In un mondo dove i fenomeni meteorologici e climatici sono di cruciale importanza, emerge un giocatore chiave: l’Oscillazione Artica (AO). Questo modello di variabilità, dominante nelle anomalie del geopotenziale che si estendono dalla superficie terrestre fino alla media stratosfera dell’emisfero settentrionale, si rivela attraverso la sua modalità principale di variazione – la prima funzione ortogonale empirica della variabilità a bassa frequenza del geopotenziale invernale tra 1000 e 10 hPa.

Nelle profondità della media stratosfera, la firma dell’AO si manifesta come un modello quasi zonalmente simmetrico, che può rappresentare un vortice polare tanto potente quanto debole. Questo si trasforma, a 1000 hPa, in una figura che ricorda l’Oscillazione Nord Atlantica, pur mantenendo una maggiore simmetria zonale, in particolare alle alte latitudini. La rappresentazione dell’AO nel vento zonale medio appare come un dipolo nord-sud posizionato intorno ai 40°-45°N, mentre nella temperatura media zonale si distingue come un’anomalia polare profonda, calda o fredda, che si estende dall’alta troposfera fino a –10 hPa.

La connessione tra il modello AO nella troposfera e la modulazione della forza del vortice polare stratosferico è cruciale, offrendo un’insight fondamentale sulle dinamiche di interazione tra stratosfera e troposfera. Attraverso un’analisi dettagliata delle serie temporali delle firme AO, sia a livello troposferico che stratosferico, emerge un quadro intrigante: le anomalie AO tendono a manifestarsi prima nella stratosfera, per poi propagarsi verso il basso.

Un’osservazione particolarmente affascinante emerge nella correlazione di metà inverno: quando si considera l’anomalia a 10 hPa, filtrata a bassa passata di 90 giorni, in relazione all’anomalia a 1000 hPa, si nota una correlazione superiore a 0,65, a patto che la serie temporale dell’anomalia di superficie sia ritardata di circa tre settimane. Questa firma troposferica dell’anomalia AO non è trascurabile, poiché è caratterizzata da cambiamenti sostanziali nei percorsi delle tempeste e nella forza del flusso nella media troposfera, in particolare sopra il Nord Atlantico e l’Europa.

La rilevanza di ampie anomalie stratosferiche come precursori di cambiamenti nei modelli meteorologici troposferici non può essere sottovalutata. Questo legame profondo tra i due strati dell’atmosfera terrestre sottolinea l’importanza di monitorare e comprendere l’Oscillazione Artica, non solo come un fenomeno isolato, ma come un fattore chiave nell’anticipare e interpretare i cambiamenti nei modelli climatici e meteorologici globali.

1. Introduzione

La complessa coreografia che si svolge tra la stratosfera invernale del nord e la troposfera è stata per la prima volta messa in luce negli studi di Nigam nel 1990. Attraverso un’analisi accurata delle funzioni ortogonali empiriche rotazionate (EOFs) del vento zonale medio, Nigam ha aperto una finestra su una modalità dominante di variabilità. Questo modello si distingue per un profondo dipolo nord-sud, caratterizzato da un nodo cruciale posizionato tra i 40°-45°N. È il segmento polare di questo dipolo a riflettere le oscillazioni nella forza del vortice polare, una danza atmosferica che determina molti degli schemi climatici che conosciamo.

Il dialogo tra la stratosfera e la troposfera fu ulteriormente decifrato da Baldwin e collaboratori nel 1994, i quali si avventurarono oltre, esplorando i modelli di geopotenziale nella media troposfera che trovano eco nella stratosfera. Attraverso l’uso della decomposizione in valori singolari (SVD), si concentrarono sulle interazioni tra il geopotenziale a 500 e 50 hPa, scoprendo che la modalità principale di questa dinamica presentava una marcata firma di dipolo nel vento zonale medio, estendendosi audacemente dalla superficie fino al di sopra dei 10 hPa. La sorpresa fu nel trovare che il dominante modello a 500 hPa si avvicinava sorprendentemente all’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), con i suoi centri d’azione strategicamente posizionati vicino alla Groenlandia e a ovest della Spagna. Questa versione, tuttavia, vantava un’estensione spaziale leggermente maggiore della NAO e una simmetria circolare che abbracciava un punto centrale spostato verso la Groenlandia. È stata suggerita l’ipotesi che elementi di questo modello potessero influenzare la stratosfera, ma anche che parti del modello troposferico potessero rappresentare un’influenza discendente dalla stratosfera.

Il contributo di Thompson e Wallace nel 1998 ha poi aggiunto un ulteriore tassello a questo intricato mosaico. Esaminando la principale EOF della pressione al livello del mare (SLP) durante l’inverno nordico, hanno identificato un modello che riecheggia la NAO, ma con un centro d’azione che abbraccia un’area più ampia dell’Artico, conferendo al tutto un aspetto più simmetrico su scala zonale. Hanno battezzato questa principale EOF di SLP con il nome di Oscillazione Artica (AO), notando la sua straordinaria somiglianza con il modello spaziale generato utilizzando la definizione originale della NAO. La relazione tra l’indice AO e quello della NAO è risultata sorprendentemente stretta, più di quanto non lo fosse con altri indici centrati sull’Atlantico, una scoperta che ha sottolineato l’interconnessa natura di questi fenomeni climatici.

Nonostante alcune differenze – come l’assenza di un centro d’azione nel Pacifico per la NAO e un centro d’azione più ampio sull’Artico per l’AO – la sostanziale sovrapposizione tra AO e NAO nell’area atlantica sottolinea un’importante verità: le implicazioni per il tempo e il clima derivanti dall’AO si preannunciano molto simili a quelle della NAO. Questa stretta correlazione non solo illumina le dinamiche atmosferiche che governano i nostri cieli ma apre anche la strada a nuove comprensioni su come i grandi schemi climatici si influenzino a vicenda, tessendo insieme il destino del nostro pianeta.

Nonostante l’AO (Oscillazione Artica) sia stata originariamente definita utilizzando dati rilevati a livello del suolo, essa ha dimostrato un’interazione straordinariamente intensa con la stratosfera. È questa profonda connessione tra due sfere dell’atmosfera a catturare l’interesse della comunità scientifica. Thompson e Wallace hanno portato avanti questa indagine, mettendo in luce come le firme dell’AO a 500 hPa e a 50 hPa (ottenute tramite regressioni del loro indice AO con i campi di geopotenziale) rispecchino fedelmente i modelli previsti. La loro analisi ha rivelato una sorprendente corrispondenza tra queste firme e la principale modalità di variabilità individuata da Baldwin et al. nel 1994, utilizzando l’analisi SVD (Decomposizione in Valori Singolari) tra i livelli di 500 e 50 hPa. Ciò suggerisce che sia l’analisi SVD che quella EOF della pressione superficiale catturano efficacemente la stessa modalità di variabilità atmosferica.

L’AO emerge così come una modalità di variabilità dominante, robusta e intrinsecamente presente, rivelabile sia attraverso l’analisi di dati troposferici sia tramite l’integrazione di dati troposferici e stratosferici. L’esistenza dell’AO è confermata anche dai modelli di circolazione generale stratosfera-troposfera, e le tendenze osservate nell’AO potrebbero suggerire un legame con l’incremento dei gas serra, secondo quanto riportato da Shindell et al. nel 1999.

Questo collegamento tra l’AO e le variazioni climatiche è stato oggetto di studio e dibattito, come evidenziato nella panoramica di Kerr del 1999. Si è osservato che le perturbazioni stratosferiche tendono a propagarsi verso il basso, influenzando la troposfera. Questo fenomeno si manifesta chiaramente nei casi di improvvisi riscaldamenti stratosferici, che generalmente iniziano nella bassa mesosfera e procedono verso il basso, fino a raggiungere la superficie terrestre. Studi come quelli di Kodera et al. nel 1990 hanno dimostrato che forti correnti occidentali nella stratosfera superiore possono estendersi verso il polo e scendere, influenzando così i venti occidentali troposferici ad alte latitudini nel successivo febbraio. Questi comportamenti sono stati confermati anche tramite simulazioni in modelli di circolazione generale.

Interessante è il lavoro di Kodera e Koide del 1997, che hanno discusso come la formazione di una circolazione simile all’AO nella troposfera possa essere associata alla propagazione verso il basso di anomalie dei venti zonali dalla stratosfera. Da queste osservazioni emerge l’AO come la modalità di variabilità più ampia e fondamentale nel sistema troposfera-stratosfera dell’emisfero nord. Durante l’inverno, quando la stratosfera è soggetta a disturbi di grande ampiezza, l’AO lascia un’impronta distintiva anche nella stratosfera. Al di fuori della stagione invernale, l’AO si limita alla troposfera, sebbene con un’intensità notevolmente ridotta durante l’estate.

In conclusione, l’esplorazione dell’AO e del suo impatto sia sulla stratosfera che sulla troposfera svela complessità e connessioni fondamentali all’interno del sistema climatico terrestre, sottolineando l’importanza di approfondire ulteriormente questi studi.

2. Insieme dei Dati e Tecnica di Analisi

Nel nostro viaggio attraverso l’analisi dell’Oscillazione Artica, ci affidiamo a una risorsa di valore inestimabile: la Rianalisi del National Centers for Environmental Prediction e del National Center for Atmospheric Research (NCEP/NCAR), come descritto da Kalnay e colleghi nel 1996. Questo tesoro di dati di geopotenziale, vento e temperatura copre l’intero globo, archiviato come medie giornaliere su una griglia di 2,5° per 2,5°, disponibile su 17 livelli verticali che vanno da 1000 a 10 hPa, e si estende per un periodo che va dal 1958 al 1997.

La nostra esplorazione si discosta leggermente dai percorsi intrapresi da Baldwin e altri nel 1994 e da Thompson e Wallace nel 1998. Mettiamo sotto la lente la principale Funzione Ortogonale Empirica (EOF) di uno spesso strato che unisce la stratosfera e la troposfera invernali, attraverso l’esame dei campi di geopotenziale a 1000, 300, 100, 30 e 10 hPa. Questi dati, filtrati attraverso un passa-basso di 90 giorni e situati a nord dei 20°N, vengono normalizzati per assicurare che ogni livello contribuisca equamente all’analisi, in accordo con l’osservazione di Thompson e Wallace che la densità energetica dell’AO rimane costante attraverso i vari livelli.

Il nostro studio si concentra sui mesi invernali, da dicembre a febbraio, un periodo durante il quale i venti stratosferici prevalgono da ovest, permettendo così la propagazione verso l’alto di onde troposferiche su larga scala, un fenomeno descritto da Charhey e Drazin nel 1961. La nostra curiosità ci ha portati a includere anche novembre e marzo nella nostra analisi, benché ciò abbia avuto un impatto minimo sui risultati.

Per la nostra analisi EOF, consideriamo i cinque livelli di geopotenziale come un campo unico, e ogni punto della griglia di latitudine-longitudine del NCEP viene riassegnato su una griglia ad area uguale. L’AO emerge quindi come la principale EOF della matrice di covarianza temporale dei dati geopotenziali su questi cinque livelli. Definiamo l’indice AO come la serie temporale giornaliera del primo modo, basata sui dati di geopotenziale filtrati con passa-basso di 90 giorni.

Per rivelare i modelli spaziali dell’AO, regrediamo l’indice AO con vari campi di dati anch’essi filtrati con passa-basso di 90 giorni. Questi modelli, che denominiamo firme dell’AO, offrono una finestra visiva sulle manifestazioni spaziali di questa oscillazione. È importante notare, come fatto da Thompson e Wallace nel 1999, che queste mappe di regressione non sono identiche alle EOF a causa dei pesi usati nel calcolo, rappresentando invece i valori di anomalia in un campo associati a una fluttuazione standard nell’indice AO adimensionale.

Attraverso questo approccio meticoloso, speriamo di districare ulteriormente i fili complessi che legano l’Oscillazione Artica ai vasti e dinamici sistemi della nostra atmosfera.

Risultati dell’Analisi sull’Oscillazione Artica

Le Firme Distintive dell’Oscillazione Artica

Nel cuore del nostro studio sull’Oscillazione Artica (AO), scopriamo che questa dinamica complessa è responsabile del 23% della varianza nei dati analizzati su cinque livelli atmosferici, un dato che sfiora la percentuale osservata da Thompson e Wallace nel loro studio del 1998 sull’AO della pressione al livello del mare (SLP), che era del 22%. Un’illustrazione dettagliata di questa analisi può essere trovata nella Figura 1 del nostro studio, che espone le firme dell’AO attraverso nove strati atmosferici, inclusi i cinque utilizzati per definire l’AO stesso. Questi dati sono rappresentati con contorni espressi in metri per ogni deviazione standard dell’indice AO, offrendo una visione quantitativa dell’influenza dell’AO su vari livelli dell’atmosfera.

Confrontando specificatamente i livelli a 1000, 500 e 50 hPa con gli studi precedenti, troviamo che il modello a 1000 hPa si allinea quasi perfettamente con quello di Thompson e Wallace, riconfermando le osservazioni fatte da Kutzbach nel 1970. Questa modalità è caratterizzata da un unico centro d’azione sopra la regione artica, spostato verso la Groenlandia, e da un anello contrapposto alle medie latitudini, con influenze notevoli sia sull’Atlantico che sul Pacifico. Mentre la regione atlantica evoca l’NAO, il modello complessivo si distingue per la sua maggiore simmetria zonale e scala spaziale estesa.

Questa corrispondenza rimane impressionante, soprattutto se si considera che il lavoro di Thompson e Wallace si basava esclusivamente su dati medi mensili tra novembre e aprile a 1000 hPa, mentre la nostra analisi utilizza dati filtrati con passa-basso di 90 giorni che coprono da dicembre a febbraio e si estendono da 1000 a 10 hPa.

Proseguendo nella nostra analisi, il pannello a 500 hPa conferma ancora una volta la coerenza con il modello identificato da Thompson e Wallace nel 1998, evidenziando un centro d’azione sopra il sud della Groenlandia che si contrappone a una vasta banda alle medie latitudini. Questo modello è corroborato anche dalla figura 3a di Baldwin e colleghi del 1994, che mostra come il modello a 500 hPa, derivante dall’analisi SVD tra 50 e 500 hPa, sia sostanzialmente in linea con le nostre osservazioni.

Nella stratosfera, a 50 hPa, domina un modello con un centro d’azione leggermente spostato dal polo verso la Groenlandia, circondato da un anello quasi perfettamente simmetrico zonale alle medie latitudini. Questa configurazione è sorprendentemente simile sia alla modalità SVD di Baldwin e colleghi sia alla firma AO di Thompson e Wallace. Infine, il pannello a 10 hPa rivela un modello centrato quasi direttamente sul polo, sebbene presenti una minore simmetria zonale alle medie latitudini, con un centro d’azione contrastante sull’est del Pacifico.

Le analisi sopra citate dimostrano senza dubbio che l’AO rappresenta un fenomeno di straordinaria robustezza, recuperabile attraverso l’utilizzo di diversi livelli di dati e tecniche analitiche, e mostra una notevole indipendenza dal numero di mesi considerati nella stagione invernale. Oltre al ciclo stagionale, l’AO emerge come la principale modalità di variabilità nell’estratroposfera settentrionale extra-tropicale, confermando la sua rilevanza cruciale nello studio dei sistemi atmosferici terrestri.

Nel panorama degli studi climatici, la Figura 1 si distingue come una mappa chiave per decifrare le influenze dell’Oscillazione Artica (AO) attraverso l’atmosfera della Terra. Questa serie di pannelli funge da finestra visiva, tramite la quale possiamo osservare le onde del geopotenziale che danzano al ritmo dell’AO, misurate in ettopascal (hPa), a diversi livelli, dal confine con lo spazio esterno fino alle nostre teste.

A un’occhiata attenta, i pannelli si rivelano come fossero battiti cardiogrammi dell’atmosfera, con contorni ondulati che rappresentano variazioni in metri del geopotenziale correlati alle fluttuazioni standard dell’indice AO. Partendo dal vertice dell’atmosfera, a 10 hPa, scendiamo attraverso uno scalino di valori, passando per i 30 e i 50 hPa, disegnando i profili di un potente centro d’azione quasi sovrapposto al polo nord, circondato da anelli quasi perfettamente simmetrici intorno alle latitudini medie.

Con la discesa, attraversiamo la soglia della stratosfera superiore e entriamo nella troposfera, esplorando i livelli da 100 a 1000 hPa. È come fare un tuffo verso l’interno della Terra, osservando come il centro d’azione dell’AO, un gigante gentile sopra l’Artico, si sposti sutilmente, perdendo un po’ della sua simmetria zonale per abbracciare un anello più irregolare che incornicia le medie latitudini. Questo anello avvolge il globo con evidenti caratteristiche sull’Atlantico e sul Pacifico, facendo eco all’NAO, ma con un’identità propria, più estesa e simmetrica.

La bellezza di questa figura non è solo nella rappresentazione visiva, ma anche nel suo potere comparativo. Ci permette di mettere in parallelo le nostre osservazioni recenti con quelle storiche, come quelle di Thompson e Wallace del 1998, notando con una certa sorpresa che, nonostante le differenze nelle metodologie e nei periodi di dati usati, la canzone dell’AO rimane pressoché la stessa.

Attraverso questi pannelli, scopriamo che l’AO è come una colonna vertebrale del sistema climatico del nostro pianeta, una modalità di variabilità che domina con una presenza maestosa, la più grande dopo il ciclo stagionale, nelle latitudini extra-tropicali dell’emisfero settentrionale. Questi contorni che vediamo sono più di semplici linee su una mappa; sono le impronte digitali del clima stesso, segni di una forza che forma tempeste e placa le acque, dall’alto dei cieli fino al suolo sotto i nostri piedi.

Immaginate di sfogliare un album storico dell’atmosfera terrestre, e vi imbattete nel Plate 1, una cronistoria colorata dell’Oscillazione Artica dal 1958 al 1997. È come guardare gli anelli di crescita di un albero, dove ogni fascia di colore rivela un segreto del passato climatico del nostro pianeta. Ogni striscia in questo mosaico verticale rappresenta uno strato dell’atmosfera, dall’eterea altezza di 10 hPa, vicino ai confini dello spazio, scendendo giù fino al respiro del mondo a 1000 hPa.

Nel tessuto di questo grafico, i rossi e i blu raccontano storie di vortici polari in costante mutamento, con il rosso che dipinge periodi di debolezza e calore e il blu che tinge momenti di forza e freddo. Come le stagioni si succedono, le linee verticali marciano in successione, demarcando gli inverni da novembre a marzo, le stagioni in cui il nostro manto polare si stringe o si allarga.

I segni rossi sono come fari nella nebbia, segnando quei riscaldamenti invernali significativi, quegli eventi atmosferici che, nel bel mezzo del freddo o all’inizio della fine, hanno il potere di ribaltare l’ordine stabilito. E poi ci sono le “C” rosse, ognuna un faro canadese, che annuncia un riscaldamento distintivo della stratosfera, particolare del grande Nord.

Questo Plate non è solo un affascinante insieme di dati. È una finestra attraverso la quale possiamo osservare il battito pulsante del vortice polare, il grande motore del clima nelle alte latitudini. Ogni picco e ogni calo raccontano di tempeste nascoste e di primavere inaspettate, influenzando tutto, dalle rotte migratorie degli uccelli al soffio gelido che ci morde il viso in una giornata invernale.

Con un po’ di immaginazione, potete quasi sentire il sussurro del vento artico mentre cambia, un fruscio di ali sotto il cielo aurorale. E mentre gli anni scorrono lungo l’asse orizzontale, possiamo riflettere su come ogni colore, ogni linea, sia una testimonianza del dialogo continuo tra la nostra Terra e l’abbigliamento di aria e nuvole che la avvolge.

In un arazzo teso attraverso decenni, dal 1958 al 1997, il Plate 2 dipinge la saga dell’Oscillazione Artica in una serie di striature che oscillano tra caldo e freddo, forza e debolezza. Qui, in queste colonne di colori, è racchiusa la storia di come il vortice polare abbia danzato e tremato nel suo regno gelido, una danza che ha echi in tutto il mondo.

I colori parlano una lingua semplice ma profonda: il rosso accende i periodi di un vortice polare debilitato, riscaldato dalla dinamica atmosferica, segnalando inverni che potrebbero essere stati meno mordaci del solito. Il blu, invece, tesse le epoche di un vortice vigoroso e freddo, una presa gelida che si avverte fino alle medie latitudini, che porta neve abbondante e gelo penetrante.

I contorni che vediamo, delineati con precisione, rappresentano la forza dell’AO, oscillante intorno a valori neutri non colorati, spesso non più inquieti di un mare calmo. Ma poi, come onde che si infrangono sulla costa, i valori si alzano, raggiungendo picchi di calore o abissi di freddo, segnati da ombre di +0.5 a +1.5, o addirittura oltre, dove l’AO mormora dei cambiamenti più estremi.

E come colonne di un antico tempio, le linee verticali scandiscono il ritmo delle stagioni invernali, un rituale annuale che si snoda da novembre a marzo. I segni rossi sono come pietre miliari lungo il percorso, testimoni dei grandi riscaldamenti a metà inverno o dei preludi dei finali, momenti chiave in cui il vortice polare cede o si afferma con forza. E le “C” rosse? Sono i sigilli dei riscaldamenti canadesi, particolari tumulti atmosferici che lasciano il loro segno nella cronistoria dell’AO.

Il Plate 2 non è solo un grafico o un’analisi: è una cronaca visuale, un diario di ciò che era l’alto nord del nostro pianeta, anno dopo anno. È un promemoria che anche le cose che sembrano più costanti, come il freddo del polo, sono in realtà una sinfonia di variabili, una sinfonia ascoltata con attenzione dai climatologi che cercano di capire il ritmo del nostro clima mutevole.

Nel labirinto delle interazioni climatiche, l’Oscillazione Artica (AO) emerge come una maestosa direttrice d’orchestra, che con la sua bacchetta influenza il 34% delle variazioni nei venti della regione settentrionale oltre i 20°N. La sua presenza, definita da una struttura a doppio polo, è stata evidenziata da Baldwin e colleghi nel 1994 attraverso l’analisi di dati atmosferici, un’immagine riflessa anche nelle correlazioni quasi perfette a 60°N e 100 hPa.

Come una voce che echeggia attraverso le altitudini, l’indice del getto polare notturno (PNJ), identificato da Kodera e colleghi nel 1999, risona con forza, mostrando una sincronia vicina alla perfezione con l’AO a 65°N e 50 hPa. Questa melodia del vento, quando si intreccia con il vento medio-zonale, può accelerare oltre i 10 metri al secondo nella stratosfera media, un movimento che si riflette simmetricamente anche quando si considera il momento angolare.

Scendendo dal cielo alle questioni di temperatura, scopriamo che l’AO dipinge il suo ritratto nelle misurazioni termiche, con correlazioni che sfiorano il cielo, superando il 90% a 150 hPa e 80°N. Contribuisce, questo maestro invisibile, al 22% delle variazioni della temperatura del grande nord. E non si ferma qui: nella metà australe del suo regno, il tocco dell’AO si fa sentire distintamente, esercitando il suo influsso fino all’equatore.

La Figura 3b ci svela un altro capolavoro dell’AO: una colonna termica profonda, che si estende dalla troposfera superiore alla stratosfera media, con il polo come fulcro di questo calore anomalo, bilanciato da una controparte più fresca a sud del 50°N. Nei tropici, quest’anomalia si confina come un segreto nella soffitta della stratosfera.

Questo è un paesaggio conosciuto: Dunkerton e Baldwin nel 1992 ne tracciarono i contorni simili, delineando la prima EOF della temperatura media-zonale, quasi come se prevedessero l’opera che l’AO avrebbe continuato a dirigere nel cielo del nostro pianeta.

In questa sinfonia atmosferica, l’AO si conferma come una forza che non solo cattura l’attenzione degli scienziati del clima ma ispira anche un senso di meraviglia per la straordinaria complessità e bellezza del sistema climatico terrestre.

Immaginate di aprire una mappa del cielo e trovarvi davanti una rete di linee invisibili che raccontano una storia di vento e clima. Questo è ciò che offre la Figura 2, un doppio ritratto che cattura la sinfonia invisibile tra l’Oscillazione Artica (AO) e i venti che circolano intorno al nostro pianeta.

Nel pannello (a), siamo come esploratori che seguono le tracce lasciate dalle danze dei venti zonali medio-zonali durante i mesi invernali, da dicembre a febbraio. Ogni contorno è un eco di correlazione, che vibra dall’equatore al polo nord, oscillando tra un freddo -0.72 e un caldo 0.96. I punti di massima intensità, vicino all’unione perfetta di 1, svelano dove l’indice AO e il vento zonale medio-zonale sono più intimamente legati, come se uno influenzasse l’altro in una danza di reciproca guidanza.

Scivolando al pannello (b), ci muoviamo da osservatori a partecipanti, calandoci in una regressione tra l’indice AO e i venti che attraversano le fasce della Terra. Qui, le linee di contorno diventano più concrete, rappresentando la forza del vento in metri al secondo. Questi valori, che riflettono un’anomalia di una deviazione standard nell’indice AO, ci dicono quanto forte possa essere il soffio di vento quando l’AO decide di parlare più chiaro.

E mentre osserviamo le mappe di questi venti, ci rendiamo conto di quanto siano strumenti potenti per decifrare il dialogo tra l’AO e l’atmosfera terrestre. Queste linee e curve, seppur invisibili nel cielo reale, sono potenti testimoni delle forze che modellano i nostri inverni, che guidano le tempeste e modulano le correnti d’aria.

Nella Figura 2, quindi, vediamo non solo una rappresentazione di dati, ma un racconto dinamico di come, attraverso la sua influenza sui venti, l’AO possa essere un protagonista nella narrazione del clima terrestre.

3.2 La Propagazione verso il Basso della Firma dell’Oscillazione Artica

Immaginate una scena in cui un pattern costante dell’Oscillazione Artica si srotola come un tappeto sopra il globo, dal polo all’equatore. Questa immagine, per quanto stabile nella sua struttura, non ci dice molto sul dinamismo verticale dell’AO o sulla direzione del suo flusso causale. Tuttavia, le nostre regressioni, che abbiamo condotto a ogni livello di pressione dall’alto della stratosfera fino alla superficie terrestre, ci forniscono una collezione di “mappe di firma” dell’AO, ognuna unica per il suo strato atmosferico.

Queste mappe di firma ci permettono di spulciare tra le anomalie quotidiane, come un antiquario alla ricerca di gemme nascoste, confrontandole con il pattern tipico dell’AO. Attraverso questo meticolo processo, abbiamo creato un vasto archivio giornaliero che cattura i coefficienti dell’AO, dando vita a un mosaico multidimensionale che copre un periodo di quarant’anni.

Ogni giorno, in ogni strato atmosferico, abbiamo potuto misurare la forza dell’AO, che si manifesta come un vortice polare robusto o come un vortice indebolito. E ogni misurazione è un atto indipendente, una sinfonia di segnali che può iniziare con un bisbiglio alla superficie terrestre e crescere fino a una raffica attraverso la stratosfera, o forse il contrario.

Usando questa serie temporale di firme AO, abbiamo delineato l’ampiezza climatologica dell’AO, quel valore medio che si staglia contro il fondo del nostro clima. Ebbene, proprio come un monte emerge dal terreno piano, questa ampiezza raggiunge il suo apice all’inizio di febbraio, in ogni strato che abbiamo osservato. Ma l’attenzione si aguzza quando ci accorgiamo di un fenomeno curioso: mentre nella troposfera l’AO si mantiene forte, nella stratosfera la sua presenza si attenua rapidamente con l’arrivo della primavera, quasi come se si ritirasse per un lungo riposo estivo.

Interessante è notare che questo potere dell’AO si manifesta con vigore quando i venti stratosferici soffiano da ovest, un via libera per le onde planetarie troposferiche. Al contrario, mentre la primavera sboccia e i venti calano, anche l’AO sembra seguire questo ritmo stagionale, scemando fino a diventare una tenue ombra del suo picco invernale, per poi riguadagnare forza con l’arrivo dell’autunno.

Questa storia si dipana con chiarezza quando confrontiamo la variazione dei livelli geopotenziali al polo, dove l’AO firma con forza il suo nome sull’atmosfera. Questa è la narrazione di un fenomeno così intrinseco al nostro clima che il suo ritmo diventa il battito cardiaco delle stagioni.

La Figura 3 è una sorta di biografia climatica che svela le interazioni tra la temperatura che ci avvolge e i ritmi sottili dell’Oscillazione Artica (AO), durante il trittico invernale di dicembre, gennaio e febbraio.

Nel pannello (a), ci troviamo di fronte a una tela di contorni e curve che mappa la relazione tra il calore distribuito intorno al globo e l’indice AO. Queste linee, sottili come ragnatele e dense come fili d’erba, ci mostrano dove il calore e l’AO ballano insieme in armonia o dove si sfidano in contrasti freddi. I valori ci dicono la storia: alcune parti della trama vedono una perfetta corrispondenza di movimenti, evidenziati da una correlazione massima di 0.65, mentre in altri luoghi, la correlazione si inabissa fino a -0.90, dove AO e temperatura sembrano voltarsi le spalle.

Il pannello (b) ci porta poi in un’analisi più profonda, un passo oltre la semplice correlazione. Qui vediamo l’effetto di una variazione dell’indice AO sulla nostra temperatura media-zonale, ogni linea di contorno tracciata in kelvin come firma del cambiamento. Questo è il luogo dove l’impatto dell’AO sulla nostra atmosfera diventa tangibile, dove possiamo quasi sentire l’onda termica che si alza o scende con il susseguirsi degli inverni.

Osservando queste mappe, possiamo quasi immaginare gli scienziati climatici che scrutano le stagioni del passato, leggendo in questi schemi le influenze dell’AO sulla scialuppa di aria che naviga sopra di noi. Ciò che emerge è una sorta di dialogo tra il grande baluardo dell’AO e il caleidoscopio delle temperature che affrontiamo qui sulla Terra, un dialogo che ha le sue radici profonde nei meccanismi complicati del nostro sistema climatico.

In un mondo dove il tempo danza al ritmo di forze invisibili, la Figura 4 svela l’ampiezza climatologica dell’Oscillazione Artica (AO), quella misteriosa coreografia che si esibisce sopra di noi, dal fondale della troposfera fino alle quinte della stratosfera.

Come un direttore d’orchestra che solleva la sua bacchetta, l’AO raggiunge l’apice del suo comando in febbraio, quando ogni livello dell’atmosfera, da 1000 hPa vicino alla superficie terrestre fino a 10 hPa dove l’aria è rarefatta, risponde con un’accentuata presenza. La mappa mostra un paesaggio di picchi e valli, ognuno delineato dalle linee di contorno che misurano la forza dell’AO attraverso le stagioni, da gennaio a dicembre.

Queste contornature sono in realtà tracce matematiche – valori rms – che narrano quanto profondamente l’AO incide sulla tessitura del nostro clima. Sopra i gelidi mesi invernali, l’AO si espande come una tempesta solare, un fenomeno che attraverso le stagioni si ritrae delicatamente, quasi come un fiato che si placa, per poi rigonfiarsi silenziosamente con l’avvicinarsi dell’autunno.

La distinzione tra troposfera e stratosfera è lampante: mentre in basso l’AO si ritira con la gradualità di una marea che si allontana, in alto, al di sopra del nostro mondo, scompare rapidamente con l’arrivo della primavera, solo per rinascere con i venti occidentali che riportano le onde planetarie.

La Figura 4 non è soltanto un insieme di dati. È un diario del respiro del pianeta, un respiro che influenza la vita di tutti i giorni, dai rigidi inverni ai tiepidi estati. Le sue pagine contengono la chiave per capire i cambiamenti del vento e del tempo, una guida per meteorologi e sognatori, per tutti coloro che guardano il cielo e cercano di interpretarne i segni.

Immergetevi nella cronistoria tessuta da 40 anni di dati sull’Oscillazione Artica, rappresentata con maestria nel Plate 1. Questa vasta tela di informazioni è stata delicatamente filtrata per appianare le fluttuazioni di breve termine e rivelare le tendenze più profonde e significative. Il rosso, colore vibrante e caldo, ci mostra quei periodi in cui il vortice polare si allenta, cedendo il passo a riscaldamenti stratosferici; il blu, intenso e freddo, ci parla di un vortice forte e gelido.

Il ritmo dell’AO danza visivamente su questo palcoscenico, con movimenti che raggiungono un apice di chiarezza quando li si confronta con la firma AO definita a ogni livello. Le ombre più scure, sia in rosso che in blu, ci indicano le estremità di questo ritmo: anomalie che eccedono la norma di 1.5 in entrambe le direzioni. Le linee verticali grigie scandiscono la stagione invernale, mentre le sfumature di colore raccontano una storia di variazione e movimento.

La stratosfera ci offre, in genere, uno o due spettacoli principali di anomalie di grande ampiezza per ogni inverno, come riflettori che illuminano un palcoscenico altrimenti buio. In contrasto, la troposfera sembra essere il teatro di un dramma più dinamico e rapido. Per mettere a fuoco queste oscillazioni verticali di bassa frequenza, i dati sono stati armonizzati attraverso un filtro di 90 giorni. Sopra i 150 hPa, una significativa porzione della varianza rimane visibile anche dopo il filtraggio, mentre al di sotto dei 200 hPa, la storia si fa più sfumata e contenuta.

Il Plate 2 disvela una serie di eventi collegati verticalmente, fili invisibili che connettono la stratosfera media alla superficie della Terra. Ma non è tutto un unico tessuto: nella troposfera emergono eventi con ampiezze AO significative che non trovano riscontro nella stratosfera, specialmente fuori dalla stagione invernale. E, anche se talvolta gli eventi stratosferici sembrano non toccare il mondo sottostante, più spesso di quanto si possa pensare, essi si insinuano nella troposfera.

In genere, le anomalie AO prendono il via a 10 hPa o più in alto, per poi scivolare verso il basso nel corso di poche settimane. Questo intervallo temporale di discesa può variare considerevolmente, da casi in cui è quasi immediato a casi in cui si prolunga oltre un mese. Quando filtrati, questi episodi di grande ampiezza AO appaiono come movimenti fluidi e coerenti, mentre in realtà sono più simili a scatti improvvisi e sporadici.

In questa orchestra atmosferica, le anomalie AO di ogni segno sembrano scendere con uguale facilità; non vi è una direzione prediletta, almeno quando il palco è filtrato attraverso una lente di 90 giorni. Alcuni inverni, come quelli che aprirono e chiusero gli anni ’50 e ’60, sono testimoni di una discesa più rapida e decisa di queste oscillazioni nella troposfera.

Nell’affascinante saga climatica del nostro pianeta, gli episodi dell’Oscillazione Artica (AO) che descrivono un vortice polare debole sono strettamente intrecciati con i cosiddetti riscaldamenti stratosferici improvvisi. Questi momenti drammatici del clima invernale sono puntualmente annotati nei Plates 1 e 2 da segni rossi, marchiando gli eventi più significativi di ogni stagione.

Questi riscaldamenti, che possono sembrare improvvisi agli occhi dei meteorologi, sono in realtà preceduti da una fase di preparazione durante la quale il vortice si contrae in dimensioni, quasi preludendo al cambiamento imminente. E quando il riscaldamento si consuma, il ritorno alla normalità non è una corsa, ma una lenta processione guidata dai ritmi della radiazione.

Tuttavia, questi eventi non sono solo brevi lampi nella panoramica climatica; grazie alla loro magnitudine e durata, lasciano impronte anche nei dati elaborati con un filtro passa-basso di 90 giorni. Il palcoscenico principale per questi fenomeni è la stratosfera, dove un riscaldamento stratosferico può mandare l’indice AO a precipitare verso valori negativi, e la risalita verso positività è un processo ponderato e misurato.

E interessante notare come, nonostante l’apparente bruschezza con cui avvengono, l’elaborazione dei dati tende a smussarne gli spigoli, rivelando un profilo temporale più simmetrico.

Ma questi non sono semplici eventi isolati. Ogni riscaldamento importante o precoce finale, che segna i mesi da dicembre a febbraio, lascia una traccia netta e negativa nella serie temporale della firma AO. E se molti eventi di inizio inverno coincidono con i cosiddetti “riscaldamenti canadesi”, non tutti seguono questo copione. Durante un riscaldamento canadese, si sviluppa l’alta pressione delle Aleutine, scuotendo e spostando il vortice. Ma se il vortice si sposta senza perdere forza, l’AO registra a malapena questo movimento.

Il racconto di ogni inverno, quindi, può essere caratterizzato da una o due forti anomalie nell’ampiezza dell’AO nella stratosfera, mentre nella troposfera il copione cambia più rapidamente. Tuttavia, ciò che rimane costante è la tendenza delle anomalie AO a prendere il via a 10 hPa o anche più in alto e a scendere verso il basso nel giro di poche settimane. Il tempo di attesa per questi movimenti può variare ampiamente, talvolta quasi inesistente, altre volte allungandosi per oltre un mese.

Attraverso questi dati, i climatologi assistono a un intricato balletto verticale, in cui le anomalie AO, positive o negative che siano, scivolano verso il basso, con una tendenza a una discesa più rapida quando raggiungono la troposfera. In questo contesto, i Plates 2 e 3 non sono semplici collezioni di dati, ma pagine di un diario che raccontano la danza complessa e variabile dell’Oscillazione Artica e il suo impatto sul clima della Terra.

Quando il freddo inverno stringe l’atmosfera del nostro pianeta, gli eventi dell’Oscillazione Artica disegnano una danza di temperature e venti che si può osservare nei Plates 2 e 3. Ogni marcatura rossa intensa in queste tavole segnala un episodio notevole: un riscaldamento stratosferico improvviso, un evento che capovolge la normale freddezza polare in un inatteso tepore. Questi eventi, confermati da osservazioni e definiti dagli standard dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, coincidono con marcate deviazioni negative nella serie temporale della firma dell’AO, quasi come impronte lasciate sulla neve fresca.

Alcuni di questi eventi invernali portano il distintivo dei “riscaldamenti canadesi”, contrassegnati da un’insolita “C” rossa. Durante questi fenomeni, si alza l’alta pressione delle Aleutine, come un regista che cambia la scena, spostando e talvolta ridimensionando il vortice polare. Ma se il vortice si sposta senza perdere forza, le tracce che lascia nella serie temporale dell’AO sono appena visibili, sfumature leggere in un paesaggio altrimenti drammatico.

L’indagine sulla natura bassa frequenza di questi eventi AO ha adottato la saggezza della pazienza attraverso una tecnica di correlazione con ritardo. La Figura 5 si presenta come una rivelazione: mostra una tendenza chiara all’attenuarsi del freddo dall’alto verso il basso, penetrando silenziosamente la stratosfera e scivolando nella troposfera, con le correlazioni che si fortificano nel tempo, raggiungendo i loro picchi settimane dopo.

Non è una caduta libera, ma una discesa misurata, una tendenza che segue una scala temporale di qualche settimana. La trama intricata dei dati, lisciata dal filtro dei 90 giorni, si rivela con eventi che, se pur rapidi, sono parte di un movimento più ampio e graduale, senza preferenze per il calore o il freddo.

E così, i dati raccontano una storia di riscaldamenti improvvisi che diventano più simmetrici nel tempo, e di deviazioni AO negative che contrassegnano ogni importante riscaldamento invernale. Le correlazioni che seguono il corso degli inverni, da novembre a marzo, disegnano un ritratto di verticalità che evolve, diventando via via più orizzontale man mano che le stagioni avanzano.

Questo è il ritratto dell’Oscillazione Artica, non semplicemente come una serie di eventi isolati, ma come una forza che modella la nostra atmosfera, un ritmo che si muove dal confine dello spazio verso il suolo sotto i nostri piedi, lasciando una traccia visibile del suo passaggio attraverso le stagioni e gli strati dell’aria che respiriamo.

Nel tranquillo laboratorio della natura, dove gli scienziati tessono i fili invisibili del clima, la Figura 5 emerge come una mappa del tempo, che non misura le ore ma le vibrazioni dell’atmosfera. Qui, tracciamo la danza dell’Oscillazione Artica (AO) attraverso i livelli sospesi sopra di noi, dall’alto inverno fino alla soglia della primavera.

In questa mappa, ogni linea di contorno è un sentiero di correlazione, un percorso che ci mostra come i sussurri del clima a 10 hPa, registrati silenziosamente il primo giorno di gennaio, echeggino nei mesi successivi attraverso le varie altitudini dell’atmosfera. Queste linee formano una sorta di eco grafica, illustrando un legame tra quel giorno chiave di gennaio e la successiva stagione, evidenziando come i cambiamenti avvengono in sequenza, come un domino che cade con precisione.

Il disegno di questi percorsi ci rivela una propagazione che si diffonde verso il basso, un calmo flusso di informazioni che passa dalla stratosfera alla troposfera. A circa tre settimane da quel primo di gennaio, le correlazioni si intensificano, raggiungendo i 1000 hPa, quasi a toccare le dita della vita di tutti i giorni.

La linea più spessa che attraversa il diagramma indica il punto di correlazione massima, il picco di una sinfonia silenziosa che vibra attraverso le diverse altezze, sottolineando la lentezza con cui si svolge questo dialogo atmosferico, non una gara ma un incedere misurato, un ritmo scandito sulle settimane, non sui secondi.

Ma attenzione: le correlazioni di ritardo non ci raccontano esattamente la velocità di questo movimento, ma piuttosto ci sussurrano di una tendenza, una propensione generale per cui l’AO si propaga verso il basso con il passare delle settimane.

Non si vede la stessa storia quando ascoltiamo le frequenze più alte del clima; qui, poco si connette con la troposfera, e le correlazioni si attaccano saldamente al momento presente, senza l’inclinazione suggestiva della Figura 5.

E se giriamo le pagine del calendario, da novembre a marzo, troviamo che questa storia si tinge di sfumature diverse a seconda della stagione. All’inizio dell’inverno, i contorni nella stratosfera si ergono più verticali, una traccia di una discesa più precipitosa. Ma man mano che l’inverno si sfalda, questa velocità cala, e così, a marzo, l’inclinazione di questi contorni tende a distendersi, meno precipitosa di quella che abbiamo incontrato nella Figura 5.

Come in un balletto celestiale, la Figura 6 ci invita a osservare il delicato valzer tra due misteriose forze climatiche: l’Oscillazione Artica (AO) e l’oscillazione quasi biennale (QBO). Il palcoscenico è l’intera colonna atmosferica, dal suo basamento presso la superficie terrestre fino alla rarefatta stratosfera.

Nel coreografare i loro movimenti da novembre a marzo, la QBO, misurata dai venti equatoriali che soffiano con una periodicità di circa due anni, e la firma AO, che cambia quotidianamente, rivelano una danza fatta di intrecci e distanze. Le linee di contorno che vediamo sul grafico non sono altro che i passi di questa danza, segnando la forza del legame tra queste due entità atmosferiche. Dove le linee si incurvano e si avvolgono, troviamo momenti di intesa forte, espressi da correlazioni positive che potrebbero suggerire un’armonia nelle loro variazioni.

Eppure, come spesso accade nelle narrazioni più complesse, ci sono volte in cui sembrano allontanarsi, indicate dalle correlazioni negative che percorrono il grafico come fili sottili di divergenza. Questi sono i periodi in cui l’AO e la QBO sembrano muoversi in contrasto, ciascuno esprimendo una propria visione del clima.

Mentre l’AO varia di giorno in giorno, segnando la sua presenza in ciascuno strato atmosferico, la QBO si manifesta attraverso i venti medi mensili che soffiano a Singapore, un punto di riferimento costante per i suoi cicli biennali.

La Figura 6 non è solo una serie di numeri e linee; è una finestra aperta su come i ritmi lunghi e i battiti giornalieri del nostro pianeta si influenzano a vicenda, una testimonianza visiva di un dialogo globale che ha luogo ben al di sopra delle nuvole, un dialogo che, sebbene invisibile ai più, plasmano le stagioni e il tempo che scorre inesorabile.

3.3. La Relazione con l’Oscillazione Quasi Biennale

Nella grande orchestra del clima globale, un particolare strumento suona una nota peculiare: l’Oscillazione Quasi Biennale (QBO), una sequenza ritmica di venti all’equatore che oscillano con una regolarità quasi biennale. Ma il QBO non è solo una curiosità equatoriale; ha una relazione coreografica con l’Oscillazione Artica (AO), influenzando il palcoscenico ben più ampio del nostro cielo invernale.

Quando la QBO suona la sua fase orientale, come un direttore d’orchestra che alza la bacchetta, le onde planetarie rispondono, e la scena si prepara per un riscaldamento stratosferico. Proprio come i Plates 1 e 2 annotano, questi riscaldamenti sono in perfetta sintonia con i ritmi dell’AO.

Tornando indietro nel tempo, alla ricerca delle impronte lasciate dalla QBO nel geopotenziale dell’emisfero settentrionale, Holton e Tan nel 1980 scoprirono una firma stratosferica della QBO sorprendentemente simile a quella dell’AO. E questa similitudine si estendeva fino alla superficie terrestre, dove la firma della QBO a 1000 hPa in gennaio echeggiava quella dell’AO. Le indagini più recenti hanno confermato questa correlazione, un segno che il passato continua a sussurrare i suoi segreti nel presente.

La Figura 6 ci svela una visione più dettagliata di questo dialogo: una sezione trasversale di correlazioni che mostra come la firma AO quotidiana si intreccia con il vento di Singapore a 40 hPa. Qui, il clou si raggiunge a dicembre, con correlazioni che cantano forte sopra 0.45 a 10 hPa. Man mano che i mesi invernali si sviluppano e ci avviciniamo a febbraio, queste voci si attenuano, e l’influenza della QBO si riduce, racchiusa nell’abbraccio precoce dell’inverno.

Sebbene QBO e AO condividano alcune note nel loro repertorio, le loro firme sono distinte: la QBO è più un solo stratosferico e, passato gennaio, la sua influenza sulle latitudini elevate si dissolve come neve al sole. Eppure, le correlazioni rivelano un’orchestrazione comune: la QBO tende a stimolare l’AO, soprattutto nella stratosfera e agli albori dell’inverno.

La Figura 7 ci apre una finestra sui visi contrastanti dell’Oscillazione Artica (AO), uno sguardo diretto all’alterazione delle altitudini atmosferiche durante l’inverno.

Nel pannello (a), ci troviamo di fronte a un ritratto di un AO in una fase positiva energica, quasi come se l’atmosfera avesse ricevuto un’extra dose di vivacità. Qui, la mappa del 500 hPa si arricchisce con il doppio della firma AO, e ciò che emerge è un paesaggio di contorni che si addensano, rivelando un’atmosfera gonfia di geopotenziale rialzato. Si può quasi sentire il brusio di un clima più dinamico, dove le alte pressioni sembrano dominare lo scenario.

Scivolando al pannello (b), il cambiamento di scena è drammatico. La scena climatica che prima vibrava di energia ora si abbassa in una quiete tesa, riflettendo un AO in ritirata, una fase negativa marcata. Questa volta, la climatologia di dicembre-febbraio viene privata del suo dinamismo AO, lasciando una mappa dove i contorni si distendono e i geopotenziali cadono. Emerge una visione di un inverno più placido, un sussurro di basse pressioni che allunga le sue ombre freddolose sul globo.

Le due estremità della Figura 7 non sono solo una dimostrazione astratta di alte e basse pressioni; sono una cronaca visiva di come la natura, nella sua danza di pattern atmosferici, può oscillare da estati vivaci a inverni contemplativi. Sono pagine di un diario che documentano come l’AO, con il suo respiro profondo, modelli i nostri cieli.

4. Discussione: Il Dialogo tra Troposfera e Stratosfera

Le pagine dell’atmosfera sono scritte con i capricci del vento e la pressione, e tra questi, l’Oscillazione Artica (AO) gioca un ruolo da protagonista, disegnando un contrasto marcato tra i suoi estremi. Immaginate di poter osservare il cielo attraverso due diverse lenti: una che amplifica l’AO e l’altra che la attenua, come mostrato nella Figura 7. L’ampiezza dell’AO raggiunge proporzioni epiche a 500 hPa in un piccolo ma significativo 3% dei giorni invernali. E quando ciò accade, la guida dei cicloni superficiali e il loro cammino diventano un riflesso di queste due estremità, delineando un potenziale di mutamento radicale per i percorsi delle tempeste e l’attività dei cicloni.

Come una metafora che trova eco nella realtà, i cicloni sono diretti dal flusso a 500 hPa, movendosi quasi a metà della velocità di queste correnti celesti. Quindi, tra i due estremi dell’AO, la mappa suggerisce che le traiettorie delle tempeste potrebbero differire in modo drammatico, modellando il tempo atmosferico che ci accoglie quando usciamo di casa. Nel settore atlantico, gli effetti sul clima saranno un’eco di quelli dell’Oscillazione Nord Atlantica, condividendo una narrazione simile come è stata raccontata in passato.

Quando la firma dell’AO si legge negativamente, come nell’esempio della Figura 7b, vediamo l’Europa avvolta da un flusso più blando, con i venti che accarezzano le coste da ovest o nord-ovest. Ma quando l’AO canta in chiave positiva, l’atmosfera si tinge di vigorosi flussi da sud-ovest.

La storia stratosferica ci dice che le anomalie dell’AO di grande ampiezza sono spesso precorritrici di simili eventi nella troposfera, influenzando le traiettorie delle tempeste, la forza dei getti e, in modo più evidente, il clima europeo. Studi e aneddoti suggeriscono che certi pattern meteorologici sono preannunciati dai riscaldamenti improvvisi, rendendo questi eventi alti annunciatori di cambiamenti bassi.

Perché le previsioni si spingano oltre l’orizzonte visibile, i modelli devono incorporare una rappresentazione fedele dei processi stratosferici e delle onde planetarie. Solo con questa comprensione possiamo sperare di anticipare con successo la cascata degli eventi dal cielo alla superficie. E se i modelli climatici mirano a dipingere un quadro accurato di questa relazione dinamica, devono poter mostrare non solo l’AO ma anche la sua tendenza a propagarsi verso il basso.

Nel modello Unificato dell’UKMO, la testimonianza di questa propagazione verso il basso e l’evoluzione stagionale delle correlazioni di ritardo, come delineato nella Figura 5, hanno trovato conferma. Come ci è stato riferito da una fonte accademica d’eccezione, queste osservazioni aprono le porte a una nuova dimensione nella nostra comprensione e previsione del clima.

La tessitura della nostra atmosfera è regolata da una coreografia complessa di forze e flussi, tra cui l’Oscillazione Artica (AO) gioca una parte di primo piano. Questa forza, fluttuante con un ritmo quasi capriccioso, è capace di modulare il flusso del vento medio-zonale e con esso il destino delle onde planetarie.

Immaginate il vento come una serie di percorsi invisibili, tracciati non solo dalla mano della natura ma anche dalle anomalie che abitano nell’alta stratosfera. Quando queste anomalie si verificano, il vento sottostante, nel corso di giorni e settimane, si piega a seguirne il cammino, come un fiume che modifica il proprio corso in risposta a un nuovo ostacolo.

Tuttavia, questa danza atmosferica non si svela facilmente agli occhi degli osservatori; la propagazione verso il basso delle anomalie AO si nasconde nelle frequenze più basse, distante dalla volatilità del quotidiano. Capire come questo movimento si svolga richiederà quindi un tuffo negli abissi dei modelli climatici, là dove possiamo simulare e osservare i meccanismi più profondi.

Nella ricerca per prevedere il tempo che sarà, gli scienziati si trovano a inseguire la variabilità stratosferica come una chiave per anticipare le tempeste e i sereni. Ma il tempo che intercorre tra le turbolenze della stratosfera e il loro tocco sulla troposfera varia, suggerendo che forse le anomalie della troposfera prendono vita da sole, fino a quando non incontrano e si allineano con quelle stratosferiche, amplificando così la loro influenza.

Quasi ogni volta che un’onda anomala si alza nella troposfera, possiamo rintracciare il suo legame con la stratosfera, rivelando quanto il tempo terrestre sia debitore di questi flussi superiori.

Alla base di questo legame c’è una correlazione: quella tra la pressione al livello del mare e il freddo o il caldo che si annidano un poco più in alto. Si pensa che il modello che osserviamo a mezz’aria sia semplicemente il riflesso delle correnti sottostanti, una risposta alle danze del calore mosse dai venti associati al disegno della pressione.

Infine, l’innalzamento della pressione sopra il cappuccio polare ci parla di masse d’aria in movimento, di un ingresso o di un esodo. E forse, l’artefice di questo scambio è una spinta dal profondo, un impulso occidentale che si fa sentire nelle latitudini di mezzo.

4. Discussione: La Danza Verticale delle Anomalie AO

Nel grande teatro dell’atmosfera terrestre, ogni forza ha il suo ruolo e ogni movimento incide sulle dinamiche del palcoscenico. In particolare, l’Oscillazione Artica (AO) non si limita a una performance orizzontale; essa induce una circolazione che spinge l’aria verso il polo e poi verso il basso, tentando di contrapporsi alle forze che la mettono in moto, e completando il ciclo con un ritorno equatoriale nella bassa troposfera. Ma come in ogni dramma atmosferico, non tutte le linee di flusso si chiudono completamente: il ritorno a basso livello non cancella il trasporto nella parte superiore, culminando in un innalzamento della pressione superficiale ai poli. Questa è una storia lineare, dove la direzione può essere capovolta se la forza applicata è positiva.

Il susseguirsi degli eventi può essere influenzato dall’AO che, estendendosi da terra al cielo, crea le condizioni favorevoli per mantenere se stessa, orchestrando il trasporto del momento delle onde e i loro frangimenti ai confini della troposfera e della stratosfera. Qui, il ruolo delle onde – chiamate eddy in terminologia scientifica – resta ancora un mistero da svelare. Le onde sinottiche e planetarie offrono contributi diversi a seconda della stagione e dell’altitudine, e sembra che proprio le onde planetarie abbiano una parte significativa, seppur indiretta, nel dare slancio alle anomalie dell’AO stratosferico che poi si diffondono con lentezza nella troposfera.

Le domande si affacciano all’orizzonte degli studiosi: è la forzante stratosferica a guidare direttamente l’anomalia troposferica AO durante l’inverno, o è una scintilla che accende modificazioni più complesse? L’influenza di questi meccanismi stratosferici è più percepibile su scale temporali che superano il mese?

5. Glossario: La Bussola per Navigare le Correnti AO

Per navigare in queste acque, è essenziale una bussola: l’indice AO, che distilla la serie temporale della componente principale del primo EOF dei dati geopotenziali invernali filtrati su cinque livelli. E poi c’è la firma AO, che registra l’AO in relazione ai campi di dati come il vento o il geopotenziale, e la serie temporale della firma AO che ci regala un valore quotidiano, uno scorcio del suo impatto continuo.

L’ampiezza climatologica AO, quell’indice rms che varia con il giorno e l’altitudine, è il nostro diario dell’AO, registrando la forza di quest’entità mutabile nel corso dell’anno.

https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/1999JD900445

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »