Un Modello di Zona Surf per il BDC
La zona surf della stratosfera è un’area concettuale nella stratosfera delle medie latitudini dove si verifica una notevole miscelazione del vortice potenziale (PV), secondo quanto proposto da McIntyre e Palmer nel 1983. Questa teoria suggerisce che la propagazione e la rottura delle onde planetarie siano così intense da miscelare completamente il PV nella stratosfera delle medie latitudini. Questa zona è collocata tra due aree con forti gradienti di PV che limitano la miscelazione, come descritto da McIntyre e Palmer nel 1985. Killworth e McIntyre, nel 1985, hanno evidenziato che in una zona surf completamente miscelata, eventuali onde planetarie in eccesso verrebbero riflesse anziché assorbite. Di conseguenza, la regione ben miscelata si trasforma da un perfetto assorbitore, nelle sue fasi iniziali, in un perfetto riflettore. Le figure 2a–d illustrano schematicamente, a un livello generico della stratosfera, come la rottura delle onde di Rossby porti a una miscelazione del PV. Le onde planetarie, generate da orografie su larga scala (rappresentate con linee tratteggiate nere), si muovono verso l’alto e alterano orizzontalmente gli isopleti di PV, che conservano la loro struttura materiale (rappresentati in rosso solido), trasportando valori di PV inferiori verso i poli e valori superiori verso l’equatore. Questa distorsione ondulata continua in modo irreversibile fino a quando il modello ondulato non si spezza, causando la miscelazione del PV. A questo punto, i gradienti di PV necessari per la propagazione dell’onda scompaiono. Pertanto, il modello suggerisce che la rottura dell’onda è sufficiente a omogeneizzare il PV nella zona surf, ma non oltre.
In assenza di forzanti ondulatorie planetarie, e quindi senza la rottura delle onde, il vortice potenziale (PV) medio del flusso tenderebbe a riallinearsi con una distribuzione di base o di equilibrio. Quindi, l’influenza delle onde può essere considerata come una forza che causa deviazioni del PV dalla sua condizione di base, come illustrato più chiaramente nella Figura 3. In questa figura, una curva rossa e continua rappresenta il PV di base, che aumenta con la latitudine. Considerando l’ampiezza della zona di surf e la perfetta miscelazione del PV (rappresentata in blu), l’effetto delle onde è intrinsecamente limitato dal PV di base. In questo scenario, avverrà solo la quantità di rottura dell’onda necessaria per equilibrare la forza di ripristino, ma non più di così, a patto che ci sia un’adeguata forza delle onde planetarie proveniente dal basso. Utilizzando questo approccio concettuale, possiamo formulare una previsione quantitativa dell’azione delle onde.
L’equazione del PV quasi geostrofico (QG) in media zonale, espressa in coordinate cartesiane di longitudine, latitudine e pressione, è stata descritta da Andrews et al. nel 1987. Nella notazione standard, un simbolo con una barra sopra indica una media zonale, un apice denota una perturbazione geostrofica rispetto a questa media, e un pedice indica una derivata parziale. Il PV QG è rappresentato da q, y è la velocità meridionale, X simboleggia l’azione delle onde di gravità non risolte, e S comprende termini non conservativi, in gran parte dovuti al riscaldamento diabatico. In questo contesto, y0 q0 rappresenta il flusso meridionale medio-zonale di PV e, nel contesto QG, è equivalente all’azione delle onde di Rossby o alla divergenza del flusso di Eliassen-Palm (EPFD).
Secondo i principi della scala quasi geostrofica (QG) definiti da Edmon e collaboratori nel 1980, il vortice potenziale (PV) e il suo gradiente meridionale sono descritti tramite variabili atmosferiche come il vento zonale e la temperatura potenziale perturbata, in un contesto di uno stato di base stratificato indipendente dalla latitudine. In questo contesto, la frequenza di Coriolis è definita in funzione della latitudine.
In questa cornice teorica, facciamo un’ipotesi semplificata: il termine non conservativo può essere approssimato come un rilassamento lineare verso un profilo di base del PV. Questo significa che consideriamo un processo che tende a riportare il PV verso il suo stato iniziale su una scala temporale definita. Questa idea è rappresentata simbolicamente nella Figura 3. Definendo la forza totale delle onde e combinando diverse variabili, arriviamo a una formula che descrive come evolve il PV nel tempo.
L’evoluzione del PV è quindi un risultato della competizione tra l’influenza delle onde, che mira a uniformare il PV all’interno della zona di surf, e le forze non conservative (come le forze diabatiche), che continuamente spingono il PV verso lo stato di fondo.
Nel caso di uno stato stazionario, concentrando l’attenzione sulla zona di surf, possiamo dedurre che l’equilibrio si realizza attraverso un bilanciamento di vari fattori che coinvolgono la miscelazione e il ripristino del PV. Questi processi si verificano entro un intervallo temporale definito e ci aspettiamo un equilibrio che mantenga gradienti di PV esistenti, indicando quindi una zona di surf non completamente uniforme. Questo è confermato sia dalle osservazioni del nostro modello atmosferico (illustrate nella Figura 4) sia dalle osservazioni reali, che mostrano come i gradienti di PV nella zona di surf non siano mai completamente omogeneizzati.
Se il processo di miscelazione avviene rapidamente rispetto al meccanismo di ripristino, i gradienti del vortice potenziale (PV) risultano deboli. Per avanzare nell’analisi, ipotizziamo che la miscelazione sia talmente rapida da rendere quasi nullo il gradiente meridionale del PV. Questo implica che, applicando una derivata rispetto alla coordinata y, si elimina il termine di q nella parte destra dell’equazione.
In questo contesto, la curvatura dell’azione ondulatoria è proporzionale al gradiente di PV di fondo. Facendo una stima approssimativa, possiamo assumere che il PV di fondo sia equivalente al PV planetario, e che il suo gradiente sia costante. Presumiamo inoltre che l’influenza delle onde cessi al di fuori di una zona di surf con una specifica estensione meridionale. Di conseguenza, l’azione ondulatoria presenta una forma parabolica semplice, con un valore minimo negativo, conforme alla nostra aspettativa di una forza retrograda.
Si osserva che la velocità verticale residua, proporzionale al gradiente meridionale di questo attrito ondulatorio parabolico, sarebbe infinitamente grande proprio ai confini della zona. Tuttavia, in una situazione più realistica, la diffusione e l’avvezione della vorticità relativa modificherebbero questa condizione. È importante enfatizzare che l’azione ondulatoria qui descritta rappresenta solamente una stima approssimativa iniziale.
Per applicare questo modello di attrito ondulatorio è necessario avere una certa conoscenza della posizione e dell’estensione della zona di surf. A questo scopo, utilizziamo un modello di circolazione generale atmosferica (AGCM) idealizzato. In breve, l’AGCM impiegato in questo studio è basato su un nucleo dinamico sviluppato dal Geophysical Fluid Dynamics Laboratory. Utilizziamo la stessa configurazione del ‘run di controllo’ standard descritto in CGB13. Il modello calcola le equazioni primitive idrostatiche asciutte utilizzando tecniche pseudo-spettrali e adatta l’equazione della temperatura su una scala temporale di 40 giorni verso un profilo semplificato di equilibrio radiativo, valido per un perpetuo gennaio (secondo Polvani e Kushner, 2002).
Questo metodo consente di ottenere condizioni realistiche nella troposfera e nella stratosfera senza la necessità di ricorrere a schemi convettivi o radiativi, come evidenziato da Held e Suarez nel 1994 e da Polvani e Kushner nel 2002. Abbiamo adottato la configurazione proposta da Gerber e Polvani nel 2009, che assicura la più fedele interazione tra la troposfera e la stratosfera, includendo una topografia a onda zonale di 2 con un’ampiezza di 3 km, posizionata tra i 25° e i 65° di latitudine Nord. Inoltre, abbiamo rimpiazzato il rudimentale approccio di parametrizzazione delle onde di gravità (GW), che prevedeva una frizione di Rayleigh sopra lo 0.5 hPa influenzando gli strati più alti del modello secondo il modello di Polvani e Kushner del 2002, con uno schema di parametrizzazione che conserva il momento per le onde di gravità non orografiche (NOGW), seguendo le indicazioni di Alexander e Dunkerton del 1999 (vedi CGB13 per i dettagli). Si noti che non è stata impiegata alcuna parametrizzazione per le onde di gravità orografiche nell’AGCM utilizzato per questo studio.
Le figure 4a e 4b illustrano la struttura dettagliata del vortice potenziale medio (q) e del suo gradiente (qy), calcolati in coordinate sferiche, da un’integrazione di controllo di 10.000 giorni con l’AGCM. Per calcolare il gradiente del PV quasi geostrofico nel modello, u0 è stato definito come la media latitudinale tra 60° e 30°S e tra 30° e 60°N, mentre u è stato calcolato come la deviazione da questo valore di base. Le figure 4c e 4d mostrano rispettivamente l’integrazione nel tempo e in media zonale dell’EPFD e del vento zonale.
La Figura 5 confronta una stima dell’azione ondulatoria secondo il modello (7) con i risultati delle integrazioni AGCM. La Figura 5a presenta l’EPFD e il drag delle onde di gravità non orografiche (NOGWD) mediati nel tempo e zonalmente nel modello, mentre la Figura 5b mostra la stima dell’azione ondulatoria secondo il modello (7) con parametri quali qby = b, h = 268, y0 = 45°N e t = 40 giorni, che corrispondono alla scala temporale di rilassamento termico nell’AGCM (Polvani e Kushner 2002). La larghezza della zona di surf e il parametro y0 sono stati scelti in base alle figure 4b e 4c. Si osserva un accordo ragionevolmente buono tra le integrazioni del modello e l’analisi dell’azione ondulatoria, sia in termini di ampiezza che di forma.
Il successo di questo semplice modello analitico indica che le onde di Rossby sono particolarmente efficaci nel contrastare la forza che tende a ripristinare il valore del Potenziale Vorticoso (PV), come descritto nella formula (5). Tuttavia, se confrontato con il meccanismo di azione delle onde effettivo all’interno del Modello Globale di Circolazione Atmosferica (AGCM), il nostro modello semplice tende a sottostimare l’azione delle onde tra 0,1 e 3 hPa, mentre la sovrastima avviene tra i 30 e i 50 hPa. Questo può essere in parte attribuito al fatto che l’equazione (7) è basata su un modello concettuale unidimensionale della ‘zona di surf’. Nell’AGCM, la stratosfera è più distante dal suo equilibrio termico ad altitudini più elevate, il che si traduce in una scala temporale di smorzamento più lunga. In teoria, sarebbe possibile affinare la struttura verticale del forcing ondulatorio vincolato considerando le variazioni della stratificazione, ma l’obiettivo del modello è fornire solo una stima approssimativa.
Questi risultati dovrebbero essere confrontati con uno studio più recente di Scott e Liu (2014). Utilizzando il sistema di acque poco profonde TEM, hanno analizzato quale forza di dispersione di Eliassen-Palm (EPFD) sarebbe necessaria per mantenere una regione fissa della ‘zona di surf’ stratosferica, resistendo all’effetto di riequilibrio della rilassazione radiativa. Concordemente con la nostra stima, hanno scoperto che è necessaria un’EPFD di forma parabolica per mantenere una zona di surf con PV uniforme, utilizzando un approccio iterativo. Il loro modello permette anche la rottura delle onde al di fuori della zona di surf, assicurando una circolazione più realistica nelle aree adiacenti, ma conferma lo stesso equilibrio all’interno della zona di surf.
La zona di surf limita l’azione totale delle onde solo fino al punto in cui i parametri possono essere stabiliti in anticipo. L’esame della formula (7) indica che il parametro predominante è la ‘mezza larghezza’, che influisce in modo significativo sull’ampiezza del forcing ondulatorio vincolante parabolico. Nella Figura 6, mostriamo il forcing ondulatorio emisferico totale stimato dalla (7), regolato in base alla climatologia del modello, come funzione della ‘mezza larghezza’, dove i diversi colori rappresentano diverse scale temporali di smorzamento. Un valore di 1 corrisponde al valore effettivo del forcing ondulatorio integrato. Ogni curva nella Figura 6a, che rappresenta l’integrazione areale, corrisponde a una curva di colore uguale nella Figura 6b, che rappresenta l’integrazione verticale. È evidente che il modello concettuale è fortemente influenzato dalla larghezza della zona di surf e dal parametro della scala temporale. Si noti che la linea rossa rappresenta l’uso della scala temporale naturale nel modello. In aggiunta, è importante osservare che la larghezza della zona di surf può essere stimata usando le Figure 4b e 4c. Ad esempio, definendo la ‘mezza larghezza’ dall’apice del getto polare notturno fino al punto di minimo gradiente meridionale di PV, abbiamo stimato che essa si aggiri intorno ai 208–308 gradi di latitudine. Di conseguenza, secondo le Figure 6a e 6b, il modello concettuale fornisce una stima plausibile del forcing ondulatorio totale.
La capacità di ottenere una stima affidabile del forcing ondulatorio totale, basandosi solo sulle caratteristiche generali della zona di surf, evidenzia i vantaggi del ragionamento in termini di Potenziale Vorticoso (PV) applicato alla Circolazione Brewer-Dobson (BDC). Questo ci porta a proporre una piccola modifica al paradigma standard per la dinamica della BDC, includendo esplicitamente l’effetto del forcing ondulatorio sul PV. Il punto fondamentale del paradigma rivisto, come mostrato nella Figura 1b, è riconoscere che le onde di Rossby mescolano il PV come un passo intermedio rispetto al paradigma convenzionale. Questo legame tra mescolamento e forcing ondulatorio connette direttamente l’estensione della zona di surf al PV ambientale (freccia in basso a sinistra della Figura 1b). Per esempio, conoscendo la larghezza della zona di surf, il forcing ondulatorio necessario è quello sufficiente a mantenere un PV uniforme nonostante le forze di ripristino, come stimato grossolanamente nella (7). D’altro canto, conoscendo la struttura del PV nella zona di surf, è possibile invertire il PV per calcolare i campi di flusso zonale medio (freccia in alto a destra della Figura 1b), garantendo che il campo del vento zonale rispetti un indice di rifrazione positivo per la propagazione delle onde planetarie (Charney e Drazin 1961; Matsuno 1970), come assunto dal modello della zona di surf che prevede sempre disponibilità di RW per la miscelazione del PV (freccia in basso a destra della Figura 1b).
Nella sezione successiva, utilizzeremo questo modello per proporre un nuovo meccanismo di interazione stratosferica tra onde di gravità parametrizzate e onde di Rossby planetarie, un meccanismo che si integra al vincolo di stabilità temporale proposto da CGB13. La novità sta nel fatto che (i) questa prospettiva modificata ci spinge a considerare l’impatto del PV in anticipo e (ii) non fa distinzione tra le diverse onde che intervengono nella miscelazione del PV.
La Figura 2 è un insieme di diagrammi di latitudine-longitudine che rappresentano il processo di mescolamento del vortice potenziale (PV) a causa della rottura delle onde di Rossby e delle onde di gravità nella mesosfera. Ecco una spiegazione dettagliata di ogni pannello:
(a) Onde di Rossby generate dall’orografia su larga scala: Le linee tratteggiate nere rappresentano orografie su larga scala (come le montagne). Le linee rosse sono isoplete di PV che aumentano verso i poli. Le onde di Rossby sono onde atmosferiche a larga scala generate da variazioni orografiche e dalla rotazione terrestre. Queste onde possono propagarsi verso l’alto nell’atmosfera.
(b) Distorsione del PV causata dalle onde di Rossby: Man mano che le onde di Rossby si propagano verso l’alto, iniziano a distorcere le isoplete di PV. Questo porta al trasporto di valori di PV più bassi verso i poli e valori di PV più alti verso l’equatore.
(c) Continuazione della distorsione ondulata: La distorsione delle isoplete di PV continua e diventa più pronunciata. Questo processo è irreversibile e porta a un aumento della complessità della struttura del PV.
(d) Rottura delle onde e mescolamento del PV: Alla fine, il pattern ondulato si rompe, portando a un mescolamento dei valori di PV. Questo è rappresentato da un aspetto più “macchiato” delle linee rosse, indicando un mescolamento più omogeneo del PV.
(e) Onde di gravità generate da orografie su piccola scala: Le onde di gravità sono onde atmosferiche che possono essere generate da orografie su piccola scala (come piccole colline). Queste onde si propagano verso l’alto e rompendosi esercitano una forza retrograda.
(f) Modifica del PV causata dalle onde di gravità: La rottura delle onde di gravità porta a un cambiamento locale del PV, che agisce come un mescolamento locale, separando ulteriormente le isoplete di PV.
(g) Numerosi eventi di rottura delle onde di gravità: Questo pannello ipotizza molti eventi di rottura delle onde di gravità che accadono contemporaneamente.
(h) Aggregazione della rottura delle onde di gravità: L’aggregazione di molti eventi di rottura delle onde di gravità, o l’applicazione di un risultato medio-zonale, porta a un mescolamento efficace del PV su larga scala.
In sintesi, questi diagrammi illustrano come le onde di Rossby e le onde di gravità possano influenzare e mescolare i valori di PV nell’atmosfera, il che ha implicazioni per la dinamica atmosferica su larga scala, inclusa la circolazione del vento e il trasferimento di energia.
La figura 3 rappresenta un modello concettuale per la “zona di surf” stratosferica. Questo è un termine usato in meteorologia e oceanografia per descrivere un’area dove avviene una forte mescolanza, o “mixing”, di potenziale vorticosità (PV) a causa della rottura di onde planetarie. Vediamo di spiegare in dettaglio la figura.
- Assi: L’asse verticale (PV) rappresenta il potenziale vorticosità, che è una misura della tendenza dell’aria a ruotare in un dato punto. L’asse orizzontale rappresenta la latitudine, che va dall’equatore (EQ) verso i poli.
- Curve:
- Curva rossa (Background PV): Questa curva rappresenta il valore di base o “background” del PV che ci si aspetterebbe senza alcuna mescolanza. Si nota che il valore di PV aumenta con la latitudine, il che è tipico poiché il PV è correlato con la rotazione della Terra e quindi tende ad aumentare verso i poli.
- Curva blu tratteggiata (PV after mixing): Questa curva mostra come il PV è distribuito dopo che la mescolanza è avvenuta. La forma a zigzag indica che il PV è stato mescolato in diverse latitudini, differendo dal valore di base.
- “Surf zone”: L’area etichettata come “surf zone” indica la regione in cui la mescolanza è particolarmente intensa. In questa regione, le onde planetarie (fluttuazioni a larga scala nell’atmosfera) rompono, simile a come le onde oceaniche si infrangono sulla spiaggia. Questo processo di rottura delle onde porta a una mescolanza dei valori di PV, che si allontanano dal loro background (rappresentato dalla curva rossa).
- Area tra le curve: L’area compresa tra le due curve (rossa e blu tratteggiata) rappresenta la quantità totale di “forzante ondulatoria” o wave driving, che ha contribuito alla mescolanza del PV. Questo significa che l’energia totale trasferita dalle onde che si rompono alla mescolanza del PV è proporzionale all’area tra le due curve.
- Interpretazione fisica: La figura suggerisce che c’è un limite alla quantità di energia che può essere trasferita dalla rottura delle onde alla mescolanza del PV nella stratosfera. Questo limite è dato dall’area assoluta tra le due curve. Il modello implica che c’è una sorta di equilibrio dinamico tra le onde che si rompono e la mescolanza risultante del PV.
In sintesi, la figura è una rappresentazione schematica che mostra come le onde planetarie rompendo nella stratosfera possano mescolare il potenziale vorticosità in una regione specifica, portando a una distribuzione di PV che si discosta da quella attesa senza mescolanza. Questo processo ha implicazioni importanti per la dinamica atmosferica e può influenzare il clima e i modelli meteorologici.
La figura è un insieme di quattro grafici distinti, ognuno dei quali presenta dati atmosferici mediati nel tempo e nello spazio, cioè valori che sono stati raccolti e calcolati su lunghe scale temporali e su ampie fasce di latitudine (da -90° a 90°, ovvero dall’emisfero sud a quello nord).
a) Media della QG PV (Vorticità Potenziale Quasi-Geostrofica): Il primo grafico mostra una mappa di colori che rappresenta la media della vorticità potenziale quasi-geostrofica (QG PV), che è un modo per misurare quanto l’aria tenda a ruotare in un dato punto dell’atmosfera. In meteorologia, la PV è particolarmente utile perché ci aiuta a comprendere la dinamica delle grandi masse d’aria e la formazione di sistemi meteorologici come cicloni ed anticicloni. Qui, il valore di PV è normalizzato rispetto a un valore di riferimento preso a 45°N. Il rosso indica zone con alta PV, e il blu indica zone con bassa PV.
b) Gradiente meridionale medio della QG PV: Il secondo grafico esamina come cambia il gradiente (la differenza) della PV quando ci si muove da nord a sud (il cosiddetto gradiente meridionale). Questa variazione è fondamentale perché un alto gradiente di PV spesso coincide con zone di forti venti e instabilità atmosferica. Anche in questo caso, il gradiente è normalizzato rispetto a un valore planetario a 45°N.
c) EPFD (Eliassen-Palm Flux Density): Il terzo grafico è un po’ più complesso. Mostra la densità del flusso di Eliassen-Palm, che è un modo per descrivere come il momento e l’energia si muovono verticalmente e latitudinalmente nell’atmosfera. Questo è fondamentale per capire come le onde atmosferiche (come le onde di Rossby) trasferiscano energia tra diverse parti dell’atmosfera. Le linee nere mostrano torques idealizzati, che sono forze immaginarie applicate per studiare la loro influenza sulla circolazione atmosferica generale.
d) Vento zonale medio zonale: Infine, il quarto grafico illustra la velocità media del vento nella direzione est-ovest (detta zonale) a diverse latitudini e quote (espresse in pascal, un’unità di pressione). I colori qui vanno dal blu al rosso, indicando rispettivamente venti che soffiano da ovest verso est (positivi) e da est verso ovest (negativi).
Complessivamente, la figura mostra come alcuni parametri chiave dell’atmosfera varino con la latitudine e l’altezza, dando ai climatologi e meteorologi dati preziosi per analizzare e prevedere il comportamento dell’atmosfera terrestre.
La figura 5 mostra due diagrammi che rappresentano il “wave driving” dell’atmosfera nella stratosfera dell’emisfero nord (NH). Questi diagrammi sono chiamati plot di contorno o contour plot e sono utilizzati per rappresentare tre dimensioni di dati: due dimensioni spaziali sul piano (latitudine e pressione) e una dimensione di dati scalari (il wave driving misurato in 10^9 Newton) rappresentata dai colori.
Ecco come interpretare i due pannelli della figura:
Pannello (a) – EPFD+NOGWD
- Latitudine: L’asse orizzontale rappresenta la latitudine in gradi, che varia da 20 a 80 gradi. Più si va verso destra, più ci si sposta verso il polo nord.
- Pressione: L’asse verticale rappresenta la pressione nell’atmosfera, misurata in hPa (ettropascal). Parte da 0.1 hPa (alta atmosfera, pressione bassa) e arriva fino a 0.3 hPa (parte più bassa della stratosfera, pressione più alta).
- Contour Plot: I colori dal blu al rosso rappresentano il valore di wave driving, dove il blu indica valori più bassi e il rosso valori più alti. In questo caso, vediamo che i valori più alti (più blu scuro) sono concentrati intorno ai 30-60 gradi di latitudine.
- Dati: Il pannello (a) mostra la somma dell’EPFD (Eliassen-Palm Flux Divergence) e del NOGWD (Non-Orographic Gravity Wave Drag) come risultato di un’integrazione di controllo di un AGCM (Atmospheric General Circulation Model).
Pannello (b) – Stima del Wave Driving
- Stima: A differenza del pannello (a), il pannello (b) mostra una stima del wave driving basata su un modello concettuale con parametri specifici (centrato a 45°N con mezza larghezza di 26°, t = 40 giorni, e qby = b).
- Contour Plot: Anche qui, i colori rappresentano l’intensità del wave driving, e possiamo notare che la stima mostra un’intensità generalmente più bassa rispetto al pannello (a), con i valori più alti (più scuri) più concentrati verso il centro della latitudine considerata.
Interpretazione Generale
- Comparazione: Confrontando i due pannelli, possiamo valutare come la stima del modello concettuale si allinea con i dati effettivi derivati dall’AGCM.
- Struttura Verticale: La struttura verticale del wave driving segue la struttura della densità dell’atmosfera, suggerendo che i valori più alti di wave driving sono associati a regioni di maggiore densità atmosferica.
In generale, la figura 5 è utile per valutare l’efficacia di un modello concettuale nel stimare il wave driving nella stratosfera e per capire come questo fenomeno varia con la latitudine e l’altitudine (pressione) nell’atmosfera terrestre.
La Figura 6 presenta due grafici collegati tra loro che esplorano l’effetto delle onde atmosferiche sul clima, un concetto noto come guida d’onda. Queste onde sono fondamentali per il trasferimento di energia e momento nell’atmosfera e possono influenzare le condizioni meteorologiche e climatiche.
Guida d’onda integrata per area (Grafico a) Il primo grafico (a) mostra come l’efficacia della guida d’onda varia in base alla “mezza larghezza” dell’onda, che è essenzialmente la sua estensione geografica da un punto centrale, e alla durata dell’onda, che è indicata dalle curve colorate rappresentanti diversi periodi temporali (da 10 a 60 giorni).
Le ordinate (asse verticale) mostrano il cambio relativo nella guida d’onda, calcolato attraverso una formula specifica (indicata come formula (7) nel documento da cui proviene l’immagine). Questo valore è normalizzato, il che significa che è stato reso relativo alla guida d’onda media o “climatologica”, indicata come EPFD senza GWD. Un valore di 1 indica che la guida d’onda per quella particolare configurazione è perfettamente allineata con la media a lungo termine. Il grafico mostra un aumento della guida d’onda relativa con la mezza larghezza dell’onda, e questo effetto è più pronunciato per onde che persistono più a lungo (curve per t=40 e t=60 giorni).
Guida d’onda verticale integrata (Grafico b) Il secondo grafico (b) esamina l’intensità della guida d’onda in funzione della latitudine, ancora una volta per diverse scale temporali. Qui, l’asse delle ordinate misura la forza della guida d’onda in Newton. Le curve rappresentano come questa forza varia ai diversi tempi, con la linea tratteggiata che mostra la guida d’onda climatologica senza l’effetto delle onde di gravità ondulate (EPFDNOGWD).
Da questo grafico, possiamo vedere che la forza della guida d’onda è generalmente maggiore verso i poli che verso l’equatore e che vi sono differenze significative in base alla durata dell’onda. Questo suggerisce che il tempo e la posizione geografica sono fattori critici nel determinare come le onde influenzano la dinamica atmosferica.
In sintesi, questi grafici ci informano su come la guida d’onda varia in base alla posizione geografica e alla scala temporale, fornendo indizi su come le onde atmosferiche potrebbero influenzare i modelli climatici regionali e globali. Questa comprensione è vitale per la modellizzazione accurata del clima e per la previsione di eventi meteorologici estremi.