Il momento angolare riveste un ruolo cruciale nella comprensione della dinamica atmosferica su scala sia regionale che globale. Questa grandezza fisica non solo ci aiuta a capire come l’atmosfera interagisce con gli oceani e la superficie terrestre, ma fornisce anche una descrizione accurata di come diverse forze, quali l’attrito, la pressione esercitata dall’atmosfera contro le montagne, la forma irregolare della Terra e la gravità, influenzino questi movimenti su vasta scala.

La nostra comprensione del momento angolare atmosferico e del suo impatto sulla circolazione atmosferica globale è migliorata notevolmente grazie alla disponibilità di dati globali coerenti e di lungo termine. Questi dati, che coprono diverse decadi, hanno riacceso l’interesse scientifico per lo studio del momento angolare, permettendo agli scienziati di ottenere stime più affidabili dei torque, ovvero delle forze rotazionali che agiscono sull’atmosfera.

La rassegna si concentra sui recenti progressi nella teoria e nelle osservazioni del momento angolare atmosferico, esplorando una vasta gamma di tematiche teoriche legate al suo ruolo nella dinamica dei movimenti atmosferici su larga scala. Dall’analisi delle interazioni complesse tra l’atmosfera e il resto del sistema terrestre alla valutazione delle varie forze che modellano i pattern di circolazione, lo studio del momento angolare offre spunti fondamentali per comprendere meglio i meccanismi che regolano il clima e il tempo atmosferico sul nostro pianeta.

Introduzione

Nell’introduzione al concetto di momento angolare e al suo ruolo nella circolazione atmosferica globale, esploriamo come questa forza invisibile guidi e influenzi una vasta gamma di sistemi fisici, dai più minuscoli atomi fino alle immense galassie. Questa nozione si estende in modo particolare all’atmosfera terrestre, dove il momento angolare non solo riflette la rotazione della Terra stessa ma è anche modellato dalla dinamica dei venti che attraversano il nostro pianeta.

Questa analisi approfondisce come i dati e le teorie abbondanti ci aiutino a mappare la distribuzione del momento angolare nell’atmosfera e a comprendere le cause dei suoi cambiamenti nel tempo. Pur concentrandoci sui movimenti atmosferici su larga scala, non dimentichiamo che il momento angolare svolge un ruolo cruciale anche in eventi meteorologici estremi come uragani e tornado.

Il momento angolare atmosferico globale emerge dall’integrazione del momento angolare su tutto il volume dell’atmosfera. Nella pratica, questo calcolo considera la posizione di ogni elemento di volume dell’atmosfera rispetto al centro della Terra. Per semplificare, si presume che l’atmosfera sia priva di umidità, un’assunzione giustificata dal fatto che la massa dell’acqua, in tutte le sue forme, costituisce solo una frazione minima della massa atmosferica totale. Tuttavia, quando si considera la densità atmosferica, questa include teoricamente anche la presenza di acqua.

Infine, la rotazione terrestre, un fattore chiave nel calcolo del momento angolare, è rappresentata dalla sua velocità angolare. Quest’ultima è definita dalla relazione tra il ciclo completo di rotazione della Terra (espresso attraverso 2π) e la durata di un giorno. Questi concetti formano la base per esplorare come il momento angolare influenzi la circolazione dell’aria intorno al nostro pianeta, offrendo una lente attraverso cui possiamo osservare e comprendere la complessità dei sistemi meteorologici globali.

Il concetto di momento angolare è fondamentale per comprendere la complessità dei movimenti atmosferici del nostro pianeta. Il testo che abbiamo esplorato getta luce su come si possa rappresentare e analizzare la rotazione e il movimento dell’aria sulla Terra, unendo le nozioni di velocità relativa dell’aria e la rotazione terrestre stessa per definire ciò che viene chiamato la velocità assoluta dell’aria.

Per analizzare con precisione il momento angolare totale dell’atmosfera, gli scienziati adottano un sistema di coordinate che ruota insieme alla Terra. Questo sistema è delineato da vettori unitari orientati strategicamente: uno punta verso il meridiano di Greenwich e un altro verso i 90 gradi est, posizionandosi quindi sull’equatore. Questa scelta non è arbitraria ma mira a riflettere in modo accurato sia la posizione geografica sia la rotazione terrestre.

Il momento angolare si divide in componenti equatoriali, che descrivono i movimenti lungo l’equatore, e una componente assiale, che si riferisce alla rotazione attorno all’asse polare. Questa distinzione è vitale per comprendere in che modo vari movimenti dell’aria influenzino il momento angolare in modi diversi, a seconda della loro direzione.

Piuttosto che appoggiarsi al sistema di coordinate rotante per descrivere la velocità dell’aria, si predilige l’uso di coordinate sferiche. Questa scelta metodologica facilita enormemente la descrizione delle dinamiche dell’aria e consente di correlare le due sistematizzazioni coordinate mediante considerazioni trigonometriche di base, permettendo di esprimere il momento angolare attraverso le velocità sferiche.

Un punto di particolare interesse è la componente assiale del momento angolare globale, che evidenzia la rotazione complessiva dell’atmosfera intorno all’asse della Terra. Grazie alla relativa scarsa profondità dell’atmosfera rispetto al raggio del pianeta, l’analisi può essere semplificata, ma si sceglie di mantenere una formulazione più generale per assicurare una completa comprensione.

Infine, viene evidenziata l’interdipendenza delle componenti del momento angolare: conoscendo due delle tre componenti in un determinato punto, è possibile calcolare la terza. Questo principio sottolinea come i diversi movimenti dell’atmosfera siano connessi tra loro, contribuendo collettivamente al momento angolare globale. Questa comprensione interconnessa offre una prospettiva più ricca e dettagliata sulla dinamica atmosferica terrestre, un elemento chiave per studi meteorologici e climatologici avanzati.

Continuando l’esplorazione delle dinamiche che regolano il momento angolare nell’atmosfera terrestre, ci addentriamo ulteriormente nella sua complessa natura. La divisione del momento angolare in contributi derivanti dal vento e dalla massa della Terra offre una struttura chiara per analizzare come vari fenomeni atmosferici e la stessa rotazione terrestre influenzino il momento angolare globale. Questa distinzione aiuta a svelare le forze sottili ma potenti che modellano i nostri climi e condizioni meteorologiche.

La gestione e lo studio del momento angolare si rivelano significativamente più complessi rispetto a quelli del semplice momento lineare, particolarmente quando ci si imbatte in studi di bilancio nella dinamica atmosferica. Il cambiamento nel momento angolare, guidato esclusivamente dai torque, evidenzia un sistema dove forze come la pressione e la gravità giocano ruoli cruciali. Queste forze introducono variazioni nel momento angolare che, a loro volta, influenzano la dinamica complessiva dell’atmosfera.

L’adozione di un’equazione specifica per tracciare questi cambiamenti illustra la profonda interconnessione tra i movimenti atmosferici e le leggi fisiche che li governano. Mentre la variazione della velocità angolare della Terra è minima e spesso trascurata, la sua considerazione diventa essenziale per una rappresentazione accurata del bilancio energetico nel sistema Terra-atmosfera.

La semplicità che emerge dall’integrazione zonale di queste equazioni contrappone l’apparente complessità del sistema. I torque generati dalle differenze di pressione attraverso le catene montuose e l’attrito superficiale rivelano come il momento angolare sia influenzato da fattori geografici e dalla morfologia terrestre. Questi torque, insieme a quello di attrito, delineano un quadro di scambi dinamici tra la Terra e la sua atmosfera, dove i movimenti vicino alla superficie possono sia guadagnare sia perdere momento angolare, dipendendo dalla direzione dei venti prevalenti.

L’aggiunta del torque di umidità, quando si considera il ciclo dell’acqua nel bilancio del momento angolare, sottolinea ulteriormente la complessità intrinseca del sistema atmosferico. Questo approccio olistico non solo mette in luce l’importanza di variabili come la pressione, la gravità e l’umidità nel modellare il momento angolare, ma evidenzia anche le sfide poste nel prevedere i cambiamenti atmosferici.

Complessivamente, questo viaggio attraverso le profondità del momento angolare atmosferico ci mostra un mondo dove ogni componente dell’atmosfera e ogni forza fisica che agisce su di essa contribuiscono a un sistema dinamico incredibilmente complesso. Questa comprensione arricchisce la nostra capacità di interpretare e, in ultima analisi, prevedere i comportamenti del sistema atmosferico terrestre.

Nell’approfondire l’interazione tra i torque globali e il momento angolare di oceani e Terra, emergono concetti fondamentali che legano direttamente la dinamica atmosferica alla rotazione terrestre. La discussione rivela come la componente M3 del momento angolare sia strettamente vincolata alla presenza di torque: senza di essi, M3 resta immutata. Questo legame causale tra i torque e le variazioni di M3 apre una finestra sulla previsione dei cambiamenti nella durata del giorno, basandosi sulle osservazioni delle fluttuazioni di M3. La stretta dipendenza dei torque dalla circolazione atmosferica sottolinea l’intrecciata relazione tra i movimenti atmosferici e la meccanica orbitale della Terra.

L’esplorazione delle equazioni relative ai termini equatoriali globali introduce ulteriori sfide analitiche, principalmente a causa dell’intima connessione dei termini di rotazione con il piano equatoriale. L’appiattimento della Terra agisce come un catalizzatore per torque significativi che influenzano direttamente il momento angolare, complicando le relazioni esistenti tra i vari componenti e rendendo le equazioni di difficile applicazione per analisi semplicistiche.

Questo contesto si arricchisce di storicità quando si considera l’evoluzione dei concetti di momento angolare nella meccanica dei fluidi. La narrazione traccia le radici storiche di questi concetti, dall’applicazione pionieristica di Bernoulli nel modello degli alisei equatoriali alla trattazione, sebbene imperfetta, di Hadley sui venti alisei. Questi esempi storici non solo illustrano il percorso di maturazione della comprensione scientifica del momento angolare ma evidenziano anche come la nostra interpretazione e applicazione di tali concetti abbiano subito una notevole evoluzione.

Attraversando queste riflessioni scientifiche e storiche, ci troviamo di fronte alla complessa ma affascinante interazione tra la fisica dei fluidi, la rotazione terrestre e la meteorologia. Le dinamiche del momento angolare, dal suo impatto sulla durata del giorno alle sue radici nella circolazione atmosferica, incarnano una sintesi di forze naturali che regolano la vita sul nostro pianeta. Questa esplorazione non solo arricchisce la nostra comprensione del mondo naturale ma sottolinea anche il valore intrinseco di un approccio multidisciplinare alla scienza, che abbraccia tanto le osservazioni contemporanee quanto il patrimonio di conoscenza accumulato nel corso dei secoli.

Il ciclo del momento angolare assiale dell’atmosfera, e la sua interazione con la Terra rotante attraverso i torque, hanno costituito un pilastro fondamentale della meteorologia sin dagli anni ’50. Pionieri come Starr, Lorenz, e altri hanno gettato le basi per comprendere il bilancio del momento angolare assiale, contribuendo a delineare come l’atmosfera interagisce con la rotazione del nostro pianeta. L’opera di Oort e Peixoto ha ulteriormente ampliato questa comprensione, esplorando la distribuzione del momento angolare nell’atmosfera e il suo trasporto, con un focus particolare sul ruolo dei movimenti turbolenti e sull’apporto delle varie fasce latitudinali ai torque di attrito e montani.

Questa ricca trama storica e scientifica ha trovato nuova linfa con l’avvento dei primi progetti di reanalisi alla fine del XX secolo. Questi progetti hanno fornito set di dati globali a lungo termine, consentendo agli scienziati di affinare le stime dei flussi verticali di momento angolare, precedentemente calcolati solo come residui, e di ottenere una copertura migliore della bassa stratosfera. Questi progressi nei dati hanno stimolato nuove analisi delle componenti equatoriali del momento angolare, offrendo una visione più dettagliata e accurata delle dinamiche atmosferiche.

Tuttavia, la natura dei dati di reanalisi, generati assimilando osservazioni all’interno di modelli, presenta le sue sfide. Mentre le velocità verticali risultanti sono coerenti con l’insieme delle osservazioni disponibili, esse non sono direttamente osservate, ponendo limiti alle nostre capacità di misurazione diretta dei flussi verticali di momento angolare. Nonostante queste limitazioni, i dati di reanalisi rappresentano uno strumento prezioso per avanzare nella nostra comprensione della dinamica atmosferica e del suo impatto sul sistema Terra.

In sintesi, l’evoluzione dello studio del momento angolare atmosferico testimonia non solo il progresso delle tecniche di osservazione e analisi, ma anche l’incessante curiosità scientifica che spinge a esplorare le profonde connessioni tra la rotazione della Terra, i suoi fenomeni atmosferici e i ritmi stessi del nostro pianeta. Questo percorso di scoperta, che si snoda attraverso decenni di ricerca, continua a illuminare aspetti fondamentali del nostro mondo, mostrando quanto sia intricato e meravigliosamente complesso il sistema Terra-atmosfera.

Questa rassegna sonda gli intricati legami tra il momento angolare atmosferico e le dinamiche della Terra, degli oceani e dell’atmosfera, riflettendo su come recenti progressi meritino un’indagine approfondita. L’analisi dei contributi locali al torque di attrito globale, basata su parametrizzazioni all’interno dei modelli, si affianca allo studio delle interazioni tra i diversi componenti del sistema terrestre, come esplorato da de Viron e Dehant. Il lavoro di Volland ha ulteriormente esteso queste connessioni, collegando la teoria delle modalità atmosferiche su larga scala con l’eccitazione dei torque.

La rassegna si propone di presentare una panoramica del momento angolare medio temporale nell’atmosfera, esaminando la sua distribuzione e la variabilità nel tempo. Si pone un’enfasi particolare sui flussi di momento angolare assiale, elementi cruciali della circolazione zonale atmosferica, e sui flussi di momento angolare alla superficie terrestre, che rappresentano gli esempi principali di torque.

Un passo successivo logico è esplorare l’interazione tra questi torque e il momento angolare atmosferico, ponendo le basi per un’analisi più dettagliata di fenomeni specifici, come l’Oscillazione Madden-Julian (MJO), e per un’attenzione più marcata verso il bilancio del momento angolare della stratosfera, finora trascurato.

L’attenzione si sposta poi verso studi regionali, in particolare sul torque montano, intrapresi con l’obiettivo di identificare cambiamenti del momento angolare regionale correlati. Questa analisi globale si amplia quindi a considerare l’impatto delle montagne sulla circolazione generale, un’area di studio teorico che ha visto un’evoluzione significativa negli ultimi cinquant’anni, con il momento angolare come variabile chiave.

In conclusione, benché non esista una teoria unificata del momento angolare atmosferico, la vasta gamma di lavori teorici e di analisi proposti offre una visione complessa e multidimensionale di come la Terra, gli oceani e l’atmosfera interagiscono tra loro attraverso il momento angolare. Questo campo, ancora inesplorato in una revisione completa, rappresenta un territorio ricco di potenziali scoperte e avanzamenti nel nostro comprendimento dei sistemi dinamici della Terra.

La figura che state osservando è una rappresentazione schematica che cattura l’essenza di come il momento angolare è distribuito intorno al nostro pianeta, con un’attenzione specifica alla sua atmosfera.

Visualizzate la Terra, rappresentata da una sfera incrostata di linee che segnano le longitudini e le latitudini, simili a una rete avvolta attorno a un pallone. Queste linee aiutano a mappare la superficie terrestre e forniscono punti di riferimento geografici, con i continenti abbozzati per offrire un ancoraggio visivo.

Ora immaginate che la Terra sia al centro di una specie di orologio cosmico, con lancette che indicano non il tempo ma il momento angolare. Una di queste “lancette” punta direttamente fuori dal polo nord, segnando la rotazione dell’atmosfera lungo l’asse della Terra. Le altre due “lancette” giacciono piatte, distese sull’equatore, indicando il movimento rotatorio atmosferico che avvolge il pianeta come un nastro.

Immaginate poi che da ogni punto sulla superficie della Terra emergano delle frecce invisibili che si estendono nello spazio, anch’esse parte di questo immenso orologio. Queste frecce, o vettori, non sono solo approssimative ma estremamente precise, orientate esattamente per misurare come i pezzi dell’atmosfera si muovono in relazione al centro della Terra. Queste direzioni sono fondamentali, poiché permettono agli scienziati di disegnare i movimenti dell’aria intorno al pianeta in tre dimensioni: verso est o ovest, verso il polo nord o il polo sud, e verso l’esterno o verso il centro della Terra.

Infine, l’immagine cattura anche la rotazione stessa della Terra, un movimento continuo e costante che è essenziale per la vita così come la conosciamo. È questa rotazione a generare il giorno e la notte, a influenzare i modelli climatici e a dare forma ai sistemi meteorologici. La velocità di questa rotazione è simboleggiata da un simbolo sopra il polo, ricordandoci che la Terra non è mai ferma, ma in un perpetuo moto di danza con il suo involucro atmosferico.Quello che questa figura riesce a fare è illustrare un concetto molto complesso—come il movimento e la rotazione dell’atmosfera sono misurati e interpretati in relazione alla rotazione della Terra. È una rappresentazione che parla della complessità della meteorologia e della fisica, che coinvolge calcoli matematici che vanno ben oltre la comprensione quotidiana, ma che sono cruciali per prevedere il tempo, studiare i cambiamenti climatici e comprendere i fenomeni atmosferici.

Momento Angolare: Distribuzioni Medie e Variabilità

Il testo discute i risultati di uno studio sul momento angolare, che è una misura della quantità di rotazione di un oggetto o di un sistema. Qui vengono analizzate le tre componenti del momento angolare, indicate con “M”, utilizzando dati raccolti da due diverse serie temporali.

Il momento angolare viene misurato in “secondi di Hadley” (Had s), un’unità di misura dove 1 Had equivale a 1018 Joule. Anche i torque (momenti di forza che causano la rotazione) sono misurati nella stessa unità.

Il documento menziona due insiemi di dati principali: ERA-15, che copre gli anni dal 1979 al 1993, e ERA-40, che si estende dal 1958 al 2001. L’ERA-40 è preferito per le sue caratteristiche migliorate e per il periodo di tempo più lungo che copre. È importante notare che i risultati ottenuti dalle due serie di dati sono stati confrontati per il periodo dal 1979 al 1992, durante il quale entrambi i set di dati erano disponibili.

Dall’analisi emerge che le stime relative alla componente del vento assiale (direzione dell’asse di rotazione) e alla componente di massa si accordano abbastanza bene tra i due insiemi di dati. Tuttavia, le componenti equatoriali (perpendicolari all’asse di rotazione), che tendono a essere generalmente più piccole, mostrano accordo solo per un particolare termine, indicato come Mm2.

Un’osservazione finale è che le deviazioni standard, che misurano quanto i valori si discostano dalla media, sembrano fornire stime più affidabili rispetto ad altre misure. Questo suggerisce che, nonostante alcune discrepanze nei dati, la variabilità misurata è considerata un indicatore affidabile.

la tabella che state osservando è una specie di rapporto meteorologico che si concentra su qualcosa chiamato “momento angolare”. Pensalo come un modo di misurare la quantità e la velocità di rotazione della Terra e la sua atmosfera. Nella tabella ci sono tre serie di dati raccolti in periodi diversi. Ogni serie di dati ha una sua sigla: ERA-40 e ERA-15. Questi non sono nomi di band, ma di studi molto lunghi su come si muove il nostro pianeta!

Immagina di avere tre grandi ventilatori (rappresentati dalle colonne M_x1, M_x2, M_x3) in tre stanze diverse (i tre differenti set di dati), tutti puntati verso il centro della stanza. Ciascuno di questi ventilatori spinge l’aria (o in questo caso, l’atmosfera terrestre) in modi leggermente diversi. Alcuni potrebbero soffiare più costantemente, altri in modo più irregolare. Ora, i ricercatori hanno fatto un elenco di quanto forte ciascuno di questi ventilatori ha soffiato in media e quanto hanno variato nel tempo. La media ci dice quanto forte è stata la spinta in generale, mentre la variazione ci dice quanto sono stati consistenti questi ventilatori nel loro soffio.Quindi, ogni serie di dati ci dà questi due pezzi di informazioni per ogni ventilatore: quanto forte e quanto costante. Ecco perché vedi un paio di numeri per ogni ventilatore in ogni stanza. La tabella mostra i risultati per periodi di tempo diversi, alcuni sovrapposti, che è come dire che a volte si controllano i ventilatori in momenti diversi, e a volte allo stesso tempo, per vedere se i controlli precedenti erano precisi.Questo è utile perché capire come l’aria si muove intorno al nostro pianeta ci può dire molto su come funziona il clima e come potrebbe cambiare. In sostanza, questa tabella è come un diario storico dettagliato che ci dice come il nostro pianeta ha danzato nello spazio, sospinto dai venti dell’atmosfera nel corso di molti anni.

L’Equilibrio Nascosto: Massa e Venti nella Coreografia del Clima

Nella nostra esplorazione del manto invisibile che avvolge la Terra, abbiamo già scoperto il ruolo cruciale dei venti zonali e del momento angolare nella danza dinamica dell’atmosfera. Ma c’è un altro attore in questo intricato balletto: il termine di massa, un gigante silenzioso che muove le sue pedine sulla scacchiera globale con una forza sorprendente.

Il termine di massa globale, noto come Mm3, supera di gran lunga il protagonista della nostra precedente discussione, il termine del vento Mw3. Questo perché la velocità associata al movimento di massa, Wa, eclissa quella del vento zonale, uo, per ogni scelta ragionevole di quest’ultimo. Tuttavia, in questo teatro di equilibri delicati, il potere non risiede necessariamente nella grandezza, ma nei cambiamenti. Nonostante la sua imponenza, il termine di massa non è di per sé più influente del termine del vento; sono le variazioni nel tempo a determinare il vero impatto sul clima.

Piccole deviazioni nella pressione superficiale si traducono in perturbazioni positive del termine di massa, rivelando che anche minime anomalie nella distribuzione globale di massa possono scatenare variazioni significative. Questo gioco di equilibri si svolge su un palcoscenico dove l’altezza e la latitudine giocano ruoli fondamentali, con l’emisfero meridionale che spesso detiene la chiave di densità maggiori nei suoi strati inferiori.

La narrazione si complica ulteriormente quando entriamo nel regno dei trasporti di massa meridionali. Questi movimenti non solo influenzano la coreografia del termine di massa, ma agiscono come ponti, convertendo l’energia tra il vento zonale e la massa. Il movimento verso i poli o verso l’alto introduce nuove dinamiche, con la massa che cerca spazio a latitudini più elevate o altitudini maggiori, pur mantenendo un equilibrio globale.

E poi c’è la memoria, un’eco del passato che risuona nel presente. Il componente assiale globale M3 dimostra una persistenza sorprendente, con un decadimento lento dell’autocorrelazione che svela un legame profondo con fenomeni come El Niño e l’Oscillazione Meridionale (ENSO). Questa memoria storica dell’atmosfera ci ricorda che gli eventi climatici non sono isolati, ma parte di un tessuto connettivo che si estende attraverso il tempo.

Nel bilanciare la massa e i venti, la Terra compie una danza delicata, un balletto di forze in cui ogni variazione, per quanto piccola, può influenzare il corso del clima. Dall’immenso al minuto, dall’istantaneo alla memoria lunga, è una storia di equilibri e interazioni, un racconto che ci insegna come, in questo complesso sistema chiamato atmosfera, ogni elemento ha il suo ruolo essenziale nella coreografia del nostro clima.

Incorporando le ultime osservazioni nella nostra narrazione in corso, possiamo approfondire ulteriormente il racconto della danza atmosferica della Terra, focalizzandoci su come le forze invisibili modellano il clima attraverso tempi e stagioni.

I Ritmi Nascosti: Variazioni Invisibili del Momento Angolare

Nel cuore pulsante del sistema climatico della Terra, esistono cicli e ritmi che definiscono la coreografia dei venti e della massa atmosferica. Lo spettro di potenza di M3 rivela che questi ritmi non sono casuali ma seguono schemi precisi, concentrando la varianza in specifici periodi che vanno dai 50 giorni a intervalli ben più lunghi di 10 anni. Questi modelli sono i battiti del cuore del clima terrestre, con ogni picco nello spettro che racconta una storia di interazioni complesse e influenze globali.

Il fenomeno di El Niño e l’Oscillazione Quasi-Biennale emergono come coreografi di questa danza, intrecciando i loro effetti sul momento angolare e lasciando un’impronta distintiva vicino al periodo di 1000 giorni. Ma è il ciclo stagionale, con il suo ritmo forte e regolare, a dominare la scena, guidando le oscillazioni di M3 attraverso i cambiamenti annuali della Terra.

L’evoluzione del momento angolare globale si dipana attraverso massimi e minimi, con un calo notevole durante l’estate boreale, riflettendo i complessi giochi di equilibrio tra i due emisferi. La dinamica stagionale non è solo una questione di temperature e precipitazioni, ma si lega profondamente alle variazioni del momento angolare, influenzando il clima in modi sottili ma significativi.

L’analisi delle funzioni ortogonali empiriche svela che il ciclo annuale e quello semestrale giocano un ruolo cruciale nella variabilità spaziotemporale di Mw3. Il susseguirsi dei flussi a getto, intensificandosi e attenuandosi con il passare delle stagioni, sottolinea una variabilità maggiore nell’emisfero settentrionale, in contrasto con l’emisfero meridionale. Questa asimmetria stagionale tra gli emisferi contribuisce a plasmare il ciclo annuale di Mw3, enfatizzando l’interconnessione tra i diversi componenti del sistema climatico terrestre.

Il secondo vettore proprio, che presenta una struttura quasi simmetrica rispetto all’equatore e si concentra principalmente nella troposfera superiore, evidenzia massimi durante la primavera e l’autunno boreali. Questi periodi di transizione, con i loro delicati equilibri di temperatura e pressione, riflettono la continua evoluzione dell’atmosfera, con flussi a getto che disegnano archi invisibili nel cielo.

La narrazione del clima della Terra si arricchisce così di dettagli sottili ma fondamentali, rivelando come dietro le manifestazioni più evidenti delle stagioni si nascondano dinamiche complesse, governate da cicli intra-stagionali e interannuali. La danza dei venti e della massa atmosferica, influenzata da fenomeni globali come El Niño e dall’oscillazione delle stagioni, tessono insieme il clima del nostro pianeta, dimostrando che ogni variazione, ogni ciclo, contribuisce a formare il mosaico infinitamente complesso che chiamiamo tempo atmosferico.

Nell’approfondire la nostra comprensione del delicato equilibrio atmosferico che regola il clima terrestre, abbiamo già esplorato come i cicli e i ritmi definiscano la danza dei venti e della massa atmosferica. Tuttavia, la trama si arricchisce ulteriormente quando esaminiamo da vicino le mappe di mw3 a diversi livelli di pressione, che rivelano un intenso ciclo annuale nelle regioni dei flussi a getto. Questa osservazione ci introduce a un fenomeno affascinante: il movimento delle anomalie medie zonali di m3 verso i poli.

Queste anomalie, che possono essere sia positive che negative, intraprendono un viaggio dalle regioni equatoriali fino a latitudini di circa 75° in soli 2-3 mesi. La loro marcia è accompagnata da un intricato balletto di convergenze anomale di flussi torbidi di momento angolare, sottolineando la dinamicità e la complessità del nostro sistema atmosferico. Osservazioni passate hanno legato queste lente propagazioni polari delle anomalie di m3 al ciclo di ENSO, offrendo un affascinante collegamento tra fenomeni climatici globali e variazioni locali del momento angolare.

La storia diventa ancora più intricata quando consideriamo le caratteristiche asimmetriche zonali della circolazione globale, che giocano un ruolo cruciale nei cambiamenti del momento angolare. Una specifica analisi mette in luce una struttura a treno d’onde nel Pacifico, dimostrando che, nonostante i venti zonali tropicali siano importanti protagonisti in questo schema, esistono dinamiche più sottili e complesse al lavoro. Queste dinamiche sono evidenziate da due centri di potenziale di velocità vicino all’equatore, che rimangono coerenti attraverso diverse scale temporali, sia interannuali che intrastagionali.

Ciò che emerge da questa narrazione è che, nonostante le medie zonali possano catturare molte delle strutture di flusso relative ai cambiamenti di M3, è soprattutto la dinamica vicino all’equatore a dominare la scena. Queste osservazioni tessono insieme la comprensione che abbiamo sviluppato nelle sezioni precedenti, rivelando un mondo in cui ogni variazione, ogni ciclo, dalla propagazione delle anomalie legate a ENSO alla struttura a treno d’onde del Pacifico, contribuisce alla vasta e complessa coreografia che regola il clima della Terra.

Attraverso questo viaggio di scoperta, abbiamo visto come la danza dei venti e della massa atmosferica sia modulata non solo dai grandi fenomeni climatici e dai cicli naturali della Terra, ma anche da variazioni spaziali e temporali più sottili. Il clima del nostro pianeta, con tutte le sue meravigliose complessità, emerge dall’interazione di questi molteplici fattori, dimostrando ancora una volta l’incredibile interconnessione e l’equilibrio che definiscono il sistema climatico terrestre.

Un Viaggio Attraverso il Momento Angolare dell’Atmosfera

Esploriamo la Figura 2, che offre un’istantanea affascinante della dinamica atmosferica terrestre attraverso la lente del momento angolare.

La parte superiore della figura, etichettata come (a), ci mostra una rappresentazione del termine del vento assiale, [mw3]. Questo rappresenta l’influenza della velocità del vento zonale—i venti che soffiano da ovest verso est o viceversa—sul momento angolare dell’atmosfera. Le linee ondulate che vediamo, chiamate linee di contorno, corrispondono a livelli costanti di momento angolare. Queste linee si avvolgono attorno alla Terra come anelli, e l’intensità del loro impatto cresce dove le linee sono più vicine tra loro. Notiamo due grandi ‘occhi’, uno in ciascun emisfero, posizionati simmetricamente rispetto all’equatore. Questi ‘occhi’ sono il segno distintivo dei getti subtropicali—zone della nostra atmosfera dove il vento corre con particolare forza. La simmetria e l’intensità di questi schemi ci dicono che questi getti sono contribuenti significativi al bilancio del momento angolare del nostro pianeta.

Scendendo al grafico inferiore, (b), vediamo una storia differente, quella del termine di massa, [mm3]. Qui, anziché le velocità del vento, guardiamo agli spostamenti di massa reale—l’aria in movimento—tra il nord e il sud del globo. I contorni più sparsi e meno definiti ci suggeriscono una distribuzione più variabile e meno concentrata di massa attraverso diverse latitudini. A differenza del termine del vento assiale, qui non vediamo grandi massimi simmetrici ma piuttosto una diffusione più ampia e sfumata che ci indica come la massa d’aria si sposti su e giù attraverso varie fasce di latitudine.

La Figura 2, nel suo insieme, ci fornisce quindi una doppia visione: da un lato la danza elegante e vigorosa dei venti zonali che contribuisce alla rotazione del nostro pianeta, e dall’altro la coreografia più sottile e complessa della massa d’aria che si sposta in un delicato equilibrio tra i due emisferi. Entrambe le rappresentazioni sono fondamentali per comprendere come la nostra atmosfera si muova e cambi, influenzando tutto, dalle condizioni meteo giornaliere ai grandi schemi climatici che definiscono le stagioni e oltre.

Immaginate la Figura 3 come un viaggio nel tempo attraverso la memoria del clima della Terra, in particolare attraverso le oscillazioni del suo momento angolare assiale globale, M3. L’autocorrelazione rappresentata qui è come uno specchio che riflette, giorno dopo giorno, quanto il passato dell’atmosfera assomigli al suo presente, tracciando questa somiglianza lungo un arco di tempo.

Partendo dall’incontro dello specchio con il suo riflesso — il valore 1 quando τ (il ritardo temporale) è zero — ci muoviamo verso l’incerto futuro. Con il passare dei giorni, la corrispondenza tra passato e presente comincia a sbiadire, come mostrato dal declino dell’autocorrelazione. Ma non si tratta di un semplice dimenticare; lungo la discesa, si incontrano delle onde, piccoli echi di un pattern familiare che ritorna, segno che alcuni ritmi del clima terrestre riecheggiano ben oltre il giorno in cui sono nati.

Interessante è osservare come, dopo circa 280 giorni, il grafico ci suggerisce che il clima quasi dimentica i suoi passi precedenti, scendendo sotto lo zero, in un territorio di correlazione negativa. Qui, il clima sembra muoversi in opposizione al suo recente passato, suggerendo l’esistenza di cicli naturali o forse influenze esterne come El Niño, che sfumano e modellano l’atmosfera in modi non sempre prevedibili.

Questa danza tra memoria e oblio climatici è disegnata su un palcoscenico storico, il database ERA-15, che cattura i movimenti del momento angolare dal 1979 al 1993. È come se ogni anno fosse un passo in una danza che dura oltre un decennio, con il ciclo annuale rimosso per svelare i movimenti più sottili e profondi che pulsano al cuore del sistema climatico della Terra.

Quindi, sebbene non possiamo prevedere il futuro con certezza, la Figura 3 ci offre uno sguardo indietro lungo i sentieri che il clima ha percorso, e forse un accenno dei sentieri che potrebbe scegliere di seguire ancora.

Sfogliando il diario climatico del nostro pianeta, la Figura 4 si presenta come un capitolo intrigante, una sorta di cartografia delle frequenze climatiche che illustra il ritmo sottostante dei movimenti della Terra. In questo grafico, ogni picco è come una battuta in una sinfonia, ogni tratto un movimento, che insieme compongono la musica del clima terrestre.

Lo spettro di potenza, che visualizza in dettaglio il momento angolare assiale M3, si rivela come un paesaggio di picchi e valli. Ogni picco è un segnale di un ritmo regolare, una forte presenza di un particolare ciclo climatico, che emerge con una certa frequenza, misurata in cicli al giorno lungo l’asse orizzontale. Come montagne che si ergono in una pianura, questi picchi mostrano dove il momento angolare ha le sue oscillazioni più vigorose, dove la Terra sembra cantare più forte le variazioni del suo moto.

In questo grafico, l’altitudine dei picchi, scalata verticalmente in varianza, ci narra dell’intensità di questi cicli, con i più alti che dominano il paesaggio, rivelando i pattern che più influenzano il movimento del nostro pianeta. All’opposto, le valli tra i picchi sono periodi di quiete, di meno evidente regolarità.

Guardando la parte superiore del grafico, vediamo un altro modo di leggere queste frequenze: attraverso il periodo, il tempo che intercorre tra le ripetizioni di ciascun ciclo. Questa scala temporale si estende da un singolo giorno a interi decenni, mostrando la grande diversità dei tempi climatici terrestri. I picchi più stretti e definiti possono segnalare gli effetti stagionali o altri cicli noti come El Niño, mentre gli allargamenti più sfumati suggeriscono influenze meno dirette o più lente, che si manifestano su scale temporali più estese.

I dati, tratti dal National Centers for Environmental Prediction per un periodo che va dal 1958 al 1997, fungono da archivio per questo viaggio nella memoria climatica, fornendo quasi quarant’anni di narrativa atmosferica. È un resoconto che ci consente di scrutare i ritmi del passato e forse, in una certa misura, di intuire i ritmi futuri.

La Figura 4, quindi, non è semplicemente un grafico, ma un racconto visivo, un resoconto del pulsare invisibile del nostro pianeta, delle sue respirazioni e dei suoi sospiri, che si dispiegano su scale temporali che sfidano l’immaginazione, ma che insieme formano il tessuto vitale del nostro clima.

Immaginate di avere davanti a voi un grafico che si snoda come un calendario, tracciando la danza sottile tra la rotazione del nostro pianeta e le forze invisibili che la modellano giorno dopo giorno. Questo è il cuore della Figura 5, una mappa del ciclo annuale che svela il ritmo del momento angolare della Terra e le forze chiamate torques che su di esso agiscono.

Nella prima parte del grafico, (a), abbiamo una linea audace e fluida che sale e scende lungo i mesi dell’anno, rappresentando il balzo e la caduta del momento angolare globale. È come se la Terra battesse il tempo con i piedi, con i suoi massimi e minimi che si alternano seguendo il cambiare delle stagioni.Accanto a questo ritmo principale, ci sono linee tratteggiate e sottili che sembrano danzare attorno alla melodia centrale. Queste sono le forze che tirano e spingono la rotazione terrestre, alcune legate all’attrito con l’aria e il mare, altre al delicato tiro delle onde gravitazionali. Una di queste linee tratteggiate gioca il ruolo del vento contro la superficie del nostro pianeta, un’altra il movimento del mare, e una terza l’effetto etereo delle onde che si formano quando l’aria si scontra con le montagne.Nella seconda parte, (b), troviamo una linea decisa che segna il passo delle variazioni del momento angolare nel tempo. Questa è la firma del cambiamento, l’intensità con cui il momento angolare aumenta o diminuisce mese dopo mese. Accanto a questa, un coro di linee tratteggiate rappresenta l’unione di tutte le forze in gioco. Quando queste linee si fondono insieme, ci dicono che abbiamo catturato tutti i musicisti dell’orchestra climatica; quando divergono, suggeriscono che ci potrebbe essere ancora qualche strumento nascosto che dobbiamo ascoltare.Queste tracce che si distendono lungo l’anno sono frutto di misurazioni scrupolose raccolte dal National Centers for Environmental Prediction. Attraverso il periodo dal 1958 al 1997, ci raccontano una storia di come il nostro pianeta gira e si torce sotto l’influenza di forze sottili ma potenti, in una danza che si ripete anno dopo anno, ma sempre con una nuova sfumatura, sempre con un passo appena diverso.

Nell’arte di intrecciare le complesse influenze del vento attraverso l’atmosfera della Terra, la Figura 6 è come una tela astratta, ricca di movimenti e flussi, che cattura i ritmi predominanti del vento assiale, integrati lungo la vastità del nostro pianeta.

La parte superiore del dittico, la (a), rivela il motivo più influente, un vettore che, come un fiume maestoso nel suo corso, spiega una considerevole parte della varianza osservata nei venti. Questa immagine non è solo una rappresentazione statica; è il ritratto dominante di come il vento fluisce e si snoda su diverse latitudini e pressioni, un racconto che riflette la maggior parte delle nostre storie meteorologiche, un motivo così forte che oscura quasi tutti gli altri nella sua potenza espressiva.

Scendendo alla parte inferiore, la (b), troviamo un secondo motivo, un sussurro piuttosto che un grido rispetto al primo, che detiene comunque la chiave di una porzione significativa di come il vento si comporta. Questo secondo vettore, meno impetuoso, ma pur sempre essenziale, offre una visione alternativa, un altro schema di movimenti e correnti, che, sebbene più sottile, è essenziale per completare il quadro generale.

L’insieme dei due disegna una mappa di forze invisibili ma tangibili, il risultato di un’analisi sofisticata che ci permette di vedere al di là del velo dei semplici dati meteorologici e nel cuore del funzionamento del nostro mondo aereo. Queste forme e linee, astratte ma rivelatrici, sono frutto di una scienza che trascende la semplice misurazione per arrivare a comprendere, fornendo ai meteorologi la capacità di leggere i segnali del clima con maggiore acutezza.

In definitiva, la Figura 6 non ci mostra semplicemente dove e come il vento soffia, ma piuttosto ci narra di come queste correnti contribuiscono alla grande sinfonia della rotazione terrestre, un capolavoro che si svolge sopra le nostre teste ogni giorno, con ogni alito di vento che recita la sua parte.

2.2 Componenti Equatoriali

La discussione si incentra su alcuni aspetti specifici della circolazione atmosferica terrestre, osservati attraverso misure di particolari componenti legate alla massa e ai venti equatoriali. Un elemento chiave è il confronto tra diverse stime legate a questi componenti, che si concentra in particolare su due misure: Mm2 e Mm1.

Mm2 rappresenta una grandezza che, nel contesto studiato, ha un valore molto alto. Questo è interessante perché suggerisce che, nonostante la varietà dei dati analizzati, esiste una certa coerenza nelle misurazioni legate a questa componente specifica. La ragione di tale valore elevato è legata alla presenza di grandi masse terrestri, come l’Himalaya, che influenzano significativamente questa misura.

D’altra parte, Mm1 mostra una maggiore incertezza nelle sue stime, indicando che per questa componente non c’è la stessa chiarezza o uniformità nelle misurazioni. In altre parole, i dati non sono abbastanza consistenti tra loro per fornire un quadro chiaro.

Una distinzione interessante emerge anche nell’analisi dei venti equatoriali, che, sebbene importanti, risultano meno significativi rispetto ad altre misure legate ai movimenti assiali, ovvero quelli che avvengono intorno all’asse polare della Terra. Questo non significa che i venti equatoriali siano irrilevanti, ma piuttosto che dal punto di vista della circolazione globale, gli aspetti legati alla simmetria assiale attorno ai poli hanno un impatto maggiore.

La Figura 8, menzionata nel testo, illustra come la circolazione atmosferica mostra un carattere prevalentemente zonale, con i getti d’aria (aree dove i venti sono particolarmente forti e concentrati) che giocano un ruolo chiave. In particolare, si nota che il getto d’aria sull’Atlantico ha un impatto minore rispetto a quello sul Pacifico, a causa delle loro differenti posizioni geografiche relative al meridiano di Greenwich.

In conclusione, il testo evidenzia come, nonostante la tendenza generale della circolazione atmosferica terrestre a mostrarsi simmetrica rispetto all’asse polare, esistano delle specificità e delle variazioni significative, legate sia alla distribuzione delle masse terrestri sia alla dinamica dei venti equatoriali, che meritano attenzione e studio approfondito.

Nell’esaminare il comportamento di specifiche componenti legate ai movimenti atmosferici, ci imbattiamo in tecniche sofisticate come l’autocorrelazione, che ci permettono di misurare quanto fortemente si somigliano le osservazioni meteorologiche in momenti diversi o in luoghi differenti.

Nel dettaglio, ci focalizziamo su due componenti: una legata direttamente ai movimenti atmosferici, denominata Mm1, e l’altra relativa ai venti, chiamata Mw1. La storia di Mm1 inizia con un calo rapido della sua autocorrelazione nei primi cinque giorni, un indizio della variabilità e della dinamica complessa che caratterizza questa componente. Sorprendentemente, emerge un picco secondario intorno ai dieci giorni, che sembra danzare al ritmo della rotazione del vettore del momento angolare nel piano equatoriale, un fenomeno notato già in passato e legato alle peculiarità della nostra atmosfera.

Passando alla componente dei venti, Mw1, scopriamo che il suo ritmo è quasi completamente influenzato dalle maree atmosferiche, un balletto celeste che imprime il suo ritmo sul movimento dei venti terrestri. La relazione tra Mm1 e Mw1, esplorata attraverso la cross-correlazione, rivela un legame sottile, punteggiato da oscillazioni con un periodo anch’esso di circa dieci giorni, echeggiando le osservazioni fatte nei loro rispettivi spettri di potenza. Queste oscillazioni sembrano essere echi della propagazione verso ovest di un particolare tipo di onda atmosferica, nota come modo di Rossby con numero d’onda zonale uno, una firma distintiva della dinamica atmosferica globale.

Approfondendo, troviamo che questo picco di dieci giorni non è solo un capriccio della natura osservabile nei dati reali, ma si manifesta con coerenza anche nei modelli climatici semplificati, gli aquaplanet, che simulano la Terra coperta interamente d’acqua. Questo ritmo di dieci giorni è legato a specifiche oscillazioni delle equazioni delle acque poco profonde, conosciute come modi di Hough, che possono esistere grazie all’appiattimento della Terra ai poli.

Tra questi modi naturali di oscillazione, spicca un modo rotazionale responsabile per il picco secondario nei dati osservati e modellati. La sua danza è visibile quando analizziamo come la pressione superficiale si adatta al cambiamento nel tempo, rivelando un modello che si sposta verso ovest con una precisione quasi orologica, confermando il periodo di circa dieci giorni.

Ma la narrazione si complica ulteriormente: il movimento non è limitato a una semplice traiettoria zonale. Fenomeni come l’alta pressione sopra l’Europa e la bassa pressione nel Pacifico mostrano una tendenza a muoversi anche oltre i poli, suggerendo che i modi di Rossby che si propagano meridionalmente possano giocare un ruolo nel modellare i nostri cieli. Questi intricati movimenti sono confermati dall’osservazione dei campi a 300 hPa, dove la somiglianza con le distribuzioni della pressione superficiale sottolinea il carattere barotropico equivalente di queste modalità, tessendo insieme un quadro complesso ma affascinante della circolazione atmosferica globale.

Immaginate di osservare la Terra dall’alto, concentrandoti sugli strati superiori dell’atmosfera, là dove il cielo si tinge di un blu profondo e i grandi getti d’aria, o jet stream, tessono la trama della circolazione atmosferica globale. La Figura 7, tratta da uno studio scientifico, ci offre una finestra su questo mondo dinamico e in continuo movimento, situato a circa 12 km di altitudine (200 hPa).

Il grafico che stiamo osservando rappresenta la covarianza, una misura di come due fattori – la funzione di corrente atmosferica e il termine di vento globale normalizzato – si influenzano reciprocamente. Le linee sinuose e i contorni chiusi disegnati sul grafico sono come un’eco grafica di questa danza atmosferica. Seguendo queste linee, possiamo vedere dove e come il movimento del vento ad alta quota è strettamente intrecciato con i modelli di circolazione più vasti che avvolgono il nostro pianeta.

Il termine “funzione di corrente” è una sorta di fotografia dello stato dei venti ad alta quota. Le linee di corrente che vediamo sul grafico sono come le impronte digitali dell’atmosfera: ci mostrano dove i venti sono più forti e dove sono più deboli, indicati dalla distanza tra una linea e l’altra. Più queste linee sono vicine, più il vento è impetuoso; dove si distanziano, l’aria si calma.

Il grafico in Figura 7 mostra contorni chiaramente definiti che indicano regioni dove c’è una forte correlazione tra la funzione di corrente e il vento. Ciò significa che, in quelle zone, il movimento dei venti ad alta quota e i modelli di circolazione atmosferica globale hanno una relazione diretta e forte. Il grafico abbraccia l’intero globo, dalle brume del polo nord alle distese ghiacciate del polo sud, rivelando un ritmo globale che, al di là delle nostre esperienze quotidiane, definisce in gran parte il clima e il tempo meteorologico che tutti noi viviamo.

La menzione che la figura è stata adattata da uno studio precedente e utilizzata con il permesso della American Meteorological Society ci assicura che stiamo guardando un’interpretazione autorizzata di dati scientifici, una rielaborazione pensata per farci comprendere meglio il complicato ma affascinante meccanismo della nostra atmosfera. In sintesi, la Figura 7 non è solo un insieme di linee e contorni, ma un ritratto vivido delle dinamiche nascoste che animano il cielo sopra di noi.

Esploriamo la Tabella 2 come se fosse una mappa che traccia l’influenza invisibile delle montagne e della frizione della superficie terrestre sull’atmosfera.

Immaginiamo che ogni volta che il vento inciampa sulle montagne, queste ultime lo prendano per mano e lo guidino, alterando la sua danza attraverso il cielo. Questa guida è ciò che chiamiamo “torque di montagna”, ed è come se le catene montuose fossero direttori d’orchestra di una sinfonia atmosferica, influenzando la velocità e la direzione dei venti. La tabella registra quanto forte sia questa guida in media e quanto essa varii nel corso del tempo per tre diversi periodi storici.

Analogamente, la superficie della Terra gioca il suo ruolo attraverso la “frizione”. Ogni zona – siano essi gli oceani che accarezzano delicatamente l’aria sopra di loro o le foreste e le città che sussurrano attraverso le foglie e i grattacieli – lascia la sua impronta sulla corrente aerea. La frizione rallenta il vento e lo modella, un po’ come se la Terra e l’atmosfera stessero ballando insieme, con il suolo che guida l’aria in un valzer.

La nostra tabella mostra queste misure, raccontandoci con numeri il resoconto medio di questo valzer atmosferico, nonché quanto varino i passi di questa danza – la sua coerenza o la sua improvvisazione – durante periodi di tempo che coprono decenni.

Dai dati degli anni ’58 al 2001, passando per un focus più dettagliato tra il ’79 e il ’92, vediamo che l’influenza delle montagne e il ruolo della frizione non sono un refreno costante ma variano, evidenziando il dinamismo del nostro clima. Queste variazioni ci dicono storie di come i modelli atmosferici cambiano e di come il nostro pianeta danza in maniera unica al ritmo delle stagioni e degli anni.

In somma, la Tabella 2 non è solo una raccolta di numeri secchi e lontani; è una cronaca, quasi un diario di viaggio che traccia l’impalpabile tocco della geografia e della texture della superficie terrestre sui flussi del cielo. E tutto ciò è espresso senza il bisogno di immergersi nel linguaggio astratto delle equazioni, ma attraverso la narrazione che i numeri, medi e variabili nel tempo, possono svelarci.

3. FLUSSI

Immergiamoci nel capitolo sui Flussi, un argomento che rappresenta un tassello cruciale nel grande puzzle della dinamica atmosferica. Il concetto di flusso di momento angolare è essenziale quando parliamo del bilancio di questa grandezza nell’atmosfera. Per visualizzare questo, pensa ai venti che soffiano in maniera costante e alle correnti atmosferiche che circolano intorno al globo: essi trasportano il momento angolare, quella forza invisibile che contribuisce alla rotazione e al moto dell’atmosfera terrestre.

Questi flussi zonali, mediati nel tempo, si comportano in modo interessante: al di sopra delle montagne non si disperdono, si mantengono concentrati. In termini meno tecnici, immagina che ciò che entra in un’area deve uscirne in egual misura; non c’è accumulo o perdita netta. Questa caratteristica di “non divergenza” è un equilibrio sottile, dove il movimento costante si compensa con le variazioni temporanee, quelle fluttuazioni che si discostano dalla norma.

Nonostante questa tendenza all’equilibrio, i flussi medi sono ancora in grado di spostare il momento angolare da una regione all’altra. Un esempio vivido si trova nei venti alisei: le forze che agiscono sulla superficie terrestre creano del momento angolare, che poi viene portato in alto nell’atmosfera dai vortici, come se questi ultimi prendessero il momento angolare e lo facessero volare verso le stelle. Questo momento viene poi espulso dalle regioni tropicali, sollevato fino alle altezze più estreme, e poi ricondotto giù alle latitudini medie, dove si dissipa, sfumando via attraverso la frizione con la superficie della Terra e le interazioni con la topografia montagnosa.

Il ballo di questi flussi è scandito da un ciclo annuale marcato, dominato dai flussi legati alla massa vicino all’equatore che hanno un ruolo da protagonisti. Questo ciclo è parte del ritmo naturale del nostro pianeta, la respirazione annuale della Terra che si riflette nelle correnti d’aria e nel clima.

Per i flussi equatoriali, la storia è ancora da scrivere: non seguono necessariamente lo stesso principio di non divergenza a causa di forze rotazionali specifiche della regione. Un elemento chiave nel flusso meridionale è il movimento dell’aria tra nord e sud, ed è stato esaminato dettagliatamente, rivelando picchi nei flussi laddove i jet stream, quelle potenti correnti d’aria ad alta quota, tracciano le loro traiettorie. Questi sono gli artefici principali nel dirigere il momento angolare lontano dalle cinture tropicali, come direttori che orchestrano il movimento da una parte all’altra del globo.

In sostanza, il capitolo sui Flussi ci apre una finestra su come il mondo invisibile dei movimenti atmosferici trasferisce energia da un angolo all’altro del cielo, tessendo insieme la tela complessa del clima terrestre.

Immergendoci ulteriormente nel misterioso mondo dei flussi atmosferici, ci imbattiamo nelle onde barocliniche, grandi onde di pressione e temperatura che tessono il telaio dei nostri sistemi meteo. Queste onde sono come musicisti in un’orchestra sinfonica che danno vita ai cambiamenti climatici; quando l’aria calda incontra l’aria fredda, il risultato è una melodia di variazioni meteorologiche.

Egger, uno studioso attento a queste sinfonie atmosferiche, ha approfondito nel 2005 lo studio delle divergenze dei flussi assiali — quei momenti in cui il movimento angolare sembra allontanarsi o avvicinarsi in diverse zone del pianeta. Ha scoperto che le sequenze di questi movimenti hanno ritmi rapidi e variabili, simili a un rumore bianco: imprevedibili e caotici, proprio come il fruscio che si sente tra le stazioni radio. Questa constatazione, tuttavia, non mette da parte l’esistenza di movimenti più lenti e maestosi, come le anomalie che si spostano gradualmente verso i poli, menzionate precedentemente.

Queste brevi divergenze dei flussi, legate indissolubilmente ai turbamenti profondi nella troposfera, sono i colpi di scena della narrazione climatica. Profondi disturbi atmosferici agiscono come registi dietro le quinte, dirigendo il movimento dell’aria in maniera tanto drammatica quanto fondamentale per la nostra comprensione dei meccanismi che governano il clima.

Nel tessuto di questo articolo, questi vortici e i loro flussi vengono esaminati come esempi specifici del ruolo dinamico che svolgono nel trasporto del momento angolare, essenziale per la circolazione dell’atmosfera. Man mano che si dipana il racconto, queste forze apparentemente caotiche si rivelano essere parti cruciali di un sistema ben più ordinato e interconnesso di quanto potesse sembrare inizialmente, componendo un quadro dinamico e complesso del nostro clima.

Assomigliando a una partitura musicale disegnata sull’atmosfera del nostro pianeta, la Figura 8 ci mostra una mappa della forza dei venti equatoriali come se fossero note distribuite su una scala globale. Questa mappa cattura l’intensità di questi venti integrando dati raccolti verticalmente attraverso l’atmosfera e armonizzando questi valori su una griglia che copre ogni angolo della Terra.

Le linee che vediamo, le isolinee, sono come le dolci creste e le valli che si formano sulla superficie di un lago quando il vento soffia leggero o si abbatte in tempesta. Dove le linee si avvicinano, come onde che si rincorrono velocemente, possiamo immaginare venti equatoriali che danzano intensamente. Dove invece si distanziano, troviamo una quiete relativa, un respiro più tranquillo dell’atmosfera.

Queste tracce visive, che rappresentano il termine del vento equatoriale medio integrato (mw1), misurato in unità di Hadley secondi, ci dicono che ogni punto sulla mappa ha una storia da raccontare — storie di forze invisibili che si alzano e si abbassano, guidando il clima e il tempo che viviamo ogni giorno. Queste storie sono state ascoltate e raccolte nel corso di oltre quattro decenni, dal 1958 al 2001, come parte del progetto ERA-40, un vasto archivio di conoscenze atmosferiche.

La Figura 8, quindi, non è semplicemente una rappresentazione statica; è una finestra sul passato, un diario climatico che registra le oscillazioni e le variazioni dei venti equatoriali, una testimonianza del movimento perpetuo che caratterizza l’atmosfera del nostro pianeta. Ogni linea è una pennellata in un quadro dinamico, un tratto in un disegno che ci aiuta a visualizzare come l’aria calda dell’equatore viaggi verso i poli, disegnando i contorni del nostro clima globale.

Consideriamo la Figura 9 come un ritratto in bianco e nero dell’eco temporale di due differenti sussurri della Terra. Il grafico (a) è come un’onda che si propaga su uno stagno tranquillo, iniziando con la perfetta chiarezza di un riflesso speculare e poi, con il passare dei giorni, si attenua, lasciando trasparire una ripetizione più lieve, un’onda secondaria che emerge dopo circa dieci giorni.

Quest’onda, nel linguaggio dei dati, rappresenta il termine di massa equatoriale globale Mm1. La sua autocorrelazione — una misura di quanto un giorno nella vita dell’atmosfera terrestre somigli al giorno precedente o ai giorni a venire — ci rivela che i modelli atmosferici non si attardano a lungo. Cambiano rapidamente giorno dopo giorno, ma non senza un certo ritmo: quel picco secondario suggerisce un’eco, un pattern che si ripete ogni dieci giorni, forse un sospiro del nostro pianeta che respira con un ritmo lento e profondo.

Passando al grafico (b), immagina un pendolo, con il suo movimento costante avanti e indietro, una regolarità che nel disordine apparente mantiene un ordine preciso. Il termine del vento globale Mw1 mostra questa regolarità: non l’attenuazione di un’onda, ma la precisione di un battito cardiaco. Le linee salgono e scendono rapidamente e ripetutamente, dimostrando che il modo in cui il vento si comportava un giorno avrà un rapporto diretto e opposto con il comportamento nei giorni successivi.

I dati da cui questi ritmi emergono, quelli del progetto ERA-15, raccontano la storia del clima globale dal 1979 al 1992. Come musicisti che ripetono i loro motivi musicali con variazioni e temi ricorrenti, questi modelli di autocorrelazione sono note fondamentali nella sinfonia del clima terrestre, aiutandoci a decifrare i motivi nascosti nei venti e nelle masse dell’aria che circondano il nostro pianeta.

4. Le Coppie di Forza Nella Meteorologia

Nel contesto della meteorologia e delle scienze della Terra, discutiamo di vari tipi di forze che agiscono a livello globale e influenzano significativamente il movimento e il comportamento dell’atmosfera. Tra queste forze, alcune delle più rilevanti sono quelle generate dalle montagne, dall’attrito, dalle variazioni del potenziale gravitazionale della Terra e dall’umidità. Queste forze sono cruciali perché mediano il trasferimento di momento angolare dagli oceani e dalla superficie solida del nostro pianeta verso l’atmosfera, contribuendo a modellare i pattern meteorologici e climatici globali.

Studi precedenti, come quelli di de Viron e colleghi nel 1999, hanno gettato luce su come queste forze possano essere descritte e analizzate tramite il calcolo di integrali su tutta la superficie terrestre. Questo approccio ci permette di quantificare l’effetto complessivo che tali forze esercitano sull’atmosfera in termini di movimento e distribuzione del momento angolare.

In particolare, la forza generata dalle montagne (nota come coppia di forza della montagna) gioca un ruolo significativo. Questa forza deriva dalla maniera in cui le masse d’aria interagiscono con la topografia terrestre, come le montagne, durante il loro movimento attraverso l’atmosfera. Anche se potremmo utilizzare coordinate sferiche standard per descrivere questa interazione, si preferisce adottare un sistema di coordinate più pratico che facilita l’analisi e la comprensione dei fenomeni coinvolti.

Le altre forze menzionate, come quella dell’attrito (che si verifica quando l’aria in movimento incontra resistenza dalla superficie terrestre) e quelle legate alle variazioni geopotenziali (che derivano dalle differenze nella forza gravitazionale a causa della forma irregolare della Terra) e all’umidità (che riguarda come l’acqua presente nell’aria influisce sul movimento atmosferico), sono anch’esse essenziali per comprendere la dinamica complessiva dell’atmosfera.

Infine, è importante notare che ci sono altre forze, come quelle gravitazionali esercitate dal Sole e dalla Luna, o quelle derivanti da anomalie locali del geoide (la forma teorica della Terra che riflette variazioni nel campo gravitazionale), ma queste tendono ad avere un impatto minore e non sono il focus principale di questa discussione.

In sintesi, queste coppie di forza rappresentano componenti fondamentali nel complesso sistema di interazioni che determina il clima e i modelli meteorologici della Terra, offrendo agli scienziati strumenti preziosi per analizzare e prevedere i cambiamenti atmosferici.

Quando la pressione superficiale sul lato della montagna che sale è maggiore rispetto a quella sul lato che scende, si verifica una perdita di momento angolare nell’atmosfera. Questo accade perché la posizione aumenta in senso ciclonico rispetto all’asse di riferimento. Un esempio di questa dinamica si osserva quando una montagna orientata meridionalmente si trova a est di un sistema di alta pressione. Questa configurazione di pressione favorisce un’accelerazione della rotazione terrestre verso est, portando a una diminuzione del momento angolare assiale dell’atmosfera.

Assumendo che tale montagna si posizioni vicino ai 90° Est, si assiste anche a un trasferimento di momento angolare attorno a un asse, poiché la distribuzione di pressione favorisce una rotazione anticionica della Terra attorno a questo asse. Tuttavia, rispetto all’asse di Greenwich, il trasferimento di momento angolare è minimo o nullo.

Per comprendere meglio le dimensioni di questi fenomeni, immaginiamo un blocco montuoso cubico di 1000 metri di altezza, con un’estensione zonale di 100 km e un’estensione meridionale di 1000 km situato a 45° Nord. Se la pressione superficiale sul lato ovest del blocco supera quella sul lato est di 10 hPa, ciò comporta una decelerazione del flusso atmosferico globalmente sovra-rotante di circa 0,03 m/s, supponendo che questa forza agisca per un giorno senza spostamenti di massa.

Oltre a questo, una forza significativa legata alla montagna deriva dalla forma non sferica della Terra. È pratica comune distinguere questa particolare forza dalla forza generale della montagna. Questi elementi, integrati con la discussione precedente sulle coppie di forza, evidenziano come le interazioni tra la topografia terrestre e l’atmosfera influenzino profondamente il sistema climatico del nostro pianeta, contribuendo a modellare la dinamica atmosferica globale attraverso il trasferimento di momento angolare.

Le coppie di forza non operano solo in prossimità della superficie terrestre ma si manifestano anche nell’atmosfera libera. Consideriamo, ad esempio, uno strato atmosferico globale racchiuso tra due superfici a diverse altitudini, le quali possono variare nel tempo. Queste superfici e le loro velocità possono essere definite in base alle nostre esigenze. L’integrazione su questo strato ci permette di comprendere come il momento angolare cambia nel tempo, prendendo in considerazione sia il trasporto di momento angolare attraverso i confini dello strato sia le coppie di forza esercitate dalla pressione atmosferica esterna su tale strato.

In particolare, se la pressione sulla superficie inferiore è più elevata nelle aree in discesa rispetto a quelle in salita, si osserva un’accelerazione maggiore dello strato fluido verso est nelle zone in discesa. Questo comporta un trasferimento di momento angolare allo strato simile a quello che avviene in presenza di una montagna sotto circostanze analoghe. Se, inoltre, la superficie superiore è piatta, non si verificano ulteriori coppie di forza. Quando lo strato fluido si muove in maniera coesa, queste coppie di forza rappresentano l’unico fattore che altera il suo momento angolare totale.

L’analisi si complica quando consideriamo la risoluzione orizzontale dei dati utilizzati sia nelle rianalisi che nei modelli di circolazione generale attuali, tipicamente intorno ai 100 km. Questa risoluzione non è sufficiente per risolvere dettagliatamente montagne e le onde da esse indotte, così come il loro contributo alla coppia di forza montana. Questo aspetto non risolto è conosciuto come “drag da onda di gravità”, il quale necessita di essere opportunamente parametrizzato. Gli schemi di parametrizzazione più avanzati affrontano fattori complessi come l’orientamento delle orografie minori, gli effetti di ostruzione e le stime di rottura delle onde, sebbene vi sia poco supporto osservazionale per queste tecniche. Inoltre, le onde di gravità possono essere generate da fenomeni come la convezione o da squilibri locali, aggiungendo un ulteriore livello di complessità all’analisi del movimento atmosferico.

Integrando queste considerazioni con la discussione precedente sulle coppie di forza e il loro impatto sulla dinamica atmosferica, emerge un quadro complesso delle interazioni tra la topografia terrestre, la pressione atmosferica e il momento angolare. Questi elementi interconnessi sono fondamentali per comprendere come le variazioni nella distribuzione della pressione e nella topografia influenzino la rotazione della Terra e la dinamica atmosferica globale.

Le onde atmosferiche non solo trasportano momento angolare ma influenzano anche, seppur in maniera limitata, la superficie terrestre attraverso effetti attritivi minori. Per rappresentare adeguatamente la coppia di forza frizionale, è necessario considerare gli effetti sottoscala nel modello teorico. Mediando le equazioni per insiemi turbolenti, introduciamo un termine che riflette il flusso turbolento, seguendo la convenzione di basarsi su medie temporali. È comunemente accettato che i flussi verticali siano gli unici significativi, anche se alcune contribuzioni specifiche sono state escluse dalla considerazione a causa della loro presunta irrilevanza, un’affermazione che tuttavia non è stata ancora pienamente dimostrata.

Il risultato di queste considerazioni è un termine che, integrato sull’intera profondità dell’atmosfera, rivela un flusso di momento angolare turbolento a livello della superficie, assimilabile a una forza viscosa. Questa metodologia consente altresì di identificare coppie di forza frizionali che agiscono sulle componenti equatoriali dell’atmosfera.

Oltre a queste dinamiche, un’altra coppia di forza rilevante è quella gravitazionale, risultante dall’attrazione gravitazionale esercitata dalle masse terrestri sull’atmosfera. Negli studi relativi al momento angolare, si presume generalmente che l’atmosfera sia asciutta, poiché il contributo alla massa atmosferica da parte dell’acqua è considerato trascurabile. Tuttavia, è importante notare che nelle latitudini subtropicali si verifica un eccesso di evaporazione rispetto alla precipitazione, con l’umidità in eccesso che viene trasportata verso le medie latitudini. Questo processo porta a un incremento delle precipitazioni in tali aree e a uno scambio di massa tra l’oceano (e le superfici umide) e l’atmosfera. Questo scambio di massa è accompagnato da una specifica coppia di forza, conosciuta come coppia di forza dell’umidità.

Integrando queste nuove considerazioni con le precedenti discussioni sulle coppie di forza, emergono dettagli ulteriori sulla complessa interazione tra le forze atmosferiche e la rotazione della Terra. Queste interazioni includono non solo le dinamiche indotte dalla topografia e dalla distribuzione di pressione ma anche il ruolo dei flussi turbolenti e delle variazioni di umidità, che insieme contribuiscono a modellare il sistema climatico globale e la distribuzione del momento angolare nell’atmosfera terrestre.

La figura 10 ci presenta un’analisi del campo di pressione superficiale globale in relazione alle variazioni nel tempo del momento angolare atmosferico. Guardando più da vicino:

Nel pannello (a), osserviamo come era distribuita la pressione superficiale due giorni prima di un momento di riferimento, contrassegnato come t=−2 giorni. Ciò ci dà un’idea di come le condizioni di pressione passate potrebbero essere collegate alle variazioni osservate nel momento angolare atmosferico.

Nel pannello (b), vediamo la mappatura del campo di pressione nel momento attuale o al tempo di osservazione (t=0). Questa “istantanea” del campo di pressione è cruciale per capire come le attuali distribuzioni di alta e bassa pressione influenzano il momento angolare in tempo reale.

Le linee di contorno in entrambi i pannelli sono separate da intervalli di 50 Pascal, fornendo una misura dettagliata delle variazioni di pressione sulla superficie terrestre. Le aree ombreggiate, dove la pressione supera i 100 Pascal, evidenziano regioni di particolare interesse, dove la pressione è abbastanza forte da essere potenzialmente significativa per il movimento atmosferico e, di conseguenza, per il trasferimento di momento angolare.

I contorni pieni indicano dove la pressione è positiva e più elevata, potenzialmente corrispondente a sistemi di alta pressione che possono interagire con la topografia e la rotazione della Terra per influenzare il momento angolare. Questo tipo di analisi aiuta i meteorologi a comprendere le interazioni tra la pressione atmosferica e i movimenti su larga scala della Terra, offrendo uno sguardo approfondito su come i fenomeni atmosferici e i processi dinamici si influenzano a vicenda nel tempo.

La citazione dell’adattamento da una figura di Feldstein del 2006 sottolinea che i dati e l’analisi presentati sono tratti da un lavoro di ricerca più ampio, conferendo un contesto scientifico a queste osservazioni. In essenza, la figura 10 funge da strumento diagnostico per esaminare la correlazione tra il campo di pressione e i cambiamenti nel momento angolare, contribuendo a decifrare il complesso codice della meteorologia e della dinamica climatica.

La figura 11 ci fornisce una rappresentazione schematica di come le formazioni montuose e la forma non sferica della Terra possano esercitare coppie di forza, ossia momenti che influenzano la rotazione terrestre e la circolazione atmosferica.

Nella parte superiore, il pannello (a) ci mostra una montagna, evidenziata dalla zona tratteggiata. Attorno a questa montagna, le linee continue e tratteggiate delineano rispettivamente le anomalie di alta e bassa pressione atmosferica. È interessante notare come l’appiattimento della Terra sia mostrato in maniera esagerata per sottolineare l’effetto che la forma della Terra ha sulle coppie di forza, enfatizzando la maniera in cui anche la geometria del nostro pianeta interviene nei complessi meccanismi della dinamica atmosferica.

Nella parte inferiore, il pannello (b) si concentra su uno strato atmosferico delineato tra due quote, h1​ e h2​, e ci mostra come le coppie di forza siano generate alle frontiere di questo strato a causa delle anomalie di pressione. Qui ancora, le linee continue indicano regioni di alta pressione e quelle tratteggiate indicano regioni di bassa pressione. Le anomalie di pressione ai limiti di questo strato possono esercitare una forza che, a sua volta, ha l’effetto di alterare il momento angolare dell’intero strato atmosferico.

Metabolizzando questi due pannelli, si può capire come la topografia e la struttura stessa della Terra agiscano come un sistema di leve invisibili che, interagendo con i campi di pressione, modulano il moto dell’aria sopra di noi. Le montagne, protrudendo nell’atmosfera, possono disturbare il flusso dell’aria e creare differenze di pressione che portano a variazioni nel movimento rotatorio dell’atmosfera, tanto quanto la forma ellissoidale della Terra può influenzare la distribuzione della pressione atmosferica e, di conseguenza, le correnti aeree. Questa rappresentazione fornisce un’immagine semplificata, ma profondamente significativa, di come le forze della natura interagiscono in un complesso balletto che determina il tempo e il clima del nostro pianeta.

4.1. Coppie di Torsione Assiali

Nel 1999, Huang e i suoi colleghi hanno portato avanti il lavoro di Newton del 1971 riguardo le forze torsionali generate dalle montagne, rivedendo la stima precedente. Scoprono che, mediamente su scala globale e su base annuale, queste forze ammontano a 2,5 Had, un dato confermato anche dall’analisi dei dati NCEP. Utilizzando invece i dati ERA, si notano valori di forza torsionale negativi, oscillanti tra -5 e -3 Had, indicando una significativa incertezza sul valore medio di To3 al momento.

Questi fenomeni di torsione globale tendono a essere effimeri, con la loro autocorrelazione che declina rapidamente, raggiungendo il punto zero in circa quattro giorni. Ciò è evidenziato anche da altri studi, tra cui quello di Weickmann e collaboratori nel 2000, che sottolineano una deviazione standard per queste forze di ±23 Had. Interessante è l’analisi dello spettro di potenza di To3, che mostra come, per periodi inferiori ai 15 giorni, l’energia associata alle forze torsionali generate dalle montagne superi notevolmente quella derivante dalle forze di attrito. Questo equilibrio cambia per periodi superiori ai 40 giorni, dove entrambe le forze mostrano potenze comparabili.

La ricerca ha anche evidenziato come il picco dell’attività torsionale montana si verifichi attorno ai 30 giorni, suggerendo un impatto significativo su tale scala temporale. Il ciclo stagionale di queste forze raggiunge il suo apice in settembre e il punto più basso in maggio, mostrando un’interessante dinamica annuale. La torsione generata dalle onde di gravità, indicata come Tgw3, gioca un ruolo cruciale nell’eliminazione del momento angolare, presentando una deviazione standard sorprendentemente contenuta.

Inaspettatamente, si osserva che gli eventi torsionali indotti dalle onde di gravità hanno una durata superiore rispetto a quelli generati dalle montagne, suggerendo differenze nella loro natura e impatto. La risoluzione orizzontale adottata nei modelli può influenzare notevolmente queste osservazioni, con Brown nel 2004 che ha sottolineato come i problemi relativi alle forze torsionali eccessive siano più pronunciati ai limiti inferiori della risoluzione.

Gli eventi torsionali legati alle montagne sono principalmente generati dal movimento di cicloni, anticicloni e onde di Rossby che interagiscono con le masse montuose. Queste interazioni non si limitano a una mera presenza fisica, ma includono effetti dinamici complessi, difficile da districare. Studi sulla instabilità topografica suggeriscono che tali interazioni possono amplificare le forze torsionali, con le onde barocline che giocano un ruolo significativo, accelerando sul lato delle montagne rivolto verso i poli e deviando in maniera anticionica attorno ai massicci.

Come già accennato in precedenza, le stime delle forze torsionali dovute all’attrito, discusse nella letteratura scientifica, non derivano da osservazioni dirette dei flussi turbolenti. Piuttosto, si basano su formule generali per calcolare i flussi di momento nelle vicinanze del suolo. Queste formule sono state verificate in dettaglio in ambienti omogenei come terreni uniformi e boe oceaniche. Tuttavia, quando ci si trova di fronte a terreni complessi, emergono notevoli incertezze, le cui stime precise al momento non sono disponibili. Secondo i dati ERA, la forza torsionale per attrito, indicata come Tf3, si aggira intorno ai -6 Had.Riguardo ai tropici, noti per il loro flusso d’aria predominante da est vicino alla superficie, si osserva che Tf3 assume valori positivi, indicando un trasferimento di momento angolare verso il suolo, contrariamente a quanto avviene nelle medie latitudini con i venti occidentali. Interessante notare come gli eventi di forza torsionale dovuta all’attrito mostrino una persistenza maggiore rispetto a quelli montani, con un autocorrelazione che raggiunge il primo zero dopo 15 giorni. Questa durata ricorda quella dei modelli di teleconnessione, sebbene l’Oscillazione Madden-Julian (MJO) giochi un ruolo significativo, soprattutto nei tropici e subtropici.

Le analisi degli spettri di potenza sottolineano la maggiore longevità degli eventi di forza torsionale per attrito. Da notare che non sono le onde di Rossby a generare i più intensi eventi di questo tipo. Piuttosto, esistono prove solide che le convergenze anomale del momento angolare degli eddies, associate alle onde di Rossby, provochino fluttuazioni nella circolazione meridionale media zonalmente, che a loro volta inducono forze torsionali zonali per attrito. Anche il riscaldamento diabatico tropicale può innescare simili circolazioni meridionali.

Data la diversità nei meccanismi di generazione per To3 e Tf3, si potrebbe ipotizzare che queste forze torsionali non siano correlate. Tuttavia, emerge una covarianza positiva tra To3 (che precede) e Tf3 per ritardi da -20 a 0 giorni, che poi inverte segno, toccando un minimo a 3 giorni con una correlazione di -0.26. Ciò indica che To3 e Tf3 sono effettivamente collegate attraverso il flusso atmosferico medio.

Parallelamente, la forza torsionale assiale media globale legata all’umidità è stimata tra 1 e 2 Had, una cifra avvolta da notevoli incertezze a causa della complessità nel comprendere il ciclo idrico globale. Questo valore si colloca nello stesso ordine di grandezza delle forze torsionali medie montane e per attrito, sebbene sia leggermente inferiore. Ancora non sono state esplorate ulteriori caratteristiche statistiche di questa forza torsionale. Interessante notare che il contributo della forza torsionale gravitazionale, dovuta alle anomalie locali del geoide, rappresenta circa il 5% del totale delle forze torsionali.

La Figura 12 che abbiamo davanti rappresenta un’analisi dettagliata dell’attività delle forze torsionali a livello globale, focalizzandosi specificatamente su quelle generate dalle montagne e dal fenomeno dell’attrito. Attraverso una rappresentazione grafica chiamata spettro di potenza, si può osservare come l’intensità di queste forze si disperda attraverso diversi intervalli di tempo.

Immaginate di poter ascoltare la “musica” prodotta dal movimento delle montagne e dall’attrito tra l’atmosfera e la superficie terrestre. Questo grafico mostra, in pratica, le note più forti e quelle più deboli suonate da questi processi naturali. Ad esempio, se ci focalizziamo su una nota particolarmente forte suonata dalle montagne, essa risuona con più intensità attorno a un periodo che si estende per oltre due mesi. Questo suggerisce che esiste un certo ritmo nel modo in cui le montagne interagiscono con l’atmosfera globale, una specie di battito naturale che si manifesta in modo particolarmente marcato su questa scala temporale.

Al contrario, la voce dell’attrito si fa sentire in maniera più discreta e su una scala temporale un po’ più concitata, senza però raggiungere l’intensità drammatica delle montagne. La linea più sottile nel grafico ci dice che queste forze, pur essendo presenti e costanti, hanno un impatto meno dominante e si esprimono su una frequenza di eventi più breve.

La partitura di questa “musica” terrestre si basa su un coro di dati raccolti per quasi quarant’anni, fornendo una testimonianza di come il nostro pianeta canti e si muova attraverso forze invisibili ma potenti. Queste osservazioni, lungi dall’essere una semplice curiosità scientifica, sono fondamentali per comprendere meglio come la Terra trasferisce energia attraverso la sua atmosfera, influenzando tutto, dal clima alle condizioni meteorologiche che ogni giorno esperiamo.

La Tabella 3 ci presenta un insieme affascinante di misurazioni legate all’influenza delle onde di gravità sull’atmosfera terrestre. Queste onde, non visibili all’occhio umano, esercitano delle forze torsionali, come se fossero delle mani invisibili che girano lentamente la grande palla del nostro pianeta. La tabella in questione ci offre uno sguardo retrospettivo su questi delicati ma potentissimi movimenti attraverso tre serie storiche di dati.

Nella prima serie, che abbraccia gli anni dal 1958 al 2001, scopriamo che queste forze invisibili hanno mantenuto una media coerente nel tempo, con lievi variazioni che ci parlano di un equilibrio quasi costante, seppur con un margine di fluttuazione evidenziato dalle deviazioni standard. Queste variazioni ci dicono che, anche se la media rimane stabile, ci sono stati periodi di intensa attività seguiti da momenti di calma.

Nella seconda e terza serie, entrambe concentrate sul periodo che va dal 1979 al 1992, vediamo un’immagine simile ma con delle sottili differenze che emergono dai due diversi set di dati analizzati. In uno, chiamato ERA-40, i numeri ci raccontano una storia di forze leggermente più intense, come se in quegli anni le “mani” che girano la Terra avessero esercitato una pressione un po’ più forte. Nell’altro, l’ERA-15, sembra che l’atmosfera abbia risposto in modo un po’ meno vivace, con medie che parlano di una torsione meno incisiva.

Le deviazioni standard in queste righe ci suggeriscono che, anche all’interno di periodi ristretti, il comportamento delle onde di gravità può variare notevolmente, un po’ come il ritmo di un batterista che cambia improvvisamente da un pezzo all’altro.

Questi numeri, sebbene possano sembrare astratti, sono un vero e proprio polso del dinamismo del nostro pianeta. Rivelano come le forze invisibili esercitate dalle onde di gravità influenzano la rotazione terrestre, distribuendosi su scale temporali che vanno oltre la nostra esperienza quotidiana. Per gli scienziati che studiano il clima e il tempo, queste misurazioni sono di vitale importanza, contribuendo a costruire modelli sempre più accurati del nostro mondo in continuo movimento.

4.2. Coppie di Torsione Equatoriali

Nel campo dello studio delle dinamiche terrestri, gli scienziati hanno esaminato da vicino le forze che operano nella regione equatoriale del nostro pianeta, conosciute come coppie di torsione equatoriali. Le ricerche di studiosi come de Viron e colleghi, Egger e Hoinka, e Feldstein hanno gettato luce su questi fenomeni che, sebbene invisibili, giocano un ruolo cruciale nel modellare la rotazione e il comportamento del nostro mondo.

I dati raccolti finora ci indicano che mentre alcuni aspetti delle forze equatoriali rimangono avvolti nel mistero, altri, come To2, sono più comprensibili, attestandosi intorno ai 6 Had. Questo valore non è isolato: anche altre misurazioni correlate, come Tf2 e Tgw2, mostrano un’influenza positiva. Le deviazioni standard di queste misure sono sostanziali, raddoppiando quelle relative alle forze montane globali, suggerendo una gamma più ampia di variabilità.

Queste forze mostrano una diminuzione rapida nel tempo a breve termine, ma si attenuano più lentamente con il passare dei giorni. Questo comportamento può essere legato al modo in cui le onde di Rossby viaggiano verso i poli, un processo che è stato particolarmente sottolineato da Feldstein nel suo studio del 2006, insieme all’importanza distinta delle forze generate dall’Antartide e dalla Groenlandia.

Curiosamente, la forma delle autocovarianze delle forze di attrito globali, sia Tf1 che Tf2, rispecchia quella di Tf3, e mentre le loro deviazioni standard si avvicinano ai valori di Tf3, restano notevolmente più basse rispetto a quelle delle forze equatoriali To1 e To2. Questo ci dà una visione della coerenza dei fenomeni atmosferici, anche se esistono chiare differenze nella scala delle forze in gioco.

In aggiunta a questi fenomeni, la Terra, nella sua forma non perfettamente sferica, è soggetta a forze dovute al suo rigonfiamento equatoriale e alla sua attrazione gravitazionale. La ricerca di Egger e Hoinka, che estende il lavoro precedente di Bell, propone che l’interazione tra queste forze si annulli, mantenendo la Terra in un equilibrio dinamico sulla sua superficie geopotenziale.

In un mondo ideale, privo di forze montane e di attrito, questi studi suggeriscono che la Terra potrebbe oscillare secondo un proprio ritmo naturale, quasi come se fosse una danza cosmica che procede secondo frequenze e movimenti intrinseci, modellati dalle forze fondamentali della natura stessa.

Nell’esplorare la danza armonica della Terra, gli scienziati hanno prestato particolare attenzione alle forze in gioco lungo la linea equatoriale. Le onde che si muovono in questa regione hanno il potere di orientare il movimento del momento angolare, generalmente in una direzione est-orientale. È come se ci fosse una sottile interazione tra la massa del nostro pianeta e i venti che soffiano attorno ad esso, che definisce la direzione e la forza con cui la Terra ‘gira’.

Quando guardiamo alle maree e al loro ritmo, osserviamo un esempio chiaro di questa interazione. Le maree, pur essendo potenti, non aggiungono peso alla danza; influenzano il movimento senza contribuire con una massa significativa. È questa caratteristica che ci spinge a considerare determinati valori nell’equazione come se fossero assenti, enfatizzando la predominanza del movimento anziché della sostanza.

Tuttavia, è affascinante notare che la correlazione tra la massa della Terra e le forze del vento è minima, un riflesso di quanto le maree siano il principale contributo alla variazione del termine del vento. Esistono modalità di oscillazione che si mantengono indipendentemente dal possesso di un effettivo momento angolare, e questi si materializzano solo se la massa e i venti sono in perfetto equilibrio – un caso raro, indicando che normalmente vi è un valore associato a queste forze.

Le modalità di Rossby, quelle onde che definiscono gran parte del nostro clima e tempo, sono un altro esempio di questo equilibrio dinamico. Devono avere un rapporto di massa al vento notevolmente più alto, suggerendo che la loro ‘pesantezza’ è una componente critica nel loro impatto sul movimento terrestre.

Prendendo in considerazione tutto questo, diventa rilevante esaminare la forza esercitata dal rigonfiamento equatoriale della Terra, a volte chiamata la coppia di torsione equatoriale. Si distingue per la sua grandezza, con una variazione molto più ampia rispetto a quella delle forze montane, testimoniando la sua portata colossale. Ma questa forza imponente, che raggiunge valori strabilianti come 1876 Had, è presente anche in un’atmosfera immobile, un prodotto dei bassi barometrici legati alla massa terrestre che interagiscono con il rigonfiamento stesso.

Nonostante queste complessità, gli scienziati come de Viron e colleghi hanno chiarito il quadro, calcolando con precisione la forza torsionale gravitazionale e quelle generate dalla pressione, scoprendo che l’appiattimento terrestre è il vero protagonista dietro la maggior parte di queste forze. E in un’illustrazione che potremmo immaginare, un centro di alta pressione si posiziona strategicamente a est di Greenwich nell’emisfero settentrionale, con un corrispettivo punto di bassa pressione nel sud, sfruttando la forma della Terra per indurre un movimento che è allo stesso tempo antiorario e ciclonico a seconda della prospettiva.

In conclusione, mentre la Terra continua la sua eterna rotazione, le forze equatoriali e le onde di gravità tessono insieme il loro ritmo, in una scala paragonabile a quella delle forze assiali. Queste misurazioni non sono solo numeri in un grafico, ma rappresentano il polso vitale del nostro pianeta, i battiti del cuore dell’atmosfera terrestre.

La Figura 13 che osserviamo è come una narrazione visiva che racconta la storia di come tre forze invisibili — il momento angolare assiale della Terra e due tipi di coppie di torsione, quella montana e quella per attrito — si intrecciano e fluttuano nel tempo.

Nel pannello superiore, segnato con la lettera (a), la coppia di torsione montana To3 emerge come protagonista, raggiungendo un picco vicino ai 19 Had. È come se una forza invisibile sollevasse e abbassasse il momento angolare della Terra, con un picco di intensità che si manifesta in un punto specifico nel tempo.

Spostandoci al pannello inferiore, segnato con la lettera (b), l’attenzione si sposta sulla coppia di torsione per attrito Tf3. Qui, la linea tratteggiata corta oscilla sopra e sotto la linea di base, come le onde del mare che si infrangono su una spiaggia invisibile.

Entrambi i pannelli mostrano la stessa linea continua, che rappresenta il momento angolare assiale M3. Questa linea è il filo conduttore della storia, mostrando come la quantità di movimento angolare della Terra varia, aumentando e diminuendo nel corso dei giorni. Il grafico mette in luce non solo le fluttuazioni individuali delle coppie di torsione, ma anche come queste si sovrappongono e interagiscono con il momento angolare totale.

Sull’asse verticale a destra, abbiamo la scala per il momento angolare, misurata in milioni di Had s, una scala grande che riflette l’enorme energia coinvolta in questi movimenti globali. Sull’asse verticale a sinistra, vediamo la scala per le coppie di torsione, espressa in Had, una misura più immediata delle forze in gioco.

Le informazioni provengono da un insieme di dati meteorologici affidabili, raccolti durante i mesi invernali di anni selezionati tra il 1979 e il 1995. Come compositori di una sinfonia naturale, gli scienziati hanno adattato queste informazioni da uno studio iniziale di Weickmann e colleghi per permetterci di “ascoltare” le variazioni di queste forze nel loro fluire temporale.

In sostanza, questa figura ci permette di visualizzare come le interazioni tra le forze della natura non sono statiche, ma piuttosto come un ciclo di marea, con forze che spingono e tirano in una danza cosmica che definisce la rotazione del nostro pianeta.

5. L’interazione tra Coppie di Forze e Quantità di Moto Angolare

L’equazione che descrive la quantità di moto angolare si basa su principi fisici ben consolidati, e non c’è dubbio sulla correttezza delle equazioni globali. Di conseguenza, queste possono essere sfruttate per valutare l’affidabilità dei dati a nostra disposizione. È ragionevole aspettarsi che le stime relative alla quantità di moto angolare siano piuttosto precise, tuttavia il calcolo delle coppie di forze presenta numerose incertezze. I tentativi iniziali di superare questi ostacoli, intrapresi da studiosi come Widger, White e Newton, si sono scontrati con la mancanza di analisi su scala globale. L’avvento di un’epoca moderna nel calcolo del bilancio della quantità di moto angolare si deve a Swinbank, che ha applicato analisi globali sull’Esperimento Meteorologico Globale per determinare la quantità di moto angolare assiale. Inoltre, Swinbank ha implementato un modello di circolazione generale che, assimilando i dati dell’esperimento, ha permesso di calcolare la coppia di attrito generata dallo strato limite.

Analizziamo innanzitutto le equazioni della quantità di moto angolare in termini di media temporale. Questo approccio porta essenzialmente ad annullare le coppie di forze nel caso assiale. Tuttavia, il bilancio assiale ottenuto dai recenti progetti di rianalisi non risulta equilibrato. Le discrepanze per la componente assiale si attestano intorno a ±10 Had, con il drag indotto dalle onde di gravità che emerge come fattore significativo. I residui, come indicato nelle Tabelle 2 e 3, si aggirano intorno a 15 Had. Nonostante le stime delle coppie medie sembrino coerenti tra loro, queste discrepanze sottolineano ancora una volta la nostra incertezza persino riguardo i segni di To3 e Tf3. Le incertezze nel bilancio all’equatore sono di circa 30 Had. Questo squilibrio, benché maggiore rispetto, ad esempio, al contributo di To3, rimane contenuto se consideriamo le enormi coppie medie generate dall’appiattimento terrestre. La componente variabile nel tempo delle equazioni può essere esaminata sia nel dominio di Fourier che attraverso lo studio delle covarianze. Si osservano variazioni ampie e coerenti per la coppia (To3, M3) in periodi di 10-30 giorni, con una fase che si avvicina ai 90°, dove la coppia precede la variazione. Al contrario, le variazioni per la coppia (Tf3, M3) risultano molto minori e presentano una fase di circa 115°.

Nei periodi superiori ai 30 giorni, diventa preponderante l’influenza della coppia di forza Tf sulle coerenze, mentre l’interazione tra la coppia generata dalle montagne e M3 va diminuendo. Queste coppie di forze si mostrano di grande entità e equivalenti in magnitudine in un intervallo che va dai 30 ai 100 giorni. L’oscillazione annuale di M3 viene sostenuta da queste coppie, in cui To3 si trova in quadratura e in fase con M3, mentre Tf3 assume un ruolo più smorzante per il bilancio globale. Il contributo della coppia di forza delle onde di gravità migliora la forma della tendenza stagionale, sebbene ne diminuisca l’accuratezza della media annuale se comparata alla tendenza stagionale senza il contributo di To3. In ogni caso, il bilancio zonale integrato verticalmente, non illustrato qui, evidenzia un residuo significativo nell’emisfero invernale, suggerendo che le coppie di forza potrebbero essere sottostimate rispetto alla convergenza dei flussi.

Analizzando la covarianza tra la coppia di forza principale generata dalle montagne e M3 con un intervallo temporale t, si osservano valori negativi per t inferiore a -1 giorno, seguiti da un incremento rapido fino a 2 giorni e da un decadimento più lento. La funzione di covarianza tra Tf3 e M3 si presenta notevolmente diversa, con un minimo distinto per t pari a -2 giorni e un incremento graduale successivo, con un punto di attraversamento dello zero a 8 giorni. Questa analisi delle curve di covarianza, sebbene parziale, offre uno spunto sulla loro dinamica quando inserite nel contesto più ampio delle equazioni di covarianza. Ad esempio, le variazioni delle covarianze di To3 e M3 in funzione del tempo mostrano un comportamento specifico. Se To3 e Tf3 non fossero correlate in nessun intervallo temporale, ci si aspetterebbe una simmetria rispetto a t = 0. Di conseguenza, la covarianza tra To3 e M3 assumerebbe un profilo antisimmetrico, con valori negativi (positivi) per t minore (maggiore) di zero, specialmente vicino a t = 0. Tuttavia, questa soluzione antisimmetrica rappresenta un’approssimazione molto grezza rispetto alla covarianza osservata. Poiché la covarianza tra To3 e Tf3 risulta positiva per t negativo, emerge che la covarianza tra To3 e M3 per t = 0 è positiva, suggerendo così una correlazione positiva tra To3 e M3.

Questo approfondimento evidenzia l’importanza della covarianza tra To3 e Tf3 nel determinare la reazione di M3 alle variazioni di To3. Un’osservazione simile si applica alla relazione tra Tf3 e M3, dove le divergenze dall’antisimmetria risultano ancor più pronunciate. In generale, possiamo osservare che i dati ERA-15 confermano abbastanza bene le equazioni di covarianza proposte.

L’analisi di Fourier condotta da de Viron e colleghi sui componenti equatoriali ha rivelato un’alta corrispondenza tra i cambiamenti osservati nella quantità di moto angolare e le azioni delle coppie di forze, fatta eccezione per i periodi inferiori ai 2 giorni. Un’analisi parallela delle equazioni di covarianza, portata avanti da Egger e Hoinka, ha mostrato che queste relazioni vengono rispettate in modo soddisfacente. Notabilmente, la tendenza dell’autocovarianza di M1, che si rivela essere antisimmetrica rispetto a t = 0, oscilla con un periodo di 10 giorni, come già notato in precedenti osservazioni. La forza che guida queste oscillazioni si avvicina molto a questa tendenza, con alcune eccedenze per periodi superiori ai 5 giorni e tra -8 e 2 giorni. Egger e Hoinka hanno inoltre identificato alcune nuove relazioni approssimative che i dati sembrano confermare.

Un esempio notevole è la semplificazione dell’equazione di covarianza per C(To1, M1jt), che mostra come la “tendenza” di C(To1, M1jt) sia relativamente minore se confrontata con il termine rotazionale. Questo principio si applica anche a To2, indicando che ci troviamo di fronte a una sorta di relazione “geostrofica” globale. Questa relazione sottolinea come il termine rotazionale sia equilibrato dal termine di pressione quando si considerano le covarianze delle coppie di forza. Interessantemente, le covarianze tra le coppie di forza generate dalle montagne e quelle dovute all’attrito non giocano un ruolo significativo in questa dinamica.

Attraverso questa serie di osservazioni e analisi, emerge una comprensione più profonda di come le diverse forze e movimenti interagiscano nel sistema climatico terrestre, evidenziando la complessità e l’interconnessione tra vari fenomeni atmosferici e geofisici.

Immaginiamo di osservare un danzatore che si muove in sincronia con la musica, dove il ritmo della musica cambia con il passare del tempo. La Figura 14 è come uno scatto di questa danza, catturato con l’intento di comprendere come il movimento del danzatore (in questo caso M1, una misura della quantità di moto) si allinei con le variazioni della musica (le forze esterne e interne che agiscono su di esso) nel corso di diversi giorni.

La linea continua ci mostra la forza della connessione del danzatore con se stesso nel tempo: quanto è coerente nei suoi movimenti oggi rispetto a ieri, l’altro ieri, e così via, fino a venti giorni fa. Possiamo vedere un momento di perfetta armonia appena dopo il punto zero, come se il danzatore replicasse esattamente la sua performance precedente.

La linea tratteggiata, d’altra parte, rappresenta una forza esterna che influenza il danzatore, un po’ come un nuovo genere musicale che viene introdotto. Questa linea mostra quando e quanto questa nuova musica influisce sulla danza, evidenziando i momenti di massima e minima influenza.

I picchi e le valli di entrambe le linee indicano quei momenti di massima espressione o, al contrario, di disarmonia, proprio come un danzatore che si muove in perfetta sincronia con la musica o perde il ritmo. Il punto dove le linee attraversano l’asse orizzontale è come quel momento in cui il danzatore è in attesa del prossimo battito per decidere il suo prossimo movimento.

Questa immagine coreografica ci viene dalla danza atmosferica dei nostri pianeta, un’analisi condotta su vent’anni di osservazioni, dove scienziati come Egger e Hoinka hanno cercato di capire meglio come la Terra regola i suoi ritmi climatici.

Figuriamoci di essere di fronte a una mappa che, invece di mostrare strade e confini, ci illustra come certi elementi dell’atmosfera interagiscono tra loro su differenti altitudini e attraverso il tempo. Questa mappa è la Figura 15, che usa piccole frecce per dipingere un quadro di queste interazioni.Ogni freccia, come una bussola magica, punta nella direzione dell’influenza reciproca tra due forze atmosferiche. L’altezza, che si estende verso il cielo fino a 20 chilometri, è il palcoscenico verticale di questa rappresentazione, mentre il tempo fa da sfondo orizzontale, estendendosi da due settimane nel passato a due settimane nel futuro.Immaginate che ogni freccia indichi dove e come il vento di un certo tipo (To3, un tipo di movimento rotatorio) si lega a un altro movimento o flusso (come la quantità di moto angolare m3 o un fattore dinamico W) a vari livelli sopra la nostra testa. Quando una freccia punta verso l’alto, indica che i due fenomeni si muovono insieme in quel punto – magari più si sale, più questo legame si fa stretto. Una freccia che punta verso il basso suggerisce il contrario, come se i due fenomeni volessero prendere le distanze l’uno dall’altro a quell’altezza.Il tempo di ritardo che corre lungo il fondo della mappa ci dice quando questa danza tra forze si intensifica o si affievolisce. Una freccia inclinata a sinistra può significare che, guardando indietro nel tempo, la relazione tra i due fenomeni era più forte o forse più debole. Verso destra, e stiamo guardando nel futuro prossimo, cercando di predire come questa relazione si svilupperà.Questa mappa non ci mostra semplicemente la direzione e la forza di queste relazioni, ma ci dà anche un senso di loro natura dinamica – come cambiano, si intrecciano e si dissolvono – con ogni passo che facciamo sia verso le nuvole che attraverso i giorni. Le informazioni che ne derivano, raccolte nel periodo dal 1979 al 1993, sono come una sinfonia di dati che gli scienziati, come direttori d’orchestra, interpretano per comprendere meglio la complessa atmosfera terrestre.

Nel cercare di comprendere la coreografia complessa del nostro pianeta, gli scienziati si sono concentrati su come le danze di forze invisibili modellano la circolazione dell’aria intorno a noi. Hanno scoperto che la musica di questo ballo atmosferico è orchestrata dalle variazioni di quanto di moto, che fluisce attraverso l’aria come correnti invisibili, influenzando il tempo e il clima.

Le montagne svolgono un ruolo cruciale in questo valzer atmosferico, agendo come direttori d’orchestra per le onde di Rossby, che sono come le note musicali che si propagano verso l’alto. Queste onde si muovono attraverso la troposfera, lo strato più basso dell’atmosfera dove si verifica la maggior parte del tempo meteorologico, e portano con sé la quantità di moto da una regione all’altra.

La Figura 15, come una mappa del tesoro per i meteorologi, rivela la traccia di questi movimenti. Per giorni più brevi di una settimana, queste correnti di quantità di moto sono appena percettibili, ma man mano che ci avviciniamo al giorno zero, il punto di massima interazione, si intensificano. Questo è il momento in cui le onde generate dalle montagne raggiungono la loro massima espressione, come se la musica si facesse più forte e più chiara.

Al di sopra dei 5 chilometri, le frecce che indicano il flusso di quantità di moto si orientano orizzontalmente e verso sinistra, suggerendo che in quelle regioni superiori l’aria è relativamente calma e non vi sono grandi movimenti verticali. Ma quando si verifica il massimo dell’influenza delle montagne, il flusso cambia repentinamente, convergendo verso punti di massima attività che si estendono fino a 15 chilometri d’altezza. Questo converge di flussi evidenzia un’interazione fondamentale che si verifica attraverso tutta la troposfera.

Dopo il picco di attività, ci aspetta un graduale declino. Questo decadimento è più marcato vicino al suolo, come se le note alte della sinfonia atmosferica si spegnessero più rapidamente. Ciò nonostante, la Figura 15 cattura solo un frammento di questo intricato sistema; sebbene suggerisca che le onde di Rossby che si sollevano dalle montagne sono i catalizzatori di questi flussi verticali, la storia completa è ancora più ricca e complessa. Non abbiamo ancora piena conoscenza di tutti i processi che guidano questi trasporti verticali e influenzano la quantità di moto attraverso l’atmosfera.

In questo affascinante viaggio attraverso i meandri dell’atmosfera terrestre, uno sguardo più attento viene ora rivolto al modo in cui la forza di attrito muove la quantità di moto angolare verso il suolo. È come se la Terra respirasse, preparandosi per un evento climatico significativo che noi conosciamo come l’Oscillazione di Madden-Julian, un battito ritmico nell’atmosfera che può portare grandi cambiamenti nel tempo atmosferico.

Questo studio si estende anche lungo le linee di latitudine, dove il bilancio della quantità di moto angolare, accumulata sopra vasti cinturoni terrestri, viene esaminato. Come uno scienziato che guarda l’ecosistema di un’intera foresta anziché singoli alberi, l’analisi della quantità di moto angolare integrata verticalmente rivela che la risposta a ciò che accade nelle regioni montuose è particolarmente marcata nei tropici e nelle latitudini medie del nostro emisfero.

La narrazione diventa più dettagliata quando consideriamo la Figura 16. Qui si vede come il movimento dell’aria sopra strisce di terra larghe un chilometro interagisce con le forze esercitate dalle montagne sotto. In genere, l’aria sopra queste fasce ha meno quantità di moto angolare prima che le montagne inizino la loro “danza”, coerente con la risposta osservata su scala più ampia, quella globale.

Si scopre che l’emisfero meridionale mostra un rapido incremento di questa quantità di moto seguendo l’influenza montuosa. In contrasto, nelle fasce montuose del nostro emisfero, la situazione sembra diversa: la quantità di moto angolare rimane in deficit anche dopo l’evento, suggerendo che non tutto il “guadagno” resta in loco.

Sembra che ci siano dei movimenti d’aria a latitudini diverse che portano via una parte di questa quantità di moto, dispersendola lontano dalle montagne che l’hanno generata. Questi trasporti meridionali sono come correnti d’acqua che, una volta riempite, si riversano oltre i bordi del bacino, portando con sé parte dell’acqua accumulata. Così, la storia che si dipana non è solo una di guadagni e perdite localizzate, ma di un sistema interconnesso, dove ogni azione in un punto della rete atmosferica può avere un impatto in luoghi lontani.

In questa sinfonia atmosferica, gli effetti delle coppie di forza di attrito iniziano come un sussurro vicino all’equatore, per poi diffondersi verso i poli come un’onda che si espande. Mentre ci addentriamo nelle dinamiche di queste forze, scopriamo che non sono tanto le coppie di forza in sé a dominare la scena, ma piuttosto i vasti movimenti di quantità di moto angolare che le guidano, quasi come i venti che plasmano le vele di una nave.

Le indagini condotte da Egger e Hoinka hanno cercato di mappare fino a quale profondità nell’atmosfera il ritmo annuale delle coppie di forza lascia la sua impronta. Si è scoperto che l’eco di queste forze raggiunge più in profondità nell’emisfero settentrionale, ma la loro voce si attutisce oltre la metà inferiore della troposfera. Nella parte alta dell’atmosfera, il battito del cuore della Terra – ossia il ciclo di quantità di moto angolare – danza al proprio ritmo, influenzato non direttamente da queste coppie di forza, ma dai movimenti più ampi che attraversano i confini emisferici.

Le variazioni nella durata del giorno, un orologio universale che ticchetta con i cambiamenti terrestri, sembrano danzare a un ritmo definito dalle coppie di forza o dagli adattamenti della quantità di moto angolare stessa, M3. E questa danza mostra una coreografia ben sincronizzata quando guardiamo a periodi di tempo che vanno da pochi giorni a pochi anni. Quanto agli oceani, la loro partecipazione a queste frequenze più rapide rimane un mistero ancora avvolto nella foschia, e la comprensione delle risposte precise della Terra solida e dei vasti oceani a queste melodie resta una questione complessa che va oltre la narrativa di questa panoramica.

Immaginate di guardare un atlante che, anziché mostrare montagne e valli, rivela come e quando la forza invisibile delle montagne si fa sentire attraverso l’atmosfera della Terra. La Figura 16 è come una di queste mappe speciali, dove le linee disegnate non sono strade, ma tracce di un’interazione invisibile che si estende da un polo all’altro.

Le linee su questa mappa particolare descrivono la danza tra la forza esercitata dalle montagne, che noi chiamiamo To3, e il movimento dell’aria al di sopra di esse, conosciuto come m3. Le fasce di latitudine, larghe un migliaio di chilometri, attraversano la mappa come fusi orari. L’equatore è il nostro punto di partenza, il mezzo del nostro atlante.

Le linee disegnate con cura mostrano dove e quando la forza delle montagne ha la sua eco più forte attraverso l’atmosfera—dove la quantità di moto è cambiata di più. I contorni chiusi, come anelli o ellissi, segnalano i luoghi di massima influenza. Vicino all’equatore, un tale anello indica un momento e un luogo dove la forza delle montagne e il movimento dell’aria si muovono insieme, sintonizzati l’uno con l’altro.

Le linee tratteggiate raccontano una storia diversa: una di disaccordo e differenze, dove la forza delle montagne e l’aria sembrano distanziarsi, come due danzatori che si allontanano dopo aver condiviso un passo.

La Figura 16, quindi, non è solo una mappa, ma un diario del tempo che ci racconta storie di come il nostro mondo fisico, in larghe fasce di terra e cielo, risponde agli impulsi geologici e si adatta nel tempo, registrando il suo ritmo sui dati raccolti dal 1979 al 1993 e interpretati da scienziati come Egger e Hoinka.

6. Oscillazioni Lente

Il movimento circolatorio del nostro pianeta è caratterizzato da alcune oscillazioni a lungo termine ben riconoscibili che hanno un impatto diretto sul momento angolare. Tra gli esempi più significativi di questo fenomeno troviamo l’QBO equatoriale, l’Oscillazione Artica (AO) e l’ENSO, che verranno approfonditi nei dettagli nelle prossime sezioni.

Una visione d’insieme di queste dinamiche è fornita dalla Figura 17, che riassume come il momento angolare globale, indicato con M3, e i relativi torques variino nel tempo a causa di una serie di fenomeni che si verificano su scale intra-stagionali e interannuali. Alcuni di questi fenomeni si manifestano attraverso comportamenti oscillatori.

Tra questi, l’MJO rappresenta il principale schema di variazione intra-stagionale nelle regioni tropicali, mostrando la sua massima espressione durante l’inverno e la primavera boreali. In questo periodo, si osserva che le anomalie nella convezione tropicale si spostano in modo coerente verso est attraverso l’emisfero orientale. Durante l’inverno boreale, l’MJO può essere efficacemente tracciato attraverso l’analisi della componente principale della prima Funzione Ortogonale Empirica (EOF) della radiazione infrarossa di lunga onda filtrata tra i 20 e i 100 giorni. Questo indicatore raggiunge il suo apice quando la convezione si posiziona intorno ai 150° Est.

Come illustrato nella Figura 17b, si nota che M3 descrive un ciclo con un periodo approssimativo di 50 giorni, che segue l’andamento dell’indicatore P1 con un ritardo di circa una settimana. A contribuire all’oscillazione sono sia il torque di attrito che quello montano, con il primo che generalmente precede il secondo. Questa relazione di fase tra i torques emerge come un aspetto ricorrente nelle variazioni intra-stagionali di M3.

Una rappresentazione meno limitata dell’MJO è presentata nella Figura 17c, dove vengono effettuate delle regressioni rispetto al termine del vento globale filtrato tra i 30 e i 70 giorni, Mw3. Anche in questo caso emerge un’oscillazione con un periodo vicino ai 50 giorni, ma con il torque montano che anticipa di circa una settimana. Quest’interpretazione dell’MJO evidenzia un segnale To3 più marcato, suggerendo la presenza di torques montani alle medie latitudini che potrebbero non essere direttamente associati all’MJO.

Una comprensione più dettagliata delle forze che guidano queste variazioni diventa possibile esaminando il ruolo dei trasporti di momento angolare.

Gli studi sulle dinamiche di trasporto durante il ciclo dell’MJO hanno rivelato dettagli affascinanti. Si è osservata una propagazione verso i poli della convergenza del flusso del momento zonale alto nella troposfera, a 200 hPa, durante l’MJO. Questa dinamica riflette una simile propagazione di mw3, evidenziando un legame diretto con le variazioni atmosferiche legate all’MJO. Inoltre, l’analisi ha mostrato che la covarianza tra le anomalie di circolazione dell’MJO e lo stato atmosferico di base contribuisce significativamente a questa propagazione polare a 200 hPa.

Un’analisi più approfondita, che esplora la differenza tra questi fenomeni, rivela un segnale coerente nell’emisfero settentrionale. Questo potrebbe essere attribuito ai trasporti effettuati dalle attività delle onde barocline e da altri eventi transitori. Dal punto di vista della forzatura del segnale M3 associato all’MJO, emerge chiaramente che è la propagazione polare dei trasporti a stimolare il campo dei venti superficiali e a generare il torque di attrito globale.

Le variazioni di M3 su scale inferiori al mese hanno catturato l’attenzione della comunità scientifica, tanto nell’analisi dei dati quanto nello sviluppo teorico. La correlazione di M3 con i torques, analizzando il termine del vento globale filtrato su scale inferiori a 30 giorni, evidenzia che la maggior parte del segnale di M3 è imputabile a Mw3. Un’osservazione simile emerge analizzando il termine di massa filtrato nello stesso intervallo temporale, con la differenza che in questo caso è il termine di massa a dominare il segnale di M3. In entrambe le situazioni, il torque montano emerge come il principale fattore di “forzatura” di M3.

Interessante notare come la posizione del massimo torque montano, confrontando le due analisi, si mantenga relativamente stabile, posizionandosi intorno ai 40°N per la modalità legata al vento e ai 32°N per quella legata alla massa. Questo suggerisce un’interessante dinamica tra i due modi di trasporto, con implicazioni significative per la comprensione dei processi atmosferici. Ulteriori analisi sulla struttura meridionale dell’integrale zonale dei termini di vento e massa mettono in luce come, a seconda del modo considerato, il contributo globale possa essere dominato ora dal segnale di vento, ora da quello di massa, con trasporti di momento relativi che si muovono in direzioni opposte attraverso il getto zonale medio.

La ricerca ha evidenziato che i processi di trasporto superano di molto l’effetto del torque montano, mettendo in discussione la possibilità di comprendere i modelli climatici osservando esclusivamente questo aspetto. Questo solleva interessanti quesiti sulla complessità dei meccanismi che regolano le dinamiche atmosferiche.

L’analisi dell’Oscillazione Artica (AO) offre una prospettiva unica, mostrandosi particolarmente influente nella “modalità massa”. I segnali dell’AO emergono chiaramente nelle mappe giornaliere della pressione superficiale, con deviazioni contrastanti tra l’area artica e le cinture di media latitudine a sud, mostrando ampiezze particolarmente elevate sopra gli oceani Pacifico e Atlantico. Questi spostamenti di massa nord-sud non solo modificano il termine di massa ma portano anche a cambiamenti contrapposti nel termine di vento, escludendo l’intervento dei torques.

Studiando gli eventi legati all’AO, Lott e D’Andrea hanno rilevato che il termine di massa raggiunge il suo apice in coincidenza con l’indice AO definito da una bassa pressione superficiale nell’Artico, svolgendo un’oscillazione smorzata con un periodo di circa 20 giorni. Interessantemente, il torque montano gioca un ruolo di supporto all’AO, anche se, a differenza della “modalità massa”, l’oscillazione del termine di vento associata all’AO si rivela essere tutt’altro che trascurabile. Un’analisi più dettagliata e focalizzata sul significato medio zonale dell’AO è necessaria per apprezzare appieno il suo impatto sul segnale M3 e l’influenza del torque montano.

Passando all’ENSO, un fenomeno caratterizzato da un’ampia variabilità interannuale, diversi studi sui cosiddetti El Niño “super” degli anni 1982-1983 e 1997-1998 hanno evidenziato un contributo significativo del torque montano nel promuovere l’intensificazione del flusso occidentale atmosferico durante la fase matura dell’evento. Durante gli El Niño più estesi, si osserva un marcato incremento del flusso occidentale all’inizio dell’inverno boreale, tipicamente sostenuto dal torque montano. Le analisi composite sottolineano come il torque montano assuma valori positivi in fase con l’aumento di M3, mentre il torque di attrito si manifesta in senso contrario durante la sua diminuzione, sottolineando la complessità e l’interdipendenza dei meccanismi atmosferici in gioco.

Nonostante le approfondite analisi, il bilancio delle forze in gioco mostra una mancanza di equilibrio, dovuta principalmente alla piccolezza del segnale di tendenza, che risulta essere soltanto 0.2 Had. Si è inoltre notato che per El Niño e per la variabilità interannuale più in generale, le anomalie di mw3 tendono a propagarsi verso i poli. Questo fenomeno potrebbe essere influenzato dalla fase di accoppiamento tra il QBO e El Niño, sebbene le evidenze di una propagazione dalle zone subtropicali verso latitudini superiori risultino essere più consistenti. Il bilancio complessivo relativo al QBO suggerisce che la principale forza motrice di M3 risieda nel torque di attrito, nonostante si osservino anche qui significativi squilibri di bilancio.

Il QBO si distingue per i suoi regimi di vento tropicale alternati verso ovest e verso est, un tratto distintivo della circolazione stratosferica che trova una chiara rappresentazione anche nella distribuzione del momento angolare stratosferico, estendendosi ben oltre la cintura equatoriale. La teoria prevalente attribuisce la dinamica del QBO a onde che si propagano verso l’alto dalla troposfera, benché persistano dibattiti sulla tipologia d’onda predominante in questo contesto. Di conseguenza, si potrebbero aspettare corrispondenti perdite di momento nella troposfera o effetti dei torques. Analizzando la regressione del momento angolare globale M3 sul vento equatoriale a 30 hPa, il QBO emerge in modo netto, con il massimo di M3 che si allinea ai massimi venti occidentali a 30 hPa, evidenziando un’oscillazione costante di circa 27 mesi.

Sorprendentemente, il torque montano contribuisce poco a questo processo, lasciando al torque di attrito il compito di equilibrare la curva del momento angolare. Questo aspetto sottolinea come, sebbene il QBO sia principalmente un fenomeno stratosferico, il suo impatto si estenda fino al flusso atmosferico nel livello limite superficiale. È importante, però, mantenere un alto grado di precisione nell’analizzare un fenomeno così delicato come il QBO. L’incremento massimo registrato di M3 è di circa 0.5 Had, che rappresenta più o meno la metà dell’ampiezza dell’oscillazione di Tf, la quale, tuttavia, mostra una fase approssimativamente corretta, con valori positivi (negativi) per periodi antecedenti allo zero.

La Figura 17 ci offre una finestra sul complesso mondo del movimento del nostro pianeta attraverso l’analisi del momento angolare globale, un parametro che cattura come la Terra ruota nello spazio. Attraverso cinque distinti pannelli, la figura traccia l’impatto di diversi fenomeni atmosferici e oceanici su questo movimento rotatorio.

Iniziamo con la modalità vento submensile, che ci mostra le fluttuazioni nel momento angolare dovute ai cambiamenti nei venti globali che avvengono in periodi inferiori a un mese. È un po’ come osservare i riflessi del clima su una scala temporale più breve, vedendo come questi piccoli cambiamenti possono influenzare la rotazione della Terra.

Il secondo pannello si concentra sull’Oscillazione di Madden-Julian, un pattern che si manifesta con forti piogge e variazioni nei venti tropicali, che possono alterare il nostro pianeta nella sua rotazione su scale che vanno dalle tre settimane a poco più di due mesi.

Il terzo pannello esplora le variazioni intra-stagionali, mettendo in luce come i movimenti dell’aria a livello globale, su periodi da un mese a poco più di due mesi, modellano la rotazione terrestre.

Il quarto pannello è dedicato all’Oscillazione del Sud El Niño, forse il più conosciuto tra questi fenomeni per i suoi ampi effetti sul clima globale. Qui, le temperature superficiali dell’oceano nell’equatore del Pacifico ci danno indizi su come El Niño modifica il movimento della Terra su una scala annuale.

Infine, il quinto pannello ci presenta l’Oscillazione quasi-biennale, un ciclo di venti alternati nella stratosfera sopra l’equatore che influenza il momento angolare ogni due anni circa. È come se la parte più alta dell’atmosfera battesse il tempo per la danza rotatoria del nostro pianeta.

In ogni pannello, troviamo tre diverse linee che si snodano attraverso il grafico, rappresentando la forza totale del momento angolare e due tipi di “torque”, o forze rotazionali, che agiscono come i muscoli invisibili della Terra, tirando e spingendo per influenzare come gira. La linea solida e spessa rappresenta la somma totale di queste forze, mentre le linee tratteggiate catturano l’azione delle montagne e degli attriti superficiale che modellano il movimento della Terra.

Osservando questi grafici, possiamo iniziare a comprendere la coreografia complessa del movimento terrestre – una danza guidata dalle forze della natura su una scala globale, che riguarda tutti noi, abitanti di questo pianeta in movimento.

Immaginate di poter osservare il movimento dell’aria attorno al nostro pianeta come se fossero onde in un oceano atmosferico. La Figura 18 ci presenta tre quadri di queste “onde di vento” a un livello alto nell’atmosfera, proprio lì dove i jet aerei solcano il cielo.

Il primo quadro, in cima, ci mostra l’intensità complessiva di queste onde di vento. È come guardare alla foresta anziché all’albero singolo, cercando di capire il quadro generale di come il vento si accumula o si disperde in diverse regioni lungo un periodo che si estende per circa un mese prima e dopo un punto centrale nel tempo.

Il secondo quadro ci zooma su una danza specifica di questi venti, considerando solo quelli che si sincronizzano in un balletto con i venti stagionali tipici di novembre a marzo. Questa vista ci aiuta a distinguere i movimenti di vento che sono in armonia con i ritmi più ampi e costanti dell’atmosfera da quelli che potrebbero essere più casuali o caotici.

Infine, il terzo quadro ci mostra ciò che rimane quando togliamo il ballo di gruppo del secondo quadro dalla vista più ampia del primo. È un po’ come isolare la voce di un solista in una coralità di un coro. Quello che vediamo qui potrebbe essere il contributo unico di eventi più sporadici o improvvisi, come le tempeste.

In questi quadri, le zone più scure e ombreggiate segnalano dove i venti si stanno rafforzando e potenzialmente accelerando la rotazione del nostro pianeta. Invece, dove le zone sono chiare, i venti si stanno disperdendo, rallentando il loro impeto.

Osservando questi modelli, gli scienziati possono iniziare a intuire come il nostro pianeta respiri attraverso i venti: un ciclo vitale che si ripete con regolarità, ma con abbastanza variazioni per mantenere la vita interessante. Queste osservazioni, raccolte negli anni ’80 e ’90, sono state come un pulsante di sintonia, permettendo ai meteorologi di affinare la nostra comprensione della musica del clima globale.

La Figura 19 è come un duo musicale dove la melodia del vento e il ritmo della massa si uniscono per creare la sinfonia del movimento della Terra. Immagina due linee, una marcata e una delicata, che danzano attraverso una mappa del mondo da polo a polo, seguendo le latitudini e illustrando come l’aria intorno a noi contribuisce al grande balletto della rotazione terrestre.

Nel primo pannello, quello a sinistra, la linea spessa conduce la danza, evidenziando come il vento, quello che sentiamo soffiare forte durante una tempesta o sussurrare tra le foglie, influenzi il momento angolare, o per dirla più semplicemente, quanto velocemente e come il nostro pianeta gira. Questo tracciato ci rivela che in certi luoghi, la forza dei venti è così forte da lasciare un’impronta sulla rotazione della Terra.

Passando al secondo pannello, a destra, il ritmo cambia e la linea tratteggiata entra in scena, svelando il peso della massa, l’altro partner in questa danza. Questa linea ci mostra come le grandi masse d’aria, quelle che si sollevano e si abbassano con i cambiamenti della pressione, aggiungano la loro forza al giro del mondo. La massa dell’aria può non sembrare molto, ma raggruppata su grandi distanze, diventa una mano invisibile che delicatamente guida il pianeta nel suo percorso quotidiano attraverso lo spazio.

Queste due linee ci dicono una storia di equilibri e forze, raccontandoci che la Terra non gira semplicemente in modo uniforme nello spazio, ma è costantemente spinta e tirata da venti e masse che cambiano. E così, come in una coreografia ben orchestrata, il movimento dell’atmosfera contribuisce a definire il ritmo con cui il nostro pianeta danza intorno al sole. Le registrazioni di questa performance, raccolte nei mesi invernali tra il 1979 e il 1995, continuano a guidare gli scienziati nella loro comprensione di come l’atmosfera interagisca con la rotazione della Terra.

La Figura 20 ci fa da guida in un viaggio alla scoperta dell’influenza delle montagne e dei venti sulla danza delle pressioni atmosferiche note come l’Oscillazione Artica. Questo fenomeno periodico ha il palcoscenico dell’intero emisfero settentrionale durante i mesi invernali, modellando il nostro clima in modi sottili ma profondi.

In questo grafico, abbiamo tre interpreti principali: le montagne, rappresentate come linee tratteggiate che raccontano la storia di come la loro imponente presenza disturbi i venti; la massa d’aria, raffigurata da una linea continua che ondeggia su e giù, riflettendo le altalene di pressione alta e bassa; e i venti stessi, segnati da una linea a puntini e trattini che mappa il loro contributo al movimento complessivo dell’aria intorno al globo.

Osservando il grafico, possiamo vedere il momento in cui l’Oscillazione Artica raggiunge un picco evidente, e come in risposta, le montagne, i venti e la massa d’aria rispondono a questo fenomeno climatico. Il torque montano ci mostra un forte impatto proprio intorno al picco, suggerendo che quando l’AO è particolarmente intensa, le montagne esercitano un’influenza notevole sulla circolazione dell’aria.

La massa e il vento seguono un ritmo simile, ora salendo, ora scendendo lungo la latitudine del tempo, che si estende per un mese prima e dopo l’evento centrale. È una danza di forze che si combinano e si contrastano, con ogni movimento che contribuisce alla rotazione complessiva del nostro pianeta.

Raccolti tra il 1979 e il 1995 durante i mesi invernali, questi dati sono più che semplici numeri; sono i segni di una danza climatica che gli scienziati possono leggere per comprendere meglio come il nostro pianeta vive e respira attraverso i suoi ritmi atmosferici. Pubblicati dalla Royal Meteorological Society, questi spunti ci permettono di ascoltare il battito del cuore del clima terrestre e di apprezzare la complessità e la bellezza della Terra.

7. Stratosfera

La stratosfera presenta caratteristiche di circolazione uniche e sufficientemente diverse da quelle della troposfera, rendendo pertanto logico analizzarne separatamente il bilancio del momento angolare, soprattutto nella stratosfera inferiore dove disponiamo di buoni dati. Gli strati più alti dell’atmosfera media saranno esclusi da questa analisi. È evidente che il momento angolare totale della stratosfera è modesto se paragonato a quello della troposfera.

Una caratteristica fondamentale della stratosfera è l’assenza di fonti proprie di momento angolare. Considerando la tropopausa come limite inferiore e definendo un limite superiore arbitrario, e semplificando per un limite inferiore costante senza prendere in considerazione contributi da un limite superiore, arriviamo a una rappresentazione semplificata. In condizioni stazionarie, ciò si traduce in una affermazione semplice che sostanzialmente indica l’assenza di esportazione di momento angolare legato al vento dalla stratosfera.

L’analisi dei dati ERA-40 conferma che questa semplificazione rispecchia abbastanza fedelmente la realtà, tanto per il trasporto legato al vento quanto per quello legato alla massa, evidenziando che dalla stratosfera non vi è fuoriuscita di momento angolare legato al vento. Tuttavia, la circolazione di Brewer-Dobson, con i suoi movimenti verso i poli in entrambi gli emisferi, consente una conversione continua del momento angolare dalla massa al vento. Questo risultato suggerisce che il bilancio del momento angolare di queste enormi celle circolatorie non è ancora considerato completo o chiuso.

7. Stratosfera e le sue interazioni

La stratosfera, con le sue caratteristiche di circolazione uniche, viene esaminata separatamente dalla troposfera, data la buona disponibilità di dati nella stratosfera inferiore. A differenza della troposfera, il momento angolare totale della stratosfera è relativamente basso. Un’importante osservazione è che la stratosfera non possiede sorgenti proprie di momento angolare, rendendo essenziale la considerazione di flussi esterni.

Tuttavia, si potrebbe obiettare che questa analisi non tiene conto del trasferimento di momento angolare causato dalle onde di gravità. Nonostante l’altezza di rimozione di questo momento angolare non sia specificata nei dati ERA-40, è plausibile che tali flussi abbiano origine prevalentemente nella stratosfera, suggerendo una continua perdita non compensata di momento angolare a causa delle onde di gravità.

L’interazione dinamica tra troposfera e stratosfera è stata profondamente influenzata dal principio di “controllo verso il basso”. Questa teoria implica che la divergenza del flusso di momento angolare, risultante dal movimento medio, deve equilibrare quella di tutti i moti vorticosi, o “forzature eddiche”. È stato dimostrato che conoscendo la forzatura eddica nella stratosfera, è possibile calcolare approssimativamente il movimento verticale medio alla tropopausa, e che una forzatura ondosa definita può indurre un moto medio zonale nel tempo, trasportando momento angolare verso il basso. Nonostante ciò, i tentativi di rilevare questa circolazione analizzando eventi di forzatura ondosa non sono stati fruttuosi, data la breve durata degli eventi osservati.

Inoltre, le oscillazioni lente precedentemente discusse offrono numerosi esempi di scambio di momento angolare tra troposfera e stratosfera. Un esempio chiaro è l’Oscillazione Artica durante l’inverno, che manifesta un’intensificazione o un indebolimento del vortice polare nella stratosfera. Questi cambiamenti nei venti zonali anomali, che iniziano nella stratosfera superiore e si estendono fino alla troposfera, sembrano essere provocati da significativi flussi di momento angolare dalla troposfera, a causa dell’attività delle onde di Rossby. Anche i riscaldamenti stratosferici improvvisi implicano trasferimenti di momento angolare dalla troposfera alla stratosfera. Applicare il principio di conservazione del momento angolare ai fenomeni stratosferici potrebbe rivelare nuove intuizioni, benché manchino ancora studi di bilancio che possano approfondire l’effetto di influenza verso il basso della stratosfera sulla troposfera.

8 COPPIE MONTUOSE REGIONALI

Le grandi catene montuose della Terra sono distinte e separate tra loro, influenzando così in modo indipendente il momento torcente montano globale. Ciò indica che è più efficace valutare i momenti torcenti dei singoli massicci montuosi e analizzare i modelli meteorologici correlati. Informazioni di questo tipo vanno perse negli studi che considerano medie zonali, come quelli discussi precedentemente. Ad esempio, Iskenderian e Salstein nel 1998 hanno illustrato le serie temporali del momento torcente della catena montuosa eurasiatica e quella dei massicci nordamericani, includendo anche il fenomeno di risposta della “M3”. In generale, entrambe le aree contribuiscono in modo significativo, ma si sono verificati casi, come nella primavera del 1996, in cui quasi l’intero momento torcente proveniva da una sola area. Questi eventi di momento torcente locale sono generati da sistemi meteorologici su larga scala che attraversano le catene montuose. Per esempio, Iskenderian e Salstein descrivono una situazione in cui un potente sistema di alta pressione ad est delle Montagne Rocciose, combinato con una depressione lungo la costa ovest del Nord America, crea le condizioni per un aumento della pressione verso est attraverso le Rocciose, risultando in un momento torcente assiale positivo. Una struttura di dipolo simile, ma meno marcata, è stata osservata vicino all’Himalaya.

Sarebbe utile costruire bilanci di momento angolare locali per determinare il contributo dei momenti torcenti montani a tali bilanci. Come suggerito da Davies e Phillips nel 1985, l’effetto di una montagna sul flusso dell’aria sarebbe più evidente se il momento angolare trasferito alla Terra durante un evento di momento torcente fosse completamente rimosso dal flusso sopra la montagna. Tuttavia, nella pratica, il momento torcente non è l’unico elemento del bilancio regionale. Considerando un volume regionale che include un massiccio montuoso, l’integrazione su questo volume rivela il flusso ai confini più gli effetti di pressione, attrito e momento torcente montano. Si auspica di osservare un’accelerazione locale del flusso zonale dovuta al momento torcente montano, evidenziando così l’impatto delle montagne. La relazione del vento geostrofico, quando integrata su questo volume di controllo, dimostra che la somma di pressione e momento torcente montano è esattamente bilanciata dal flusso integrato di massa meridionale, a causa del vento geostrofico, portando a una neutralizzazione di termini significativi nell’equazione. Inoltre, i flussi di momento angolare attraverso i confini non sono necessariamente trascurabili.

Czarnetzki, nel 1997, ha esaminato casi di cicloni formatisi sul versante orientale delle Montagne Rocciose, avvalendosi di dati da previsioni modellistiche per garantire coerenza. I casi selezionati presentavano una coppia torcente negativa e un contributo positivo al momento angolare locale grazie alla coppia di pressione. In linea generale, la somma della coppia montana e dei flussi di trasporto bilancia la coppia di pressione. Tuttavia, l’accuratezza dei dati non è sufficientemente elevata per spiegare le variazioni del momento angolare in termini dei fattori che contribuiscono, a causa della compensazione tra contributi significativi. In modo simile, Bougeault e colleghi, nel 1993, analizzando sia dati modellistici che osservazioni raccolte durante una campagna di ricerca nei Pirenei, sono giunti a conclusioni affini. Sebbene abbiano focalizzato l’attenzione sul bilancio del momento angolare meridionale, l’area di analisi era così limitata da consentire la rotazione dell’equazione. Hanno inoltre potuto misurare i trasporti di momento angolare verticale generati da onde di gravità in occasione di eventi specifici, sebbene questa componente del bilancio si sia rivelata essere relativamente minore. Egger e Hoinka, nel 2006, hanno correlato la coppia montana della Groenlandia nella stagione invernale con variabili atmosferiche, riscontrando, tra l’altro, che eventi di coppia positiva sono associati a una leggera diminuzione del momento angolare nella regione della Groenlandia. Questi eventi si correlano a pressioni insolitamente elevate sopra e a est della Groenlandia, causando venti anomali est-orientali nella maggior parte del territorio groenlandese, sebbene tali anomalie dei venti risultino piuttosto deboli.

Le perturbazioni sinottiche subiscono deformazioni interagendo con la topografia, un processo che può indurre a sua volta trasporti di momento angolare. Un chiaro esempio di questo fenomeno si osserva nei sistemi che si spostano verso est attorno e sopra i campi di ghiaccio in pendenza dell’Antartide, dimostrando come le dinamiche atmosferiche possano essere profondamente influenzate dalla morfologia terrestre.

I venti in pendenza dell’Antartide, caratterizzati da una componente orientale, fanno dell’Antartide una fonte di momento angolare assiale positivo, necessitando di un trasporto di questo momento fuori dal dominio antartico. Questo fenomeno è stato evidenziato sia attraverso calcoli numerici idealizzati da von Detten ed Egger nel 1994, sia in esperimenti con un modello di circolazione generale da Peters ed Egger nel 1993. Le perturbazioni che circondano l’Antartide, rispondendo al gradiente topografico di vorticità potenziale, sono capaci di trasferire tale momento angolare al di fuori dell’Antartide, come ulteriormente confermato da Juckes e altri nel 1994.

L’indagine sui contributi regionali all’induzione del moto polare, condotta da Nastula e Salstein nel 1999, ha rivelato che le variazioni del termine vento non si riflettono chiaramente nei contributi a tale moto. Tuttavia, considerando la risposta degli oceani alla pressione atmosferica, emerge che le latitudini medie e elevate dell’Eurasia e del Nord America giocano un ruolo dominante. Questo insieme di studi mette in luce la complessa interazione tra la topografia terrestre, i pattern meteorologici e la dinamica dei sistemi globali, sottolineando l’importanza delle regioni montuose e polari nel modellare i processi atmosferici e geofisici a scala planetaria.

9. Aspetti Teorici

9.1. Soluzioni di Equilibrio Statistico

Immaginiamo un flusso barotropico non divergente che si muove sopra una topografia sferica, non influenzato da attrito o da qualsiasi forza esterna eccetto la topografia stessa. Tale flusso mantiene costanti sia l’energia cinetica E sia l’enstrofia potenziale P. Il flusso zonale, che superrota, incarna il totale momento angolare assiale, modificabile esclusivamente attraverso l’azione delle coppie torcenti montane. Partendo da un iniziale stato definito con i valori Ko e Po, il flusso tende verso uno stato di equilibrio statistico. Ma quale sarà il valore di equilibrio di huoi per uo? Questa domanda è stata originariamente formulata da Egger e Metz nel 1981, i quali identificarono alcune soluzioni per sistemi notevolmente semplificati. Successivamente, Sawford e Frederiksen nel 1983 risolsero il dilemma applicando metodi derivanti dalla meccanica statistica. Majda e Wang, nel 2006, hanno approfondito questi metodi, basandosi sull’assioma che prevede una pari probabilità a priori per ogni configurazione di flusso possibile nello spazio delle fasi, ovvero per ogni configurazione con una determinata E = Eo e P = Po. Risulta che esista un limite superiore per huoi, garantendo che tutte le modalità ondulatorie del flusso presentino una velocità di fase lineare verso ovest. La formula convenzionale per calcolare la velocità delle onde di Rossby sferiche suggerisce un numero d’onda globale massimo nm. Naturalmente, per una risoluzione orizzontale adeguata, huoi tende verso zero. I calcoli numerici, in condizioni di buona risoluzione e topografia realistica, tendono a fornire valori negativi per huoi. Nello stato di equilibrio, non si registra una media temporale di coppia montuosa. Attualmente, il valore di uo nell’atmosfera è di 7 m/s. Sulla base di queste considerazioni, si potrebbe prevedere che l’interazione tra i flussi atmosferici e le montagne agisca nel senso di ridurre uo, avvicinandolo al suo valore di equilibrio. Sebbene alcuni dati indicano che la media globale della coppia montuosa tenda ad essere negativa, in linea con questa previsione, si è anche scoperto che tale stima è molto incerta. È emerso chiaramente che senza considerare la loro interazione con la coppia di attrito, è impossibile comprendere e modellare adeguatamente il ruolo delle coppie montuose nell’atmosfera. Tuttavia, gli studi di Sawford e Frederiksen hanno evidenziato come la coppia montuosa includa un effetto di smorzamento sulle deviazioni di uo dal suo valore di equilibrio huoi, argomento che verrà approfondito nella sezione 9.3.

9.2. Instabilità Topografica

Nel 1979, Charney e DeVore avanzarono l’ipotesi che le coppie generate dalle montagne rivestano un ruolo cruciale nella formazione dei regimi meteorologici. Essi studiarono il flusso barotropico quasi-geostrofico in un canale sopra la topografia, osservando come le coppie montuose influenzassero il flusso medio e facilitassero l’instaurarsi di soluzioni stazionarie, considerate rappresentare l’essenza dinamica dei regimi meteorologici. Nonostante alcune critiche sollevate nei confronti di questo modello, l’idea fondamentale proposta da Charney e DeVore è stata esplorata e sviluppata ulteriormente in molteplici studi successivi, come evidenziato nella rassegna di Ghil e Childress del 1987. Il concetto di instabilità topografica occupa una posizione di primo piano in queste teorie.

Una spiegazione intuitiva dell’instabilità barotropica topografica propone di considerare una soluzione stazionaria non viscosa per l’equazione della vorticità barotropica in un flusso di canale, dove emerge una cresta stazionaria al di sopra della topografia caratterizzata da un numero d’onda totale K in una condizione definita superresonante. Tale configurazione si rivela essere linearmente instabile in presenza di perturbazioni del flusso medio, soprattutto in prossimità della risonanza. Immaginando una perturbazione positiva che causa lo spostamento a valle dell’alta pressione sopra la montagna, secondo una teoria lineare, si genera una coppia montuosa positiva non appena si forma una cresta nella regione sottovento della montagna. Questa coppia positiva accelera il flusso nella configurazione prescelta, portando così a un incremento della perturbazione e, conseguentemente, all’instabilità.

A una distanza sufficiente dalla risonanza, l’alta pressione stazionaria risulta troppo debole per innescare un’instabilità. Questo principio si applica anche alle perturbazioni negative del flusso medio. Se, d’altro canto, la configurazione del flusso si trova in una condizione subresonante, si forma una depressione sopra la montagna, rendendo la situazione stabile. Ulteriori analisi teoriche hanno espanso queste concettualizzazioni, eliminando le restrizioni legate alla geometria del canale e alla condizione di barotropia. Studi condotti da Revell e Hoskins nel 1984 e da Frederiksen e Bell nel 1987 hanno rilevato che la presenza di topografie tende a diminuire il tasso di crescita delle instabilità barocliniche, senza tuttavia individuare una specifica instabilità legata esclusivamente alla topografia. Un argomento analogo è stato esplorato nella sezione 8.

Perché possa verificarsi un’instabilità topografica, la coppia montuosa deve esercitare un impatto regionale significativo sul termine del vento. Tuttavia, l’equazione del bilancio dimostra che la coppia montuosa rappresenta solo uno degli elementi del bilancio del momento angolare regionale. Analisi statistiche focalizzate sulla coppia montuosa in Groenlandia hanno evidenziato che, durante gli eventi di coppia positiva, il termine del vento medio in Groenlandia si mantiene al di sotto della media. In questi casi, l’instabilità topografica è da escludere. Fino ad ora, non è stato chiaramente identificato alcun caso di instabilità topografica, lasciando aperte ulteriori possibilità di ricerca in questo complesso campo di studi atmosferici e geofisici.

9.3. Modelli Stocastici dei Bilanci di Momento Angolare

Nel 2000, Weickmann e colleghi hanno ideato un modello stocastico per analizzare il bilancio assiale globale del momento angolare, introducendo un’innovativa rappresentazione delle coppie. Questo modello distingue la coppia montuosa, considerata indipendente da alcuni parametri chiave, e la coppia di attrito, che funziona parzialmente come elemento di smorzamento per il momento angolare ma è influenzata anche da una forza esterna casuale, il rumore bianco. Grazie alla sua natura lineare, il modello permette di calcolare analiticamente tutte le funzioni di covarianza, riuscendo sorprendentemente bene a replicare le caratteristiche principali delle funzioni di covarianza osservate, nonostante non riesca a rappresentare correttamente i valori negativi di determinate funzioni di covarianza per tempi inferiori a un giorno, a causa della specifica trattazione della coppia montuosa.

Majda e Vanden-Eijnden, nel 2003, hanno avanzato una teoria stocastica relativa agli effetti della coppia montuosa, basandosi sulla teoria dell’equilibrio statistico discussa in precedenza, che prevede una componente di smorzamento per la coppia montuosa. L’aggiunta di un nuovo termine al modello ha portato alla previsione di valori negativi per certe funzioni di covarianza in intervalli temporali negativi, in linea con le osservazioni. È tuttavia cruciale osservare che mentre alcuni studi prendono in esame le deviazioni da uno stato di equilibrio senza attrito, altri parametri nel modello si riferiscono a deviazioni dal valore medio atmosferico del momento angolare.

Egger, nel 2005, ha ampliato il modello proposto da Weickmann e i suoi colleghi, considerando il bilancio del momento angolare nelle varie fasce di latitudine. In questa estensione, la divergenza dei flussi di momento angolare viene introdotta come una variabile aggiuntiva, potendo essere descritta attraverso il rumore bianco e assumendo un ruolo dominante nel bilancio. Questo approccio ha ulteriormente arricchito la comprensione dei meccanismi che governano i bilanci di momento angolare a scala globale, evidenziando l’importanza delle interazioni tra le diverse componenti del sistema climatico terrestre.

9.4. Flussi Assialsimmetrici

Nello studio della circolazione globale atmosferica, i modelli assialsimmetrici hanno assunto un ruolo di primo piano, grazie alla loro capacità di semplificare l’analisi riducendola a due sole dimensioni spaziali. Questa semplificazione non solo facilita lo studio dei fenomeni atmosferici ma permette anche di gettare luce su effetti che non sarebbero assialsimmetrici. In questi modelli, il momento angolare assiale si conserva grazie all’assenza di gradienti di pressione zonale, offrendo così una base teorica solida per ulteriori analisi.

Un contributo significativo in questo ambito è stato quello di Eliassen nel 1962, che ha utilizzato la conservazione del momento angolare per studiare la circolazione meridionale indotta dall’azione di una fonte di momento angolare situata al limite inferiore di un vortice circolare. Questo processo porta alla formazione di una circolazione chiusa, caratterizzata da una discesa dell’aria sul lato polare della fonte. Quest’aria, a basso momento angolare, viene trasportata verso la regione della fonte, suggerendo un meccanismo dinamico interessante, in cui non sono tanto le fonti a generare il flusso quanto piuttosto il flusso a determinare le posizioni delle fonti e dei pozzi al limite inferiore. Eliassen ha mostrato che, se l’attrito superficiale interviene a rallentare il vortice circolare, si genererà una circolazione meridionale del tipo da lui calcolato.

L’ipotesi di un’atmosfera sferica non viscosa inizialmente in quiete rispetto alla Terra rotante solleva questioni intriganti riguardo la possibilità di sostenere un getto equatoriale progrado vicino al vertice. Tuttavia, questo scenario si scontra con il limite imposto dal momento angolare massimo dello stato iniziale, come notato da Hide nel 1970. L’introduzione della viscosità, o della viscosità derivante da turbolenze, modifica radicalmente questo quadro, aprendo a nuove conclusioni dinamiche. In particolare, la conservazione del momento angolare richiede una riformulazione dell’approccio analitico, che ora deve includere la viscosità o, in modo più generale, parametri che rappresentino flussi non assialsimmetrici.

Held e Hou, nel 1980, hanno avanzato l’ipotesi che in condizioni stazionarie, un flusso assialsimmetrico debba raggiungere il suo massimo momento angolare proprio al limite inferiore. Questa condizione, esplorata attraverso l’integrazione delle equazioni del moto lungo linee specifiche, implica un bilanciamento tra gli apporti di momento angolare e le perdite per diffusione. Se al limite inferiore si hanno venti orientali che contribuiscono positivamente, è possibile ottenere un equilibrio. Il risultato è un sistema dinamico in cui il momento angolare e la distribuzione della velocità assumono configurazioni particolari, che possono essere modificate ulteriormente considerando la diffusione orizzontale.

Read, nel 1986, ha esplorato numericamente queste dinamiche in un anello rotante, dimostrando la possibilità di superrotazione, ovvero condizioni in cui il momento angolare supera certi valori critici. Questi studi evidenziano come la comprensione dei flussi assialsimmetrici e delle loro implicazioni per la circolazione atmosferica globale richieda un approccio che consideri sia le proprietà fondamentali della dinamica dei fluidi sia le specificità dei fenomeni atmosferici terrestri.

Continuando l’analisi sui flussi assialsimmetrici e la loro importanza nella comprensione della dinamica atmosferica, è importante considerare anche il ruolo della diffusione orizzontale nei modelli numerici. Nonostante la viscosità orizzontale possa sembrare trascurabile nell’atmosfera reale, nei modelli numerici emerge un quadro differente. Questi modelli evidenziano, infatti, una presenza sostanziale di diffusione orizzontale, come sottolineato da Becker nel 2001.

Questo fenomeno di diffusione assume un significato particolare quando si considerano gli effetti dei vortici non assialsimmetrici. In tale contesto, F, che rappresenta la parametrizzazione di tali effetti, non necessariamente deve orientarsi in maniera antiparallela rispetto a rm3. Le osservazioni dei massimi di [m3] nella troposfera forniscono prove inequivocabili che il prodotto F per rm3 non sia nullo, contrariamente a quanto si potrebbe intuitivamente aspettare.

Da ciò deriva un principio fondamentale per la modellazione dei flussi atmosferici: qualsiasi tentativo di parametrizzare F, specialmente quando si tratta di formulare previsioni sulla velocità zonale, deve essere attentamente considerato per garantire la conservazione del momento angolare assiale. Questa considerazione, apparentemente semplice, non ha sempre ricevuto l’attenzione che merita. È fondamentale, quindi, che i modelli numerici adottino un approccio che rispecchi fedelmente le complesse interazioni dinamiche presenti nell’atmosfera, includendo adeguatamente i fenomeni di diffusione orizzontale e gli effetti dei vortici non assialsimmetrici per una rappresentazione più accurata e realistica della circolazione atmosferica globale.

Sistemi di Coordinate e Modelli Numerici: Una Panoramica

Quando si affrontano studi di bilancio o analisi simili nel campo della meteorologia e climatologia, è fondamentale operare all’interno del sistema di coordinate già impiegato durante l’analisi dei dati. Questo approccio minimizza gli errori di interpolazione, un aspetto cruciale che tuttavia ci porta ad adottare i sistemi ibridi s utilizzati nei moderni schemi di rianalisi. Sebbene questa scelta possa sembrare vantaggiosa a prima vista, introduce una serie di complicazioni, come l’insorgere di grandi gradienti di momento angolare sopra la topografia, che rappresentano un problema non trascurabile. Un altro punto da considerare è che la posizione delle superfici coordinate varia nel tempo, aggiungendo un ulteriore livello di complessità all’analisi.

La pressione, storicamente, è stata la coordinata verticale più utilizzata, grazie soprattutto alla vasta quantità di analisi dei dati effettuata su queste superfici. Questa scelta offre vantaggi tecnici non indifferenti, come la riduzione del termine di massa a un integrale di superficie, purché si assumano condizioni idrostatiche. Tuttavia, questo approccio non permette di identificare con precisione quali strati atmosferici contribuiscono alle variazioni del termine di massa, un limite significativo per approfondire la comprensione dei processi atmosferici.

Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che le superfici di pressione tendono a intersecare il terreno, anche in assenza di orografia, una condizione che può introdurre errori nell’analisi. Studi come quelli condotti da Huang e collaboratori nel 1999 hanno messo a confronto i termini del vento globale ottenuti direttamente da un sistema s e quelli calcolati in coordinate di pressione, trovando differenze minime, nell’ordine di qualche percentuale. È importante notare che, in specifiche configurazioni, certi termini dell’analisi possono annullarsi, rendendo alcune superfici più vantaggiose di altre per studi particolari.

Un’alternativa al sistema di pressione è rappresentata dal sistema z, in cui le superfici coordinate rimangono fisse nello spazio. Questa scelta evita alcuni dei problemi associati all’intersezione delle superfici coordinate con l’orografia ma introduce nuove sfide, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione del termine di massa, che in questo caso può essere espressa come una funzione dello spazio. L’uso della temperatura potenziale, sebbene raro negli studi di momento angolare, offre una prospettiva diversa che merita considerazione.

L’introduzione delle equazioni medie euleriane trasformate mira a migliorare l’approssimazione della circolazione media zonale lagrangiana, attraverso l’uso di una velocità media residua che incorpora i flussi di eddy di momento e temperatura. Questo approccio conserva il momento angolare globale e rappresenta un tentativo di superare alcune delle limitazioni incontrate con le formulazioni precedenti. La scelta tra i diversi sistemi di coordinate e le relative tecniche di analisi dipende strettamente dalle specifiche circostanze dello studio in questione, evidenziando la necessità di un approccio flessibile e ben informato nell’analisi dei complessi sistemi atmosferici.

Nell’ambito della previsione meteorologica e dello studio della circolazione generale attraverso modelli numerici, emerge un’interessante sfida: la conservazione del momento angolare non avviene automaticamente in assenza di coppie di torsione. Questo principio teorico, sebbene possa essere implementato attraverso l’uso di equazioni specifiche nel contesto dei modelli numerici, nella pratica solleva questioni complesse. Di norma, i modelli tendono a predire le componenti della velocità piuttosto che i momenti angolari direttamente, ma si sta sviluppando una tendenza volta a includere tutti i termini di Coriolis, ampliando così le potenzialità analitiche dei modelli stessi.

Il primo passo significativo in questa direzione fu fatto da Simmons e Burridge nel 1981, quando progettarono uno schema verticale capace di conservare il momento angolare assiale. Tuttavia, la sfida di risolvere le equazioni del momento angolare per tutte e tre le sue componenti rimane, principalmente a causa della loro interdipendenza, un ostacolo non trascurabile. Un problema aggiuntivo identificato da Read nel 1986 riguarda le parametrizzazioni diffusive standard, che tendono a compromettere la conservazione del momento angolare, ad esempio smorzando i flussi superrotanti. A questo proposito, Becker nel 2001 propose una formulazione simmetrica per il tensore di stress che elude tali problemi, offrendo una soluzione più robusta e affidabile.

Nonostante questi progressi tecnici, rimane la questione aperta su quanto fedelmente questi modelli riescano a simulare le coppie di torsione, un elemento cruciale per la veridicità delle simulazioni atmosferiche. La ricerca in questo ambito ha visto notevoli sviluppi negli anni successivi. Boer, nel 1990, inaugurò uno studio sul momento angolare utilizzando modelli di circolazione generale (GCM), esaminando il ciclo del momento angolare in un’esecuzione pluriennale e ottenendo risultati generalmente in buon accordo con le osservazioni. Successivamente, Bell e collaboratori, nel 1991, misero alla prova l’abilità previsionale di due modelli all’avanguardia nel predire tutte e tre le componenti del momento angolare globale, ottenendo risultati incoraggianti.

Questo filone di ricerca fu ulteriormente espanso da Hide e colleghi nel 1997, che estesero in modo significativo l’ambito di questi test valutando le fluttuazioni del momento angolare assiale attraverso l’integrazione a lungo termine di 23 GCM nell’ambito del Progetto di Interconfronto dei Modelli Atmosferici. Questi sforzi collettivi non solo hanno migliorato la nostra comprensione dei meccanismi dinamici fondamentali dell’atmosfera ma hanno anche segnato passi importanti verso la realizzazione di modelli numerici capaci di riflettere con maggiore accuratezza la complessità dei sistemi atmosferici.

Proseguendo nell’esplorazione delle capacità predittive dei modelli di circolazione generale (GCM), è emerso che, complessivamente, l’accordo con le osservazioni risulta essere soddisfacente. Un punto critico, tuttavia, è identificato nella tendenza a sottostimare il momento angolare M3 durante l’inverno boreale, un aspetto che evidenzia una delle sfide nella modellazione accurata dei fenomeni atmosferici stagionali. In un contesto diverso, de Viron e Dehant, nel 1999, hanno messo a confronto i dati prodotti dai modelli operativi con quelli analitici, riscontrando un accordo meno soddisfacente, soprattutto per quanto concerne i termini relativi ai venti equatoriali. Queste discrepanze sottolineano l’importanza di affinare ulteriormente i modelli per catturare con maggiore precisione le dinamiche atmosferiche complesse.

Un ambito particolarmente stimolante dove i GCM trovano applicazione è il test delle ipotesi relative ai meccanismi dinamici che regolano l’atmosfera. Gli esperimenti condotti da Dickey e collaboratori nel 1991, confrontando scenari senza montagne con altri che riproducono una topografia realistica, hanno fornito sostegno alle ipotesi formulate da Ghil e Childress nel 1987 e da Jin e Ghil nel 1990. Questi studi suggeriscono che le oscillazioni di 40-50 giorni osservate nel momento angolare dell’Emisfero Settentrionale siano effettivamente dovute all’interazione tra il flusso a getto e le formazioni montuose.

La modellazione di pianeti interamente coperti da acqua rappresenta un altro affascinante strumento di indagine, che elimina dalla simulazione le montagne e sostituisce le superfici terrestri con gli oceani. Questo approccio ha rivelato che il momento angolare assiale è influenzato esclusivamente dalle coppie di attrito. Feldstein, nel 2003, ha evidenziato come i cambiamenti del momento angolare equatoriale in questo tipo di modello fossero intimamente legati all’onda di Rossby di numero d’onda zonale 1, fornendo così una chiave di lettura preziosa per l’interpretazione dei dati osservazionali. Interessante è stata la scoperta che le variazioni di M1 e M2 fossero associate ad anomalie nelle precipitazioni equatoriali, aprendo nuove prospettive per la comprensione delle dinamiche atmosferiche globali. Queste ricerche evidenziano la ricchezza e la complessità degli strumenti a disposizione degli scienziati atmosferici per decifrare i meccanismi che regolano il clima e la meteorologia del nostro pianeta.

https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1029/2006RG000213

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »