https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2008GL035721
Lo studio indaga l’effetto di Holton-Tan (HTE) nell’emisfero nord, esaminando come l’allineamento della fase dell’oscillazione quasi-biennale (QBO) con il ciclo annuale influenzi la forza del vortice polare stratosferico. Attraverso l’analisi dei dati del riassunto ERA-40, emerge che la correlazione tra la fase QBO e l’intensità del vortice polare stratosferico durante l’inizio e la fine dell’inverno (rispettivamente Novembre-Dicembre e Febbraio-Marzo) è più marcata in certi periodi del record quarantennale, selezionati in base alla stagionalità delle transizioni di fase della QBO al livello di 30 hPa.
Questo studio sottolinea l’importanza del momento in cui avvengono le transizioni di fase della QBO, considerato un indicatore dei cambiamenti nella struttura verticale dei venti nella stratosfera tropicale. Si è scoperto che la relazione tra la QBO e la forza del vortice polare è statisticamente più significativa quando le transizioni di fase della QBO a 30 hPa si verificano tra 9 e 14 mesi (per l’inizio dell’inverno) e tra 4 e 9 mesi (per la fine dell’inverno) prima del gennaio dell’inverno nord emisferico in analisi. Ciò implica che esiste una specifica configurazione verticale dei venti stratosferici tropicali che massimizza l’effetto sulla variabilità interannuale del vortice polare, e che la forza dell’HTE varia a seconda che la transizione di fase della QBO avvenga più precocemente o più tardi rispetto a questa configurazione ottimale.
Inoltre, lo studio rivela che la frequenza delle transizioni di fase della QBO cambia su base decennale, con una maggiore prevalenza di transizioni nella prima metà dell’anno nei primi decenni del record dei dati. Questo andamento suggerisce che le variazioni decennali nella forza dell’HTE possono essere attribuite alle modifiche stagionali delle transizioni di fase della QBO, offrendo una nuova prospettiva sulle dinamiche a lungo termine che influenzano il clima dell’emisfero nord.
Introduzione all’influenza della QBO sul vortice polare stratosferico settentrionale
Durante i mesi invernali nell’emisfero nord, la stratosfera extratropicale mostra una notevole variabilità interannuale nella forza del vortice polare. Una ricerca pionieristica condotta da Holton e Tan nel 1980 ha evidenziato come questa variabilità sia influenzata dalla fase della oscillazione quasi-biennale (QBO), con la fase di venti equatoriali occidentali (e quindi una QBO occidentale) a 50 hPa che tende a correlarsi con un vortice polare più forte, e viceversa, la fase di venti equatoriali orientali (una QBO orientale) che si associa a un vortice più debole. Studi successivi hanno confermato l’esistenza di questo effetto, noto come effetto Holton-Tan (HTE), ma hanno anche rivelato che la sua evidenza statistica varia tra l’inizio e la fine dell’inverno, suggerendo che la forza dell’HTE può cambiare su scala decennale.
Nonostante il riconoscimento dell’HTE, le cause della sua variabilità decennale rimangono un argomento di dibattito. Una teoria propone che il ciclo solare di 11 anni influenzi l’HTE, potenzialmente invertendo o annullando il suo effetto durante i massimi solari. In alternativa, uno studio focalizzato sul periodo 1977-1997 ha osservato un apparente rovesciamento dell’HTE durante i mesi di fine inverno, un fenomeno che potrebbe essere paragonato agli effetti del ciclo solare, sebbene questo intervallo temporale includa un numero simile di anni caratterizzati da fasi diverse del ciclo solare.
Holton e Tan hanno ipotizzato che l’influenza della QBO sul vortice polare sia mediata dalla modulazione della posizione della linea di equazione zero latitudini, che funge da barriera alla propagazione delle onde planetarie stazionarie. Questo meccanismo dovrebbe teoricamente indebolire il vortice polare, tuttavia, la relazione osservata tra l’HTE e questo meccanismo rimane ambigua, data la varietà dei venti della QBO nella stratosfera. Le onde planetarie, con lunghezze d’onda verticali che si estendono attraverso tutta la stratosfera, possono essere influenzate dall’intero profilo dei venti equatoriali, suggerendo una sensibilità dell’HTE alla struttura verticale completa della QBO.
Inoltre, studi di modellizzazione hanno esplorato il legame tra la variabilità del vortice polare e la posizione della linea di equazione zero latitudini, scoprendo che un profondo strato di venti orientali tropicali può anticipare l’inizio dei riscaldamenti stratosferici. Tuttavia, tali modelli, che presentano uno strato tropicale estremamente profondo di venti orientali, non riflettono accuratamente la struttura verticale reale della QBO. Ricerche più recenti, che hanno cercato di incorporare una rappresentazione più realistica della QBO, hanno confermato che l’HTE dipende dai venti tropicali su tutta la profondità della stratosfera, evidenziando la complessa interazione tra la QBO e il vortice polare stratosferico settentrionale.
La comprensione di come i venti tropicali influenzino il vortice polare stratosferico durante l’inverno nell’emisfero nord è fondamentale per decifrare i pattern meteorologici e climatici a larga scala. Un elemento chiave in questa dinamica è l’oscillazione quasi-biennale (QBO), i cui cambiamenti di fase non seguono rigidamente il ciclo annuale, ma neppure ne sono completamente slegati. Queste transizioni di fase tendono a concentrarsi in determinati periodi dell’anno, un fenomeno che rimane in parte misterioso.
La ricerca ha evidenziato che la forza dell’effetto Holton-Tan (HTE), un meccanismo che lega la fase della QBO alla forza del vortice polare, dipende significativamente dall’allineamento tra la QBO e il ciclo annuale. Questa sensibilità sottolinea l’importanza della struttura verticale dei venti tropicali, la quale è modulata dal momento specifico delle transizioni di fase della QBO.
Nel tentativo di esplorare le variazioni decennali dell’HTE, abbiamo suddiviso i dati climatici in base alla stagionalità delle transizioni di fase della QBO. È emerso che i segnali dell’HTE, statisticamente significativi sia all’inizio che alla fine dell’inverno, si manifestano in maniera diversa a seconda dei sottogruppi di dati analizzati. Questa osservazione suggerisce che le fluttuazioni decennali nell’intensità dell’HTE, precedentemente documentate, potrebbero essere direttamente legate ai cambiamenti nel pattern stagionale delle transizioni di fase della QBO.
In sintesi, la nostra analisi propone che le variazioni osservate nell’effetto Holton-Tan su scala decennale possano essere il risultato di come e quando la QBO cambia fase nel corso dell’anno. Questa prospettiva apre nuove vie di ricerca sulla relazione tra i meccanismi dinamici tropicali e i grandi sistemi meteorologici dell’emisfero nord, evidenziando la complessità e l’interconnessione dei nostri sistemi climatici globali.
2. Metodi
Nella nostra indagine sull’effetto della Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) sul vortice polare stratosferico durante l’inverno dell’emisfero nord, abbiamo adottato un approccio metodico dettagliato, facendo leva su un ampio insieme di dati. Per le analisi, ci siamo affidati a 44 anni di dati (dal 1958 al 2001) di medie mensili, ottenuti dall’ERA-40 Reanalysis, una risorsa resa disponibile pubblicamente dall’ECMWF. Questi dati coprono 23 livelli di pressione, dalla superficie terrestre fino a 1 hPa, con una risoluzione spaziale di 2,5° per 2,5°.(http://data.ecmwf.int/data/d/era40/)
La QBO è caratterizzata attraverso l’analisi dei dati di vento raccolti da radiosonde posizionate in stazioni quasi-equatoriali. Per rimuovere l’influenza stagionale e isolare le oscillazioni proprie della QBO, abbiamo desezionalizzato i dati sottraendo la climatologia del periodo 1953-2004 e applicato una media mobile su cinque mesi. In questo modo, abbiamo potuto definire la fase della QBO a vari livelli verticali come occidentale (W) o orientale (E), in base al segno del vento.
Per approfondire la nostra comprensione delle differenze tra gli stati della stratosfera invernale dell’emisfero nord associati alle diverse fasi della QBO, abbiamo suddiviso i dati in sottogruppi specifici. Questi sottogruppi sono stati definiti in base alla tempistica delle transizioni di fase della QBO, rispetto al ciclo annuale. Concretamente, abbiamo individuato intervalli di tempo relativi all’inverno dell’emisfero nord durante i quali avvenivano le transizioni di fase della QBO a determinati livelli verticali. A seconda che una transizione di fase W (E) avvenisse in questi intervalli, l’inverno corrispondente veniva classificato nella categoria W (E). Ad esempio, selezionando gli inverni preceduti da una transizione di fase a 30 hPa nel periodo da aprile a settembre, abbiamo potuto esaminare come specifiche temporizzazioni delle transizioni influenzassero l’effetto della QBO sul vortice polare.
Questo metodo di partizionamento dei dati, basato su “contenitori di fase” (phase bins) definiti da periodi specifici “mesi prima di gennaio”, ci ha permesso di esplorare con precisione l’impatto delle dinamiche temporali della QBO sulla struttura e sulla dinamica della stratosfera invernale dell’emisfero nord, gettando luce sui meccanismi sottostanti che influenzano la variabilità del vortice polare.
3. Risultati
Nella nostra analisi della relazione tra l’oscillazione quasi-biennale (QBO) e il vortice polare stratosferico nell’emisfero nord, abbiamo esplorato la tempistica e la stagionalità delle transizioni di fase della QBO a 30 hPa, utilizzando dati provenienti da radiosonde tropicali nel periodo 1953-2004. Dai nostri studi emerge che queste transizioni non avvengono casualmente nel corso dell’anno, ma piuttosto si concentrano in specifici periodi, confermando e ampliando le osservazioni precedenti di Dunkerton (1990).
Per comprendere meglio come la struttura verticale della QBO possa influenzare i movimenti dell’aria nelle regioni extratropicali, abbiamo definito due intervalli temporali di sei mesi ciascuno, selezionati in base alla tempistica delle transizioni di fase a 30 hPa. Questi intervalli, Novembre-Aprile (9-14 mesi prima) e Aprile-Settembre (4-9 mesi prima), ci hanno permesso di isolare e comparare gli inverni influenzati da fasi diverse della QBO, dopo aver escluso gli anni non compresi nel periodo di riferimento dei dati ERA-40 (1958-2001). Questo approccio ha rivelato un’equa distribuzione tra gli inverni caratterizzati da fasi occidentali (W) e orientali (E) della QBO, rispettivamente 11 contro 9 per il primo intervallo e 8 contro 10 per il secondo.
L’analisi delle differenze composito W-E (ovvero, la differenza tra le fasi occidentali e orientali) dei venti ERA-40 a 15N durante l’inverno nell’emisfero nord ha messo in luce che i due intervalli selezionati presentano differenze significative, quasi pari a un quarto di ciclo della QBO. Questo indica che la fase della QBO può influenzare in modi distinti la struttura verticale dei venti tropicali e, di conseguenza, l’interazione tra la QBO e il vortice polare.
La nostra indagine si è quindi concentrata sulle variazioni stagionali dell’effetto Holton-Tan (HTE), osservando differenze significative tra l’inizio (Novembre-Dicembre) e la fine (Febbraio-Marzo) dell’inverno. In particolare, per gli inverni classificati nel periodo Novembre-Aprile, l’HTE si è dimostrato particolarmente pronunciato all’inizio dell’inverno, mentre l’effetto di fine inverno era più debole e non statisticamente significativo. Al contrario, gli inverni classificati nel periodo Aprile-Settembre hanno mostrato un effetto HTE di fine inverno statisticamente significativo, senza un corrispondente effetto all’inizio dell’inverno.
Questi risultati suggeriscono una correlazione diretta tra la differenza dei venti tropicali W-E e l’intensità dell’HTE nelle diverse fasi dell’inverno, implicando che la fase della QBO possa effettivamente modulare l’effetto HTE in maniera stagionale. Ciò indica, inoltre, che la forza dell’HTE potrebbe variare significativamente nel corso del periodo osservato, offrendo nuove prospettive sulla complessa interazione tra la dinamica tropicale e i grandi sistemi meteorologici dell’emisfero nord.
Nella nostra analisi sulla relazione tra l’oscillazione quasi-biennale (QBO) e il vortice polare, abbiamo dato particolare importanza alla selezione di specifici periodi, o “contenitori di fase”, quali Novembre-Aprile e Aprile-Settembre. Questa scelta è stata guidata dal desiderio di comprendere meglio come la tempistica delle transizioni di fase della QBO influenzi il vortice polare. La Figura 4a illustra questa enfasi, mostrando la t-statistica al punto di griglia 60N, 50 hPa. Questa misura statistica, che presuppone una varianza uguale tra i due gruppi analizzati (fasi W ed E della QBO), varia in maniera fluida al cambiare dei confini temporali dei contenitori di fase, suggerendo una relativa insensibilità dei risultati alla scelta precisa del periodo.
Tuttavia, valutare la significatività statistica di queste osservazioni richiede cautela. Per esemplificare, abbiamo immaginato di eliminare qualsiasi correlazione tra la QBO e il vortice polare, sostituendo la serie temporale reale con una generata da rumore bianco. Attraverso questa simulazione, basata su 5000 processi di rumore bianco, abbiamo scoperto che è relativamente comune ottenere valori elevati della t-statistica per alcuni dei contenitori di fase. Se i dati in ciascun contenitore fossero completamente indipendenti, ci aspetteremmo che circa il 5% dei valori di t superasse il livello di significatività del 95%. Tuttavia, dato che i contenitori di fase adiacenti condividono alcuni mesi, i dati non sono completamente indipendenti.
Ciò ci ha portati a indagare la probabilità, sotto l’ipotesi nulla che la QBO e il vortice polare siano non correlati, di osservare più superamenti di specifici valori di soglia di t. La Figura 4b rivela che, per esempio, il picco osservato in Febbraio-Marzo (con cinque superamenti di ∣t∣ = 2.4) ha solo il 4% di probabilità di verificarsi per caso, suggerendo una significatività del 96% per questa osservazione. Allo stesso modo, il picco di Novembre-Dicembre mostra una probabilità del 3% sotto l’ipotesi nulla, indicando una forte correlazione tra la QBO e il vortice in questi periodi.
Importante notare, l’utilizzo di un punto di griglia diverso (60N, 10 hPa) modifica leggermente i risultati, aumentando la significatività del segnale di Novembre mentre mantiene stabile quella del segnale di fine inverno. Inoltre, l’introduzione di un processo AR1 per simulare l’autocorrelazione intrastagionale del vortice polare non altera la significatività delle nostre osservazioni iniziali.
In sintesi, la nostra metodologia e le analisi statistiche evidenziano una relazione significativa tra la tempistica delle transizioni di fase della QBO e la dinamica del vortice polare stratosferico, pur sottolineando l’importanza di un’attenta valutazione della significatività statistica in presenza di dati non completamente indipendenti.
La Figura 1 ci fornisce una rappresentazione visiva di come le transizioni di fase dell’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) si distribuiscono nel corso dell’anno e come queste transizioni si sono evolute nel tempo.
Partendo dal grafico (a), abbiamo due distinti histogrammi che ci mostrano la stagionalità delle transizioni di fase del QBO a 30 hPa. Il QBO è un fenomeno atmosferico caratterizzato da venti che alternano la loro direzione da est a ovest e viceversa, a livelli elevati dell’atmosfera tropicale, e queste inversioni avvengono circa ogni 28 mesi. Il grafico in alto illustra le transizioni verso ovest (QBO-W) e quello in basso verso est (QBO-E), con l’altezza delle barre che indica il numero di volte in cui ciascuna transizione si è verificata in un determinato mese. Dalla distribuzione delle barre, possiamo dedurre che le transizioni non si verificano in modo uniforme durante l’anno, ma piuttosto tendono a concentrarsi in alcuni mesi specifici.
Nel grafico (b), ci viene mostrata la variazione nel tempo di queste stagionalità. Ogni punto rappresenta un’occasione in cui si è verificata una transizione di fase, e il grafico è stratificato per anno, dal 1950 fino agli anni più recenti. I punti rossi indicano le transizioni QBO-W e i blu quelle QBO-E. Le linee tratteggiate collegano le fasi consecutive del QBO, evidenziando una sorta di “ritmo” o pattern nel passare degli anni. Questa rappresentazione ci permette di osservare tendenze o cambiamenti nel comportamento del QBO su una scala temporale più lunga, come ad esempio la presenza di periodi in cui le transizioni tendono a concentrarsi in certi mesi dell’anno, o l’alternanza di questi periodi nel corso dei decenni.
In sintesi, la Figura 1 è un potente strumento per visualizzare la complessità e la dinamica del QBO, aiutandoci a capire meglio come questo fenomeno si integri nel più ampio sistema climatico e come possa influenzare le condizioni meteorologiche su scala globale.
La Figura 2 ci offre un’analisi dettagliata del comportamento dei venti zonali all’altezza di 15 gradi nord, sfruttando i dati ERA-40 per esaminare le differenze stagionali.
Nel grafico (a), osserviamo le differenze composite tra i venti zonali che soffiano da ovest verso est (W) e da est verso ovest (E) durante il periodo che va da novembre ad aprile, che precede di 9 a 14 mesi il periodo considerato. La linea tratteggiata rappresenta il mese di gennaio dell’inverno dell’emisfero nord, e qui viene evidenziata la classificazione in fasi W o E per quella stagione. Le contornature rosse indicano dove la velocità del vento è maggiore nella fase W rispetto alla E, mentre quelle blu indicano il contrario. Il fatto che alcune di queste aree siano ombreggiate indica che le differenze osservate sono statisticamente significative al 95% secondo il test t. Questo significa che c’è meno del 5% di probabilità che tali differenze siano dovute al caso.
Passando al grafico (b), la configurazione è simile a quella del grafico (a), ma questa volta il periodo analizzato è da aprile a settembre, quindi da 4 a 9 mesi prima del mese di gennaio marcato dalla linea tratteggiata. Anche in questo caso, l’ombreggiatura mostra le regioni dove le differenze sono statisticamente significative. Il fatto che i due grafici mostrino schemi diversi è indicativo di come le fasi del QBO influenzano i venti a diversi livelli di altitudine in maniera stagionale.
In entrambi i grafici, l’asse verticale non mostra semplicemente l’altitudine, ma utilizza una scala logaritmica della pressione atmosferica, che è una pratica comune nella meteorologia per meglio rappresentare la diminuzione esponenziale della pressione con l’aumentare dell’altitudine.
Attraverso questa figura, siamo in grado di visualizzare come il pattern dei venti varia notevolmente a seconda della stagione e dell’altitudine, offrendoci preziose informazioni sulla dinamica atmosferica influenzata dal QBO. Questi dati sono cruciali per gli studiosi del clima e della meteorologia per prevedere e comprendere i cambiamenti nel sistema climatico globale.
La Figura 3 ci guida attraverso le variazioni stagionali e latitudinali dei venti zonali, basandosi sui dati di reanalisi ERA-40. Il focus qui è sulle differenze composite tra i venti zonali a 15 gradi di latitudine nord, distinti tra quelli che soffiano da ovest a est e quelli da est a ovest, in due diversi periodi stagionali e due finestre temporali.
Nel grafico (a), abbiamo una rappresentazione di questi venti per i mesi di novembre e dicembre, e vediamo come i venti differiscono tra la fase W e la fase E del QBO. Le aree colorate ci mostrano dove i venti nella fase W sono più forti (rosse) o più deboli (blu) rispetto alla fase E, e questa differenza è marcata su un gradiente che si estende attraverso diverse altitudini e latitudini.
Passando al grafico (b), cambiamo il periodo stagionale a febbraio e marzo. Qui possiamo notare differenze simili a quelle del grafico (a), ma con un’enfasi diversa nelle latitudini e altitudini. Questo ci dice che il pattern dei venti non è statico, ma varia con il passare delle stagioni.
I grafici (c) e (d) ci offrono una vista simile, ma per un diverso set di mesi che precedono i periodi considerati. Nel grafico (c), si osservano le differenze per novembre e dicembre ma basate sul bin di fase da aprile a settembre. Qui emergono nuove dinamiche, con aree di forza e debolezza dei venti che differiscono da quelle mostrate nei grafici (a) e (b).
Infine, il grafico (d) ci mostra la situazione per febbraio e marzo ancora basata sul bin di fase da aprile a settembre, chiudendo il quadro delle variazioni stagionali di questi venti.
Ogni grafico ci comunica in modo chiaro dove e quando le differenze tra i venti W e E sono statisticamente significative: le aree ombreggiate indicano dove i dati mostrano variazioni che possiamo considerare affidabili e non casuali. Le contour lines (linee di contorno) sono spaziate a intervalli di 2 m/s, permettendo di apprezzare gradazioni sottili nelle variazioni del vento.
Queste informazioni sono essenziali per meteorologi e climatologi, poiché forniscono indizi su come i grandi sistemi atmosferici come il QBO possano influenzare i pattern climatici su vasta scala. Attraverso una tale analisi dettagliata, possiamo iniziare a comprendere meglio come i venti ad alta quota interagiscono con fattori stagionali e latitudinali per modellare il clima della Terra.
La Figura 4 ci offre uno sguardo più approfondito su come la statistica t sia utilizzata per esplorare la relazione tra il vento zonale medio a 60°N, 50 hPa, e le fasi del QBO.
Il grafico (a) mette in evidenza la statistica t calcolata per ogni bin di fase di sei mesi, mostrando come questa varii nel corso dell’anno. Le linee tratteggiate e in grassetto per i periodi di novembre-dicembre e febbraio-marzo sono messe in risalto perché rappresentano i periodi chiave nell’analisi del vortice polare. Queste curve ci mostrano momenti e intensità specifici in cui la forza dei venti zonali è insolitamente alta o bassa rispetto al normale, suggerendo una possibile connessione con le fasi del QBO. La varietà di colori e stili delle linee permette di distinguere i mesi e di seguire le tendenze nel tempo, con la linea verticale tratteggiata che fornisce un punto di riferimento fisso.
Il grafico (b) ci porta a un livello di analisi più matematico. Qui vediamo un test statistico che calcola la probabilità di osservare un certo numero di “superamenti” di specifici valori t — cioè, quante volte i dati effettivi superano i valori soglia per la statistica t, indicati sull’asse delle ascisse. Questo viene fatto sotto l’ipotesi nulla che non ci sia una correlazione tra la fase del QBO e la variabilità del vortice polare, ovvero che ogni modello osservato sia dovuto al caso piuttosto che a una connessione reale. Le diverse curve colorate rappresentano differenti valori soglia t e ci mostrano come la probabilità di superarli cali all’aumentare del numero di superamenti. Questo ci aiuta a capire se le osservazioni fatte siano significative o se potrebbero essere solo frutto di variazioni casuali.
Insieme, i due grafici ci offrono una visione complessiva di come le statistiche possano essere usate per discernere tra pattern atmosferici significativi e fluttuazioni casuali. Ciò è cruciale per interpretare i pattern atmosferici e per valutare l’influenza che fenomeni come il QBO possono avere sulla dinamica del clima terrestre.
4. Discussione sull’Influenza del QBO sulle Zone Extratropicali
Nell’ambito dello studio delle dinamiche atmosferiche, esiste un fenomeno noto come Oscillazione Quasi-Biennale (QBO), che esercita una notevole influenza sul comportamento dell’atmosfera nelle zone extratropicali. Anche se correlare due fenomeni non significa automaticamente che uno causi l’altro, i risultati ottenuti attraverso modellizzazioni meccanistiche confermano l’ipotesi che il QBO abbia effettivamente un impatto causale sulle extratropici. Gli studi di Hampson e Haynes del 2006 hanno dimostrato che l’intensità dell’Effetto di Trasporto di Calore (HTE) varia a seconda di come la fase del QBO si allinea con il ciclo annuale. Questo si traduce in variazioni sistematiche dell’HTE al cambiare della struttura verticale dei venti tropicali durante l’inverno dell’emisfero nord.
Un esperimento condotto da Gray e colleghi nel 2004 ha variato l’altitudine di una perturbazione tropicale estesa per 10 km, scoprendo che l’HTE raggiungeva la sua massima intensità quando tale perturbazione si trovava tra i 30 e i 40 km di altitudine. Questo risultato è particolarmente rilevante all’inizio dell’inverno, periodo in cui è più probabile che si verifichi una fase profonda del QBO in questo strato, il che porta a un vortice invernale precoce più intenso.
L’analisi delle transizioni di fase del QBO nel periodo 1977-1997 fornisce ulteriori spiegazioni. Durante questi anni, si è osservato un numero insolitamente elevato di transizioni di fase durante i mesi estivi (maggio-agosto), con conseguenze dirette sulla distribuzione stagionale dell’HTE. Questa distribuzione temporale delle transizioni suggerisce che, in quel periodo, l’HTE era significativamente più marcato all’inizio dell’inverno rispetto alla fine, confermando le osservazioni di uno studio precedente identificato come L08. Questo fenomeno è stato interpretato come una variazione decennale del comportamento dell’HTE attribuibile a variazioni interne dell’atmosfera, anche se non si esclude che forze esterne possano influenzare il raggruppamento delle fasi del QBO attraverso meccanismi ancora sconosciuti. La comprensione completa di questi processi richiederà studi futuri che si avvalgano di set di dati più ampi o di ulteriori modellizzazioni.
In sintesi, questo segmento di discussione evidenzia come la dinamica del QBO e la sua interazione con altri fattori atmosferici possano avere effetti significativi e misurabili sul clima delle zone extratropicali, sottolineando l’importanza di studi approfonditi in questo campo per decifrare i complessi meccanismi che regolano il nostro sistema climatico.