli studi sul trasporto verticale nell’atmosfera, poiché indica come il vortice del gradiente di CO segnali una zona in cui avviene un movimento discendente confinato, dalla mesosfera superiore verso quella inferiore.
Ulteriormente, la serie di immagini corrispondenti a metà dicembre fino a metà gennaio mostra come il confine del vortice del gradiente di CO si allinei progressivamente con quello del vortice di ψ, scendendo a quote via via più basse. Questa coincidenza è stata verificata anche applicando l’algoritmo del gradiente di CO a distribuzioni di N2O a 10 hPa, ottenendo spesso risultati sovrapponibili per quanto riguarda la posizione del bordo del vortice. Nonostante ciò, l’uso di differenti traccianti potrebbe introdurre delle ambiguità nella localizzazione esatta del confine del vortice, sebbene ciò si verifichi solo in una minoranza di casi e sia al di fuori dell’obiettivo di questa analisi.
Se è vero che bisogna procedere con cautela nell’uso dei gradienti di CO per definire il confine del vortice nella stratosfera, queste osservazioni confermano che l’algoritmo si dimostra particolarmente efficace fino a 40 km di altitudine, specie nelle settimane che gravitano attorno al solstizio d’inverno, offrendo una chiave di lettura affidabile e coerente per lo studio della struttura del vortice.
La Figura 5 illustra in maniera dettagliata la distribuzione del monossido di carbonio (CO) nella stratosfera superiore intorno al polo, come misurato a un’altitudine di circa 70 km (0.03 hPa) durante l’inverno del 2008-2009. La mappatura temporale sull’asse orizzontale denota il periodo di tre mesi, con dicembre, gennaio e febbraio etichettati come D, J e F, rispettivamente. Ogni piccolo segno indica l’inizio di un mese, consentendo un’osservazione della variazione temporale.
Verticalmente, l’asse mostra la latitudine dal polo all’equatore e viceversa, seguendo una linea di longitudine dal meridiano di Greenwich fino alla linea internazionale del cambio di data, attraversando il polo nord.
Il colore del grafico fornisce una rappresentazione visiva dei livelli di CO, con valori che variano dal blu scuro per le concentrazioni più basse (2 ppmv) al rosso per quelle più alte (10 ppmv). Questa colorazione evidenzia come la concentrazione di CO cambia non solo nel corso dei mesi ma anche in relazione alla latitudine.
I contorni neri fini sovrapposti rappresentano la velocità del vento e forniscono un contesto addizionale riguardo la dinamica atmosferica, anche se non vengono forniti valori specifici nella legenda.
I contorni più spessi, in bianco e rosso, segnano rispettivamente i confini del vortice basati sulla funzione di corrente ψ e sui gradienti di CO. Il confine del vortice definito dalla funzione ψ è quello tradizionalmente utilizzato per identificare la posizione del vortice polare, mentre il contorno rosso offre una nuova prospettiva basata sui gradienti di CO, mostrando potenziali differenze nella definizione dei confini del vortice.
Dal grafico si può dedurre che la concentrazione di CO raggiunge i picchi nel periodo centrale (gennaio), come segnalato dalla prevalenza di colori caldi, e tende a diminuire man mano che ci si allontana da questo picco invernale. La figura fornisce quindi una comparazione visiva tra due metodologie diverse per determinare i margini del vortice polare, rivelando come le due possano differire nel contesto dinamico di venti e concentrazioni di gas nella stratosfera superiore.
La Figura 6 che ci viene presentata illustra una sequenza di rappresentazioni tridimensionali dei vortici polari nell’alta atmosfera, basandosi sull’uso dei gradienti di CO per definirne i contorni. Le immagini sono organizzate in una serie temporale che copre otto date specifiche durante i mesi invernali del 2008 e del 2009, da dicembre a gennaio. Questa successione di istantanee ci offre una prospettiva unica sulla struttura tridimensionale e l’evoluzione temporale dei vortici polari, con un’enfasi particolare sulle loro caratteristiche durante la stagione invernale.
Ogni immagine è caratterizzata da contorni rossi che delineano il perimetro esterno dei vortici e da simboli rossi che evidenziano la loro parte interna. In aggiunta, i contorni grigi rappresentano i margini del vortice determinati dalla funzione di corrente ψ, sovrapposti per confronto agli stessi livelli di altitudine. Attraverso questa doppia rappresentazione è possibile osservare le somiglianze e le discrepanze tra i due metodi di delimitazione del vortice.
La scala verticale di pressione si estende da 10 hPa a 0.01 hPa, equivalente a un’altitudine che va dai 30 ai circa 80 km, fornendo così una visione completa del vortice attraverso la stratosfera fino alla parte bassa della mesosfera. Queste misurazioni di pressione ci guidano attraverso vari strati atmosferici, evidenziando la tridimensionalità e l’estensione verticale del fenomeno in studio.
L’orientamento geografico delle immagini posiziona la linea del cambio di data sulla destra e l’Indonesia in primo piano, dando l’impressione di osservare la situazione dal punto di vista dell’emisfero meridionale verso il polo nord.
Dall’esame di queste rappresentazioni grafiche, emerge che la struttura del vortice varia non solo con l’altitudine ma anche nel corso del tempo, mostrando un comportamento dinamico che è stato accuratamente documentato attraverso le osservazioni effettuate in queste date specifiche. La Figura 6 fornisce dunque un’esposizione dettagliata delle proprietà e delle variazioni dei vortici polari, arricchendo la nostra comprensione di questi importanti sistemi atmosferici.
Conclusioni
Nelle conclusioni di questo studio, emerge che le intense correnti discendenti nelle regioni polari invernali giocano un ruolo cruciale nel trasporto dell’aria mesosferica verso il vortice stratosferico superiore. Questo processo crea notevoli gradienti di tracciatori ai margini del vortice, rendendolo particolarmente adatto per le definizioni chimiche nell’alta stratosfera e nella mesosfera, zone in cui le previsioni meteorologiche tendono ad essere meno affidabili. Abbiamo proposto una nuova definizione chimica del vortice, basata sui gradienti di monossido di carbonio (CO), che è non solo semplice da applicare ma ha anche il vantaggio di non richiedere dati sul campo dei venti. Questo approccio si basa ed estende le metodologie statistiche precedentemente suggerite e si avvale delle formule basate sul potenziale vorticoso (PV) già consolidate per l’uso nella stratosfera.
La nostra definizione di vortice tramite i gradienti di CO si ispira all’algoritmo di Nash, ma sostituisce il PV con il CO, eliminando la necessità di includere la velocità del vento nelle analisi. Utilizziamo il campo di CO per calcolare “elat”, definendo il vortice attraverso il contorno di CO che presenta il massimo gradiente, in funzione di elat. In presenza di più massimi gradienti di CO, il bordo del vortice viene identificato con il massimo più vicino all’equatore. Questo fenomeno di discesa differenziale genera gradienti di CO significativi all’interno del vortice, distinguendo efficacemente l’aria del nucleo del vortice da quella più vicina al suo margine.
Nel corso della nostra analisi, abbiamo confrontato il vortice definito dai gradienti di CO con quelli definiti dai gradienti di PV e dalla funzione di corrente ψ. I risultati mostrano che la definizione del margine del vortice basata sui gradienti di CO concorda sostanzialmente con quella dell’algoritmo di Nash nella stratosfera superiore durante il mese di gennaio. Analizzando i dati relativi ai mesi di dicembre, gennaio e febbraio, abbiamo osservato che il margine del vortice definito dai gradienti di CO si trova entro 10 gradi da quello definito dal vortice di Nash rispettivamente il 52,3%, l’83,2% e il 46,1% delle volte, a circa 45 km di altitudine.
Confrontando il metodo del gradiente di CO con il vortice ψ per dieci stagioni invernali DJF, abbiamo riscontrato che la tecnica basata sui gradienti di CO identifica con affidabilità il nucleo del vortice ma tende a sottostimare la sua estensione latitudinale vicino alla stratopausa. Tuttavia, intorno a 0.1 hPa (circa 60 km), l’approccio basato sui gradienti di CO si allinea perfettamente con il vortice definito dalla funzione ψ. Per questo motivo, suggeriamo l’adozione della definizione del vortice basata sui gradienti di CO per una diagnosi accurata dell’estensione spaziale dell’aria polare, che risulta chimicamente distinta rispetto a quella delle latitudini inferiori.
A un’altitudine di circa 80 km, il vortice identificato attraverso i gradienti di monossido di carbonio (CO) mostra caratteristiche distintive rispetto a quello definito dalla funzione ψ. Tende a manifestarsi più frequentemente al di sopra del cappuccio polare, centrato maggiormente attorno al polo, con una maggiore simmetria zonale e un’estensione geografica più ampia. Queste peculiarità sono attribuite alla presenza di strutture a doppio getto nella mesosfera. Inoltre, l’analisi temporale della latitudine equivalente del margine del vortice rivela un incremento dell’area occupata dal vortice dei gradienti di CO con l’aumentare dell’altitudine nella mesosfera. Significativamente, vicino agli 80 km, la latitudine equivalente media di questo vortice si posiziona intorno ai 50°, a fronte dei 60° rilevati intorno ai 60 km di altitudine. Questa metodologia basata sui gradienti di CO si dimostra efficace fino a circa 80 km, colmando una lacuna fondamentale nell’identificazione del vortice nella mesosfera, un ambito dove le rianalisi sono tradizionalmente meno vincolate dalle osservazioni.
La validità dell’algoritmo dei gradienti di CO è stata confermata da uno studio di caso specifico per l’inverno 2008-2009, che ne ha esaminato l’affidabilità su base giornaliera. In presenza di doppio getto nella mesosfera, la struttura del vortice definita tramite gradienti di CO è stata confrontata con quella derivante dalla definizione basata su ψ, segnando una novità nell’illustrare l’effetto dell’alternanza rapida di intensità tra il getto subtropicale mesosferico e quello della notte polare sui metodi convenzionali di identificazione del vortice. Generalmente, il margine del vortice identificato sia tramite ψ che attraverso i gradienti di CO si allinea con il getto subtropicale mesosferico. Tuttavia, la definizione basata su ψ mostra una maggiore sensibilità alle variazioni locali del campo dei venti, portando a una rapida divergenza dei confini del vortice all’emergere di massimi locali del getto a latitudini elevate. L’evoluzione osservata nei gradienti di CO suggerisce che il margine del vortice definito chimicamente dovrebbe rimanere in correlazione con il getto subtropicale, anche di fronte all’apparizione di massimi locali del getto a latitudini elevate.
L’approccio basato sui gradienti di CO, grazie alla sua tendenza ad allinearsi con correnti a getto persistenti, offre una stima più accurata della posizione geografica dell’aria chimicamente distinta all’interno del vortice, superando l’approccio statistico precedentemente proposto da MS13. Questa metodologia potrebbe essere estesa all’analisi di altre distribuzioni di traccianti quali CO2, O2, N2O, HF, CH4, e H2O, permettendo l’identificazione del vortice su un ampio spettro di altitudini e periodi dell’anno. Questo studio mira a dimostrare la praticabilità dell’algoritmo basato sui gradienti di CO e a fornire esempi concreti della sua applicazione. Ricerche future si avvarranno di questo approccio per indagare la struttura e la variabilità dei vortici polari mesosferici in entrambi gli emisferi e all’interno dei modelli climatici globali che includono la risoluzione della mesosfera.