Introduzione al tema e contesto scientifico
L’interazione tra la stratosfera e la troposfera rappresenta un campo di ricerca cruciale nella scienza atmosferica contemporanea, con implicazioni dirette per la comprensione della dinamica del clima e la previsione meteorologica. Lo studio “The Influence of the Stratosphere on the Tropical Troposphere”, pubblicato nel 2021 sul Journal of the Meteorological Society of Japan da un gruppo di eminenti scienziati – Peter Haynes, Peter Hitchcock, Matthew Hitchman, Shigeo Yoden, Harry Hendon, George Kiladis, Kunihiko Kodera e Isla Simpson – si focalizza sull’influenza della stratosfera sulla troposfera nelle regioni tropicali. Questo lavoro si distingue per il suo approccio integrato, che combina osservazioni empiriche, analisi teoriche e simulazioni numeriche per esplorare un tema meno consolidato rispetto alle ben studiate interazioni stratosfera-troposfera nelle latitudini extratropicali.
La stratosfera, situata tra i 10 e i 50 km di altitudine nei tropici, è uno strato atmosferico caratterizzato da una forte stabilità termica dovuta all’inversione di temperatura indotta dall’assorbimento della radiazione ultravioletta da parte dell’ozono. Al di sotto di essa, la troposfera tropicale è il teatro di processi convettivi intensi che guidano la circolazione atmosferica globale. Sebbene la stratosfera sia tradizionalmente considerata un’entità relativamente isolata dai fenomeni meteorologici troposferici, evidenze crescenti indicano che variazioni dinamiche e termiche nella stratosfera possono esercitare un’influenza significativa sulla troposfera sottostante, specialmente nei tropici, dove la convezione profonda e le oscillazioni atmosferiche giocano un ruolo primario.
Obiettivi e razionale dello studio
Gli autori si propongono di esaminare sistematicamente come i processi stratosferici modulino la dinamica troposferica tropicale, con particolare attenzione ai meccanismi fisici coinvolti e alle loro implicazioni per la previsione del tempo e del clima. A differenza delle regioni extratropicali, dove l’influenza stratosferica è ben documentata – ad esempio attraverso eventi di riscaldamento stratosferico improvviso (SSW) che perturbano la circolazione troposferica – nei tropici tale interazione è meno compresa. Lo studio mira a colmare questa lacuna, analizzando fenomeni come l’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) e il suo impatto su oscillazioni troposferiche come la Madden-Julian Oscillation (MJO), oltre a esplorare le possibili applicazioni pratiche di queste conoscenze.
Il ruolo dell’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO)
Un elemento centrale dell’analisi è l’Oscillazione Quasi-Biennale, un pattern ciclico di venti zonali nella stratosfera equatoriale che si alternano tra direzioni orientali (est) e occidentali (ovest) con un periodo medio di circa 28 mesi. Questo fenomeno, che si propaga verso il basso dalla stratosfera superiore fino alla tropopausa, rappresenta la principale variazione interannuale nella stratosfera tropicale. La QBO influenza la struttura termica e dinamica della regione di transizione tra troposfera e stratosfera (nota come UTLS, Upper Troposphere-Lower Stratosphere), con effetti che si ripercuotono sulla troposfera sottostante.
Durante la fase orientale della QBO (QBO-E), i venti di taglio orientali generano un raffreddamento della bassa stratosfera e della tropopausa tramite un processo di sollevamento indotto termicamente (upwelling). Questo raffreddamento aumenta la stabilità statica nella UTLS, riducendo la probabilità di convezione troposferica profonda e alterando la distribuzione del vapore acqueo e delle nubi d’alta quota. Al contrario, nella fase occidentale (QBO-W), i venti occidentali tendono a riscaldare la tropopausa, favorendo condizioni più instabili che possono intensificare la convezione. Queste variazioni termiche e dinamiche hanno un impatto diretto sulla troposfera tropicale, influenzando fenomeni meteorologici su scale temporali che vanno da pochi giorni a diversi mesi.
Interazione con la Madden-Julian Oscillation (MJO)
Un aspetto particolarmente significativo dello studio è l’analisi dell’interazione tra la QBO e la Madden-Julian Oscillation, un’oscillazione intrastagionale che domina la variabilità meteorologica tropicale. L’MJO si manifesta come un’onda convettiva che si propaga verso est attraverso i tropici, con un ciclo di 30-60 giorni, influenzando precipitazioni, venti e temperature su scala globale. Gli autori riportano che la forza e la persistenza dell’MJO sono modulate dalla fase della QBO: durante la QBO-E, l’MJO tende a essere più intensa e prolungata, con un incremento stimato del 40% nell’attività convettiva rispetto alla fase QBO-W. Questo effetto è attribuito alla maggiore stabilità della tropopausa durante la QBO-E, che amplifica la risposta troposferica alle perturbazioni convettive.
Le implicazioni di questa interazione sono rilevanti per la previsione substagionale. I modelli numerici che incorporano accuratamente la dinamica stratosferica mostrano un miglioramento della capacità predittiva dell’MJO di circa una settimana durante la QBO-E, un risultato che potrebbe tradursi in previsioni più affidabili di eventi estremi come piogge monsoniche o siccità.
Meccanismi fisici di comunicazione verticale
L’influenza stratosferica sulla troposfera tropicale si manifesta attraverso diversi meccanismi fisici, tra cui la propagazione di onde atmosferiche e le variazioni nella stabilità verticale. Le onde di gravità e le onde equatoriali (come le onde di Kelvin) trasportano energia e momento attraverso la tropopausa, collegando i due strati atmosferici. La QBO modifica le condizioni di propagazione di queste onde, alterando il flusso di energia verso la troposfera e influenzando la struttura dei venti e delle temperature.
Un altro meccanismo chiave è il feedback radiativo indotto dalle variazioni di temperatura nella UTLS. Il raffreddamento stratosferico durante la QBO-E, ad esempio, può aumentare la formazione di nubi cirriformi, che a loro volta modificano il bilancio radiativo della troposfera tropicale. Queste interazioni non solo amplificano l’effetto diretto della stratosfera, ma introducono anche complessi processi di retroazione all’interno della troposfera, che gli autori identificano come una priorità per future ricerche.
Evidenze da osservazioni e modelli
Gli autori si basano su un’ampia gamma di dati osservativi, tra cui misurazioni satellitari della temperatura, venti e composizione atmosferica, integrate da campagne di radiosondaggi nelle regioni tropicali. Questi dati confermano il ruolo della QBO come modulatore della troposfera, con effetti osservabili sia nella distribuzione delle precipitazioni che nella variabilità della temperatura superficiale marina.
Le simulazioni numeriche, condotte con modelli di circolazione generale (GCM), corroborano queste osservazioni, sebbene con alcune limitazioni. I modelli riescono a riprodurre l’influenza della QBO sull’MJO e sulla convezione tropicale, ma spesso sottostimano l’entità dei feedback troposferici a causa di una risoluzione insufficiente nella UTLS. Gli autori sottolineano la necessità di migliorare la parametrizzazione di questi processi nei modelli per ottenere simulazioni più accurate.
Implicazioni per la previsione e il clima futuro
Dal punto di vista pratico, lo studio evidenzia come una migliore rappresentazione della stratosfera nei modelli atmosferici possa rivoluzionare la previsione meteorologica tropicale. La capacità di anticipare l’evoluzione dell’MJO o di altri fenomeni convettivi potrebbe ridurre l’incertezza nelle previsioni substagionali e stagionali, con benefici tangibili per l’agricoltura, la gestione delle risorse idriche e la preparazione ai disastri naturali.
Inoltre, gli autori esplorano le implicazioni a lungo termine dei cambiamenti stratosferici, come la deplezione dell’ozono o gli effetti di strategie di geoingegneria (ad esempio, l’iniezione di aerosol stratosferici per mitigare il riscaldamento globale). Questi interventi potrebbero alterare la dinamica tropicale in modi imprevedibili, rendendo essenziale una comprensione approfondita delle interazioni stratosfera-troposfera.
Conclusioni e prospettive future
In definitiva, “The Influence of the Stratosphere on the Tropical Troposphere” offre una sintesi autorevole e innovativa di un tema complesso e interdisciplinare. Il lavoro di Haynes e colleghi non solo consolida le evidenze esistenti, ma apre nuove strade di ricerca, sottolineando l’importanza di un approccio integrato per affrontare le sfide della scienza atmosferica moderna. La comprensione di questi processi è destinata a diventare sempre più rilevante in un contesto di cambiamento climatico, dove le dinamiche tropicali giocano un ruolo cruciale nel determinare il clima globale.
Autori:
Peter Haynes, Peter Hitchcock, Matthew Hitchman, Shigeo Yoden, Harry Hendon, George Kiladis, Kunihiko Kodera, Isla Simpson
Affiliazioni:
- Peter Haynes – Dipartimento di Matematica Applicata e Fisica Teorica, Università di Cambridge, Regno Unito
- Peter Hitchcock – Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Atmosfera, Università di Cornell, New York, USA
- Matthew Hitchman – Dipartimento di Scienze Atmosferiche e Oceaniche, Università del Wisconsin – Madison, Wisconsin, USA
- Shigeo Yoden – Istituto per le Arti Liberali e le Scienze, Università di Kyoto, Kyoto, Giappone
- Harry Hendon – Bureau of Meteorology, Australia
- George Kiladis – Laboratorio di Scienze Fisiche, NOAA, Colorado, USA
- Kunihiko Kodera – Dipartimento di Ricerca sul Clima e Geochimica, Istituto di Ricerca Meteorologica, Tsukuba, Giappone
- Isla Simpson – Laboratorio di Clima e Dinamica Globale, National Center for Atmospheric Research, Colorado, USA
Data di ricezione del manoscritto: 25 Giugno 2020
Data di ricezione della versione finale: 8 Marzo 2021
Abstract:
La comprensione dell’influenza della stratosfera sulla troposfera tropicale rappresenta un campo di ricerca emergente che ha guadagnato attenzione solo recentemente, in contrasto con l’approfondita conoscenza del coupling dinamico tra stratosfera e troposfera extratropicale, sviluppata negli ultimi due decenni. Quest’ultimo ha portato a significativi miglioramenti nella previsione meteorologica e nel modellamento climatico, grazie alla comprensione approfondita dei meccanismi di comunicazione e dei feedback troposferici. Tuttavia, l’impatto della stratosfera sulla troposfera tropicale rimane ancora largamente inesplorato, con solo un corpus limitato di evidenze osservative e modellistiche.
Questa rassegna esplora criticamente le attuali conoscenze riguardanti le interazioni stratotroposferiche in un contesto tropicale, analizzando una gamma di scale temporali che spaziano da quelle diurne a quelle centenarie. Vengono discussi i meccanismi potenzialmente rilevanti per la trasmissione di segnali dalla stratosfera alla troposfera tropicale, inclusi i processi dinamici come l’oscillazione quasi-biennale (QBO) e le perturbazioni delle onde planetarie. Inoltre, si esaminano i feedback all’interno della troposfera che potrebbero amplificare o modulare questi segnali, come la convezione profonda e la formazione degli strati di stabilità.
L’analisi si estende anche alle implicazioni di queste interazioni per la previsione meteorologica e climatica, sottolineando le opportunità per la validazione dei modelli climatici e per migliorare le previsioni sub-stagionali e stagionali. Viene posta particolare attenzione sugli effetti delle variazioni dell’ozono stratosferico e sulle potenziali conseguenze delle tecniche di geoingegneria che potrebbero alterare la composizione e la dinamica della stratosfera, con effetti a cascata sulla troposfera sottostante.
Infine, il documento identifica le lacune attuali nella ricerca, proponendo una serie di domande scientifiche fondamentali che necessitano di ulteriori investigazioni attraverso studi osservativi più dettagliati e modellazioni più avanzate. Si suggeriscono nuove direzioni di ricerca, che includono l’uso di osservazioni satellitari di nuova generazione, l’integrazione di dati da sensori di superficie e aerei, e lo sviluppo di modelli climatici che possano meglio rappresentare le interazioni verticali nell’atmosfera tropicale.
Questo lavoro non solo riassume lo stato dell’arte della ricerca in questo campo ma anche apre un dialogo su come possiamo avanzare per una comprensione più integrata e applicabile del sistema climatico globale.
1. Introduzione
Il coupling tra la troposfera e la stratosfera, che si manifesta attraverso interazioni chimiche, radiative o dinamiche, rappresenta una componente cruciale del sistema climatico globale. Questo fenomeno è stato ampiamente studiato per comprendere come esso possa influenzare sia la chimica atmosferica che il clima. Un esempio emblematico è la produzione di ozono nella stratosfera, che, una volta trasportato nella troposfera, può influenzare significativamente la qualità dell’aria e la chimica troposferica (Monks et al., 2015). Inoltre, le concentrazioni di gas radiativamente attivi come l’ozono e il vapore acqueo nella stratosfera possono giocare un ruolo fondamentale nel bilancio termico della troposfera (Forster e Shine, 2002; Forster et al., 2007). Le onde atmosferiche, con scale che variano da chilometri a decine di migliaia di chilometri, fungono da veicoli per la comunicazione di informazioni dinamiche tra queste due regioni dell’atmosfera (Baldwin et al., 2019).
Un’analisi superficiale potrebbe suggerire che, a causa della maggiore massa della troposfera rispetto alla stratosfera, qualsiasi coupling dinamico significativo dovrebbe avvenire principalmente dalla troposfera verso la stratosfera. Tuttavia, questa visione semplificata trascura la complessità e la sensibilità del sistema climatico. Analogamente a come piccole variazioni nelle concentrazioni di ozono e vapore acqueo nella stratosfera possono avere grandi impatti sul bilancio chimico e radiativo della troposfera, anche piccoli cambiamenti dinamici nella stratosfera possono influenzare notevolmente la troposfera, specialmente quando consideriamo la sensibilità dinamica. Questo coupling può essere particolarmente pronunciato tra la stratosfera intermedia (circa 20-25 km) e la troposfera intermedia (5-10 km), malgrado la notevole differenza di densità tra questi livelli.
Negli ultimi 15-20 anni, c’è stata una focalizzazione scientifica intensiva sullo studio del coupling dalla stratosfera alla troposfera, con un particolare interesse per le regioni extratropicali (Gerber et al., 2010; Kidston et al., 2015). Questa ricerca ha seguito un percorso che ha visto il passaggio da studi osservativi e modellistici isolati a un approccio più integrato, che ha coinvolto la verifica di teorie attraverso modelli di varia complessità e la dimostrazione degli effetti significativi in modelli climatici avanzati utilizzati per la previsione del tempo, del clima e per la chimica dell’atmosfera.
Queste indagini hanno portato a notevoli progressi nell’uso operativo delle previsioni meteorologiche stagionali. Fereday et al. (2012) hanno evidenziato come una rappresentazione migliorata della stratosfera nei modelli di previsione consenta una più precisa valutazione degli effetti delle condizioni iniziali come le temperature superficiali del mare e i venti equatoriali stratosferici. Inoltre, la ricerca ha sottolineato l’importanza della rappresentazione della stratosfera nei modelli climatici per la previsione a lungo termine. Studi come quelli di Scaife et al. (2012), Manzini et al. (2014) e Simpson et al. (2018) hanno dimostrato che le differenze tra i modelli nella previsione dei cambiamenti stratosferici influenzano marcatamente le previsioni sulla circolazione troposferica nell’emisfero settentrionale, con conseguenze dirette sulle previsioni climatiche e idroclimatiche delle medie latitudini.La ricerca recente ha dimostrato che una rappresentazione più accurata della stratosfera nei modelli climatici e meteorologici può portare a sostanziali miglioramenti nelle previsioni stagionali per le medie latitudini dell’emisfero meridionale (Hendon et al., 2020). Tuttavia, mentre il coupling tra la stratosfera e la troposfera extratropicale è stato intensamente studiato, la dinamica del coupling in ambito tropicale ha ricevuto minore attenzione, nonostante il suo potenziale significativo per le previsioni meteorologiche e climatiche.
Un’area pionieristica in questo ambito è stata esplorata da Gray (1984), che ha stabilito una correlazione statistica tra l’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) nei venti stratosferici tropicali e la frequenza degli uragani nell’Atlantico, attirando un vasto interesse scientifico (con circa 500 citazioni dell’articolo di Gray). Tuttavia, analisi successive che hanno ampliato il set di dati disponibili (Camargo e Sobel, 2010) hanno indicato che questa connessione statistica potrebbe non essere robusta per il periodo che va dalla metà degli anni ’80 fino alla fine degli anni 2000, introducendo incertezza sulla relazione QBO-uragani. Nonostante queste incertezze, sono stati identificati o suggeriti vari altri meccanismi attraverso i quali la stratosfera potrebbe influenzare la troposfera tropicale. Tra questi, un recente studio ha evidenziato come la QBO possa modulare l’Oscillazione Madden-Julian (MJO), un fenomeno dominante nella variabilità intrastagionale della troposfera tropicale (Yoo e Son, 2016). Inoltre, l’importanza del coupling stratotroposferico è stata sottolineata anche per il clima tropicale futuro (Nowack et al., 2015) e per le risposte climatiche a interventi di geoingegneria (Simpson et al., 2019).
Le dinamiche del coupling tra stratosfera e troposfera nei tropici presentano caratteristiche uniche rispetto a quelle degli extratropici. Una delle differenze chiave risiede nei meccanismi di comunicazione dinamica tra le due regioni. Nei tropici, il parametro di Coriolis è minimo, il che impone una dinamica bilanciata con un rapporto tra scale verticali e orizzontali molto ridotto, portando a strutture dinamiche che tendono ad essere più piatte. Questo scenario favorisce una dinamica non bilanciata, particolarmente attraverso la convezione o la propagazione delle onde, come mezzo per trasmettere informazioni verticalmente.
Un altro aspetto distintivo riguarda i feedback dinamici all’interno della troposfera tropicale stessa. Diversamente dagli extratropici, dove l’interazione tra eddies baroclinici e l’ambiente a grande scala dei getti e delle onde di Rossby gioca un ruolo preminente nel coupling e nella variabilità climatica, nei tropici si osserva una dinamica di auto-organizzazione di regioni convettive su scale che variano da centinaia a decine di migliaia di chilometri. Questa dinamica interagisce con l’ambiente non convettivo attraverso processi dinamici, radiativi delle nubi e il trasporto di umidità, modulando in modo complesso la risposta troposferica agli input stratosferici.
Queste interazioni tropicali, quindi, non solo sottolineano l’unicità del coupling stratotroposferico nei tropici ma anche la necessità di ulteriori ricerche per comprendere appieno come le variazioni nella stratosfera possano influenzare la variabilità e il clima della troposfera tropicale, con implicazioni potenziali per la previsione meteorologica, la modellizzazione climatica e le strategie di mitigazione climatica.Questa rassegna mira a consolidare e sintetizzare l’attuale base di evidenze osservative e modellistiche riguardo all’influenza della stratosfera sulla troposfera tropicale, esplorando le potenziali implicazioni di tale interazione per la previsione meteorologica e climatica. Saranno delineate le questioni scientifiche ancora aperte, e verrà discusso il bisogno di ulteriori ricerche sia osservative che modellistiche per risolvere queste problematiche. La comprensione del coupling stratosfera-troposfera è un campo che si è evoluto attraverso decenni di interazione tra studi osservativi, modellistici e lo sviluppo teorico dei processi dinamici e fisici pertinenti, insieme alle loro interazioni. La suddivisione tra questi tre filoni è complessa e in parte arbitraria, ma serve a organizzare la presentazione in modo efficace.
La prima parte della rassegna fornirà un’ampia panoramica delle possibili vie e meccanismi di coupling, basandosi su teorie riguardanti la dinamica su larga scala della troposfera e della stratosfera. Seguirà una sezione dedicata alle evidenze osservative che dimostrano questo coupling, sottolineando come le variazioni nella stratosfera possano influenzare la troposfera tropicale. Successivamente, si dedicherà un capitolo dettagliato alle investigazioni modellistiche, dove verranno analizzati i meccanismi specifici con cui la stratosfera interagisce con la troposfera tropicale. Questo include l’esame di vari aspetti dinamici e fisici della troposfera tropicale, coprendo fenomeni che si manifestano su una vasta gamma di scale temporali, dal diurno al centenario. Questi studi sono raggruppati in un’unica sezione per enfatizzare che alcuni meccanismi sono rilevanti attraverso tutta questa gamma temporale.
Si procederà poi a discutere le implicazioni pratiche di tali interazioni per le previsioni meteorologiche e climatiche, evidenziando come una migliore comprensione del coupling possa portare a previsioni più accurate. La rassegna si concluderà con un riepilogo che identifica le domande scientifiche ancora irrisolte e propone strategie per affrontarle attraverso nuovi studi sia osservativi che modellistici.
Alcuni dei temi trattati in questa rassegna sono stati precedentemente discussi da Gray et al. (2018), focalizzandosi sull’effetto dell’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) sulle troposfere extratropicale e tropicale, e da Hitchman et al. (2021), che hanno rivisto lo sviluppo storico delle evidenze per i collegamenti dalla QBO alla troposfera tropicale. Inoltre, le prospettive per l’utilizzo del coupling stratosfera-troposfera per migliorare le previsioni sub-stagionali e stagionali nelle regioni subtropicali e tropicali sono state esplorate da Butler et al. (2019) e Alexander e Holt (2019). Tuttavia, l’obiettivo di questa rassegna è estendere tale discussione, fornendo un esame dettagliato delle osservazioni, dei modelli e dei meccanismi che riguardano il coupling stratosfera-troposfera nei tropici, andando oltre gli effetti della QBO per abbracciare la più ampia varietà di scale temporali possibile.
2. Vie di Comunicazione e Feedback Troposferici
La ricerca sul coupling tra stratosfera e troposfera nelle regioni extratropiche ha ricevuto un notevole impulso dalla scoperta di segnali troposferici associati sia all’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) che allo stato della circolazione stratosferica invernale extratropicale. Un aspetto cruciale di questo studio è stato l’identificazione dei riscaldamenti stratosferici improvvisi (SSW), eventi che comportano significative perturbazioni nella circolazione invernale della stratosfera extratropicale.
La vasta letteratura esistente sui meccanismi di questo coupling ha delineato diverse vie attraverso le quali questi segnali potrebbero essere trasmessi dalla stratosfera alla troposfera. Una di queste vie sembra avere origine nella stratosfera tropicale, mentre un’altra proviene dalla stratosfera extratropicale, con entrambe che influenzano la troposfera extratropicale. È utile esaminare queste vie non solo per comprendere come i segnali stratosferici raggiungono la troposfera extratropicale ma anche per esplorare i potenziali percorsi che potrebbero comunicare segnali stratosferici alla troposfera tropicale. La ricerca sottolinea l’importanza di considerare non solo i meccanismi di comunicazione diretta tra stratosfera e troposfera ma anche i feedback interni alla troposfera che modulano l’intensità della risposta troposferica ai segnali stratosferici. Questo capitolo esplorerà inizialmente le vie di comunicazione per poi analizzare i feedback troposferici.
Una rappresentazione visiva di queste interazioni è fornita dalla Figura 1, che illustra schematicamente le principali vie di comunicazione dalla stratosfera alla troposfera. Questa figura distingue tra due tipi di segnali: (a) quelli associati alla QBO o a qualsiasi altro effetto che origina nella stratosfera a basse latitudini, e (b) quelli relativi ai SSW o segnali provenienti dalla stratosfera a medie e alte latitudini. Gray et al. (2018) hanno presentato un diagramma simile, focalizzato però esclusivamente sulle vie rilevanti per il segnale QBO. È fondamentale notare che la Figura 1 riguarda esclusivamente i percorsi per la comunicazione di segnali dinamici e non deve essere confusa con i diagrammi che raffigurano le vie di trasporto di specie chimiche tra stratosfera e troposfera, come quelli descritti in studi precedenti da Holton et al. (1995) e Stohl et al. (2003).
La distinzione tra questi due tipi di vie è essenziale per comprendere appieno come le variazioni dinamiche nella stratosfera influenzino la struttura e il comportamento della troposfera, sia in termini di previsioni meteorologiche che di modellizzazione climatica. La comprensione di queste interazioni richiede non solo un’analisi approfondita delle vie di comunicazione ma anche un esame dettagliato dei feedback troposferici, che possono amplificare o attenuare gli effetti dei segnali stratosferici sul clima e sul tempo atmosferico.

La Figura 1 presenta un diagramma schematico che illustra le complesse vie di coupling tra stratosfera e troposfera, delineando due fenomeni distinti: l’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) che origina nella stratosfera tropicale e i Riscaldamenti Stratosferici Improvvisi (SSW) che hanno origine nella stratosfera extratropicale. In questa rappresentazione, il giallo indica la troposfera tropicale, mentre il verde rappresenta la troposfera extratropicale. Le linee blu orizzontali segnano la tropopausa, che si trova ad un’altitudine maggiore (circa 15 km) nei tropici e inferiore (circa 10 km) negli extratropici, evidenziando la variazione altitudinale tra queste due regioni atmosferiche.
Il simbolo ‘J’ è utilizzato per indicare i getti atmosferici, che possono essere di tipo stratosferico, subtropicale o a media latitudine, giocando un ruolo chiave nella dinamica dell’atmosfera. La figura illustra tre principali vie di comunicazione dalla stratosfera alla troposfera:
1. Dalla stratosfera extratropicale al getto troposferico a media latitudine (1): Questo percorso, ben accettato nella comunità scientifica, mostra come le perturbazioni nella circolazione stratosferica extratropicale possano influenzare direttamente il comportamento del getto a media latitudine nella troposfera. Questo è un esempio di coupling diretto e ben documentato.
2. Dalla stratosfera inferiore tropicale al getto subtropicale (2): Questa via suggerisce che le variazioni nella stratosfera tropicale inferiore possono avere un effetto sul getto subtropicale. L’esistenza di questo percorso (2A) è stata dimostrata anche per l’effetto della QBO sulla troposfera extratropicale, indicando una comunicazione dinamica tra regioni climatiche diverse.
3. Dalla stratosfera inferiore tropicale direttamente alla troposfera superiore tropicale (3): Questo percorso propone che ci sia una comunicazione diretta dalla stratosfera ai livelli superiori della troposfera tropicale, bypassando intermediari come i getti.
Oltre a queste vie di comunicazione diretta, la figura esplora anche i feedback interni alla troposfera:
– A: Attraverso dinamiche extratropicali, dove le variazioni nella troposfera extratropicale possono essere modificate o amplificate da processi endogeni alla troposfera stessa. Questo feedback può influenzare significativamente la risposta troposferica ai segnali stratosferici.
– B: Via dinamiche tropicali, suggerendo che i meccanismi interni alla troposfera tropicale possono rispondere o ulteriormente modulare i segnali provenienti dalla stratosfera. Le vie 3B e 2B sono state ipotizzate ma la loro importanza e i meccanismi precisi coinvolti sono ancora oggetto di ricerca, con incertezze sia nelle osservazioni atmosferiche reali che nelle simulazioni modellistiche.
È importante notare che la figura non esaurisce tutte le possibili vie di comunicazione, indicando che altre interazioni interne alla troposfera potrebbero avere un ruolo significativo nel comportamento climatico complessivo. Per una discussione più approfondita, si rimanda alla Sezione 6 della rassegna.

La Figura 2 rappresenta un diagramma schematico che esplora la complessa interazione tra i venti dell’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) e le variazioni associate in termini di temperatura e circolazione meridionale, prendendo spunto da un simile schema di Plumb e Bell (1982). In questo contesto, la QBO è illustrata in una fase specifica, con venti orientali (easterlies) nella stratosfera inferiore e venti occidentali (westerlies) nella stratosfera superiore. Una linea grigia a circa 17 km indica la tropopausa tropicale, segnando il confine tra troposfera e stratosfera.
La variazione della temperatura è governata dall’integrazione latitudinale dell’equazione del vento termico, data la natura equatoriale del segnale del vento della QBO. Nella fase illustrata, si osservano temperature fredde nella parte più bassa della stratosfera e temperature calde nella stratosfera media. Nella fase opposta della QBO, queste anomalie di temperatura e vento si invertono completamente. Specificamente, nella fase rappresentata, l’anomalia di temperatura alla tropopausa tropicale è di circa -0.5 K, incrementando fino a circa -2 K sopra i 20 km, come dettagliato nella Figura 3. A circa 22 km, l’anomalia è minima e poi diventa positiva, arrivando a circa 3 K a 25 km.
Le anomalie dei venti nella stratosfera inferiore sono tipicamente di -20 m/s nella fase mostrata, mentre nella fase opposta sono di circa 10 m/s. Considerando la lunga scala temporale della QBO, queste anomalie di temperatura devono essere mantenute contro il rilassamento radiativo attraverso gli effetti dinamici di riscaldamento e raffreddamento associati alla circolazione meridionale. Questa circolazione implica anomalie di velocità verticale con segno opposto, che a loro volta generano anomalie di temperatura opposte lontane dall’equatore.
L’atmosfera reale presenta ulteriori complessità, con forze aggiuntive derivanti dalla dissipazione di onde su scala planetaria e sinottica nei subtropici, che sono modulate dalla QBO stessa. Questa modulazione estende l’influenza della QBO sulla circolazione meridionale ben oltre quanto suggerito dal diagramma schematico, raggiungendo latitudini più polari. Inoltre, la variazione stagionale di queste onde introduce una componente fortemente variabile stagionalmente nel segnale della QBO sulla circolazione meridionale.
In conclusione, la Figura 2 serve come una rappresentazione visiva della dinamica complessa e altamente organizzata indotta dalla QBO, che non solo influenza i venti ma anche la distribuzione della temperatura e la struttura della circolazione atmosferica su larga scala, con ripercussioni significative per la comprensione della dinamica globale dell’atmosfera.
2.1 Il Quasi-Biennial Oscillation (QBO) come Meccanismo di Variabilità nella Stratosfera a Bassa Latitudine
La Quasi-Biennial Oscillation (QBO) rappresenta uno dei fenomeni più affascinanti e studiati quando si tratta di comprendere la dinamica atmosferica della stratosfera tropicale e il suo impatto potenziale sulla troposfera circostante. Questa oscillazione, caratterizzata da un ciclo di circa 28 mesi, modula sia i venti che le temperature nel segmento stratosferico che si estende tra 16 e 50 km di altitudine, influenzando in modo significativo la circolazione atmosferica globale.
Caratteristiche Dinamiche del QBO
Il QBO è principalmente un fenomeno confinato alle regioni equatoriali; tuttavia, le sue ripercussioni si estendono ben oltre, influenzando sia la stratosfera che la troposfera extratropicale. Le dinamiche del QBO sono state esplorate in dettaglio da diverse pubblicazioni semestrali, tra cui un’importante rassegna di Baldwin et al. (2001), che sottolinea come questo ciclo oscillatorio sia governato da una complessa interazione tra onde di gravità, onde planetarie e il flusso zonal-mean di momentum.
La natura quasi-periodica del QBO è dovuta alla propagazione verso l’alto di onde di gravità equatoriali che, interagendo con il flusso di zonal-mean, generano alternanza tra venti orientali (easterly) e occidentali (westerly). Questo meccanismo è ben illustrato in modelli teorici come quello proposto da Plumb e Bell nel 1982, che spiegano come l’equilibrio del vento termico richieda variazioni latitudinali e verticali di temperatura per bilanciare le forze in gioco.
Influenza Termica del QBO
La struttura termica associata al QBO è cruciale per comprendere il suo impatto sulla troposfera. La forza di Coriolis, sebbene nulla esattamente all’equatore, diventa significativa allontanandosi da esso, portando a variazioni latitudinali nella temperatura stratosferica. Queste variazioni sono più pronunciate tra 15°S e 15°N, dove il QBO induce variazioni di temperatura che possono raggiungere 1 K di differenza picco-picco alla tropopausa tropicale (Huesman e Hitchman, 2001; Zhou et al., 2001). In regioni e stagioni specifiche, queste variazioni possono essere ancora più significative, superando i 5 K a quote superiori ai 20 km (Randel e Wu, 2015).
Effetti sulla Troposfera
L’influenza del QBO sulla troposfera non si limita solo a variazioni di temperatura ma si estende anche a modifiche nella circolazione atmosferica, come variazioni nei modelli di precipitazione, nelle formazioni ciclonico-antciclonico e perfino nelle intensità cicliche degli uragani. L’interazione tra QBO e altri fenomeni climatici come El Niño-Southern Oscillation (ENSO) aggiunge un ulteriore strato di complessità e variabilità alla meteorologia globale.
Osservazioni e Modellazione
L’osservazione diretta di questi fenomeni è stata notevolmente migliorata grazie a satelliti e radiosondaggi, che hanno permesso di raccogliere dati accurati sulla velocità del vento e sulle temperature stratosferiche. Tuttavia, la modellazione del QBO rimane una sfida, data la necessità di risoluzione spaziale e temporale elevata per catturare le dinamiche delle onde a piccola scala che guidano il ciclo. Modelli climatici globali (GCM) hanno fatto progressi significativi, ma la rappresentazione accurata del QBO richiede ancora miglioramenti, specialmente in termini di parametrizzazione delle onde di gravità e della loro interazione con le correnti zonali.
Conclusione
In sintesi, il QBO non solo fornisce un’illustrazione affascinante delle complesse dinamiche atmosferiche ma anche un campo critico per studiare l’interazione tra stratosfera e troposfera. La sua comprensione è fondamentale per previsioni meteorologiche a lungo termine e per la modellazione climatica, offrendo una finestra sul funzionamento intrinseco del sistema climatico terrestre.

Figura 3. Analisi della Variabilità dei Venti e delle Temperature nella Stratosfera Tropicale
Pannello Superiore:
I dati visualizzati in questo pannello derivano dal Free University of Berlin (FUB), disponibili online all’indirizzo https://www.geo.fu-berlin.de/en/met/ag/strat/produkte/qbo/index.html. Qui, si osservano le variazioni dei venti nella parte inferiore della stratosfera. Le aree ombreggiate rappresentano i venti occidentali (verso est), mentre le zone non ombreggiate indicano venti orientali (verso ovest). La Quasi-Biennial Oscillation (QBO) è caratterizzata da un’alternanza quasi-periodica tra venti orientali e occidentali, con un ciclo medio di circa 28 mesi. Questa dinamica è chiaramente visibile nel grafico sotto forma di bande alternate di colore, che rappresentano l’oscillazione caratteristica dei venti stratosferici.
Pannello Inferiore:
Questo pannello è adattato da una ricerca di Randel e Wu del 2015, pubblicata con il permesso dell’American Meteorological Society. Esso presenta le variazioni de-stagionalizzate delle temperature a diversi livelli altitudinali nella regione tropicale, analizzate nel periodo dal 2001 al 2013. Le temperature sono state calcolate utilizzando dati di occultazione radio GPS, offrendo un quadro preciso delle condizioni termiche della stratosfera.
Analisi Dettagliata:
- A 20 km e sopra: C’è una corrispondenza evidente tra la variabilità dei venti QBO e le variazioni interannuali della temperatura. Quando i venti sono occidentali, si osserva un aumento delle temperature, mentre con venti orientali si registra una diminuzione. Questo pattern riflette l’influenza diretta della QBO sulla struttura termica della stratosfera.
- A 18 km: La correlazione tra i venti QBO e le variazioni di temperatura diventa meno chiara. Sebbene si notino significative variazioni interannuali delle temperature, queste non seguono strettamente il modello dei venti QBO, suggerendo che a questa altitudine altre dinamiche atmosferiche potrebbero avere un impatto più rilevante.
- A 16 km e sotto (non mostrato): Le variazioni interannuali delle temperature sono relativamente deboli, indicando una minore influenza diretta della QBO. Questo declino dell’effetto QBO può essere attribuito all’aumento dell’influenza delle dinamiche troposferiche a queste altitudini inferiori.
Osservazioni Aggiuntive:
- Estrazione del Segnale QBO: Studi come quello di Randel e Wu (2015) hanno cercato di isolare il segnale QBO dalle variazioni di temperatura, utilizzando varie tecniche come il confronto diretto con i venti a specifici livelli di pressione (ad esempio, 50 hPa o 70 hPa) o approcci basati sui componenti principali per considerare le variazioni del vento a tutti i livelli.
- Irregolarità del Segnale: La natura irregolare del segnale dei venti QBO nella parte inferiore della stratosfera può portare a una sottostima della relazione tra vento e temperatura con alcune metodologie di analisi. Questo è evidenziato dalla figura, dove l’irregolarità nel cambiamento dei venti potrebbe non riflettere perfettamente le variazioni termiche attese.
In sintesi, la Figura 3 fornisce una visione dettagliata di come la QBO modula non solo i venti ma anche le temperature nella stratosfera, con l’influenza che varia in funzione dell’altitudine e del tempo, mostrando complessità e interazioni dinamiche che richiedono ulteriori studi per essere completamente comprese.
2.2 Percorsi di Interazione Stratosfera-Troposfera
La comprensione delle interazioni tra stratosfera e troposfera è fondamentale per esplorare i complessi meccanismi climatici che governano il nostro pianeta. La Figura 1 illustra tre distinti percorsi attraverso i quali tali interazioni possono manifestarsi, ciascuno con dinamiche e implicazioni uniche.
Il Percorso Extratropicale
Descrizione del Percorso: Il primo percorso, denominato Percorso Extratropicale, si estende verticalmente dalla stratosfera extratropicale alla troposfera extratropicale. Questo percorso è ampiamente riconosciuto come il canale principale per il coupling extratropicale tra le due regioni atmosferiche (Kidston et al., 2015). Le dinamiche coinvolte includono:
- Non-località Verticale: Come illustrato da Charlton et al. (2005), l’inversione del potenziale vorticoso (PV) implica che le variazioni nella stratosfera possono influenzare immediatamente la troposfera, senza che ci sia una propagazione diretta locale. Questo è un concetto cruciale per comprendere come i cambiamenti stratosferici possano influenzare rapidamente la troposfera.
- Radiative Influences: Il trasferimento radiativo, agendo sulle temperature, modifica ulteriormente queste dinamiche, approfondendo o ampliando le strutture dinamiche osservate (Haynes et al., 1991; Song e Robinson, 2004). Questo effetto radiativo contribuisce alla comunicazione tra le due regioni tramite variazioni termiche.
- Propagazione delle Onde: Una componente essenziale di questo percorso è la propagazione verso il basso dell’informazione tramite onde a grande scala. Anche se il flusso di energia delle onde è generalmente verso l’alto, come indicato da diverse ricerche (Perlwitz e Harnik, 2004; Song e Robinson, 2004; Scott e Polvani, 2004; Martineau e Son, 2015; Hitchcock e Simpson, 2016; Hitchcock e Haynes, 2016), queste onde possono comunque trasmettere segnali stratosferici alla troposfera.
Rilevanza: Questo percorso è vitale per la comunicazione degli eventi di riscaldamento stratosferico improvviso (SSW) e altre dinamiche stratosferiche verso la troposfera. È anche rilevante per come la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) tropicale può influenzare la circolazione nella stratosfera extratropicale, con studi che confermano questa interazione (Yamashita et al., 2011; Garfinkel et al., 2012; Anstey e Shepherd, 2014).
Il percorso extratropicale ha implicazioni anche per il coupling dalla stratosfera alla troposfera tropicale, se si considera che le modifiche nella troposfera extratropicale possono essere comunicate ulteriormente ai tropici. Kuroda (2008) ha esplorato tale possibilità, notando correlazioni tra SSW e la troposfera tropicale, suggerendo che un vortice polare debole o intensificato può avere effetti a larga scala.
Il Percorso Subtropicale
Descrizione del Percorso: Il secondo percorso, il Percorso Subtropicale, collega la stratosfera tropicale inferiore alla troposfera attraverso il getto subtropicale. Garfinkel e Hartmann (2011) hanno proposto che questo percorso potrebbe servire come un meccanismo per la QBO per influenzare la troposfera extratropicale. La discussione di questo percorso è stata ulteriormente sviluppata da Inoue et al. (2011) e Inoue e Takahashi (2013).
- Circolazione Meridionale della QBO: Garfinkel e Hartmann (2011) hanno descritto come la circolazione meridionale associata alla QBO potrebbe estendere il suo influsso ai subtropici. Tuttavia, questa spiegazione richiede una visione più complessa rispetto alla semplice dinamica zonale simmetrica descritta da Plumb e Bell (1982).
- Interazione con Eddies: La limitata capacità della circolazione meridionale QBO di raggiungere i subtropici (Plumb, 1982) suggerisce che il meccanismo reale potrebbe coinvolgere una risposta accoppiata tra il flusso medio e le perturbazioni a scala sinottica e planetaria, che originano negli extratropici ma si dissipano nei subtropici (Inoue et al., 2011; Inoue e Takahashi, 2013).
Implicazioni: Questo percorso sottolinea la complessità delle interazioni atmosferiche, dove le variazioni nella stratosfera tropicale possono influenzare significativamente la circolazione e le condizioni meteorologiche nella troposfera extratropicale attraverso meccanismi che vanno oltre la semplice propagazione zonale.
La comprensione delle interazioni tra stratosfera e troposfera è cruciale per decifrare i complessi meccanismi climatici globali. In particolare, i cambiamenti nella troposfera subtropicale, con un’enfasi sul getto subtropicale, possono avere ripercussioni significative sulle latitudini più basse. Questi effetti potrebbero manifestarsi attraverso modificazioni nella forza e nella frequenza delle intrusioni di Potenziale Vorticoso (PV) nella troposfera superiore subtropicale, che a loro volta influenzano la convezione tropicale (vedere la Sezione 3.2 per un’analisi dettagliata). Questo fenomeno, noto come Percorso Subtropicale, potrebbe anche avere un ruolo nella risposta troposferica tropicale agli eventi di riscaldamento stratosferico improvviso (SSW), presupponendo che la risposta della circolazione meridionale associata agli SSW trasmetta inizialmente gli effetti alla stratosfera inferiore subtropicale.
Il Percorso Tropicale, d’altro canto, implica una comunicazione diretta dalla stratosfera tropicale inferiore alla troposfera tropicale. Questa interazione necessita di un meccanismo per trasferire variazioni di temperatura o vento dalla stratosfera alla troposfera. Tuttavia, la dinamica verticale associata all’inversione del PV e alle sue modifiche radiative è limitata a piccole scale verticali nei tropici a causa della ridotta magnitudine del parametro di Coriolis in queste regioni. Ciò implica che, per permettere agli effetti stratosferici di penetrare significativamente nella troposfera, è essenziale identificare ulteriori meccanismi di comunicazione verticale.
Una delle prime ipotesi su tali meccanismi suggeriva che la convezione profonda, dove masse d’aria si muovono rapidamente dalla superficie alla tropopausa, potrebbe essere alterata dai cambiamenti nelle condizioni locali vicino alla tropopausa, come variazioni di temperatura, stratificazione e vento. Gray et al. (1992a) hanno proposto che la convezione fosse particolarmente sensibile al taglio del vento verticale al livello della tropopausa, con un forte taglio che tende a inibire la convezione. Di conseguenza, l’influenza della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) sulla convezione sarebbe modulata dalla distribuzione geografica del taglio del vento, dato che la QBO potrebbe intensificare o ridurre questo taglio in diverse località, a seconda della sua fase.
Successivamente, Gray et al. (1992b) hanno ampliato questa idea, suggerendo che la convezione profonda potrebbe essere influenzata anche dal cambiamento nella stabilità statica intorno alla tropopausa tropicale, che è legata agli effetti della QBO sulle temperature nella parte più bassa della stratosfera tropicale. Durante la fase occidentale della QBO (QBOW), la stratosfera tropicale inferiore è più calda, mentre durante la fase orientale (QBOE), è più fredda. Una ridotta stabilità statica associata alla QBOE permetterebbe alla convezione di penetrare più in alto rispetto a quanto avviene durante la QBOW.
Un terzo meccanismo proposto da Collimore et al. (2003) riguarda le variazioni di vorticità a grande scala nell’alta troposfera, anch’esse correlate con la QBO. Questi cambiamenti influenzano la convezione profonda attraverso l’effetto della vorticità assoluta sul deflusso convettivo. In particolare, durante la QBOE, una vorticità assoluta più anticiclonica potrebbe portare a una convezione più vigorosa rispetto alla QBOW.
Questi percorsi e meccanismi illustrano la complessità delle interazioni atmosferiche, dimostrando come variazioni minime in una regione possano avere impatti significativi su altre, contribuendo alla variabilità climatica e meteorologica su scala globale.
La comprensione delle dinamiche di interazione tra stratosfera e troposfera ha portato alla luce una serie di meccanismi proposti per spiegare l’influenza discendente dalla tropopausa e dalla stratosfera inferiore verso la troposfera tropicale, dove l’attività convettiva è prevalente. Questi meccanismi sono stati oggetto di numerosi studi che esplorano le connessioni della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) con la troposfera tropicale, come evidenziato da ricerche di Collimore et al. (1998, 2003), Giorgetta et al. (1999), Liess e Geller (2012), e Huang et al. (2012). Tuttavia, nonostante l’ampia discussione, nessuno di questi meccanismi è stato ancora supportato da un modello fisico concreto che permetta di stimare quantitativamente la loro sensibilità.
Tra i meccanismi più discussi, il primo riguarda l’impatto delle condizioni alla tropopausa, come variazioni di temperatura, stratificazione e vento, sulla convezione profonda. Si ipotizza che queste condizioni possano influenzare in modo significativo la penetrazione della convezione nella troposfera, con studi che suggeriscono che l’effetto della QBO è particolarmente pronunciato dove la convezione raggiunge altitudini maggiori (Collimore et al., 2003). Tuttavia, questa teoria non riesce a spiegare completamente la variabilità geografica osservata nel segnale troposferico della QBO, indicando che potrebbero essere in gioco altri fattori o meccanismi non ancora completamente compresi.
Una recente svolta in questa ricerca è stata fornita da studi di modellazione che consentono la rappresentazione dettagliata della convezione, dimostrando una risposta della convezione profonda tropicale a variazioni di temperatura simili a quelle della QBO a livello della tropopausa (Nie e Sobel, 2015; Yuan, 2015). Questi studi rappresentano un progresso significativo nella comprensione dell’interazione tra QBO e convezione troposferica, e saranno analizzati in dettaglio nella Sezione 4.
Un altro meccanismo potenziale per la comunicazione verticale è quello della propagazione delle onde. Analogamente a quanto avviene negli extratropici con le onde di Rossby, che sono cruciali per il Percorso Extratropicale, si ritiene che anche nella troposfera tropicale le onde possano giocare un ruolo significativo. Questo concetto è stato esplorato tramite studi di modellazione idealizzati che simulano come la propagazione delle onde possa trasferire segnali dalla stratosfera alla troposfera. Tra questi, gli studi di Nishimoto et al. (2016) e Bui et al. (2017, 2019) offrono un’interessante prospettiva su come queste dinamiche potrebbero funzionare, e anche questi saranno approfonditi nella Sezione 4.
In conclusione, mentre i meccanismi di interazione tra QBO e troposfera tropicale sono stati ampiamente discussi, la mancanza di modelli fisici concreti e quantitativi limita la nostra capacità di prevedere e comprendere pienamente questi fenomeni. La ricerca recente in modellazione convettiva e propagazione delle onde offre nuove piste investigative, ma resta molto da esplorare per sviluppare modelli climatici più accurati e comprensivi.
La distinzione tra il Percorso Subtropicale e il Percorso Tropicale nell’ambito delle interazioni stratosfera-troposfera può essere soggetta a dibattito, specialmente considerando che le variazioni nel getto subtropicale sono strettamente interconnesse con quelle nella troposfera superiore tropicale. Tuttavia, questa distinzione può essere giustificata sulla base delle specifiche dinamiche fisiche che caratterizzano ciascun percorso. Il Percorso Subtropicale è principalmente governato dalle dinamiche del potenziale vorticoso (PV) ‘bilanciate’ associate al getto subtropicale, mentre il Percorso Tropicale è caratterizzato da un impatto diretto, ad esempio, attraverso meccanismi che influenzano direttamente la dinamica e la termodinamica dei sistemi convettivi tropicali.
In termini pratici, identificare l’influenza specifica di un effetto stratosferico sulla troposfera tropicale, sia attraverso studi osservativi che simulazioni modellistiche, richiede spesso di considerare una combinazione di questi percorsi. La complessità del sistema atmosferico rende difficile isolare un singolo percorso come dominante. Ad esempio, una risposta troposferica tropicale alla Quasi-Biennial Oscillation (QBO) o agli eventi di riscaldamento stratosferico improvviso (SSW) potrebbe teoricamente manifestarsi attraverso uno qualsiasi dei tre percorsi: Extratropicale, Subtropicale o Tropicale.
Gray et al. (2018) hanno affrontato questa complessità in uno studio di regressione multipla che esamina gli effetti della QBO sulla troposfera extratropicale. Hanno introdotto una variabile di regressione aggiuntiva per rappresentare la variazione del vortice polare, cercando di discernere se l’influenza della QBO sui venti troposferici subtropicali e tropicali fosse mediata attraverso variazioni del vortice polare (via il Percorso Extratropicale) o se fosse un fenomeno più diretto. I risultati hanno indicato che, anche dopo aver considerato la variazione del vortice polare, i segnali della QBO nei venti troposferici subtropicali e tropicali persistevano. Questo suggerisce che i Percorsi Subtropicali o Tropicali sono probabilmente i principali responsabili di questi segnali, evidenziando che la QBO influisce direttamente sulla troposfera tropicale senza dipendere esclusivamente dalla trasmissione attraverso il vortice polare e l’Extratropical Pathway.
Questa analisi dimostra la necessità di un approccio multidimensionale per comprendere le interazioni atmosferiche. Le variazioni locali nel getto subtropicale e gli impatti diretti sulla convezione tropicale devono essere considerati in congiunzione per ottenere una visione olistica delle influenze stratosferiche sulla troposfera. La ricerca continua in questo campo è essenziale per raffinare i modelli climatici e migliorare le previsioni meteorologiche e climatiche a lungo termine, considerando le complesse interazioni tra i vari percorsi di comunicazione stratosfera-troposfera.
2.3 Feedback Troposferici
La distinzione tra la comunicazione dalla stratosfera alla troposfera e i feedback interni alla troposfera è un argomento centrale per comprendere le dinamiche atmosferiche globali. Tale separazione diventa particolarmente rilevante quando si analizzano le interazioni nelle regioni extratropicali, come illustrato dal punto A della Figura 1. Un’ampia mole di ricerche ha evidenziato che un meccanismo di feedback cruciale che plasma e potenzialmente amplifica le risposte troposferiche ai cambiamenti stratosferici è l’interazione bidirezionale tra il flusso atmosferico a grande scala e le perturbazioni a scala sinottica, ossia i sistemi meteorologici (Hartmann et al., 2000; Polvani e Kushner, 2002; Kushner e Polvani, 2004; Song e Robinson, 2004; Chen e Plumb, 2009; Simpson et al., 2009; Hitchcock e Simpson, 2014, 2016). Questo dialogo reciproco non solo modella la risposta della troposfera a variazioni stratosferiche ma è anche fondamentale per comprendere la variabilità interna a bassa frequenza come l’Oscillazione dell’Atlantico del Nord o la Moda Annulare Settentrionale (o Meridionale) nella troposfera extratropicale.
La natura bidirezionale di questa interazione è di importanza critica. Studi come quelli di Wittman et al. (2007), che si sono concentrati esclusivamente sull’effetto delle variazioni del flusso medio sugli eddies attraverso esperimenti sul ciclo baroclino, hanno fornito contributi utili alla comprensione generale, ma hanno trascurato una parte essenziale del feedback dinamico (Hitchcock e Simpson, 2016). La comprensione completa di questa interazione rimane un obiettivo elusivo della scienza atmosferica, sia in termini di ruolo nella variabilità naturale che nella risposta forzata ai cambiamenti esterni, come l’aumento dei gas serra (Lu et al., 2008). Nonostante queste sfide, l’importanza di questa dinamica è ora ampiamente riconosciuta e sfruttata in ambiti come le previsioni meteorologiche stagionali, dove si osserva che una parte significativa del segnale del coupling stratosfera-troposfera extratropicale si manifesta attraverso modifiche nel flusso troposferico che rispecchiano la struttura spaziale della Moda Annulare Settentrionale o Meridionale.
Nei tropici, i meccanismi di feedback all’interno della troposfera che potrebbero influenzare e amplificare le risposte ai cambiamenti stratosferici sono presumibilmente distinti da quelli extratropicali. Tuttavia, questi meccanismi sono altrettanto rilevanti per la comprensione della variabilità a bassa frequenza tropicale (Jiang et al., 2015) e delle risposte al cambiamento climatico indotto dai gas serra (Voigt e Shaw, 2015). Mentre il Percorso Tropicale suggerisce che i sistemi convettivi sono centrali in questi processi, solo di recente si è iniziato a esplorare in dettaglio la fattibilità e l’importanza di tali meccanismi. Questa esplorazione include studi su come la convezione tropicale possa rispondere ai cambiamenti nella stratosfera, evidenziando la necessità di ulteriori ricerche per chiarire completamente i complessi feedback troposferici che operano nei tropici.
In sintesi, sia negli extratropici che nei tropici, i feedback troposferici sono essenziali per comprendere come le variazioni stratosferiche influenzano le condizioni meteorologiche e climatiche sulla superficie terrestre. La ricerca in questi ambiti non solo arricchisce la nostra comprensione del sistema climatico ma è anche cruciale per migliorare le previsioni climatiche e le strategie di adattamento ai cambiamenti climatici.
3. Studi Osservativi e Analisi dei Dati
3.1 Influenza della QBO sulla Troposfera Tropicale
La Quasi-Biennial Oscillation (QBO) nei venti stratosferici tropicali rappresenta un fenomeno ciclico ben documentato che esercita effetti significativi sulla circolazione atmosferica, non solo nella stratosfera tropicale ma anche in quella extratropicale (Holton e Tan, 1980; Dunkerton e Baldwin, 1991; Naito e Hirota, 1997; Anstey e Shepherd, 2014). La caratteristica distintiva della QBO è l’alternanza quasi-periodica tra venti orientali (easterly) e occidentali (westerly) con un ciclo di circa 28 mesi, che si manifesta principalmente nella stratosfera tropicale ma si estende influenzando le dinamiche stratosferiche extratropicali.
Per quantificare questi effetti, gli scienziati utilizzano una varietà di metodi osservativi e di modellazione. Un approccio comune consiste nel calcolare medie temporali, sia su base mensile che annuale, della circolazione atmosferica e successivamente formare compositi basati sul segno dei venti QBO a un livello di riferimento specifico. La differenza tra questi compositi – uno per i venti orientali (QBOE) e uno per i venti occidentali (QBOW) – rivela l’impatto della QBO sulla circolazione. Tuttavia, una complicazione significativa in questa metodologia è la propagazione discendente della fase del segnale dei venti QBO, come illustrato nelle Figure 2 e 3. Ad esempio, quando i venti a 70 hPa (circa 18 km di altitudine) sono westerly, a 10 hPa (circa 30 km) tendono ad essere easterly. Di conseguenza, la scelta del livello di riferimento per definire i compositi QBOE e QBOW influenza notevolmente il segnale QBO osservato nella troposfera.
Questa variabilità nella selezione del livello di riferimento ha reso i risultati di diversi studi difficilmente comparabili, soprattutto quando si tratta di analizzare l’influenza della QBO sulla troposfera tropicale. Aggiunge ulteriori complicazioni il fatto che l’effetto fisico primario della QBO sulla troposfera potrebbe essere mediato attraverso il segnale di temperatura nella stratosfera inferiore (vedi Sezione 2.1). Diversi studi hanno adottato differenti misure dei venti QBO per rappresentare indirettamente questo segnale termico, aggiungendo un altro strato di incertezza alle analisi.
Negli ultimi sviluppi (ad esempio, Gray et al., 2018), si è iniziato a preferire un approccio più sofisticato per quantificare lo stato della QBO, utilizzando i coefficienti dei due componenti principali dominanti che descrivono le variazioni temporali e altitudinali dei venti equatoriali (Wallace et al., 1993). Questo metodo permette una rappresentazione più integrata e dinamica della QBO, considerando sia il ciclo temporale che la struttura verticale dei venti, fornendo così una base più solida per studiare le sue influenze sulla troposfera tropicale.
In conclusione, mentre la QBO mostra chiaramente effetti sulla circolazione stratosferica, la complessità delle sue interazioni con la troposfera richiede un’analisi metodologica accurata e una scelta attenta dei parametri di riferimento per svelare appieno la natura e l’entità di questi effetti. Continua a essere un campo di ricerca attivo, con gli scienziati che si sforzano di migliorare sia i metodi di osservazione che i modelli per comprendere meglio queste dinamiche atmosferiche.
La presenza di un segnale della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) nella troposfera tropicale, come definito dai venti stratosferici, è interpretata in questo contesto come una chiara indicazione di un coupling tra la stratosfera e la troposfera tropicale. Tale interpretazione trova fondamento nel fatto che, secondo la teoria dinamica di base e gli studi di modellazione, non vi è necessità che la QBO stratosferica sia accompagnata da variazioni organizzate su una scala temporale simile nella troposfera. Il meccanismo cardine della QBO, come illustrato da modelli semplici quali quello di Plumb (1977), implica che il flusso stratosferico a qualsiasi livello specifico vari in funzione dell’integrale temporale della forza generata dalla dissipazione delle onde. Questa forza varia temporalmente a causa dell’influenza che il flusso ai livelli inferiori esercita sulla propagazione e dissipazione delle onde.
Nonostante ciò, sono state avanzate ipotesi che suggeriscono una modulazione della QBO da parte delle variazioni climatiche della troposfera, come quelle associate all’El Niño/La Niña (Taguchi, 2010). Studi modellistici hanno dimostrato questa modulazione, mostrando come la dinamica troposferica possa influenzare la QBO (ad esempio, Kawatani et al., 2019). Pertanto, mentre è ragionevole considerare il segnale QBO nella troposfera tropicale come una prova primaria dell’influenza stratosferica, la complessità delle interazioni climatiche richiede un’analisi attenta per interpretare i dettagli di tali segnali.
Questa prospettiva evidenzia l’importanza di considerare le interazioni atmosferiche come un sistema complesso, dove le influenze possono essere bidirezionali. Sebbene la QBO sia esemplificata principalmente come un fenomeno stratosferico che impone variazioni alla circolazione extratropicale e potenzialmente alla troposfera, le influenze troposferiche possono a loro volta modulare la QBO. Tale interazione richiede una comprensione approfondita delle dinamiche climatiche, dove l’influenza della QBO sulla troposfera tropicale non è solo un effetto diretto ma parte di un sistema di feedback e modulazione reciproca tra le diverse regioni e livelli dell’atmosfera.
In sintesi, l’osservazione di un segnale QBO nella troposfera tropicale non solo rafforza la teoria del coupling stratosfera-troposfera ma apre la strada a ulteriori ricerche per comprendere come variazioni climatiche come El Niño/La Niña possano interagire con questa oscillazione, influenzando potenzialmente il clima globale su una varietà di scale temporali e spaziali.
Medie annuali e stagionali del segnale QBO nella troposfera e stratosfera tropicale
Negli ultimi tre decenni, numerosi studi scientifici hanno esplorato la possibilità che l’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO, dall’inglese Quasi-Biennial Oscillation), un fenomeno atmosferico caratterizzato da un’alternanza regolare dei venti zonali nella stratosfera equatoriale, possa manifestare un segnale distinguibile nelle medie stagionali e annuali della circolazione atmosferica nella troposfera tropicale. Questo corpus di ricerche, sviluppatosi progressivamente nel tempo, ha visto un incremento della fiducia nella validità di tali segnali grazie a due fattori principali: da un lato, l’estensione temporale del record osservativo del QBO, che consente analisi statistiche più robuste; dall’altro, il miglioramento della copertura dei dati meteorologici e climatici nell’intera fascia tropicale, reso possibile da avanzamenti nelle tecnologie di osservazione, come i radiosondaggi, i satelliti e i modelli numerici di previsione. Tuttavia, è opportuno sottolineare che l’interpretazione di questi segnali non è priva di complessità. Per alcune variabili atmosferiche, come la temperatura o la dinamica dei venti, è necessario esercitare particolare cautela nella rimozione del segnale associato all’ENSO (El Niño-Southern Oscillation), un fenomeno climatico di grande portata che può sovrastare o confondere le variazioni più sottili legate al QBO. Questo aspetto metodologico sarà approfondito più avanti nel testo.
Una revisione esaustiva della storia di queste indagini, accompagnata da nuovi risultati osservativi, è stata recentemente pubblicata in un articolo complementare a questa trattazione, curato da Hitchman et al. (2021). Tale lavoro rappresenta una risorsa fondamentale per chi desideri approfondire i dettagli storici e le evidenze empiriche relative al QBO e ai suoi effetti sulla troposfera tropicale; si rimanda pertanto il lettore a quella pubblicazione per una trattazione più estesa. In questo contesto, è utile richiamare alcune evidenze consolidate discusse nella Sezione 2.1 del presente lavoro. Tra queste spicca l’esistenza di un segnale termico ben definito associato alle fasi del QBO, noto come differenza QBOE-QBOW (dove QBOE indica la fase orientale dei venti e QBOW quella occidentale). Questo segnale si manifesta chiaramente nelle temperature atmosferiche e si estende dalla stratosfera inferiore fino al livello della tropopausa, la regione di transizione tra troposfera e stratosfera situata tipicamente tra i 16 e i 18 km di altitudine nelle regioni tropicali. In corrispondenza del gradiente verticale dei venti zonali caratteristico del QBO, si osserva che le temperature durante la fase QBOE risultano sistematicamente più fredde rispetto a quelle registrate nella fase QBOW, un fenomeno che trova spiegazione nei processi adiabatici associati alla dinamica stratosferica.
All’interno della stratosfera, il segnale termico del QBO è generalmente considerato uniforme in senso longitudinale, almeno a un livello di approssimazione primario. Ciò implica che, a grandi scale, le variazioni di temperatura indotte dal QBO non mostrano una dipendenza significativa dalla longitudine, riflettendo la natura zonale e simmetrica del fenomeno. Tuttavia, questa uniformità tende a dissolversi man mano che ci si avvicina alla tropopausa. Qui, la dinamica atmosferica diventa più complessa e il segnale del QBO inizia a esibire variazioni longitudinali più pronunciate, modulate da fattori locali e regionali. Tra questi, un ruolo chiave è svolto dalle variazioni nella convezione tropicale, come evidenziato dagli studi di Collimore et al. (2003). La convezione, responsabile del trasporto verticale di calore e umidità, è particolarmente intensa in alcune aree geografiche, come il Sud America, l’Africa centrale e l’arcipelago indonesiano, e queste regioni mostrano un’amplificazione delle anomalie termiche legate al QBO.
Il quadro attuale del segnale QBO nelle temperature al livello della tropopausa, spesso misurato a una pressione atmosferica di 100 hPa (circa 16-17 km di altitudine), è stato sintetizzato con chiarezza da Hitchman et al. (2021), con particolare riferimento alle Figure 17 e 18 di quel lavoro. In tali analisi emerge che la differenza di temperatura tra le fasi QBOE e QBOW alle basse latitudini è consistentemente negativa, indicando un raffreddamento sistematico durante la fase orientale. Questa differenza, tuttavia, non è uniforme nello spazio: i valori più marcati si registrano nelle regioni caratterizzate da una maggiore attività convettiva, come già menzionato, e mostrano una modulazione stagionale significativa. Tale variabilità stagionale può essere attribuita all’interazione tra il ciclo del QBO e i pattern stagionali della circolazione tropicale, come il movimento della Zona di Convergenza Intertropicale (ITCZ) o l’alternanza tra stagioni umide e secche.
Parallelamente al raffreddamento della tropopausa durante la fase QBOE, si osserva un incremento della frequenza di cirri nella cosiddetta TTL (Tropical Tropopause Layer), lo strato di transizione tra la troposfera superiore e la stratosfera inferiore. Questo fenomeno è stato documentato in diversi studi, tra cui quelli di Davis et al. (2013), Tseng e Fu (2017) e Son et al. (2017), che hanno correlato la presenza di temperature più fredde a una maggiore formazione di nubi ad alta quota. I cirri della TTL, formati da cristalli di ghiaccio, giocano un ruolo cruciale nel bilancio radiativo terrestre e influenzano i processi di disidratazione dell’aria che ascende nella stratosfera. Anche in questo caso, si rilevano evidenze di variazioni longitudinali nella distribuzione di queste nubi, sebbene la limitata lunghezza del record di dati disponibile per i cirri impedisca di trarre conclusioni definitive sulla struttura dettagliata di tali variazioni. Questa incertezza sottolinea la necessità di ulteriori campagne osservative e di un’espansione delle serie temporali per consolidare le conoscenze su questo aspetto della dinamica tropicale.
In sintesi, il segnale del QBO nelle medie stagionali e annuali della troposfera e stratosfera tropicale si manifesta attraverso variazioni termiche e dinamiche che, pur originandosi nella stratosfera, influenzano significativamente la regione della tropopausa. La sua complessità, accentuata dalla dipendenza regionale e stagionale, richiede un approccio integrato che combini osservazioni dirette, modelli numerici e analisi statistiche avanzate per separare i contributi del QBO da quelli di altri fenomeni climatici, come l’ENSO. I progressi futuri in questo campo dipenderanno dalla capacità di migliorare la risoluzione spaziale e temporale dei dati, offrendo così una comprensione più profonda delle interazioni tra i diversi componenti del sistema climatico tropicale.All’interno della troposfera tropicale, numerosi studi hanno identificato schemi correlati all’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) in una varietà di misure osservative associate all’attività convettiva, un processo fondamentale per la distribuzione dell’energia termica e dell’umidità nell’atmosfera terrestre. Queste evidenze sono state rilevate attraverso l’analisi di dataset satellitari che monitorano parametri come la radiazione di onda lunga uscente (OLR, Outgoing Longwave Radiation), un indicatore indiretto dell’intensità della convezione profonda, le precipitazioni e la distribuzione di diversi tipi di nubi (Collimore et al. 2003; Liess e Geller 2012; Son et al. 2017; Gray et al. 2018; Lee et al. 2019). L’OLR, in particolare, è una misura critica: valori più bassi indicano una maggiore presenza di nubi alte e fredde, tipiche della convezione intensa, mentre valori più alti suggeriscono condizioni di cielo sereno o nubi meno sviluppate. Parallelamente, alcuni ricercatori hanno integrato questi dati satellitari con prodotti derivati da rianalisi atmosferiche, come il potenziale di velocità nella troposfera superiore (Liess e Geller 2012), che fornisce informazioni sulla divergenza dei venti e quindi sulla dinamica della convezione, stime delle precipitazioni (Gray et al. 2018) e un insieme più ampio di diagnostiche legate alla convezione e alle precipitazioni (Lee et al. 2019). I prodotti di rianalisi, generati combinando osservazioni sparse con modelli numerici, offrono il vantaggio di una copertura spaziale e temporale continua, ma richiedono un approccio critico: differenze nei modelli sottostanti o negli schemi di assimilazione dei dati possono introdurre bias che compromettono l’affidabilità delle conclusioni. Nonostante tali limitazioni, questi strumenti si rivelano preziosi per integrare informazioni provenienti da fonti eterogenee, migliorando la comprensione dei fenomeni atmosferici su scala globale.
Gli schemi identificati in questi studi si distinguono per una spiccata variazione longitudinale, un aspetto che riflette la complessità della dinamica atmosferica tropicale e la sua dipendenza da fattori regionali, come la distribuzione delle masse continentali e degli oceani. Tuttavia, stabilire una coerenza tra i risultati riportati nei diversi articoli è una sfida significativa. Questo è dovuto, in parte, alla diversità delle metodologie adottate: gli autori hanno impiegato definizioni differenti della fase del QBO (ad esempio, basandola sui venti a diversi livelli di pressione) e alcuni, come Collimore et al. (2003) e Gray et al. (2018), hanno esplicitamente considerato la variabilità stagionale degli schemi, mentre altri hanno optato per un approccio più generalizzato, trascurando tali modulazioni temporali. Questa eterogeneità metodologica complica il confronto diretto e richiede un’analisi attenta per discernere i segnali robusti da quelli più incerti.
Focalizzandosi sugli schemi mediati su base annuale e definendo le fasi QBOE (fase orientale) e QBOW (fase occidentale) in base alla direzione dei venti zonali a 50 hPa (circa 20-21 km di altitudine), emergono alcune caratteristiche ricorrenti. L’attività convettiva, misurata attraverso parametri come l’aumento delle precipitazioni e la riduzione dell’OLR, mostra una risposta distinta nella differenza QBOE-QBOW. In particolare, durante la fase QBOE rispetto alla QBOW, si osserva un’intensificazione relativa dell’attività convettiva nel Pacifico tropicale occidentale, una soppressione nel Pacifico centrale ed orientale vicino all’equatore, e un incremento nelle regioni della Zona di Convergenza Intertropicale (ITCZ) media annuale, situate a nord del Pacifico equatoriale e nell’Atlantico tropicale corrispondente. Questo schema è rappresentato graficamente nella Figura 4, che illustra la media annuale della regressione mensile delle precipitazioni rispetto a un indice QBO negativo, calcolato sui venti a 50 hPa. In termini pratici, la figura mostra la variazione delle precipitazioni associata a una diminuzione di una deviazione standard del vento zonale del QBO, con i dati derivati dal Global Precipitation Climatology Project (GPCP; Adler et al. 2018), un dataset consolidato per lo studio delle precipitazioni globali. I risultati di Gray et al. (2018) e Lee et al. (2019) corroborano questa rappresentazione, rafforzando la robustezza delle conclusioni.
Tale configurazione QBOE-QBOW è stata interpretata come un rafforzamento della circolazione di Walker, il sistema di venti e convezione che domina il Pacifico tropicale lungo la direzione est-ovest. Questo rafforzamento si manifesta in un contrasto più marcato tra l’attività convettiva intensa nel Pacifico occidentale e la relativa soppressione nel Pacifico orientale, accompagnato da uno spostamento verso ovest della circolazione locale di Hadley, che regola il trasporto meridionale di calore e umidità. Questo spostamento influenza la posizione e l’intensità delle precipitazioni associate alla ITCZ, con implicazioni per il clima regionale e globale. Tuttavia, la dipendenza della dinamica dal livello di pressione scelto per definire il QBO introduce ulteriori sfumature. Quando il QBO è definito utilizzando i venti a 70 hPa o a livelli inferiori (Liess e Geller 2012; Gray et al. 2018), gli schemi si modificano: si osserva una riduzione delle precipitazioni lungo il fianco settentrionale del Continente Marittimo (la regione che comprende l’Indonesia e le aree adiacenti), un aumento a est di questa zona e una differenza nel Pacifico centrale ed orientale che si configura più come uno spostamento verso nord delle precipitazioni della ITCZ, piuttosto che come un’intensificazione generalizzata. Questa variabilità suggerisce che l’influenza del QBO sulla troposfera tropicale sia sensibile alla struttura verticale dei venti stratosferici e ai meccanismi di teleconnessione tra stratosfera e troposfera.
Dal punto di vista fisico, questi schemi possono essere collegati all’effetto del QBO sulla stabilità atmosferica e sulla distribuzione della temperatura nella tropopausa e nella troposfera superiore. Durante la fase QBOE, il raffreddamento della tropopausa tropicale (descritto in precedenza) può favorire una maggiore instabilità convettiva in alcune regioni, amplificando la formazione di nubi profonde e precipitazioni, mentre in altre aree la dinamica dei venti può sopprimere tali processi. L’interazione tra il QBO e la circolazione troposferica è quindi mediata da una complessa rete di feedback che coinvolge la convezione, i gradienti di temperatura e i flussi meridionali e zonali. La forte variazione longitudinale osservata riflette inoltre l’influenza di fattori geografici, come la presenza di vasti bacini oceanici nel Pacifico e le terre emerse nel Continente Marittimo, che modulano localmente la risposta al forcing stratosferico.
L’identificazione di un segnale dell’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) nella troposfera tropicale rappresenta una sfida scientifica considerevole, principalmente a causa dell’incertezza statistica intrinseca associata a tali analisi. Nonostante numerosi studi abbiano suggerito la presenza di un’influenza del QBO su parametri troposferici come la convezione e le precipitazioni, la robustezza di tali segnali non è universalmente confermata. Ad esempio, alcune indagini su grandezze potenzialmente rilevanti, come l’attività dei fulmini (Dowdy 2016), non hanno evidenziato un legame significativo con il QBO, sollevando interrogativi sulla consistenza e sull’ampiezza di questa influenza. Una delle difficoltà principali consiste nella necessità di isolare il segnale del QBO dal rumore di fondo rappresentato da altri fenomeni climatici di grande portata, in particolare dall’El Niño-Southern Oscillation (ENSO), il cui impatto sulla dinamica tropicale è notoriamente dominante. L’ENSO, con le sue fasi di El Niño e La Niña, introduce variazioni su scala interannuale che possono mascherare o confondere i segnali più sottili legati al ciclo quasi-biennale della stratosfera, rendendo indispensabile l’adozione di metodologie statistiche avanzate per separare tali contributi.
Diversi approcci sono stati sviluppati per affrontare questa complessità. Liess e Geller (2012), ad esempio, hanno condotto un’analisi approfondita testando l’effetto dell’esclusione degli anni caratterizzati da eventi di El Niño o La Niña, applicando criteri differenti per valutare la sensibilità dei risultati a queste omissioni. Questo metodo consente di ridurre l’interferenza dell’ENSO, ma richiede una definizione chiara e coerente degli anni “neutri”, un compito non banale data la variabilità intrinseca del fenomeno. D’altro canto, Gray et al. (2018) hanno adottato un approccio più inclusivo, eseguendo regressioni multiple su un insieme di indici climatici che comprendono sia il QBO che l’ENSO, oltre a considerare le semplici differenze tra le fasi QBOE (fase orientale) e QBOW (fase occidentale). Questo approccio multivariato permette di quantificare simultaneamente l’influenza relativa di ciascun fattore, ma aumenta la complessità interpretativa e il rischio di overfitting. Gli schemi illustrati nella Figura 4, ad esempio, sono stati derivati regressendo serie temporali annuali di precipitazioni, calcolate per ogni mese del calendario, rispetto all’indice Niño3.4, un indicatore standard dell’ENSO basato sulle temperature superficiali del mare nel Pacifico centrale. Il segnale di regressione è stato poi estratto per evidenziare il contributo del QBO, come descritto nella didascalia della figura. Tuttavia, solo porzioni limitate di questi schemi raggiungono una significatività statistica al livello del 5%, e tale valutazione non tiene conto delle correlazioni spaziali tra i dati, un fattore che riduce i gradi di libertà effettivi e quindi la potenza statistica dell’analisi. Nonostante queste incertezze, i risultati sono presentati come un punto di partenza per ulteriori approfondimenti e discussioni, riconoscendo i limiti metodologici e la necessità di conferme indipendenti.
Passando alla dimensione stagionale, l’influenza del QBO sulla troposfera tropicale appare ulteriormente complicata dalla forte variabilità climatologica che caratterizza parametri come le precipitazioni e l’attività convettiva. Questa variabilità, ben documentata ad esempio nella Figura 1 di Lee et al. (2019), è legata al ciclo stagionale della Zona di Convergenza Intertropicale (ITCZ) e ad altri pattern dinamici, come i monsoni, che modulano la distribuzione spaziale e temporale dell’energia atmosferica. È ragionevole ipotizzare che il segnale del QBO, se presente, venga amplificato o attenuato da queste oscillazioni stagionali, generando schemi che differiscono tra i diversi periodi dell’anno. Un’indicazione preliminare di tale modulazione è stata riportata da Collimore et al. (2003), i quali hanno osservato un’inversione del segno dello schema longitudinale QBOE-QBOW tra l’estate e l’inverno dell’emisfero nord. In particolare, durante l’estate boreale, l’attività convettiva risultava ridotta nel Pacifico occidentale e intensificata nel Pacifico orientale, un comportamento opposto rispetto a quello osservato in inverno. Questo risultato suggerisce una complessa interazione tra il ciclo del QBO e i pattern stagionali della circolazione troposferica, potenzialmente mediata da variazioni nella posizione e nell’intensità della convezione tropicale.
Studi successivi, come quello di Gray et al. (2018), hanno sfruttato record di dati più estesi per esplorare ulteriormente queste differenze stagionali. Gli autori hanno rilevato che le differenze QBOE-QBOW nelle precipitazioni a nord del Continente Marittimo – la regione che comprende l’Indonesia e le aree circostanti – raggiungono la massima intensità durante l’estate dell’emisfero nord, pur essendo presenti, in misura minore, in tutte le stagioni. Analogamente, i calcoli alla base della Figura 4 hanno evidenziato discrepanze marcate tra gli schemi QBOE-QBOW estivi e quelli delle altre stagioni, con variazioni che potrebbero riflettere l’influenza del QBO sulla stabilità atmosferica o sulla posizione dei sistemi convettivi. Tuttavia, l’analisi stagionale introduce un ulteriore livello di incertezza statistica. La scomposizione delle serie temporali in periodi stagionali riduce la lunghezza effettiva dei dati disponibili per ciascun sottoinsieme, diminuendo la robustezza delle stime e aumentando la probabilità di falsi positivi o negativi. Questo limite è particolarmente critico quando si considerano fenomeni come il QBO, il cui ciclo di circa 28 mesi non si sincronizza facilmente con il calendario annuale, complicando l’isolamento dei segnali stagionali.
Dal punto di vista fisico, queste variazioni stagionali potrebbero essere attribuite all’interazione tra il QBO e i cambiamenti nella distribuzione della temperatura della tropopausa, che influenzano la stabilità verticale dell’atmosfera troposferica. Durante la fase QBOE, il raffreddamento della tropopausa tropicale potrebbe alterare i gradienti termici che guidano la convezione, con effetti che variano in base alla stagione e alla regione geografica. Ad esempio, nell’estate boreale, il rafforzamento della ITCZ nel Pacifico orientale potrebbe amplificare il segnale QBOE-QBOW, mentre in inverno la dinamica dominante del Pacifico occidentale potrebbe sopprimerlo. Queste ipotesi, tuttavia, richiedono ulteriori verifiche attraverso modelli numerici e osservazioni ad alta risoluzione, capaci di catturare le interazioni sottili tra stratosfera e troposfera.
In sintesi, l’identificazione di un segnale QBO nella troposfera tropicale è un processo complesso, gravato da incertezze statistiche e dalla necessità di separare contributi concorrenti come l’ENSO. Gli schemi annuali e stagionali emersi dagli studi finora condotti offrono spunti promettenti, ma la loro significatività rimane limitata da fattori metodologici e dalla variabilità intrinseca del sistema climatico tropicale. Per superare tali sfide, sarà fondamentale integrare dataset più lunghi e spazialmente dettagliati con approcci statistici che tengano conto delle correlazioni spaziali e temporali, fornendo così una base più solida per comprendere l’entità e i meccanismi dell’influenza del QBO sulla dinamica troposferica.

La Figura 4 del presente studio offre un’analisi dettagliata e visiva dell’interazione tra l’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) e le precipitazioni tropicali, basata sui dati del Global Precipitation Climatology Project (GPCP; Adler et al. 2018). Questo dataset, caratterizzato da una risoluzione spaziale di 2,5° in latitudine e longitudine, copre un periodo temporale esteso dal 1979 al 2019 ed è accessibile all’indirizzo http://gpcp.umd.edu/. L’obiettivo principale della figura è duplice: da un lato, quantificare la distribuzione climatologica delle precipitazioni medie annuali nella regione tropicale; dall’altro, isolare e visualizzare l’influenza delle fasi del QBO (QBOE, fase dei venti orientali, e QBOW, fase dei venti occidentali) su tale distribuzione, depurando il segnale dall’effetto dominante dell’El Niño-Southern Oscillation (ENSO). La figura si articola in due pannelli distinti, ciascuno con un ruolo specifico nella rappresentazione dei dati e dei risultati dell’analisi statistica.
Pannello (a): Distribuzione climatologica delle precipitazioni medie annuali
Il pannello (a) mostra la media annuale delle precipitazioni, espressa in millimetri al giorno (mm giorno⁻¹), calcolata sui campi del dataset GPCP per il periodo 1979-2019. Questo rappresenta un riferimento climatologico fondamentale, che delinea la distribuzione spaziale tipica delle precipitazioni tropicali in assenza di una specifica modulazione da parte di fenomeni interannuali o quasi-biennali. Le contour rosse, fissate a 5 mm giorno⁻¹, delimitano le regioni con precipitazioni significative, evidenziando zone di elevata attività convettiva come la Zona di Convergenza Intertropicale (ITCZ), il Pacifico occidentale e le aree continentali tropicali come l’Amazzonia e il Sud-est asiatico. Queste contour sono essenziali per identificare i pattern di base delle precipitazioni, che riflettono l’interazione tra la circolazione atmosferica di Hadley, i flussi monsonici e la distribuzione geografica delle masse terrestri e oceaniche. Il pannello (a) funge quindi da baseline, permettendo un confronto diretto con le variazioni indotte dal QBO mostrate nel pannello successivo. Dal punto di vista scientifico, questa rappresentazione offre una sintesi visiva del clima tropicale, utile per contestualizzare l’impatto di fenomeni stratosferici sulla troposfera. Inoltre, la scelta di una soglia di 5 mm giorno⁻¹ non è arbitraria: corrisponde a un livello tipico di precipitazioni intense nelle regioni tropicali, dove la convezione profonda domina la dinamica atmosferica, e serve come indicatore per distinguere le zone climaticamente più attive da quelle meno piovose.
Pannello (b): Regressione delle precipitazioni sul QBO e analisi di significatività
Il pannello (b) rappresenta il cuore analitico della figura, mostrando la regressione media annuale delle precipitazioni rispetto ai venti standardizzati del QBO a 50 hPa (approssimativamente 20-21 km di altitudine), moltiplicati per -1. Questo calcolo è progettato per stimare la differenza nelle precipitazioni tra la fase QBOE e la fase QBOW (QBOE-QBOW), isolando il segnale del QBO dall’influenza dell’ENSO. Le contour di 5 mm giorno⁻¹ della distribuzione climatologica, già presenti nel pannello (a), sono sovrapposte per offrire un riferimento visivo, mentre i punti tratteggiati in grigio indicano le località dove il coefficiente di regressione è statisticamente significativo al livello del 95%, secondo un test bilaterale al 5%. Questo pannello non si limita a mostrare un pattern, ma incorpora un metodo statistico sofisticato che merita un’analisi dettagliata per comprenderne appieno il significato e le implicazioni.
Il processo di calcolo è articolato in più fasi:
- Depurazione del segnale ENSO: Per ogni mese dell’anno, le serie temporali delle precipitazioni (anno per anno, dal 1979 al 2019) sono state regresse rispetto all’indice Niño3.4, un parametro basato sulle anomalie di temperatura superficiale del mare nella regione del Pacifico centrale ed equatoriale (5°N-5°S, 120°W-170°W). La varianza spiegata da questa regressione è stata sottratta dalle serie temporali originali, producendo una versione “depurata” delle precipitazioni che esclude l’effetto dominante dell’ENSO. Questo passaggio è cruciale, poiché l’ENSO può sovrastare i segnali più sottili del QBO, specialmente nelle regioni tropicali sensibili come il Pacifico. La rimozione del segnale ENSO consente di focalizzarsi sull’influenza stratosferica del QBO, ma introduce anche una potenziale fonte di incertezza, legata alla scelta dell’indice Niño3.4 e alla completezza della sua rappresentazione degli effetti ENSO.
- Regressione sul QBO: Le serie temporali depurate per ogni mese sono state successivamente regresse rispetto all’indice QBO standardizzato a 50 hPa, che rappresenta la velocità dei venti zonali stratosferici (positivi per QBOW, negativi per QBOE). La standardizzazione implica che l’indice è espresso in unità di deviazione standard, rendendo i coefficienti di regressione direttamente interpretabili come variazioni delle precipitazioni per un cambiamento unitario del vento QBO. Questa scelta riflette l’intento di quantificare l’effetto medio del QBO in modo dimensionless, facilitando il confronto tra regioni e studi.
- Media annuale e inversione del segno: I coefficienti di regressione mensili sono stati mediati su base annuale per ottenere un valore rappresentativo dell’intero anno. Questo valore è stato poi moltiplicato per -1, in modo da riflettere la differenza QBOE-QBOW: un coefficiente positivo indica un aumento delle precipitazioni in QBOE rispetto a QBOW, mentre un valore negativo indica una diminuzione. L’inversione del segno è una convenzione analitica che allinea il risultato con l’interpretazione fisica delle fasi del QBO, dove la fase orientale (QBOE) è associata a condizioni troposferiche potenzialmente più favorevoli alla convezione in alcune regioni.
La significatività statistica è stata valutata utilizzando un approccio di bootstrapping, una tecnica robusta che consente di stimare l’incertezza dei coefficienti di regressione senza presupporre una distribuzione specifica dei dati. Sono stati generati 1000 campioni bootstrap ricampionando casualmente gli anni del record osservativo (1979-2019) con sostituzione, cioè consentendo che uno stesso anno possa apparire più volte in un campione. Per ciascun campione, l’intera analisi di regressione (depurazione dell’ENSO e regressione sul QBO) è stata ripetuta, producendo una distribuzione di coefficienti di regressione. Le località dove l’intervallo percentile dal 2,5% al 97,5% di questi coefficienti non include lo zero sono state classificate come significative al 5% in un test bilaterale, e sono rappresentate dai punti tratteggiati in grigio. Questo metodo è particolarmente adatto a dataset climatici con variabilità elevata e correlazioni temporali, ma non tiene conto delle correlazioni spaziali tra le località, un aspetto che potrebbe ridurre i gradi di libertà effettivi e influenzare la significatività reale.
Interpretazione fisica e implicazioni scientifiche: Il pannello (b) mostra come il QBO moduli le precipitazioni tropicali, suggerendo, ad esempio, un aumento nel Pacifico occidentale e una diminuzione nel Pacifico orientale durante la fase QBOE, coerente con un possibile rafforzamento della circolazione di Walker. Questi pattern sono in linea con precedenti studi che hanno ipotizzato un’influenza stratosferica sulla convezione troposferica, mediata da variazioni della temperatura della tropopausa o della stabilità atmosferica. Durante la fase QBOE, il raffreddamento della tropopausa potrebbe favorire una maggiore instabilità convettiva in alcune regioni, mentre i cambiamenti nei venti zonali stratosferici potrebbero alterare la posizione dei sistemi troposferici come la ITCZ. Tuttavia, la significatività limitata a poche aree tratteggiate sottolinea la debolezza del segnale o la difficoltà di isolarlo dalla variabilità naturale e da altri fattori non considerati, come le interazioni tra regioni adiacenti o l’influenza di fenomeni su scala più piccola.
Considerazioni finali e limitazioni
La Figura 4 combina un riferimento climatologico (pannello a) con un’analisi statistica avanzata (pannello b) per esplorare l’impatto del QBO sulle precipitazioni tropicali, depurando il segnale dall’ENSO. Il metodo di regressione e l’uso del bootstrapping rappresentano un approccio rigoroso per affrontare l’incertezza, ma la scarsa estensione delle aree significative suggerisce che il segnale del QBO sia sottile e potenzialmente mascherato da altri processi atmosferici. La lunghezza del record (41 anni) e la risoluzione di 2,5° potrebbero non essere sufficienti per catturare pienamente la variabilità spazio-temporale, specialmente in regioni con gradienti precipitativi marcati. Inoltre, l’assunzione di indipendenza spaziale nel test di significatività potrebbe sottostimare l’incertezza, poiché le precipitazioni in punti vicini sono spesso correlate a causa della coerenza dei sistemi meteorologici tropicali. Questi limiti sottolineano la necessità di future analisi con dati più dettagliati – ad esempio, a risoluzione più fine o con serie temporali più lunghe – e modelli numerici che includano interazioni più ampie tra stratosfera e troposfera, offrendo così una visione più completa del ruolo del QBO nel sistema climatico tropicale. In un contesto di cambiamento climatico, comprendere queste dinamiche potrebbe rivelarsi cruciale per prevedere variazioni nei pattern di precipitazione e i loro impatti su scala regionale e globale.
Oscillazione Madden-Julian e variabilità intrastagionale e ad alta frequenza nella troposfera tropicale: influenze del QBO e interazioni climatiche
L’Oscillazione Madden-Julian (MJO) si configura come uno dei fenomeni dominanti della variabilità atmosferica nella troposfera tropicale su scale temporali substagionali, con un periodo tipico che varia tra i 30 e i 60 giorni (Zhang 2005). Questo pattern dinamico, caratterizzato da un’alternanza di fasi convettive intense e soppresse che si propagano lentamente verso est lungo l’equatore, influenza significativamente il clima tropicale e ha ripercussioni su scala globale, modulando ad esempio i pattern di precipitazione e i venti zonali. L’ipotesi di una possibile modulazione dell’MJO da parte dell’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO), un ciclo stratosferico di circa 28 mesi che alterna venti zonali orientali e occidentali, è stata avanzata per la prima volta alcune decadi fa da Kuma (1990). Tale studio preliminare si basava sull’analisi dei venti nella troposfera superiore ottenuti da radiosonde, suggerendo un’interazione tra la dinamica stratosferica del QBO e i processi troposferici associati all’MJO. Sebbene questa idea abbia inizialmente ricevuto attenzione limitata, il tema è tornato al centro della ricerca climatica negli ultimi anni grazie a una serie di studi innovativi che hanno fornito evidenze empiriche più robuste e quantitativamente significative.
Tra questi, i lavori di Yoo e Son (2016) e Son et al. (2017) hanno segnato una svolta, dimostrando l’esistenza di un segnale QBO marcato nell’attività dell’MJO durante l’inverno dell’emisfero nord (corrispondente all’estate dell’emisfero sud). Analizzando un dataset che copre 35 anni, dal 1979 al 2015, questi autori hanno evidenziato che la differenza tra la fase orientale del QBO (QBOE) e quella occidentale (QBOW) spiega oltre il 50% della varianza interannuale dell’attività dell’MJO in questa stagione. In particolare, è emerso che l’MJO tende a manifestarsi con un’ampiezza maggiore e una persistenza più prolungata quando i venti nella bassa stratosfera (tipicamente valutati a livelli di pressione tra 50 e 70 hPa) sono orientali, ovvero durante la fase QBOE. Al contrario, durante la fase QBOW, caratterizzata da venti occidentali, l’MJO presenta un’ampiezza ridotta e una durata inferiore delle sue fasi attive. Queste conclusioni sono state derivate principalmente da misure basate sulla radiazione di onda lunga uscente (OLR), un indicatore indiretto dell’intensità della convezione profonda, dove valori minori di OLR corrispondono a nubi più alte e fredde tipiche dell’MJO attivo. Tuttavia, un segnale analogo è stato confermato da Marshall et al. (2017) utilizzando gli indici RMM (Real-time Multivariate MJO), sviluppati da Wheeler e Hendon (2004), che integrano componenti multivariate come i venti zonali e meridionali e l’OLR. Questi indici, dominati dalla componente del vento zonale, confermano che il segnale del QBO sull’MJO è robusto e specifico per l’inverno boreale, risultando invece trascurabile nelle altre stagioni (si veda in particolare la Figura 6 di Marshall et al. 2017).
Per comprendere meglio la distribuzione spaziale di questa interazione, la Figura 5, tratta da Son et al. (2017), offre un’analisi dettagliata della climatologia stagionale dell’OLR a basse latitudini durante l’inverno dell’emisfero nord, includendo sia la varianza intrastagionale che le differenze associate a El Niño-La Niña e QBOE-QBOW. Il pannello relativo alla media stagionale (Figura 5c) mostra che il segnale QBOE-QBOW nell’OLR è coerente con quello delle precipitazioni descritto nella Figura 4: le regioni con anomalie negative di OLR (indicative di maggiore convezione) corrispondono generalmente a quelle con anomalie positive di precipitazioni, riflettendo un aumento dell’attività convettiva in QBOE rispetto a QBOW. Tuttavia, questo segnale appare relativamente debole se confrontato con l’impatto di El Niño-La Niña (Figura 5b), che domina la variabilità stagionale tropicale grazie alla sua influenza sulle temperature superficiali del mare e sulla circolazione atmosferica. In contrasto, quando si considera la varianza intrastagionale dell’OLR (Figura 5f), il segnale QBOE-QBOW assume una magnitudine comparabile a quella del segnale El Niño-La Niña (Figura 5e), suggerendo che il QBO abbia un ruolo significativo nella modulazione della dinamica substagionale dell’MJO. Geograficamente, il segnale QBOE-QBOW si concentra principalmente sull’Oceano Indiano centrale e orientale, sul Continente Marittimo (la regione comprendente l’Indonesia e le aree adiacenti) e sul Pacifico occidentale, limitandosi a una stretta fascia latitudinale immediatamente a sud dell’equatore. Al contrario, il segnale El Niño-La Niña si manifesta in modo più pronunciato verso est, in particolare nel Pacifico centrale ed orientale, coerentemente con la posizione delle anomalie di temperatura oceanica associate a questi eventi.
Ulteriori approfondimenti sulla struttura spaziale della convezione associata all’MJO in presenza del QBO sono stati forniti da Nishimoto e Yoden (2017), i quali hanno identificato differenze nella distribuzione geografica delle nubi convettive tra le fasi QBOE e QBOW. Questi autori hanno suggerito che tali variazioni potrebbero essere legate a cambiamenti nella stabilità atmosferica indotti dal QBO, con un raffreddamento della tropopausa in QBOE che favorirebbe una maggiore formazione di nubi profonde. Zhang e Zhang (2018) hanno esplorato ulteriormente questa connessione, proponendo che la maggiore intensità dell’MJO durante la fase QBOE sia attribuibile non solo a un’amplificazione dell’ampiezza delle sue fasi convettive, ma anche a una maggiore frequenza temporale di attività dell’MJO. In altre parole, in QBOE l’MJO tende a essere attivo per una frazione più ampia del tempo, un’osservazione che potrebbe riflettere una modifica dei meccanismi di innesco o propagazione del fenomeno, potenzialmente legata a variazioni nei gradienti verticali di temperatura o nei venti stratosferici.
Dal punto di vista fisico, l’interazione tra QBO e MJO può essere compresa considerando il ruolo della stratosfera nella modulazione delle condizioni al confine superiore della troposfera. Durante la fase QBOE, il raffreddamento della tropopausa tropicale, associato al gradiente verticale dei venti orientali, potrebbe ridurre la stabilità statica nella troposfera superiore, favorendo la convezione profonda e sostenendo fasi più intense e persistenti dell’MJO. Al contrario, in QBOW, il riscaldamento relativo della tropopausa dovuto ai venti occidentali potrebbe inibire tali processi, riducendo l’attività convettiva. Questa teleconnessione stratosfera-troposfera, sebbene limitata stagionalmente all’inverno boreale, evidenzia un complesso intreccio di dinamiche atmosferiche che richiede ulteriori indagini per chiarire i meccanismi causali sottostanti.
In sintesi, l’MJO rappresenta una componente cruciale della variabilità intrastagionale tropicale, e la sua modulazione da parte del QBO, particolarmente evidente nell’inverno dell’emisfero nord, offre un esempio paradigmatico di come i fenomeni stratosferici possano influenzare la troposfera. La forza del segnale QBOE-QBOW, paragonabile a quella di El Niño-La Niña nella varianza intrastagionale, sottolinea l’importanza di considerare queste interazioni nei modelli climatici e nelle previsioni substagionali. Tuttavia, la dipendenza stagionale e la complessità spaziale dei pattern osservati indicano che ulteriori studi, supportati da dataset più estesi e simulazioni numeriche avanzate, saranno necessari per consolidare queste evidenze e comprendere appieno i processi fisici alla base di questa relazione.
L’interazione tra l’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) e l’Oscillazione Madden-Julian (MJO) rappresenta un campo di studio di crescente interesse nella climatologia tropicale, con implicazioni significative per la comprensione delle teleconnessioni stratosfera-troposfera. Zhang e Zhang (2018) hanno sostenuto che la maggiore intensità dell’MJO durante la fase orientale del QBO (QBOE) derivi da una durata prolungata degli eventi individuali dell’MJO. In particolare, hanno evidenziato che in QBOE un numero maggiore di eventi MJO riesce a propagarsi oltre il Continente Marittimo – la regione che include l’Indonesia e le aree circostanti – raggiungendo il Pacifico occidentale. Questo fenomeno suggerisce una modifica nella dinamica di propagazione dell’MJO, potenzialmente legata a variazioni nelle condizioni atmosferiche indotte dal QBO. Per quantificare il concetto di “attività MJO per una frazione maggiore di tempo”, gli autori hanno adottato un criterio basato su una soglia di ampiezza degli indici RMM (Real-time Multivariate MJO), un metodo standard che combina venti zonali, meridionali e radiazione di onda lunga uscente (OLR) per misurare l’intensità dell’MJO. Tuttavia, questa scelta metodologica implica una limitazione: gli eventi MJO con ampiezze inferiori alla soglia vengono esclusi dall’analisi, trascurando così eventuali effetti del QBO su fasi meno intense dell’MJO, che potrebbero anch’esse contribuire alla variabilità complessiva.
In contrasto, Lim et al. (2019) hanno adottato un approccio più inclusivo, analizzando la distribuzione di probabilità delle ampiezze giornaliere dell’MJO. I loro risultati indicano che durante QBOE questa distribuzione si sposta sistematicamente verso valori più alti, un effetto osservabile lungo tutto lo spettro delle ampiezze, dalle più basse alle più elevate. Questo suggerisce che l’influenza del QBO non sia limitata agli eventi MJO più intensi, ma si estenda a tutte le scale di attività, offrendo una visione più completa del fenomeno rispetto all’approccio basato su soglie. Son et al. (2017) hanno ulteriormente consolidato l’importanza del QBO nella modulazione dell’MJO, dimostrando che il segnale QBOE-QBOW è particolarmente pronunciato quando la fase del QBO è definita dai venti zonali a 50 hPa (circa 20-21 km di altitudine). Questa scelta è diventata una convenzione in molti studi successivi, riflettendo la sensibilità dell’MJO alle condizioni stratosferiche a questo livello. Tuttavia, Densmore et al. (2019) hanno proposto un’alternativa, utilizzando un approccio basato sull’analisi delle componenti principali (PCA) per definire il QBO. Essi hanno concluso che il segnale più forte emerge considerando i venti nello strato tra 20 e 50 hPa, suggerendo che l’influenza del QBO sull’MJO potrebbe dipendere da una struttura verticale più complessa dei venti stratosferici, piuttosto che da un singolo livello di pressione.
Hendon e Abhik (2018) hanno approfondito la dimensione fisica di questa interazione, analizzando le differenze nelle anomalie di temperatura associate all’MJO nella troposfera superiore e nella bassa stratosfera tra le fasi QBOE e QBOW. I loro risultati evidenziano variazioni significative sia nella magnitudine che nella struttura verticale di queste anomalie, con un raffreddamento più marcato nella tropopausa durante QBOE. Gli autori hanno ipotizzato che tali differenze a livelli superiori giochino un ruolo critico nel meccanismo di amplificazione dell’MJO in QBOE, probabilmente attraverso un’alterazione della stabilità atmosferica che favorisce la convezione profonda. Sakaeda et al. (2020) hanno esteso questa analisi, dimostrando che durante la fase orientale del QBO si verifica un aumento della frazione di nubi alte associate all’MJO. Questo incremento è accompagnato da un rafforzamento del feedback radiativo delle nubi, misurato attraverso la correlazione tra precipitazioni e OLR. Un feedback radiativo più intenso, come suggerito da Adames e Kim (2016), potrebbe amplificare l’energia disponibile per l’MJO, sostenendone l’attività e la persistenza. Questo processo implica che le nubi alte, modificando il bilancio radiativo locale, contribuiscano a mantenere condizioni favorevoli alla convezione, un aspetto che si rivela particolarmente rilevante nella dinamica tropicale.
Un’ulteriore prospettiva è stata offerta da Abhik et al. (2019) e Sakaeda et al. (2020), che hanno esplorato le differenze QBOE-QBOW su un’ampia gamma di componenti della variabilità temporale nella troposfera tropicale. Sakaeda et al. (2020) hanno concluso che il QBO non modula significativamente le onde equatoriali accoppiate alla convezione, come le onde di Kelvin, le onde di Rossby, le onde miste di Rossby-gravità e le onde di gravità, almeno fino a periodi di 2 giorni. Analogamente, Abhik et al. (2019) hanno riscontrato che né la varianza ad alta frequenza (periodi di 2-30 giorni) né la componente non-MJO della varianza convettiva intrastagionale (periodi di 30-120 giorni) mostrano una chiara dipendenza dal QBO. Questi risultati indicano una specificità dell’effetto del QBO sull’MJO rispetto ad altre forme di variabilità troposferica. Abhik et al. (2019) hanno proposto che questa unicità possa essere attribuita alla struttura verticale profonda e ben definita dell’MJO, che lo distingue da altre onde equatoriali accoppiate alla convezione. Inoltre, hanno sottolineato il ruolo delle temperature estremamente fredde della tropopausa durante l’inverno dell’emisfero nord, in particolare sopra il Continente Marittimo, come un fattore chiave che amplifica la sensibilità dell’MJO al QBO. Questo raffreddamento, tipico di QBOE, potrebbe ridurre la stabilità atmosferica nella troposfera superiore, favorendo la formazione di nubi convettive profonde e sostenendo l’attività dell’MJO.
Un aspetto intrigante emerso da Klotzbach et al. (2019) e Sakaeda et al. (2020) riguarda l’evoluzione temporale della connessione QBO-MJO. Entrambi gli studi hanno fornito evidenze che questa relazione, come descritta nei lavori recenti, sia emersa solo a partire dai primi anni ’80. Analizzando record storici, gli autori hanno osservato che tra gli anni ’50 e ’70 – un periodo in cui erano disponibili misurazioni dirette dei venti del QBO tramite radiosonde – non si rileva una correlazione significativa tra il QBO e l’intensità dell’MJO. Questa assenza di correlazione sembra estendersi anche al periodo precedente, dal 1900 agli anni ’50, per il quale non esistono misurazioni dirette del QBO, ma è disponibile una serie temporale stimata, ricostruita a partire da misurazioni della pressione superficiale extratropicale. Sebbene l’accuratezza della quantificazione dell’MJO nell’era pre-satellitare (prima del 1979) sia limitata dalla scarsità di dati globali, questi risultati sollevano interrogativi sulla stabilità della connessione QBO-MJO nel tempo. Una possibile spiegazione potrebbe risiedere in cambiamenti a lungo termine nel clima tropicale, come variazioni nella temperatura della tropopausa o nei pattern di convezione, potenzialmente influenzati dall’aumento delle concentrazioni di gas serra o da altri forcing antropogenici. Tuttavia, l’incertezza legata alla ricostruzione dei dati storici richiede cautela nell’interpretazione di queste tendenze.
In sintesi, la modulazione del QBO sull’MJO emerge come un fenomeno complesso, caratterizzato da una dipendenza stagionale, da variazioni nella struttura verticale dell’atmosfera e da una specificità che lo distingue da altre forme di variabilità troposferica. L’amplificazione dell’MJO in QBOE, sostenuta da una maggiore durata degli eventi, da un incremento della frazione di nubi alte e da un feedback radiativo rafforzato, riflette un’interazione sofisticata tra stratosfera e troposfera. Tuttavia, la sua apparente emergenza solo negli ultimi decenni suggerisce che fattori climatici a lungo termine possano aver modificato questa relazione, aprendo nuove domande sulla sua evoluzione futura in un contesto di cambiamento climatico globale. Ulteriori studi, integrando osservazioni ad alta risoluzione e modelli climatici avanzati, saranno essenziali per chiarire i meccanismi fisici sottostanti e per valutare l’impatto di queste dinamiche su scala regionale e planetaria.

La Figura 5, tratta da Son et al. (2017) e pubblicata dall’American Meteorological Society, rappresenta un’analisi dettagliata della radiazione di onda lunga uscente (OLR, Outgoing Longwave Radiation) nella stagione invernale dell’emisfero nord (DJF: dicembre, gennaio, febbraio), con l’obiettivo di esplorare l’influenza dell’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO) e dell’El Niño-Southern Oscillation (ENSO) sulla convezione tropicale e sulla variabilità intrastagionale, in particolare dell’Oscillazione Madden-Julian (MJO). L’OLR è un parametro chiave nella climatologia tropicale: valori bassi (tipicamente <240 W m⁻²) indicano la presenza di nubi alte e fredde associate a convezione intensa, come quella dell’MJO, mentre valori alti (>260 W m⁻²) sono tipici di cieli sereni o regioni con minore attività convettiva. La figura è strutturata in due colonne: la colonna di sinistra mostra la media stagionale dell’OLR (DJF-mean OLR), riflettendo la distribuzione media della convezione, mentre quella di destra presenta la varianza dell’OLR filtrata nella banda 20-100 giorni (bandpass-filtered OLR variance), che quantifica la variabilità intrastagionale dominata dall’MJO. Ogni colonna comprende tre pannelli: la climatologia a lungo termine, la differenza interannuale tra El Niño e La Niña, e la differenza tra le fasi QBOE (venti orientali) e QBOW (venti occidentali). Nei pannelli delle differenze, i valori statisticamente significativi al 95% sono contrassegnati da contour, fornendo un’indicazione di robustezza statistica.
Colonna di sinistra: Media stagionale dell’OLR (DJF-mean OLR)
(a) Climatologia a lungo termine
Il pannello (a) illustra la distribuzione spaziale della media stagionale dell’OLR per la stagione DJF, calcolata su un record temporale esteso (probabilmente 1979-2015, coerente con il periodo analizzato da Son et al.). Questo pannello rappresenta la base climatologica di riferimento, espressa in watt per metro quadrato (W m⁻²), e mostra la configurazione tipica della convezione tropicale durante l’inverno boreale. Le regioni con valori bassi di OLR, come l’Oceano Indiano, il Continente Marittimo e il Pacifico occidentale, sono caratterizzate da un’elevata attività convettiva, spesso legata alla Zona di Convergenza Intertropicale (ITCZ) e ai sistemi monsonici attivi in queste aree. Al contrario, le zone subtropicali e le regioni con minore convezione, come parti del Pacifico orientale, presentano valori di OLR più alti. Questo pannello non è influenzato da variazioni interannuali o da fasi specifiche di QBO o ENSO, ma offre un quadro di riferimento essenziale per valutare le anomalie mostrate nei pannelli successivi. Dal punto di vista scientifico, questa climatologia sottolinea la distribuzione spaziale di base dei processi convettivi, che dipendono dalla circolazione di Hadley e dalla posizione stagionale dei principali sistemi atmosferici tropicali. La scelta della stagione DJF è significativa, poiché coincide con il periodo di massima attività dell’MJO e con una sensibilità pronunciata della troposfera tropicale alle condizioni stratosferiche modulate dal QBO.
(b) Differenza interannuale tra El Niño e La Niña
Il pannello (b) mostra la differenza nella media stagionale dell’OLR tra gli inverni caratterizzati da El Niño e quelli da La Niña, calcolata sottraendo la media dell’OLR degli inverni di La Niña da quella degli inverni di El Niño. Le fasi di ENSO sono probabilmente definite utilizzando un indice standard come il Niño3.4, basato sulle anomalie di temperatura superficiale del mare nel Pacifico centrale ed equatoriale (5°N-5°S, 120°W-170°W). I valori positivi indicano un OLR più alto (e quindi minore convezione) in El Niño rispetto a La Niña, mentre i valori negativi suggeriscono un OLR più basso (più convezione) in El Niño. Le contour evidenziano le regioni dove questa differenza è statisticamente significativa al 95%, valutata con un test statistico come il t-test o un metodo simile, che considera la variabilità interannuale dei dati. Questo pannello riflette l’impatto ben documentato dell’ENSO sulla convezione tropicale: durante El Niño, la convezione si sposta verso il Pacifico centrale ed orientale, portando a valori di OLR più bassi in quelle regioni (anomalie negative), mentre in La Niña la convezione si concentra nel Pacifico occidentale, con OLR più alto nel Pacifico orientale (anomalie positive). La presenza di contour significative sottolinea la robustezza di questo segnale, che domina la variabilità stagionale tropicale grazie alla sua influenza sulle temperature superficiali del mare e sulla circolazione di Walker, un sistema di venti e convezione che regola la distribuzione delle precipitazioni equatoriali.
(c) Differenza tra QBOE e QBOW
Il pannello (c) presenta la differenza nella media stagionale dell’OLR tra gli inverni con fase orientale del QBO (QBOE) e quelli con fase occidentale (QBOW), calcolata sottraendo la media dell’OLR degli inverni QBOW da quella degli inverni QBOE. La fase del QBO è definita dai venti zonali a 50 hPa (circa 20-21 km di altitudine), con venti orientali per QBOE e occidentali per QBOW. Valori negativi indicano un OLR più basso (e quindi più convezione) in QBOE rispetto a QBOW, mentre valori positivi suggeriscono il contrario. Le contour segnalano la significatività statistica al 95%, evidenziando le regioni dove l’effetto del QBO è robusto. Questo pannello mette in luce l’influenza del QBO sulla convezione media stagionale, mostrando una coerenza con il segnale delle precipitazioni riportato nella Figura 4: le anomalie negative di OLR, indicative di maggiore attività convettiva in QBOE, corrispondono a regioni con aumenti di precipitazioni, concentrate principalmente nell’Oceano Indiano orientale, nel Continente Marittimo e nel Pacifico occidentale, all’interno di una stretta fascia latitudinale a sud dell’equatore. Tuttavia, Son et al. (2017) osservano che questo segnale è relativamente debole rispetto a quello di El Niño-La Niña nel pannello (b), suggerendo che l’effetto del QBO sulla convezione stagionale sia meno pronunciato rispetto all’ENSO. Questo potrebbe riflettere la natura più indiretta dell’influenza stratosferica del QBO, che agisce attraverso variazioni della temperatura della tropopausa piuttosto che attraverso forcing superficiali diretti come quelli dell’ENSO.
Colonna di destra: Varianza intrastagionale dell’OLR (20-100 giorni)
(d) Climatologia a lungo termine
Il pannello (d) illustra la varianza dell’OLR filtrata nella banda 20-100 giorni, calcolata sulla media stagionale DJF a lungo termine. Questo filtro temporale isola le fluttuazioni associate all’MJO, il cui periodo tipico varia tra 30 e 60 giorni, eliminando sia le variazioni ad alta frequenza (ad esempio, onde di Kelvin o di gravità) sia quelle a bassa frequenza (come l’ENSO o tendenze stagionali). La varianza, espressa in (W m⁻²)², è calcolata come la deviazione quadratica media dell’OLR rispetto alla sua media stagionale e rappresenta l’ampiezza delle oscillazioni intrastagionali. Valori elevati, osservati tipicamente sull’Oceano Indiano, il Continente Marittimo e il Pacifico occidentale, indicano regioni dove l’MJO è più attivo, con forti fluttuazioni convettive che riflettono il suo percorso caratteristico lungo la fascia equatoriale. Questo pannello fornisce una base climatologica per valutare come l’ENSO e il QBO modulino la variabilità intrastagionale nei pannelli successivi, evidenziando le aree di maggiore sensibilità alla dinamica substagionale. Scientificamente, la scelta della banda 20-100 giorni è motivata dalla necessità di catturare l’intera gamma temporale dell’MJO, includendo sia le sue fasi più rapide che quelle più lente, e rappresenta un compromesso tra specificità e completezza nella rappresentazione della variabilità intrastagionale.
(e) Differenza interannuale tra El Niño e La Niña
Il pannello (e) mostra la differenza nella varianza intrastagionale dell’OLR tra gli inverni di El Niño e quelli di La Niña, calcolata sottraendo la varianza dell’OLR filtrata in La Niña da quella in El Niño. Le contour indicano significatività statistica al 95%, basata su un’analisi che considera la variabilità dei dati. Valori positivi suggeriscono una varianza maggiore (e quindi un MJO più attivo) in El Niño rispetto a La Niña, mentre valori negativi indicano il contrario. Questo pannello evidenzia come l’ENSO influenzi l’intensità e la distribuzione spaziale dell’MJO: durante El Niño, la variabilità intrastagionale aumenta nel Pacifico centrale ed orientale, dove la convezione si sposta a causa delle anomalie positive di temperatura superficiale del mare, mentre in La Niña la variabilità è più pronunciata nel Pacifico occidentale, coerentemente con una ITCZ più occidentale. La magnitudine di questo segnale è significativa e comparabile a quella del QBO nel pannello (f), sottolineando il ruolo dell’ENSO come modulatore primario della dinamica intrastagionale tropicale. La significatività delle contour riflette la forza dell’interazione tra ENSO e MJO, un fenomeno ben studiato che influisce non solo sulla convezione locale, ma anche su teleconnessioni globali, come la formazione di pattern climatici extratropicali.
(f) Differenza tra QBOE e QBOW
Il pannello (f) presenta la differenza nella varianza intrastagionale dell’OLR tra QBOE e QBOW, calcolata sottraendo la varianza dell’OLR filtrata in QBOW da quella in QBOE. Le contour indicano significatività al 95%. Valori positivi indicano una varianza maggiore (e quindi un MJO più attivo) in QBOE rispetto a QBOW, mentre valori negativi suggeriscono una riduzione. Questo pannello mette in evidenza l’effetto del QBO sull’intensità dell’MJO, mostrando un aumento della variabilità in QBOE concentrato nell’Oceano Indiano centrale ed orientale, nel Continente Marittimo e nel Pacifico occidentale, all’interno di una fascia a sud dell’equatore. La magnitudine di questo segnale è simile a quella di El Niño-La Niña nel pannello (e), suggerendo che il QBO abbia un’influenza significativa sulla dinamica intrastagionale, più marcata rispetto al suo effetto sulla convezione stagionale (pannello c). Questo risultato supporta l’ipotesi di Son et al. (2017) che il QBO moduli l’MJO in inverno boreale, con QBOE che favorisce un MJO più intenso e persistente, probabilmente attraverso un raffreddamento della tropopausa che amplifica la convezione profonda e sostiene la propagazione dell’MJO oltre il Continente Marittimo.
Interpretazione e implicazioni scientifiche
La Figura 5 offre un confronto diretto tra l’influenza dell’ENSO e del QBO sulla convezione tropicale, distinguendo tra effetti stagionali e intrastagionali. Il segnale QBOE-QBOW nella media stagionale (pannello c) è debole rispetto a quello di El Niño-La Niña (pannello b), indicando un impatto limitato del QBO sulla convezione media. Tuttavia, nella varianza intrastagionale (pannello f), il segnale QBOE-QBOW è comparabile a quello di ENSO (pannello e), suggerendo che il QBO giochi un ruolo cruciale nella modulazione dell’MJO, più che nella convezione complessiva. Geograficamente, il segnale QBOE-QBOW è confinato a una fascia a sud dell’equatore, dall’Oceano Indiano al Pacifico occidentale, mentre quello di El Niño-La Niña si estende più a est, coerentemente con le dinamiche oceaniche dell’ENSO. La significatività statistica, indicata dalle contour, è limitata a regioni specifiche, riflettendo la natura regionale degli effetti e la complessità della variabilità tropicale.
Dal punto di vista fisico, il potenziamento dell’MJO in QBOE può essere attribuito a un raffreddamento della tropopausa associato ai venti orientali stratosferici, che riduce la stabilità atmosferica nella troposfera superiore e favorisce la formazione di nubi convettive profonde. Questo meccanismo è meno rilevante per la convezione stagionale media, che dipende più fortemente da forcing superficiali come quelli dell’ENSO. La figura supporta quindi l’idea che il QBO influisca sulla troposfera tropicale attraverso teleconnessioni stratosferiche sottili ma significative, con un impatto più evidente sulla dinamica substagionale che su quella stagionale.
Le implicazioni di questa analisi sono rilevanti per la modellistica climatica e le previsioni substagionali. La capacità del QBO di modulare l’MJO, un fenomeno con effetti globali come precipitazioni anomale e teleconnessioni extratropicali, suggerisce che i modelli devono integrare accuratamente le condizioni stratosferiche per migliorare la predicibilità. Tuttavia, la limitata estensione delle aree significative indica che ulteriori studi, con dati a maggiore risoluzione spaziale e temporale, sono necessari per chiarire la variabilità regionale e i meccanismi fisici sottostanti, specialmente in un contesto di cambiamento climatico che potrebbe alterare queste interazioni.
Relazioni tra la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) e i cicloni tropicali: un’analisi critica delle evidenze osservative
I cicloni tropicali rappresentano uno degli eventi meteorologici più intensi e distruttivi del pianeta, con impatti significativi su ecosistemi, società e infrastrutture. La loro genesi, frequenza, intensità e traiettorie sono influenzate da una complessa interazione di fattori atmosferici e oceanici, tra cui variabilità climatiche su scala interannuale come la Quasi-Biennial Oscillation (QBO). La QBO è un’oscillazione quasi-periodica dei venti zonali stratosferici sopra l’equatore, con un ciclo medio di circa 28 mesi, che alterna fasi di venti occidentali (QBOW) e orientali (QBOE). Questo fenomeno, ben documentato dalla comunità scientifica, è stato oggetto di numerosi studi volti a esplorarne le possibili influenze sulla dinamica troposferica, inclusi i cicloni tropicali.
Uno dei primi contributi significativi in questo ambito proviene da Gray (1984), il quale ha proposto una connessione statistica tra la QBO e la frequenza degli uragani nell’Atlantico. Analizzando un dataset limitato agli anni precedenti il 1984, Gray ha identificato una correlazione moderata, con un coefficiente r di circa 0,4, tra la presenza della fase QBOW a 30 hPa (circa 24 km di altitudine) e un aumento del numero di uragani annuali. Tale correlazione risultava statisticamente significativa al livello del 5%, suggerendo che i venti occidentali stratosferici potessero modulare le condizioni troposferiche favorevoli alla ciclogenesi, come la riduzione del wind shear verticale o l’alterazione della stabilità atmosferica. Tuttavia, la limitata estensione temporale del dataset e l’assenza di un meccanismo fisico chiaro lasciavano aperte diverse interpretazioni.
Questa ipotesi è stata successivamente messa in discussione da Camargo e Sobel (2010), i quali hanno esteso l’analisi a un periodo più lungo, includendo dati fino al primo decennio del XXI secolo. I loro risultati hanno mostrato che la correlazione proposta da Gray non si mantiene robusta su scale temporali più ampie, né utilizzando altri livelli di pressione stratosferica per definire la QBO. Gli autori hanno avanzato due possibili spiegazioni per questa discrepanza. La prima considera l’ipotesi che la relazione osservata da Gray fosse un artefatto statistico, derivante da fluttuazioni casuali in un campione di dati limitato. La seconda suggerisce che un cambiamento nello stato di fondo dell’atmosfera, possibly legato a variabilità climatica su scala multidimensionale (ad esempio, l’influenza dell’Oscillazione Decadale del Pacifico o il riscaldamento globale), possa aver alterato l’efficacia del meccanismo fisico sottostante. Nonostante queste speculazioni, Camargo e Sobel non sono riusciti a individuare un cambiamento specifico e misurabile nel sistema climatico che potesse spiegare tale evoluzione, lasciando la questione aperta a ulteriori indagini.
Parallelamente, l’interesse scientifico si è esteso oltre la mera frequenza dei cicloni, includendo altri aspetti del loro comportamento, come le traiettorie. Quantificare l’influenza della QBO su questi parametri si è rivelato complesso a causa della natura multidimensionale dei fattori in gioco e della difficoltà nel distinguere segnali significativi dal rumore statistico. Nel Pacifico Occidentale, Ho et al. (2009) hanno fornito evidenze di un’associazione tra la fase della QBO e le traiettorie dei cicloni tropicali. In particolare, hanno osservato che durante la fase QBOE i cicloni tendono a seguire percorsi più occidentali, mentre nella fase QBOW si registrano spostamenti verso latitudini più settentrionali. Questo effetto è stato attribuito a variazioni nei pattern di circolazione troposferica indotte dalla QBO, come la modulazione del flusso di venti subtropicali o l’interazione con la cella di Hadley. Tuttavia, gli autori non hanno riscontrato impatti significativi sulla frequenza o sull’intensità dei cicloni, suggerendo che l’influenza della QBO si limiti a dinamiche spaziali piuttosto che energetiche.
Un’analisi regionale complementare è stata condotta da Fadnavis et al. (2014) nella Baia del Bengala, un’area nota per la sua vulnerabilità ai cicloni tropicali. Questo studio ha evidenziato una dipendenza più marcata dalla QBO, con un aumento della frequenza dei cicloni durante la fase QBOE rispetto alla QBOW. Inoltre, le traiettorie mostravano una chiara dicotomia: i cicloni in fase QBOE si spostavano prevalentemente verso ovest e nord-ovest, mentre in fase QBOW tendevano a dirigersi verso nord e nord-est. Questi pattern sono stati interpretati come il risultato di interazioni tra i venti stratosferici e la dinamica del monsone indiano, che influenza la struttura barica regionale e il gradiente termico troposferico. L’eterogeneità regionale emersa da questi studi sottolinea la complessità delle connessioni tra QBO e cicloni tropicali, suggerendo che i meccanismi fisici possano variare in base al contesto geografico e stagionale.
Un approccio distinto è stato adottato negli studi sull’intensità potenziale dei cicloni tropicali, un parametro teorico che rappresenta il limite massimo di intensità raggiungibile da un ciclone in base alle condizioni ambientali su larga scala. Diversamente dalle analisi basate su osservazioni dirette di frequenza o traiettorie, l’intensità potenziale integra variabili dinamiche (ad esempio, il wind shear) e termodinamiche (come la temperatura superficiale del mare e l’umidità atmosferica). Sebbene la QBO possa influenzare indirettamente tali variabili attraverso effetti a cascata dalla stratosfera alla troposfera, la sua rilevanza in questo contesto rimane meno esplorata. Per approfondimenti su questo aspetto, si rimanda alla Sezione 3.3 del documento originale, che presumibilmente delinea i dettagli metodologici e i risultati specifici.
Discussione e implicazioni
Le evidenze accumulate indicano che la QBO esercita un’influenza modulatrice sui cicloni tropicali, ma la natura e l’entità di tale influenza variano significativamente tra regioni e parametri considerati. La perdita di significatività statistica nel tempo, come evidenziato da Camargo e Sobel (2010), solleva interrogativi sulla stabilità di queste relazioni in un clima in rapido cambiamento. Il riscaldamento globale, con il conseguente aumento delle temperature superficiali degli oceani e l’alterazione dei pattern di circolazione atmosferica, potrebbe aver modificato i meccanismi attraverso cui la QBO interagisce con la troposfera, rendendo obsolete alcune correlazioni storiche. Inoltre, la limitata risoluzione temporale e spaziale dei dati stratosferici, combinata con la complessità dei processi di feedback tra oceano e atmosfera, rende difficile isolare il segnale della QBO da altre forzanti climatiche, come El Niño-Southern Oscillation (ENSO) o l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO).
Dal punto di vista metodologico, gli studi citati evidenziano la necessità di approcci integrati che combinino osservazioni a lungo termine, modelli numerici ad alta risoluzione e analisi statistiche avanzate per discernere cause ed effetti. Futuri lavori potrebbero beneficiare dell’uso di dataset satellitari più estesi (ad esempio, da missioni come ERA5 o MERRA-2) e di simulazioni climatiche che includano una rappresentazione dettagliata della stratosfera, al fine di testare i meccanismi fisici proposti e valutare la loro evoluzione nel tempo.
Conclusioni
In sintesi, la relazione tra la QBO e i cicloni tropicali rimane un campo di ricerca attivo e controverso. Sebbene gli studi iniziali di Gray (1984) abbiano suggerito un legame promettente, le analisi successive hanno messo in luce la fragilità di tali connessioni su scale temporali estese. Le evidenze regionali, come quelle di Ho et al. (2009) e Fadnavis et al. (2014), confermano che la QBO può influenzare le traiettorie e, in alcuni casi, la frequenza dei cicloni, ma la sua rilevanza complessiva appare subordinata a fattori climatici più dominanti. L’esplorazione dell’intensità potenziale offre una prospettiva complementare, ma richiede ulteriori approfondimenti per chiarirne il ruolo. Questo corpo di ricerca sottolinea l’importanza di un approccio multidisciplinare per comprendere appieno le interazioni tra variabilità stratosferica e dinamica troposferica, con implicazioni cruciali per la previsione e la mitigazione degli impatti dei cicloni tropicali in un clima globale in evoluzione.
Influenza della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) sui Monsoni e sulla Dinamica Subtropicale: una Revisione Critica
La Quasi-Biennial Oscillation (QBO) è un fenomeno stratosferico caratterizzato da un’oscillazione quasi-periodica dei venti zonali equatoriali, con un ciclo medio di circa 28 mesi che alterna fasi di venti occidentali (QBOW) e orientali (QBOE). Questo processo, ben noto nella letteratura scientifica, ha implicazioni che si estendono oltre la stratosfera, influenzando potenzialmente la dinamica troposferica e i pattern climatici su scala globale. Tra i vari effetti ipotizzati, particolare attenzione è stata dedicata alla modulazione dei monsoni tropicali, con un focus specifico sul Monsone Estivo Indiano (ISM), e alla propagazione del segnale QBO nelle regioni subtropicali, dove interagisce con strutture atmosferiche chiave come il getto subtropicale. Questa analisi esplora in dettaglio tali connessioni, integrando evidenze osservative e riflessioni teoriche.
Influenza della QBO sul Monsone Estivo Indiano (ISM)
Il Monsone Estivo Indiano rappresenta un elemento cardine del sistema climatico dell’Asia meridionale, responsabile della fornitura di precipitazioni essenziali per l’agricoltura, la gestione delle risorse idriche e la stabilità socio-economica di una regione che ospita oltre un miliardo di persone. La possibilità che la QBO possa influenzare l’ISM, e quindi offrire un potenziale strumento predittivo, ha suscitato un interesse scientifico significativo sin dagli anni ’80. Studi pionieristici, come quelli di Mukherjee et al. (1985) e Bhalme (1987), hanno suggerito correlazioni tra le fasi della QBO e variazioni nell’intensità o nella distribuzione delle precipitazioni monsoniche, ipotizzando che i venti stratosferici potessero alterare la circolazione troposferica su larga scala, come la posizione della Zona di Convergenza Intertropicale (ITCZ) o del Trogolo Monsonico.
Tuttavia, tali connessioni si sono rivelate elusive. Le analisi statistiche condotte su dataset osservativi limitati non hanno fornito evidenze robuste di una relazione lineare e consistente, probabilmente a causa della complessità dei fattori che governano l’ISM, tra cui la temperatura superficiale del mare (SST) nell’Oceano Indiano, l’interazione con El Niño-Southern Oscillation (ENSO) e le fluttuazioni intra-stagionali. Madhu (2014) ha successivamente ripreso questa linea di ricerca, esplorando possibili meccanismi fisici, come l’influenza della QBO sulla stabilità verticale dell’atmosfera o sulla propagazione di onde planetarie che modulano il flusso monsonico. Nonostante questi sforzi, la mancanza di una chiara significatività statistica ha limitato la possibilità di trarre conclusioni definitive.
Un contributo più specifico è stato offerto da Claud e Terray (2007), i quali hanno analizzato la variabilità temporale della relazione QBO-ISM all’interno della stagione monsonica (giugno-settembre). I loro risultati indicano che, mentre l’influenza della QBO appare debole nei mesi iniziali di giugno e luglio – quando il monsone è dominato da forzanti troposferiche e oceaniche – essa potrebbe intensificarsi in agosto e settembre. In questa fase tardiva della stagione, la QBO potrebbe modulare la distribuzione delle precipitazioni attraverso effetti indiretti sulla dinamica stratosferica-troposferica, come variazioni nel wind shear verticale o nella posizione dei sistemi convettivi. Sebbene la correlazione rimanga moderata, Claud e Terray suggeriscono che tale segnale potrebbe avere un’utilità pratica per le previsioni stagionali, specialmente in contesti operativi che richiedono una maggiore risoluzione temporale. Questa stagionalità nell’influenza della QBO richiede ulteriori indagini, possibilmente attraverso modelli numerici che integrino una rappresentazione dettagliata della stratosfera.
Dal punto di vista fisico, un’ipotesi plausibile è che la QBO influenzi l’ISM alterando la temperatura stratosferica equatoriale, con conseguenti effetti a cascata sulla circolazione meridionale e sulla profondità della convezione tropicale. Tuttavia, la sovrapposizione di altre forzanti climatiche, come il ciclo ENSO o l’Oscillazione Madden-Julian (MJO), complica l’isolamento del segnale QBO, rendendo necessaria un’analisi multivariata su dataset a lungo termine per confermare tali meccanismi.
Propagazione del Segnale QBO nei Subtropici
La connessione dinamica tra tropici e subtropici offre un ulteriore ambito di studio per comprendere gli effetti della QBO. La propagazione del segnale QBO nelle regioni subtropicali è stata documentata attraverso numerosi studi basati su dati di rianalisi, come ERA-Interim ed ERA5, che evidenziano un’impronta chiara nei venti zonali subtropicali mediati zonamente. Ricerche condotte da Crooks e Gray (2005), Inoue et al. (2011), Anstey e Shepherd (2014), Brönnimann et al. (2016) e Gray et al. (2018) hanno mostrato che le fasi QBOE e QBOW, definite sulla base dei venti nella stratosfera inferiore (circa 50-30 hPa), si riflettono in uno spostamento latitudinale del getto subtropicale. In particolare, la fase QBOE tende a favorire un’espansione verso i poli del getto, mentre la QBOW è associata a uno spostamento verso l’equatore.
Questo segnale non è limitato alla quota del getto subtropicale (tipicamente situato tra 200 e 300 hPa), ma si estende in profondità attraverso la troposfera superiore e la stratosfera inferiore, evidenziando un’interazione verticale significativa. La struttura latitudinale e l’ampiezza di questa modulazione variano stagionalmente, con differenze marcate tra i mesi invernali ed estivi dell’emisfero nord. Tuttavia, la mancanza di studi sistematici sulla variazione stagionale rappresenta una lacuna nella letteratura. Gray et al. (2018) hanno fornito un’analisi preliminare della variabilità mensile da novembre a marzo, suggerendo che il segnale QBO raggiunga il picco durante l’inverno boreale, quando il gradiente termico subtropicale è più pronunciato. Inoue et al. (2011) e Inoue e Takahashi (2013) hanno approfondito la struttura tridimensionale del segnale, con un’enfasi sulla sua variabilità longitudinale, particolarmente evidente nella regione asiatica durante l’autunno boreale.
Un esempio regionale significativo è stato riportato da Seo et al. (2013), i quali hanno identificato un segnale QBO nella latitudine del Getto dell’Asia Orientale durante la primavera boreale. Questo spostamento si correla con variazioni nelle precipitazioni nel Pacifico Nord-occidentale, influenzando aree densamente popolate come Cina, Giappone e Corea. Analogamente, Garfinkel e Hartmann (2011) hanno osservato che, nell’inverno dell’emisfero nord, il getto subtropicale nel settore del Pacifico si sposta verso i poli durante la QBOE e verso l’equatore durante la QBOW, mentre nel settore atlantico il comportamento è distintamente diverso, suggerendo una dipendenza regionale dai pattern di circolazione. Wang et al. (2018a) hanno esteso questa analisi, esplorando le implicazioni per le traiettorie delle tempeste subtropicali, che mostrano deviazioni coerenti con gli spostamenti del getto.
Dal punto di vista dinamico, il segnale QBO nei subtropici è attribuito alla propagazione meridionale di onde di Rossby indotte dalla divergenza dei venti stratosferici equatoriali, un processo noto come “Via Subtropicale” (Subtropical Pathway). Questo meccanismo potrebbe teoricamente retroagire sulla troposfera tropicale, influenzando fenomeni come la convezione o i cicloni tropicali. Tuttavia, nessuno degli studi citati ha fornito evidenze conclusive di un feedback significativo verso i tropici, lasciando aperta la questione della portata complessiva di questa interazione.
Discussione e Prospettive
Le evidenze relative all’influenza della QBO sull’ISM e sui subtropici rivelano un quadro complesso. Per il monsone indiano, il segnale appare stagionalmente variabile e subordinato ad altre forzanti climatiche, suggerendo che la QBO possa agire come un modulatore secondario piuttosto che come un driver primario. Nei subtropici, il segnale è più robusto e ben documentato, ma la sua rilevanza pratica rimane limitata dall’assenza di una comprensione completa delle variazioni stagionali e longitudinali. Entrambi i contesti evidenziano la necessità di modelli climatici avanzati che rappresentino accuratamente le interazioni stratosfera-troposfera, integrando osservazioni satellitari e dati di rianalisi a lungo termine.
Le implicazioni di questi studi sono rilevanti sia per la previsione meteorologica che per la modellazione climatica. Nel caso dell’ISM, un miglioramento della comprensione del ruolo della QBO potrebbe affinare le previsioni stagionali, con benefici per la pianificazione agricola e la gestione dei rischi idrici. Nei subtropici, la modulazione del getto subtropicale da parte della QBO potrebbe influenzare la distribuzione delle precipitazioni e la frequenza di eventi estremi, con ricadute su scala regionale.
Conclusioni
In conclusione, la QBO esercita un’influenza significativa ma eterogenea sui monsoni e sulla dinamica subtropicale. Per l’ISM, la connessione è più promettente in agosto-settembre, ma richiede ulteriori conferme statistiche e fisiche. Nei subtropici, il segnale QBO è evidente nel getto subtropicale, con variazioni stagionali e regionali che meritano un’analisi più sistematica. Questi risultati sottolineano l’importanza di un approccio integrato per decifrare le interazioni tra stratosfera e troposfera, offrendo spunti per future ricerche e applicazioni operative nel contesto del cambiamento climatico globale.
3.2 Impatti delle Dinamiche Stratosferiche Extratropicali, inclusi i Riscaldamenti Stratosferici Improvvisi, sulla Troposfera Tropicale: un’Analisi Approfondita
Le dinamiche stratosferiche extratropicali, in particolare durante i mesi invernali, rappresentano un elemento chiave per comprendere le interazioni tra stratosfera e troposfera su scala globale. Il vortice polare stratosferico, dominante nell’emisfero nord (NH) durante l’inverno boreale, è soggetto a perturbazioni intermittenti causate dalla propagazione verso l’alto di onde di Rossby su scala planetaria generate nella troposfera. Queste onde, originate da anomalie nei pattern di pressione troposferici (ad esempio, sistemi di alta pressione subtropicale o depressioni extratropicali), trasportano momento angolare e energia nella stratosfera, destabilizzando il vortice polare. Gli eventi più estremi di questa destabilizzazione sono noti come Riscaldamenti Stratosferici Improvvisi (SSW), caratterizzati da un rapido aumento della temperatura stratosferica polare (fino a 50°C in pochi giorni) e un’inversione o un indebolimento significativo dei venti zonali occidentali (Butler et al., 2017). Tuttavia, anche perturbazioni dinamiche meno intense, che non soddisfano i criteri formali per essere classificate come SSW, possono generare effetti rilevanti, estendendosi orizzontalmente attraverso la stratosfera fino ai tropici e persino nell’emisfero opposto.
Propagazione del Segnale Stratosferico verso i Tropici
La propagazione orizzontale delle anomalie dinamiche associate a questi eventi extratropicali ha un impatto significativo sulla stratosfera tropicale, in particolare nella sua porzione inferiore (circa 70-100 hPa). Studi pionieristici, come quelli di Dunkerton et al. (1981) e Randel (1993), hanno documentato che tali perturbazioni inducono un raffreddamento nella stratosfera inferiore tropicale, un fenomeno attribuito alla ridistribuzione meridionale del calore e al rafforzamento della circolazione Brewer-Dobson (BDC). Questa circolazione, che trasporta aria dalla troposfera tropicale verso la stratosfera e successivamente verso le alte latitudini, subisce variazioni durante gli SSW, con un’accelerazione del ramo discendente che contribuisce al raffreddamento tropicale. Ricerche più recenti, come quelle di Taguchi (2011) e Gómez-Escobar et al. (2014), hanno confermato che questo effetto si estende oltre i confini dell’emisfero di origine, influenzando la stratosfera inferiore dell’emisfero opposto e creando un’impronta dinamica inter-emisferica.
Li e Thompson (2013) hanno approfondito le implicazioni di queste variazioni di temperatura, dimostrando una correlazione tra le anomalie termiche nella stratosfera inferiore tropicale e la nuvolosità al livello della tropopausa. Questo legame suggerisce un possibile meccanismo di trasferimento del segnale stratosferico alla troposfera tropicale: il raffreddamento stratosferico potrebbe alterare la stabilità termodinamica al confine tra troposfera e stratosfera, influenzando la formazione di nubi alte (come i cirri) e, di conseguenza, il bilancio radiativo locale. Tale processo rappresenta una via indiretta attraverso cui le dinamiche extratropicali possono modulare il clima troposferico tropicale, con potenziali ripercussioni sui pattern di precipitazione e sulla dinamica convettiva.
Effetti Troposferici degli SSW nei Tropici
Un filone di ricerca significativo, guidato da Kodera e collaboratori (Kodera, 2006; Eguchi e Kodera, 2007, 2010; Kodera et al., 2011a, 2015), ha esplorato gli effetti diretti degli SSW sulla troposfera tropicale. Questi studi hanno evidenziato che il raffreddamento della stratosfera inferiore tropicale indotto dagli SSW può propagarsi verso il basso, influenzando la troposfera per un periodo variabile tra due settimane e un mese. Le osservazioni indicano che tali eventi, durante l’inverno dell’emisfero nord, sono frequentemente associati a una dicotomia convettiva tra gli emisferi equatoriali: una soppressione della convezione nell’emisfero nord equatoriale (inverno) e un enhancement della convezione nell’emisfero sud equatoriale (estate). Questi cambiamenti si manifestano attraverso variazioni misurabili nella radiazione a onda lunga uscente (OLR), nelle precipitazioni e nella nuvolosità ad alta quota, suggerendo un’alterazione dei processi convettivi su scala regionale.
L’entità e la distribuzione geografica di questi effetti variano da evento a evento, riflettendo la diversità delle configurazioni dinamiche degli SSW. Bal et al. (2017) hanno ulteriormente specificato che questa risposta convettiva è particolarmente pronunciata negli SSW di tipo “vortex-split”, in cui il vortice polare si divide in due lobi distinti, rispetto agli SSW di tipo “displacement”, in cui il vortice viene semplicemente spostato dal polo. Durante i vortex-split SSW, la soppressione della convezione nell’NH equatoriale e l’enhancement nell’SH equatoriale raggiungono un’intensità maggiore, probabilmente a causa di una più forte modulazione della circolazione meridionale e di un’interazione più diretta con la Cella di Hadley.
Questa firma convettiva presenta somiglianze con il segnale associato alla fase orientale della Quasi-Biennial Oscillation (QBOE), descritto nella Sezione 3.1a, anch’essa caratterizzata da temperature fredde nella stratosfera inferiore tropicale e da un enhancement delle precipitazioni nell’emisfero estivo. Tuttavia, un’importante distinzione risiede nella scala latitudinale delle anomalie termiche: mentre il segnale della QBOE è confinato a una banda ristretta (15°S – 15°N), l’anomalia indotta dagli SSW si estende su una regione più ampia (40°S – 40°N), come documentato da Randel e Wu (2015). Questa maggiore estensione latitudinale potrebbe amplificare l’impatto degli SSW sulla convezione tropicale, consentendo un’interazione più diretta con l’upwelling della Cella di Hadley nell’emisfero estivo e influenzando pattern precipitativi su una scala spaziale più ampia rispetto alla QBO.
Caso Studio: l’SSW dell’Emisfero Sud del 2002
Un caso particolare è stato analizzato da Eguchi e Kodera (2007), che hanno studiato le risposte troposferiche tropicali associate all’eccezionale SSW dell’emisfero sud di settembre 2002 – il primo evento maggiore documentato nell’SH. Questo SSW, verificatosi in tarda primavera australe, ha indotto un raffreddamento significativo nella stratosfera inferiore tropicale, con effetti che si sono propagati nella troposfera. Le osservazioni hanno rivelato un’alterazione dei pattern convettivi, con un incremento della nuvolosità e delle precipitazioni nell’emisfero nord equatoriale (estate boreale) e una soppressione nell’emisfero sud equatoriale (inverno australe), invertendo la tipica risposta osservata negli SSW dell’NH. Questo evento ha sottolineato la capacità delle dinamiche stratosferiche extratropicali di influenzare i tropici indipendentemente dall’emisfero di origine, evidenziando la complessità delle interazioni inter-emisferiche.
Discussione Scientifica
I meccanismi fisici alla base di questi effetti coinvolgono un’interazione complessa tra stratosfera e troposfera. Il raffreddamento della stratosfera inferiore tropicale, indotto dalla dinamica degli SSW, può alterare il gradiente termico verticale attraverso la tropopausa, influenzando la stabilità atmosferica e la formazione di sistemi convettivi. Inoltre, la modulazione della Cella di Hadley, amplificata dalla maggiore estensione latitudinale del segnale SSW rispetto alla QBO, potrebbe spiegare la dicotomia tra enhancement e soppressione convettiva tra gli emisferi equatoriali. Tuttavia, fattori come la variabilità intra-stagionale (ad esempio, l’Oscillazione Madden-Julian) e le condizioni superficiali degli oceani (SST) possono mascherare o amplificare questi segnali, rendendo difficile una generalizzazione.
Dal punto di vista metodologico, gli studi citati si basano su una combinazione di osservazioni satellitari (ad esempio, dati OLR da NOAA), rianalisi atmosferiche (come ERA5) e modelli numerici. La sfida principale rimane la separazione del segnale SSW da altre forzanti climatiche, richiedendo analisi statistiche avanzate e simulazioni ad alta risoluzione che includano una rappresentazione dettagliata della stratosfera.
Implicazioni e Prospettive
Questi risultati hanno implicazioni significative per la previsione meteorologica e climatica tropicale. La capacità degli SSW di modulare la convezione e le precipitazioni potrebbe migliorare la previsione a breve e medio termine di eventi estremi nei tropici, come siccità o inondazioni stagionali. Inoltre, comprendere il ruolo della stratosfera come driver remoto della variabilità troposferica tropicale può affinare i modelli climatici globali, specialmente in scenari di cambiamento climatico che prevedono un’alterazione della frequenza e dell’intensità degli SSW.
Conclusioni
In sintesi, le dinamiche stratosferiche extratropicali, in particolare gli SSW, esercitano un’influenza misurabile sulla troposfera tropicale attraverso il raffreddamento della stratosfera inferiore e la modulazione della convezione equatoriale. Gli effetti, che si manifestano con una soppressione nell’emisfero invernale e un enhancement nell’emisfero estivo, variano in base al tipo di SSW e alla loro estensione latitudinale, distinguendosi dal segnale più ristretto della QBO. L’analisi dell’SSW del 2002 nell’SH conferma la portata globale di questi fenomeni. Questi studi sottolineano l’importanza di un approccio integrato per decifrare le interazioni stratosfera-troposfera, aprendo nuove prospettive per la ricerca e l’applicazione pratica nel contesto climatico moderno.
Le interazioni tra la stratosfera extratropicale e la troposfera tropicale rappresentano un campo di ricerca complesso e cruciale per comprendere i processi di accoppiamento atmosferico su scala globale. Eventi dinamici nella stratosfera invernale, come i Riscaldamenti Stratosferici Improvvisi (SSW), gli eventi di intensificazione del vortice (VI) e il rafforzamento del getto subtropicale stratosferico, possono generare segnali che si propagano sia orizzontalmente che verticalmente, influenzando regioni lontane dal loro punto di origine. Uno degli effetti più evidenti di tali perturbazioni è il raffreddamento della stratosfera inferiore tropicale, osservato per circa 10 giorni successivi a un riscaldamento ad alta latitudine, come nel caso degli SSW. Questo fenomeno è accompagnato da variazioni misurabili in diversi indicatori della troposfera tropicale, tra cui la radiazione a onda lunga uscente (OLR), le precipitazioni e la distribuzione della nuvolosità, suggerendo un’alterazione della circolazione troposferica e dell’attività convettiva.
Osservazioni dei Cambiamenti Troposferici Associati agli Eventi Stratosferici
Il raffreddamento della stratosfera inferiore tropicale (70-100 hPa) è una risposta dinamica ben documentata agli SSW, attribuita all’accelerazione della circolazione Brewer-Dobson (BDC) durante questi eventi. Tale raffreddamento modifica il gradiente termico verticale attraverso la tropopausa, influenzando la stabilità atmosferica e i processi convettivi sottostanti. Studi come quelli di Kuroda (2008) e Kodera et al. (2017) hanno esteso questa analisi oltre gli SSW, identificando cambiamenti troposferici tropicali associati a eventi di intensificazione del vortice polare (VI) e al rafforzamento del getto subtropicale nella stratosfera superiore (10-50 hPa). Questi eventi, pur differendo nella loro dinamica interna, condividono con gli SSW un impatto significativo sulle temperature stratosferiche tropicali, che si manifesta attraverso un’anomalia fredda coerente con la redistribuzione meridionale del calore e del momento angolare.
Le osservazioni mostrano che tali cambiamenti stratosferici sono correlati a variazioni nella troposfera tropicale, come la soppressione o l’enhancement della convezione in regioni specifiche. Tuttavia, un limite fondamentale degli studi osservativi è la difficoltà di stabilire una chiara relazione causale. La troposfera tropicale è caratterizzata da una forte variabilità interna su scale temporali settimanali, guidata da fenomeni come l’Oscillazione Madden-Julian (MJO) o fluttuazioni delle temperature superficiali del mare (SST). Di conseguenza, distinguere gli effetti indotti dalla stratosfera da questa variabilità intrinseca richiede un’analisi rigorosa. Per superare questa sfida, Noguchi et al. (2020) hanno condotto uno studio modellistico focalizzato sull’eccezionale perturbazione del vortice polare dell’emisfero sud (SH) di settembre 2019. Utilizzando simulazioni numeriche ad alta risoluzione, gli autori hanno fornito evidenze più solide di una relazione causa-effetto, dimostrando che il raffreddamento stratosferico tropicale ha direttamente influenzato la convezione troposferica per quell’evento specifico. I risultati, dettagliati nella Sezione 4.1b e illustrati nella Fig. 8, rappresentano un passo avanti nella comprensione di questi processi, sebbene rimangano limitati a un caso singolo.
Meccanismi di Accoppiamento: la Via Tropicale e Oltre
Il principale meccanismo di accoppiamento tra la stratosfera extratropicale invernale e la troposfera tropicale è noto come “Via Tropicale” (Tropical Pathway), che si basa sulla propagazione diretta del segnale dinamico attraverso la stratosfera inferiore. Durante un SSW o un evento VI, le onde di Rossby planetarie perturbano il vortice polare, generando anomalie di temperatura e vento che si estendono orizzontalmente verso i tropici. Questo processo altera la struttura termica e dinamica della stratosfera tropicale, con effetti che si propagano verso il basso nella troposfera attraverso variazioni della pressione geopotenziale e del wind shear verticale. Tuttavia, Kuroda (2008) ha proposto un meccanismo complementare, suggerendo che nelle fasi successive di questi eventi il segnale dinamico possa propagarsi anche orizzontalmente all’interno della troposfera, dalle medie alle basse latitudini. Questo percorso troposferico, discusso nella Sezione 2.2, potrebbe amplificare o modulare gli effetti iniziali, contribuendo a una risposta più complessa nei pattern convettivi tropicali.
Ruolo delle Intrusioni di Vorticità Potenziale Subtropicale
Un aspetto alternativo dell’influenza stratosferica sulla troposfera tropicale è stato esplorato da Sridharan e Sathiskumar (2011), che hanno osservato un marcato aumento della convezione nella regione del Continente Marittimo (ad esempio, Indonesia e Malesia) durante le fasi iniziali di un SSW. Questo enhancement, indicato da una riduzione dell’OLR, è stato attribuito a intrusioni di vorticità potenziale (PV) a livello della tropopausa nelle stesse longitudini. Le intrusioni di PV subtropicali si verificano quando filamenti d’aria con valori di PV stratosferici elevati si estendono verso l’equatore nella troposfera superiore tropicale (~200-150 hPa), un fenomeno noto per stimolare la convezione profonda (Kiladis, 1998; Kiladis e Weickmann, 1992). Queste intrusioni destabilizzano l’atmosfera locale, favorendo l’ascensione di masse d’aria umida e la formazione di sistemi convettivi intensi.
Albers et al. (2016) hanno ampliato questa analisi, dimostrando un’associazione sistematica tra SSW e intrusioni di PV subtropicali su scala globale. Gli autori suggeriscono che la distorsione del campo di PV su larga scala nella stratosfera media durante un SSW possa influenzare la circolazione a livelli inferiori attraverso l’operatore di inversione della PV, che è non locale verticalmente. Questo processo dinamico potrebbe predisporre la troposfera subtropicale alla formazione di intrusioni, creando una “Via Subtropicale” (Subtropical Pathway, illustrata nella Fig. 1b) per l’influenza degli SSW sulla convezione tropicale. Tuttavia, Albers et al. rimangono cauti nell’attribuire una relazione causale diretta, sottolineando che le intrusioni di PV potrebbero essere amplificate da fattori troposferici concorrenti, come il wind shear o la presenza di onde di Rossby equatoriali.
Discussione Scientifica
La pluralità dei meccanismi proposti – la Via Tropicale, la propagazione troposferica e la Via Subtropicale – evidenzia la complessità dell’accoppiamento stratosfera-troposfera. La Via Tropicale è il percorso più diretto, con il raffreddamento stratosferico che altera la stabilità troposferica e i pattern convettivi attraverso cambiamenti locali nella tropopausa. La propagazione troposferica suggerita da Kuroda (2008) offre un meccanismo secondario, potenzialmente rilevante nelle fasi di decadimento degli eventi stratosferici, quando la circolazione troposferica subtropicale può amplificare il segnale verso i tropici. La Via Subtropicale, mediata dalle intrusioni di PV, introduce un’interazione indiretta, in cui le dinamiche stratosferiche modulano la troposfera tropicale attraverso regioni intermedie, con una forte dipendenza dalla struttura longitudinale degli eventi.
Le evidenze osservative, sebbene suggestive, sono limitate dalla variabilità interna della troposfera tropicale e dalla difficoltà di isolare i segnali stratosferici da altre forzanti, come ENSO o la MJO. Gli studi modellistici, come quello di Noguchi et al. (2020), offrono una soluzione promettente, consentendo di testare ipotesi causali in un ambiente controllato. Tuttavia, la generalizzabilità di tali risultati rimane incerta, data la diversità degli eventi stratosferici in termini di intensità, durata e configurazione dinamica (ad esempio, SSW di tipo “split” vs “displacement”).
Implicazioni e Prospettive Future
Questi studi hanno implicazioni significative per la previsione meteorologica e climatica. La capacità degli eventi stratosferici di influenzare la convezione tropicale potrebbe migliorare la predicibilità di eventi estremi, come piogge intense o siccità, su scale temporali da settimanali a stagionali. Inoltre, comprendere il ruolo delle intrusioni di PV potrebbe affinare le previsioni regionali nei tropici e subtropici, specialmente in aree sensibili come il Continente Marittimo. Sul lungo termine, questi processi potrebbero modulare la risposta del clima tropicale al cambiamento globale, considerando che la frequenza e l’intensità degli SSW potrebbero variare in un’atmosfera più calda.
Per superare le attuali incertezze, sono necessari ulteriori studi che combinino osservazioni satellitari (ad esempio, dati OLR e PV da ERA5), analisi statistiche multivariate e modelli ad alta risoluzione con una rappresentazione dettagliata della stratosfera e della troposfera superiore. Un focus particolare dovrebbe essere posto sulla variabilità longitudinale degli effetti e sulla stagionalità delle risposte troposferiche.
Conclusioni
In sintesi, le dinamiche stratosferiche extratropicali, inclusi SSW, VI e il rafforzamento del getto subtropicale, esercitano un’influenza significativa sulla troposfera tropicale attraverso molteplici percorsi. Il raffreddamento della stratosfera inferiore tropicale, le intrusioni di PV subtropicali e la propagazione troposferica rappresentano meccanismi complementari che collegano questi due regimi atmosferici. Sebbene le evidenze osservative suggeriscano un legame, la causalità rimane difficile da dimostrare senza il supporto di modelli avanzati, come dimostrato da Noguchi et al. (2020). Questi risultati sottolineano l’importanza di un approccio integrato per decifrare le interazioni stratosfera-troposfera, con implicazioni cruciali per la comprensione del clima tropicale e la sua variabilità.
3.3 Impatto delle Tendenze Recenti della Temperatura Stratosferica Tropicale sull’Intensità dei Cicloni Tropicali: un’Analisi Approfondita
I cicloni tropicali sono fenomeni atmosferici di straordinaria rilevanza, sia per i loro impatti socio-economici che per la loro sensibilità ai cambiamenti climatici globali. Comprendere le cause fisiche delle tendenze osservate nella loro intensità e sviluppare proiezioni affidabili su come tali tempeste evolveranno in un clima futuro rappresentano sfide scientifiche di primaria importanza. Le proiezioni a lungo termine, corroborate da numerosi studi, suggeriscono che il riscaldamento globale di origine antropogenica porterà a un incremento dell’intensità media dei cicloni tropicali su scala globale, favorendo lo sviluppo di tempeste più potenti e distruttive (Knutson et al., 2010, e riferimenti therein). Questo trend è attribuito principalmente all’aumento delle temperature superficiali degli oceani, che forniscono l’energia termodinamica necessaria alla genesi e al rafforzamento di questi sistemi. Tuttavia, evidenze emergenti indicano che i cambiamenti nell’intensità dei cicloni tropicali potrebbero essere già in atto, sollevando interrogativi sulle dinamiche sottostanti e sul ruolo di fattori atmosferici meno esplorati, come le variazioni di temperatura nella troposfera superiore e nella stratosfera inferiore tropicale.
Evidenze di un’Intensità Crescente dei Cicloni Tropicali
Osservazioni recenti hanno suggerito che l’intensità dei cicloni tropicali sia aumentata negli ultimi decenni. Emanuel (2005) ha documentato un incremento dell’energia dissipata dai cicloni tropicali, calcolata attraverso indici che combinano velocità del vento e durata delle tempeste, evidenziando un possibile legame con il riscaldamento globale. Parallelamente, Elsner et al. (2008) e Kossin et al. (2013) hanno riportato un aumento dell’intensità delle tempeste più forti, con un’evidente crescita della frequenza dei cicloni che raggiungono le categorie più elevate della scala Saffir-Simpson. Queste tendenze, sebbene non uniformi su tutte le regioni oceaniche, suggeriscono che il sistema climatico stia già rispondendo a forzanti antropogeniche, con implicazioni significative per la vulnerabilità delle aree costiere.
Tradizionalmente, gran parte della ricerca si è concentrata sul ruolo della temperatura superficiale del mare (SST) come driver primario dell’intensità dei cicloni tropicali. L’SST influenza direttamente la disponibilità di energia termica e l’umidità atmosferica nella bassa troposfera, due elementi fondamentali per la formazione e il mantenimento dei cicloni. Tuttavia, studi più recenti hanno spostato l’attenzione su un aspetto complementare: il contributo delle variazioni di temperatura nella troposfera superiore e nella stratosfera inferiore, regioni che modulano la struttura verticale dell’atmosfera e possono alterare i limiti teorici dell’intensità ciclonica.
Il Concetto di Intensità Potenziale e il Ruolo della Temperatura di Outflow
Un quadro teorico centrale in questa analisi è il concetto di “intensità potenziale”, che rappresenta il limite massimo dell’intensità che un ciclone tropicale può raggiungere in determinate condizioni ambientali. Questo parametro, sviluppato da Emanuel (1986) e successivamente raffinato da Bister ed Emanuel (2002), dipende da un equilibrio tra fattori termodinamici e dinamici, tra cui la temperatura superficiale del mare, la temperatura al livello di outflow (ossia la temperatura nella troposfera superiore o nella stratosfera inferiore dove i venti divergono), e le proprietà energetiche dell’atmosfera, come l’energia statica umida di saturazione. L’intensità potenziale è influenzata non solo dal calore immesso dal mare, ma anche dalla capacità dell’atmosfera di espellere questo calore attraverso i livelli superiori, un processo regolato dalla temperatura di outflow.
Emanuel et al. (2013), supportati da Wing et al. (2015), hanno analizzato l’evoluzione dell’intensità potenziale nella regione atlantica a partire dal 1990, riportando un aumento sistematico nel tempo (dettagli visibili nella Figura 6). Gli autori hanno attribuito questa tendenza, in larga parte, a una diminuzione della temperatura di outflow, ossia un raffreddamento al livello della tropopausa o nella stratosfera inferiore. Tale raffreddamento amplifica il gradiente termico verticale tra la superficie calda dell’oceano e gli strati superiori, aumentando l’efficienza termodinamica del ciclone e consentendo venti superficiali più intensi. Questa conclusione è stata corroborata dall’analisi di diversi dataset, tra cui tre serie di dati di rianalisi atmosferica e una derivata da radiosonde, sebbene non tutti i dataset abbiano mostrato una coerenza completa, evidenziando incertezze nella misurazione delle temperature stratosferiche.
Dibattito Scientifico e Nuove Prospettive
Il ruolo della temperatura di outflow ha scatenato un vivace dibattito nella comunità scientifica. Vecchi et al. (2013) e Ferrara et al. (2017) hanno messo in discussione l’idea che le temperature della tropopausa siano il fattore determinante, suggerendo che altri aspetti della struttura termica verticale, come la distribuzione dell’umidità o il gradiente di temperatura nella media troposfera, potrebbero avere un peso maggiore nel modulare l’intensità dei cicloni. Questi studi sottolineano la complessità del sistema atmosferico, in cui molteplici variabili interagiscono per definire il comportamento ciclonico, rendendo difficile isolare il contributo specifico della stratosfera inferiore.
Un approccio alternativo è stato proposto da Kossin (2015), che ha utilizzato le temperature di brillanza satellitare dell’outflow dei cicloni tropicali come proxy per valutare le tendenze dell’intensità potenziale. A differenza delle temperature derivate da rianalisi, che possono essere influenzate da bias modellistici, questo metodo si basa su osservazioni dirette delle nubi convettive associate ai cicloni. I risultati di Kossin indicano che, su scala globale, non è possibile identificare una tendenza chiara e significativa nell’intensità potenziale negli ultimi anni, contraddicendo in parte le conclusioni di Emanuel et al. per l’Atlantico. Questa discrepanza potrebbe riflettere variazioni regionali nelle tendenze termiche stratosferiche o differenze metodologiche nella stima delle temperature di outflow.
Contesto Climatico e Meccanismi Fisici
Le tendenze della temperatura nella stratosfera tropicale devono essere considerate nel contesto più ampio del cambiamento climatico. Mentre il riscaldamento troposferico è una risposta diretta all’aumento dei gas serra, la stratosfera inferiore tende a raffreddarsi a causa della maggiore emissione di radiazione infrarossa verso lo spazio e della deplezione dell’ozono stratosferico. Questo raffreddamento potrebbe amplificare l’intensità potenziale dei cicloni tropicali, poiché un outflow più freddo aumenta l’efficienza con cui l’energia termica viene convertita in energia cinetica. Tuttavia, l’interazione tra questi trend e altri fattori, come l’umidità atmosferica o il wind shear verticale, introduce ulteriori complessità. Ad esempio, un aumento del wind shear in alcune regioni potrebbe contrastare gli effetti del raffreddamento stratosferico, limitando l’intensificazione dei cicloni.
Dal punto di vista fisico, il raffreddamento della stratosfera inferiore influenza il profilo termodinamico del ciclone, modificando la pressione centrale e la velocità dei venti attraverso un processo noto come “ciclo di Carnot atmosferico”. Un outflow più freddo consente una maggiore espansione dell’aria calda e umida che sale dalla superficie, intensificando la convezione e rafforzando la struttura del ciclone. Questo meccanismo è particolarmente rilevante per i cicloni più intensi, che dipendono fortemente dalle condizioni al confine tra troposfera e stratosfera.
Discussione e Implicazioni
Il dibattito sull’influenza delle temperature stratosferiche sull’intensità dei cicloni tropicali riflette le sfide intrinseche alla modellazione di sistemi atmosferici complessi. Le discrepanze tra gli studi possono derivare da differenze nei dataset utilizzati (rianalisi vs. osservazioni dirette), dalla scala spaziale considerata (regionale vs. globale) o dalla difficoltà di separare i segnali climatici dalla variabilità naturale, come quella associata a ENSO o all’Oscillazione Quasi-Biennale (QBO). Inoltre, la potenziale intensificazione dei cicloni non è uniforme: regioni come l’Atlantico potrebbero essere più sensibili al raffreddamento stratosferico rispetto al Pacifico occidentale, dove altri fattori dominano.
Le implicazioni di questi risultati sono rilevanti sia per la previsione a breve termine che per le proiezioni climatiche a lungo termine. Se il raffreddamento della stratosfera inferiore contribuisce significativamente all’intensità dei cicloni, i modelli previsionali dovranno integrare meglio le dinamiche stratosferiche per migliorare la stima dei rischi associati. Sul lungo periodo, un aumento dell’intensità potenziale potrebbe amplificare gli impatti delle tempeste, con conseguenze per le infrastrutture, le popolazioni costiere e gli ecosistemi marini.
Conclusioni
In sintesi, le recenti tendenze di temperatura nella stratosfera tropicale emergono come un fattore potenzialmente significativo nell’evoluzione dell’intensità dei cicloni tropicali. Studi come quello di Emanuel et al. (2013) suggeriscono che il raffreddamento della stratosfera inferiore abbia contribuito a un aumento dell’intensità potenziale nell’Atlantico dagli anni ’90, mentre analisi globali, come quella di Kossin (2015), non confermano una tendenza universale. La temperatura di outflow si affianca alla SST come elemento critico nella modulazione dei cicloni, ma il suo ruolo esatto rimane oggetto di dibattito. Questi risultati evidenziano la necessità di ulteriori ricerche che integrino osservazioni avanzate, modelli numerici e analisi regionali per chiarire l’interazione tra stratosfera e troposfera nel contesto del cambiamento climatico, con implicazioni cruciali per la comprensione e la gestione dei rischi ciclonici futuri.

Analisi Dettagliata della Figura 6: Evoluzione delle Anomalie della Temperatura di Outflow e dell’Intensità Potenziale dei Cicloni Tropicali nell’Atlantico (1979-2010)
La Figura 6, tratta da Emanuel et al. (2013) e pubblicata con il permesso dell’American Meteorological Society, rappresenta un contributo fondamentale alla comprensione delle dinamiche che regolano l’intensità dei cicloni tropicali nel bacino atlantico, con un focus sulle variazioni della temperatura di outflow (To) e dell’intensità potenziale (Vp) nel periodo 1979-2010. La figura si articola in due pannelli distinti: il pannello di sinistra illustra le anomalie temporali della temperatura di outflow, mentre quello di destra mostra le corrispondenti anomalie dell’intensità potenziale. Entrambi i pannelli si basano su un approccio multi-dataset, integrando osservazioni dirette e dati di rianalisi per esplorare il legame tra le condizioni termiche stratosferiche e troposferiche e la potenziale intensificazione dei cicloni tropicali. Questa analisi si inserisce nel più ampio contesto della ricerca sul cambiamento climatico e sui suoi effetti sui fenomeni estremi, offrendo una prospettiva innovativa sul ruolo della stratosfera inferiore tropicale.
Pannello di Sinistra: Anomalie della Temperatura di Outflow (To)
Il pannello di sinistra riporta le anomalie della temperatura di outflow (To), definita come la temperatura media degli strati atmosferici superiori (generalmente tra 100 e 150 hPa, corrispondenti alla tropopausa o alla stratosfera inferiore) dove l’aria calda e umida ascendente nei cicloni tropicali si espande e diverge. Queste anomalie sono calcolate come deviazioni dalla media climatologica di ciascun dataset sull’intero periodo 1979-2010 e sono espresse in kelvin (K). Per facilitare la visualizzazione e il confronto tra le diverse serie temporali, evitando sovrapposizioni grafiche, a ciascuna serie è stato applicato un offset progressivo di 2 K, una scelta grafica che non altera l’interpretazione delle tendenze.
Le anomalie sono derivate da quattro fonti di dati distinte, ciascuna con caratteristiche metodologiche e spaziali proprie:
- Dati RATPAC (Radiosonde): rappresentati in blu, questi dati provengono dalla stazione atmosferica di San Juan, Porto Rico (situata approssimativamente a 18°N, 66°W). Le misurazioni con radiosonde offrono profili verticali ad alta risoluzione della temperatura atmosferica in un punto specifico, rappresentativo delle condizioni locali nel settore occidentale dell’Atlantico tropicale. La loro accuratezza è elevata, ma la copertura spaziale limitata ne riduce la generalizzabilità.
- Rianalisi NCEP-NCAR: mostrati in verde, questi dati sono mediati sulla regione compresa tra 6-18°N e 20-60°W, un’area che include il Mar dei Caraibi e parte dell’Atlantico tropicale occidentale. La rianalisi NCEP-NCAR integra osservazioni storiche con un modello atmosferico globale, fornendo una stima continua delle condizioni passate, sebbene con una risoluzione relativamente bassa rispetto a dataset più moderni.
- Rianalisi ERA-Interim: indicati in rosso, anch’essi mediati sulla stessa area geografica, questi dati sono prodotti dal Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Termine (ECMWF). ERA-Interim si distingue per una risoluzione spaziale e temporale superiore e per l’assimilazione di un’ampia gamma di osservazioni, rendendolo uno strumento affidabile per l’analisi climatica.
- Rianalisi MERRA: rappresentati in colore aqua, questi dati, sviluppati dalla NASA, coprono la stessa regione e incorporano misurazioni satellitari avanzate, offrendo una prospettiva complementare grazie alla loro enfasi sulla dinamica atmosferica globale.
Per ciascuna serie temporale, sono tracciate linee tratteggiate che rappresentano le pendenze della regressione lineare, evidenziando la tendenza complessiva delle anomalie di temperatura nel periodo 1979-2010. L’obiettivo è determinare se la temperatura di outflow abbia subito un cambiamento sistematico, come un raffreddamento, che potrebbe influenzare i processi termodinamici dei cicloni tropicali. La scelta di rappresentare dati sia puntuali (RATPAC) che spazialmente mediati (rianalisi) consente di confrontare la variabilità locale con le tendenze su scala regionale.
Pannello di Destra: Anomalie dell’Intensità Potenziale (Vp)
Il pannello di destra presenta le anomalie dell’intensità potenziale (Vp), un parametro teorico che stima la velocità massima del vento superficiale che un ciclone tropicale può raggiungere in base alle condizioni ambientali. Queste anomalie, espresse in metri al secondo (m/s), sono calcolate rispetto alla media del periodo 1979-2010 per ciascun dataset e, analogamente al pannello di sinistra, sono state traslate con un offset progressivo di 2 m/s per chiarezza visiva. L’intensità potenziale è derivata combinando le temperature di outflow (To) del pannello di sinistra con i dati di temperatura superficiale del mare (SST) forniti dal dataset Hadley Centre Global Sea Ice and Sea Surface Temperature (HadISST), che fornisce una stima affidabile delle condizioni oceaniche nell’Atlantico.
Il calcolo di Vp si basa sul modello termodinamico di Emanuel, che considera il ciclone tropicale come un motore termico: l’energia termica immessa dalla superficie marina calda viene convertita in energia cinetica, con la temperatura di outflow che regola l’efficienza di questo processo. Le quattro serie temporali (RATPAC, NCEP-NCAR, ERA-Interim, MERRA) corrispondono alle stesse fonti di dati utilizzate per To, consentendo un’analisi coerente del legame tra la temperatura stratosferica e l’intensità ciclonica.
Interpretazione e Risultati Principali
La Figura 6 mira a esplorare l’ipotesi che un raffreddamento della temperatura di outflow nella stratosfera inferiore tropicale abbia contribuito a un aumento dell’intensità potenziale dei cicloni tropicali nell’Atlantico tra il 1979 e il 2010, con un’enfasi particolare sul periodo successivo al 1990. Nel pannello di sinistra, le serie temporali mostrano una variabilità interannuale significativa, ma le linee di regressione tratteggiate suggeriscono, in almeno alcuni dataset, una tendenza verso temperature di outflow più basse nel tempo. Questo raffreddamento è coerente con il trend globale della stratosfera inferiore, attribuito all’aumento della concentrazione di gas serra, che intensifica la perdita radiativa di calore verso lo spazio, e alla deplezione dell’ozono stratosferico, che riduce l’assorbimento di radiazione solare. Tuttavia, la coerenza tra i dataset non è assoluta: i dati RATPAC, raccolti in una singola località, potrebbero enfatizzare variazioni locali, mentre le rianalisi, coprendo un’area più ampia, riflettono tendenze regionali che potrebbero essere influenzate da bias modellistici o dalla qualità delle osservazioni assimilate.
Nel pannello di destra, le anomalie dell’intensità potenziale mostrano un incremento graduale, particolarmente marcato a partire dagli anni ’90, in linea con quanto sostenuto da Emanuel et al. (2013). Questo aumento è interpretato come una conseguenza diretta del raffreddamento della temperatura di outflow: una To più bassa amplifica il gradiente termico verticale tra la superficie oceanica calda e gli strati superiori, migliorando l’efficienza termodinamica del ciclone e consentendo venti superficiali più intensi. La correlazione tra i due pannelli supporta l’idea che le variazioni stratosferiche abbiano un ruolo significativo nell’intensificazione dei cicloni tropicali, sebbene l’entità di questo contributo vari tra le fonti di dati. Ad esempio, i dati ERA-Interim e MERRA, con la loro maggiore risoluzione e integrazione di osservazioni satellitari, potrebbero fornire una stima più robusta rispetto a NCEP-NCAR, noto per alcune limitazioni nella rappresentazione della stratosfera.
Limiti Metodologici e Variabilità
L’analisi della Figura 6 presenta alcune incertezze metodologiche. I dati RATPAC, pur precisi, sono limitati a un singolo punto geografico (San Juan), che potrebbe non essere rappresentativo dell’intero bacino atlantico, caratterizzato da una forte eterogeneità spaziale. Le rianalisi, d’altra parte, coprono un’area più ampia (6-18°N, 20-60°W), ma la loro affidabilità dipende dalla qualità dei modelli numerici e delle osservazioni assimilate, che possono introdurre discrepanze sistematiche. Inoltre, la variabilità interannuale visibile nelle serie temporali riflette l’influenza di forzanti climatiche naturali, come El Niño-Southern Oscillation (ENSO), la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) o l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), che modulano sia la temperatura di outflow che le SST. Queste oscillazioni possono mascherare le tendenze a lungo termine o amplificarle in determinati periodi, complicando l’attribuzione del segnale al solo raffreddamento stratosferico.
Le linee di regressione tratteggiate offrono un’indicazione qualitativa delle tendenze, ma la loro significatività statistica non è specificata nella descrizione della figura. Un’analisi più approfondita, con test statistici come il p-value o l’intervallo di confidenza, sarebbe necessaria per confermare la robustezza di queste tendenze. Inoltre, la scelta del periodo 1979-2010 potrebbe essere influenzata da discontinuità nei dati, come l’introduzione di nuove tecnologie satellitari negli anni ’80 e ’90, che hanno migliorato la qualità delle rianalisi successive.
Implicazioni Scientifiche e Climatiche
La Figura 6 supporta l’ipotesi centrale di Emanuel et al. (2013), secondo cui il raffreddamento della stratosfera inferiore tropicale ha contribuito a un aumento dell’intensità potenziale dei cicloni tropicali nell’Atlantico, con un’accelerazione evidente dagli anni ’90. Questo risultato amplia la comprensione tradizionale dei driver dei cicloni, che si è concentrata principalmente sulle SST, evidenziando il ruolo della struttura termica verticale dell’atmosfera. Un outflow più freddo aumenta l’efficienza con cui l’energia termica superficiale viene convertita in energia cinetica, favorendo lo sviluppo di tempeste più intense, un fenomeno che potrebbe diventare più pronunciato in un clima futuro caratterizzato da un ulteriore raffreddamento stratosferico e riscaldamento troposferico.
Dal punto di vista climatico, questi risultati hanno implicazioni significative per le proiezioni a lungo termine. Se il raffreddamento stratosferico continuerà, come previsto dai modelli climatici in risposta all’aumento dei gas serra, l’intensità potenziale dei cicloni tropicali potrebbe crescere ulteriormente, con conseguenze per la frequenza e la gravità degli eventi estremi. Tuttavia, la variabilità tra i dataset sottolinea la necessità di affinare le misurazioni stratosferiche e di integrare questi segnali nei modelli previsionali, migliorando la capacità di stimare i rischi associati alle tempeste tropicali.
Conclusioni
In sintesi, la Figura 6 offre un’analisi multi-dataset che collega il raffreddamento della temperatura di outflow nella stratosfera inferiore tropicale a un aumento dell’intensità potenziale dei cicloni tropicali nell’Atlantico tra il 1979 e il 2010. I pannelli evidenziano una tendenza verso temperature di outflow più basse e un incremento di Vp, con un’accelerazione post-1990, sebbene con discrepanze tra le fonti di dati. Questo lavoro sottolinea l’importanza delle dinamiche stratosferiche nel modulare l’intensità ciclonica, integrando il ruolo delle SST con quello della struttura atmosferica superiore. Le incertezze metodologiche e la variabilità naturale richiedono ulteriori indagini, ma la figura rappresenta un passo significativo verso una comprensione più completa dei fattori che governano i cicloni tropicali in un clima che cambia.
4. Studi numerici e meccanismi di interazione stratosfera-troposfera: un’analisi approfondita
Nel panorama della ricerca scientifica contemporanea, i modelli numerici hanno assunto un ruolo centrale nello studio delle interazioni dinamiche tra stratosfera e troposfera nelle regioni extratropicali. Tali modelli, che spaziano da rappresentazioni semplificate a simulazioni altamente sofisticate, come i moderni modelli climatici di ultima generazione, hanno permesso di esplorare con crescente precisione i processi fisici e dinamici che governano il coupling stratosferico-troposferico. Un passo iniziale cruciale in questo ambito di indagine è consistito nell’accertare la natura causale delle relazioni osservate tra questi due strati atmosferici. Queste relazioni, spesso evidenziate dall’andamento temporale delle correlazioni statistiche, hanno richiesto un’attenta analisi per distinguerne la significatività dinamica. Ad esempio, il lavoro pionieristico di Baldwin e Dunkerton (2001) ha identificato una correlazione ritardata tra il flusso troposferico e quello stratosferico, con un décalage temporale di 10-20 giorni, suggerendo l’ipotesi di una possibile “propagazione di fase” verso il basso. Tuttavia, come sottolineato da Plumb e Semeniuk (2003), tale fenomeno non implica necessariamente una reale trasmissione di informazioni dalla stratosfera alla troposfera, ponendo così le basi per ulteriori indagini.
A tal proposito, studi successivi basati su modelli numerici hanno fornito evidenze più solide e conclusive. Attraverso esperimenti controllati, in cui variazioni artificiali venivano imposte alla stratosfera, è stato dimostrato che tali perturbazioni possono indurre effetti significativi e misurabili nella troposfera sottostante. Tra i contributi più rilevanti si annoverano quelli di Polvani e Kushner (2002), Gillett e Thompson (2003), Norton (2003) e, più recentemente, Kidston et al. (2015), i quali, insieme ad altri lavori citati nelle loro bibliografie, hanno consolidato l’idea che la stratosfera non sia semplicemente un attore passivo, ma eserciti un’influenza attiva sulla dinamica troposferica. Questi studi hanno inoltre permesso di approfondire la comprensione dei meccanismi fisici alla base del coupling extratropicale, chiarendo il ruolo di processi specifici attraverso analisi dettagliate. Ad esempio, Kushner e Polvani (2004), Song e Robinson (2004) e Hitchcock e Simpson (2016) hanno utilizzato modelli numerici per dissezionare i contributi relativi di diversi fattori dinamici, come la modulazione delle onde planetarie o l’interazione tra vortici polari e flussi troposferici, offrendo così una visione più completa e articolata dei processi in gioco.
Parallelamente, nelle regioni tropicali, l’attenzione si è spostata sulla risposta dei sistemi convettivi profondi della troposfera a perturbazioni originatesi nella stratosfera. Questo aspetto appare particolarmente rilevante per comprendere le dinamiche del coupling stratosfera-troposfera nelle zone tropicali, coinvolgendo sia il cosiddetto Percorso Tropicale che il Percorso Subtropicale, come illustrato schematicamente in Figura 1. Ricerche pregresse hanno suggerito che i sistemi convettivi profondi, fondamentali per la circolazione atmosferica tropicale, mostrino una spiccata sensibilità alle condizioni della stratosfera inferiore. Tra i modelli teorici più influenti in questo contesto spicca quello sviluppato da Emanuel (1986) per descrivere la dinamica degli uragani, successivamente affinato da Bister ed Emanuel (2002). Questo approccio modellistico propone una relazione quantitativa esplicita tra la velocità massima del vento in superficie (Vp) – e di conseguenza altre variabili come la pressione minima superficiale – e la temperatura di outflow, spesso assimilabile alla temperatura del tropopausa. Tale modello ha fornito una base teorica per ipotizzare un’influenza del coupling stratosferico sull’intensità e sull’evoluzione dei cicloni tropicali, come discusso nelle sezioni precedenti (3.1c e 3.3) e ulteriormente approfondito nella sezione successiva (4.2c).
Nonostante il suo successo nel contesto dei cicloni tropicali, l’applicabilità del modello di Emanuel a scenari più generali rimane oggetto di dibattito. La sua validità è fortemente legata alla presenza di una struttura dinamica e fisica altamente organizzata, tipica degli uragani, dove i processi di convezione, rilascio di calore latente e deflusso stratosferico interagiscono in modo coerente. Tuttavia, come evidenziato da Liess e Geller (2012), alcuni autori hanno esteso in modo qualitativo queste conclusioni, suggerendo che la sensibilità delle circolazioni tropicali alle condizioni della stratosfera superiore possa avere una portata più ampia. Tale generalizzazione, sebbene intrigante, manca ancora di una solida validazione sperimentale al di fuori del contesto specifico dei cicloni tropicali, lasciando aperte numerose domande sulla reale estensione e natura di questa interazione. Pertanto, ulteriori studi numerici e osservativi saranno necessari per chiarire se e in che misura i meccanismi identificati nei sistemi convettivi organizzati possano essere considerati rappresentativi delle dinamiche tropicali più generali.È altamente probabile che le dinamiche delle circolazioni atmosferiche nelle regioni tropicali manifestino una risposta significativa, localizzata principalmente nella porzione superiore della troposfera, a variazioni imposte dall’esterno all’interno della regione di transizione tra troposfera e stratosfera (TTL, Troposphere-to-Stratosphere Transition Layer) o nella stratosfera tropicale inferiore. Tali risposte possono manifestarsi attraverso modifiche rilevanti in parametri chiave del sistema atmosferico, come l’altezza massima raggiunta dai processi di convezione profonda o la quantità e distribuzione dei cirri ad alta quota, fenomeni questi ultimi già messi in relazione con la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) come discusso nella Sezione 3.1a. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che tali variazioni osservate nei livelli atmosferici superiori non comportano automaticamente una propagazione degli effetti verso gli strati inferiori della troposfera con un’intensità sufficiente a determinare, ad esempio, cambiamenti marcati nei regimi di precipitazione o in altre proprietà superficiali del sistema climatico. Questo aspetto evidenzia la necessità di un’analisi più approfondita per comprendere la reale portata e la natura di tali interazioni.
Un contributo significativo in questo ambito è offerto dallo studio condotto da Thuburn e Craig (2000), che ha utilizzato un Modello di Circolazione Generale (GCM) per esplorare gli effetti di un’alterazione artificiale delle temperature nella stratosfera tropicale inferiore. I risultati di questa indagine hanno messo in luce un impatto sul riscaldamento convettivo che si estendeva verso il basso fino a un’altitudine compresa tra 12 e 13 km. Sebbene tale risultato suggerisca un’influenza potenziale della stratosfera sulla dinamica troposferica, gli autori non hanno approfondito né la robustezza di questo effetto né i meccanismi fisici specifici che potrebbero sostenerlo. Questa lacuna lascia aperti interrogativi sulla consistenza e sulla generalizzabilità delle conclusioni tratte, rendendo necessario un ulteriore sviluppo delle indagini per chiarire i processi dinamici e termodinamici coinvolti.
Il resto di questa sezione è dedicato a una revisione sistematica degli studi modellistici che hanno cercato di dimostrare l’esistenza del coupling stratosfera-troposfera nelle regioni tropicali o di elucidarne i possibili meccanismi sottostanti. Particolare attenzione è rivolta a quei processi che potrebbero generare effetti capaci di propagarsi attraverso l’intera colonna troposferica, influenzando così non solo gli strati superiori, ma anche quelli prossimi alla superficie terrestre. A tal fine, l’analisi è strutturata in due segmenti distinti, ciascuno focalizzato su un diverso approccio modellistico.
La prima parte (Sezione 4.1) prende in considerazione i modelli globali, una categoria che comprende i GCM utilizzati in modalità libera – ossia senza vincoli specifici imposti alla loro evoluzione temporale, per cui il termine “GCM” sarà impiegato esclusivamente in questo contesto – nonché i modelli di previsione stagionale, nei quali la scelta delle condizioni iniziali riveste un’importanza cruciale per determinare l’accuratezza delle simulazioni. In questa categoria rientrano anche modelli che adottano tecniche di “nudging” artificiale, ovvero interventi mirati a orientare la circolazione atmosferica in specifiche regioni per meglio replicare le osservazioni o testare ipotesi teoriche. Un elemento unificante di questi strumenti modellistici è la loro dipendenza da parametrizzazioni convettive, approcci semplificati che rappresentano i processi di convezione su scala sub-griglia senza risolverli esplicitamente, introducendo inevitabilmente un certo grado di approssimazione nella simulazione delle dinamiche atmosferiche.
La seconda parte (Sezione 4.2) si concentra invece su modelli di tipo “regionale”, caratterizzati da una risoluzione spaziale sufficientemente elevata da consentire la rappresentazione esplicita dei processi convettivi, senza ricorrere a parametrizzazioni. Questi modelli, definiti come “convection-resolving” o “convection-permitting”, offrono un’alternativa preziosa per analizzare in dettaglio i fenomeni convettivi e il loro legame con la stratosfera, superando alcune delle limitazioni intrinseche ai modelli globali. La maggiore fedeltà nella simulazione della convezione consente di esplorare con maggiore precisione i meccanismi attraverso cui le perturbazioni stratosferiche possono influenzare la troposfera tropicale, includendo potenziali effetti che si estendono fino agli strati più bassi.
4.1 Studi con modelli globali
a. Analisi modellistica globale dell’influenza della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) sulla troposfera tropicale
Gli studi basati su Modelli di Circolazione Generale (GCM) volti a esplorare gli effetti della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) sulla stratosfera extratropicale e sulla troposfera hanno fatto la loro comparsa nella letteratura scientifica grazie ai contributi seminali di Balachandran e Rind (1995) e Rind e Balachandran (1995). In quel periodo storico, la capacità dei GCM di simulare autonomamente la QBO, un’oscillazione quasi-biennale dei venti zonali nella stratosfera tropicale, era ancora agli albori, con i primi successi documentati solo a partire dal lavoro di Takahashi (1996). Per ovviare a questa limitazione, molti dei primi studi con GCM hanno adottato un approccio pragmatico, introducendo forzature artificiali nella stratosfera tropicale al fine di replicare le condizioni tipiche delle due fasi principali della QBO: la fase orientale (QBOE) e la fase occidentale (QBOW). Questo metodo è stato impiegato con successo nei lavori di Balachandran e Rind (1995) e Rind e Balachandran (1995), che hanno esaminato le differenze dinamiche e radiative indotte da tali configurazioni. I loro risultati hanno evidenziato una circolazione di Hadley più intensa e un incremento della copertura nuvolosa tropicale durante la fase QBOE rispetto alla QBOW. Tuttavia, non è emersa alcuna evidenza significativa di variazioni nella struttura longitudinale delle circolazioni, suggerendo che gli effetti della QBO si manifestino prevalentemente in termini di intensità piuttosto che di distribuzione spaziale est-ovest. Un aspetto critico nella valutazione quantitativa di questi risultati è rappresentato dalla differenza di temperatura tra QBOE e QBOW nella troposfera superiore tropicale e nella stratosfera inferiore. Sebbene tale differenza presentasse il segno atteso – con temperature più fredde in QBOE rispetto a QBOW – essa risultava penetrare più in profondità nella troposfera rispetto a quanto suggerito dalle osservazioni empiriche, indicando una possibile sovrastima dell’effetto nei modelli utilizzati o una rappresentazione incompleta dei processi di coupling verticale.
Un ulteriore passo avanti nella comprensione degli effetti della QBO è stato compiuto da Giorgetta et al. (1999), i quali hanno analizzato l’impatto di questa oscillazione sui tropici durante l’estate dell’emisfero nord (NH). Attraverso l’imposizione di profili di vento stratosferico differenziati, gli autori hanno identificato un segnale troposferico chiaramente modulato dalla QBO (illustrato nella Figura 7 del loro studio). In particolare, la differenza tra QBOE e QBOW si è tradotta in un aumento dell’attività convettiva in una banda a basse latitudini sopra il Pacifico occidentale, accompagnata da una riduzione della convezione nelle regioni limitrofe, sia a nord che a sud, e verso est, in corrispondenza dell’India. Questo pattern è stato evidenziato dal segnale nel riscaldamento latente, riportato nel pannello superiore della Figura 7, che ha sottolineato una redistribuzione regionale dell’attività convettiva. Inoltre, è stato osservato un incremento della nuvolosità nella troposfera superiore durante la fase QBOE rispetto alla QBOW, con una concentrazione significativa nelle aree associate a precipitazioni più intense. Gli autori hanno ipotizzato che tale variabilità geografica fosse il risultato di un meccanismo di retroazione positiva legato alla forzatura radiativa delle nubi (illustrata nel pannello inferiore della Figura 7), la cui intensità risultava massima nelle regioni caratterizzate da convezione più profonda. Questo feedback amplificherebbe le differenze iniziali indotte dalla QBO, contribuendo a una modulazione spazialmente disomogenea degli effetti troposferici.
Un contributo complementare è offerto da Garfinkel e Hartmann (2011), che hanno ampliato l’analisi dell’influenza della QBO sulla troposfera includendo le condizioni invernali dell’emisfero nord. Nel loro studio, l’imposizione di condizioni QBOE nella stratosfera inferiore ha prodotto un incremento dell’attività convettiva nel Pacifico centrale tropicale, accompagnato da un’estesa area di nuvolosità alta aumentata, misurata attraverso la radiazione a onde lunghe emessa (Outgoing Longwave Radiation, OLR). Questo risultato si distingue da quello di Giorgetta et al. (1999), focalizzato sull’estate boreale, per via delle differenze stagionali considerate, che inevitabilmente influenzano la configurazione delle circolazioni troposferiche. Nonostante tali discrepanze, entrambi gli studi convergono nel rilevare una marcata variabilità regionale nelle precipitazioni, coerentemente con una modulazione delle circolazioni di Hadley e Walker, due componenti fondamentali del sistema climatico tropicale. Inoltre, si evidenzia un potenziamento della convezione nella regione del Pacifico occidentale durante la fase QBOE, un’area già caratterizzata da intensa attività convettiva nello stato di controllo dei modelli. Questa osservazione trova riscontro nelle differenze rilevate empiricamente tra le fasi della QBO, come documentato nelle Figure 4 e 5, suggerendo una certa coerenza tra i risultati modellistici e le evidenze osservative.Come già evidenziato nelle sezioni precedenti, uno degli aspetti più intriganti e dibattuti della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) riguarda la sua presunta capacità di modulare la Madden-Julian Oscillation (MJO), un’oscillazione atmosferica tropicale di grande rilevanza per la variabilità climatica su scala intra-stagionale. Tale connessione è stata oggetto di un’indagine modellistica condotta da Lee e Klingaman (2018), i quali hanno utilizzato il Unified Model del Met Office britannico, un Modello di Circolazione Generale (GCM) accoppiato con uno strato misto oceanico globale. Questo modello è in grado di simulare, almeno parzialmente, sia la QBO che l’MJO, rappresentando quindi uno strumento potenzialmente idoneo per esplorare le interazioni tra questi due fenomeni. Tuttavia, i risultati ottenuti hanno rivelato che la relazione QBO-MJO emersa dalla simulazione non riflette fedelmente quella dedotta dalle osservazioni empiriche (come discusso nella Sezione 3.1b). In particolare, non è stata riscontrata una correlazione statisticamente significativa tra la fase della QBO e l’ampiezza dell’MJO, un elemento cruciale per validare l’ipotesi di un’influenza diretta. Sebbene sia stata identificata una certa correlazione tra la fase della QBO e l’attività dell’MJO in specifiche regioni geografiche, tale pattern diverge sensibilmente da quanto documentato nei dati osservativi, suggerendo una rappresentazione inadeguata dei processi fisici sottostanti. Gli autori hanno attribuito queste discrepanze a due principali limitazioni del modello: in primo luogo, le differenze di temperatura nella stratosfera inferiore tra le fasi orientali (QBOE) e occidentali (QBOW) risultano significativamente più attenuate rispetto alle osservazioni e mostrano una struttura longitudinale non coerente con i dati reali; in secondo luogo, la simulazione dell’MJO presenta carenze strutturali tipiche dei GCM, come una struttura verticale distorta rispetto alle osservazioni e un’ampiezza complessiva troppo debole, particolarmente pronunciata a est del Continente Marittimo. Questi fattori, singolarmente o in combinazione, potrebbero ridurre o alterare l’effetto della QBO sull’MJO, compromettendo la capacità del modello di catturare la complessità di questa interazione.
Questa problematica è stata ulteriormente approfondita da studi più recenti che hanno ampliato l’analisi a un insieme più vasto di modelli climatici. Lim e Son (2020) hanno esaminato quattro modelli della quinta fase del Coupled Model Intercomparison Project (CMIP5) che generano internamente una QBO realistica. I loro risultati hanno evidenziato che tre di questi modelli sottostimano in modo sostanziale l’attività dell’MJO, mentre il quarto non riesce a riprodurre una connessione QBO-MJO sufficientemente robusta. Analogamente, Kim et al. (2020a) hanno analizzato un campione significativamente più ampio di modelli della sesta fase del CMIP6, giungendo alla conclusione che nessuno di essi è in grado di replicare la connessione QBO-MJO osservata nella realtà. Entrambi gli studi hanno sottolineato un limite ricorrente: le anomalie di velocità del vento e di temperatura associate alla QBO nella stratosfera inferiore sono generalmente più deboli nei modelli rispetto alle osservazioni, un fattore che potrebbe compromettere la capacità di questi strumenti di simulare accuratamente le interazioni dinamiche tra stratosfera e troposfera tropicale. Queste discrepanze suggeriscono che i GCM in modalità libera (free-running) potrebbero non catturare pienamente i processi fisici che mediano l’influenza della QBO sull’MJO, probabilmente a causa di una rappresentazione semplificata delle dinamiche convettive o di un’insufficiente risoluzione verticale nella regione di transizione stratosfera-troposfera.
Per superare tali limitazioni, è stato proposto un approccio alternativo basato sull’uso di modelli di previsione stagionale inizializzati con dati osservativi. Questa metodologia garantisce una rappresentazione più realistica della QBO e dell’MJO, almeno nelle fasi iniziali della simulazione, poiché le condizioni atmosferiche vengono vincolate alle osservazioni piuttosto che lasciate evolvere liberamente. Studi di questo tipo offrono il duplice vantaggio di fornire informazioni sui meccanismi fisici rilevanti e di valutare le implicazioni pratiche per le previsioni stagionali. Un esempio significativo di questo approccio è rappresentato dal lavoro di Marshall et al. (2017), che hanno utilizzato un modello globale di previsione stagionale per analizzare l’influenza della QBO sull’MJO durante la stagione invernale dell’emisfero nord. I loro risultati hanno dimostrato un miglioramento dell’abilità predittiva per l’MJO in condizioni QBOE rispetto a QBOW, con un incremento significativo della precisione per orizzonti temporali di previsione compresi tra 5 e 30 giorni. Questa scoperta rappresenta una prova importante dell’esistenza di un legame funzionale tra QBO e MJO, particolarmente rilevante nel contesto attuale, in cui i GCM in modalità libera non riescono a riprodurre una connessione riconoscibile tra i due fenomeni. Inoltre, Marshall et al. (2017) hanno chiarito che tale miglioramento non è semplicemente attribuibile a un’ampiezza iniziale dell’MJO più marcata durante la fase QBOE. Al contrario, l’aumento dell’abilità predittiva si è verificato anche per eventi MJO con ampiezza iniziale simile in entrambe le fasi della QBO, suggerendo che il segnale derivi da una modulazione dinamica indotta dalla QBO stessa, piuttosto che da una mera amplificazione delle condizioni iniziali.Il risultato generale che evidenzia un incremento dell’abilità predittiva della Madden-Julian Oscillation (MJO) durante la fase orientale della Quasi-Biennial Oscillation (QBOE) ha trovato conferma nello studio di Lim et al. (2019), basato sull’analisi di modelli coinvolti nel progetto di previsione substagionale-stagionale (S2S) promosso dal World Climate Research Programme (WCRP) e dal World Weather Research Programme (WWRP), come descritto da Vitart et al. (2017). Gli autori hanno dimostrato che tale miglioramento dell’abilità predittiva si manifesta in maniera consistente across un ampio spettro di ampiezze iniziali dell’MJO, sottolineando la robustezza del segnale indipendentemente dalla forza iniziale del fenomeno. Parallelamente, Kim et al. (2019) hanno esplorato questa dinamica utilizzando un set di modelli parzialmente diverso, riscontrando anch’essi un’abilità predittiva più elevata durante la QBOE. Tuttavia, la loro analisi ha portato a una conclusione più cauta: per la maggior parte dei modelli esaminati, la differenza di abilità tra QBOE e la fase occidentale (QBOW) non risultava statisticamente significativa. Questo risultato potrebbe essere influenzato dalla scelta metodologica di limitare l’analisi a eventi MJO con un’ampiezza iniziale elevata (superiore a 1,5 secondo la misura standard del Real-time Multivariate MJO index, RMM), riducendo potenzialmente la generalizzabilità delle conclusioni a condizioni iniziali più moderate. In contrasto, Abhik e Hendon (2019) hanno fornito un contributo significativo dimostrando una differenza sistematica nell’abilità di previsione dell’MJO tra QBOE e QBOW in due modelli distinti. Inoltre, hanno approfondito l’analisi esaminando le differenze simulate nella struttura verticale dell’MJO in prossimità del tropopausa tra le due fasi della QBO, riscontrando una coerenza con le evidenze osservative riportate da Hendon e Abhik (2018). Queste discrepanze strutturali verticali offrono un’indicazione preziosa sui possibili meccanismi fisici che mediano l’influenza della QBO sull’evoluzione dell’MJO.
Gli studi condotti con modelli di previsione stagionale hanno svolto un ruolo cruciale nel chiarire i meccanismi sottostanti le differenze tra QBOE e QBOW nell’evoluzione dell’MJO. Marshall et al. (2017) hanno evidenziato un aspetto critico nel loro modello: il tetto verticale relativamente basso e la progressiva degradazione del segnale della QBO nella stratosfera inferiore durante la simulazione. In particolare, hanno osservato che l’ampiezza del segnale si riduce di oltre la metà entro il trentesimo giorno di previsione, suggerendo che una rappresentazione sostenuta e dettagliata della QBO all’interno del modello potrebbe non essere indispensabile per determinare le differenze nell’evoluzione predittiva dell’MJO. Questa ipotesi ha trovato supporto nell’analisi di Kim et al. (2019), che hanno confrontato versioni dello stesso modello con tetti verticali alti e bassi. I loro risultati indicano che l’altezza del dominio modellistico non sembra essere il fattore determinante per il miglioramento dell’abilità predittiva, spostando l’attenzione su altri aspetti della dinamica atmosferica. Un’ulteriore conferma è emersa dal lavoro di Martin et al. (2020), che hanno adottato un approccio sperimentale innovativo nelle loro simulazioni di previsione stagionale. Per ogni condizione iniziale derivata da osservazioni, gli autori hanno eseguito simulazioni aggiuntive mantenendo invariata la configurazione troposferica, ma modificando artificialmente lo stato stratosferico per riflettere le condizioni QBOE o QBOW. I risultati hanno rivelato che, sebbene vi fosse qualche evidenza di un’influenza della stratosfera modificata, l’effetto dominante sulla differenza tra QBOE e QBOW nell’evoluzione simulata dell’MJO era dettato dalla natura delle condizioni iniziali troposferiche, ossia se queste provenivano da anni caratterizzati da QBOE o QBOW. Questa scoperta suggerisce che la troposfera possa svolgere un ruolo primario nel mediare l’impatto della QBO sull’MJO, con la stratosfera che agisce come un modulatore secondario il cui segnale si attenua nel tempo.
Un contributo recente e degno di nota, che si colloca tecnicamente nella categoria dei modelli a risoluzione convettiva (da discutere nella Sezione 4.2), ma che condivide spirito e metodologia con gli studi di previsione stagionale sopra descritti, è quello di Back et al. (2020). Questo studio ha impiegato il modello mesoscalare Weather Research and Forecasting (WRF) configurato a una risoluzione “convection-permitting”, ovvero in grado di risolvere esplicitamente i processi convettivi senza ricorrere a parametrizzazioni, su un dominio geografico limitato. Le condizioni iniziali e al contorno laterale sono state derivate da dati di rianalisi, garantendo un ancoraggio realistico alla dinamica atmosferica osservata. Gli autori hanno introdotto una perturbazione simile alla QBO in una simulazione di base dell’MJO, applicandola attraverso le condizioni iniziali e al contorno, e hanno documentato alcune evidenze di un effetto della QBO sull’evoluzione dell’MJO. Sebbene limitato da un dominio spaziale ristretto e da una dipendenza dalle forzature esterne, questo approccio rappresenta un’interessante integrazione agli studi su scala globale, offrendo una prospettiva più dettagliata sui processi convettivi che potrebbero mediare l’interazione tra QBO e MJO.

La Figura 7 illustra i risultati derivanti da un insieme di simulazioni numeriche progettate per esplorare gli effetti della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) sul sistema atmosferico tropicale, con particolare attenzione alle interazioni tra la stratosfera e la troposfera. In queste simulazioni, il flusso stratosferico tropicale è stato forzato artificialmente a mantenere uno stato perpetuo che riflette le due fasi caratteristiche della QBO: la fase orientale (QBOE) e la fase occidentale (QBOW). Nella configurazione QBOE, i venti stratosferici nello strato compreso tra 70 e 30 hPa sono orientati verso est (easterly), mentre sopra questo livello predominano venti occidentali (westerly); nella QBOW, invece, la struttura dei venti è invertita, con venti occidentali tra 70 e 30 hPa e orientali al di sopra. Questo approccio di “rilassamento” del flusso stratosferico consente di isolare e analizzare gli effetti delle due fasi della QBO sulla dinamica troposferica sottostante, eliminando le variazioni temporali naturali tipiche della QBO reale e permettendo una valutazione controllata delle risposte atmosferiche. I risultati sono rappresentati in quattro pannelli distinti, organizzati in due sezioni principali: i pannelli superiori si concentrano sulle differenze di riscaldamento latente, mentre quelli inferiori esaminano le variazioni nella forzatura radiativa atmosferica a onde lunghe indotta dalle nubi, entrambe calcolate come differenza tra QBOE e QBOW.
*I pannelli superiori, etichettati come (a) e (b), mostrano la differenza nel riscaldamento latente (QBOE-QBOW) per due periodi stagionali specifici: Giugno (pannello a) e Luglio/Agosto (pannello b). Il riscaldamento latente è un indicatore fondamentale dell’energia termica rilasciata durante i processi di condensazione del vapore acqueo in nubi, un fenomeno direttamente associato all’intensità e alla distribuzione dell’attività convettiva nell’atmosfera tropicale. La rappresentazione grafica utilizza una scala di ombreggiatura per indicare il segno e l’entità della differenza: le regioni con ombreggiatura scura corrispondono a valori positivi, ossia un maggiore riscaldamento latente in QBOE rispetto a QBOW, mentre le aree con ombreggiatura chiara indicano valori negativi, riflettendo una riduzione del riscaldamento in QBOE rispetto a QBOW. Questa visualizzazione spaziale permette di identificare le variazioni geografiche nell’attività convettiva indotte dalla QBO. Ad esempio, un’ombreggiatura scura in regioni come il Pacifico occidentale (coerentemente con quanto discusso nel testo precedente) suggerirebbe un potenziamento della convezione durante la QBOE, mentre un’ombreggiatura chiara in altre aree potrebbe indicare una soppressione della stessa. La distinzione tra Giugno e Luglio/Agosto evidenzia inoltre una possibile evoluzione stagionale di questi effetti, potenzialmente legata a spostamenti stagionali delle zone convettive principali, come la cintura di convergenza intertropicale o i sistemi monsonici.
*I pannelli inferiori, etichettati come (c) e (d), presentano la differenza nella forzatura radiativa atmosferica a onde lunghe (long-wave) indotta dalle nubi tra QBOE e QBOW, rispettivamente per Giugno (pannello c) e Luglio/Agosto (pannello d). La forzatura radiativa a onde lunghe è una misura dell’impatto delle nubi sul bilancio energetico atmosferico: le nubi possono assorbire e riflettere la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, contribuendo al riscaldamento della troposfera, oppure ridurre l’emissione verso lo spazio, influenzando il raffreddamento della regione del tropopausa. Anche in questo caso, l’ombreggiatura scura denota una forzatura positiva (maggiore in QBOE rispetto a QBOW), mentre l’ombreggiatura chiara indica una forzatura negativa (minore in QBOE rispetto a QBOW). Questi pannelli offrono un’immagine complementare rispetto ai pannelli superiori, mostrando come le variazioni nella distribuzione, nell’altezza e nelle proprietà ottiche delle nubi, indotte dalle differenze tra QBOE e QBOW, modifichino il trasferimento radiativo nell’atmosfera tropicale. La coerenza tra i pattern di riscaldamento latente e forzatura radiativa suggerisce un’interazione dinamica tra convezione e processi radiativi, con implicazioni dirette per la struttura termica verticale dell’atmosfera.
*L’interpretazione di questi risultati, proposta da Giorgetta et al. (1999), sottolinea un meccanismo di feedback fondamentale che collega la QBO alla troposfera attraverso le nubi. Gli autori argomentano che, durante la fase QBOE rispetto alla QBOW, le variazioni nella copertura nuvolosa e nelle sue proprietà fisiche producono un doppio effetto termico: un riscaldamento della troposfera e un raffreddamento della regione del tropopausa. Il riscaldamento troposferico è attribuibile all’aumento dell’attività convettiva – come evidenziato dal maggiore riscaldamento latente nei pannelli superiori – che genera una maggiore formazione di nubi alte, le quali intrappolano la radiazione a onde lunghe emessa dalla superficie, amplificando l’effetto serra locale. Contemporaneamente, il raffreddamento del tropopausa è legato a una riduzione dell’emissione radiativa verso lo spazio in questa zona di transizione, un fenomeno che potenzia l’anomalia di temperatura già presente nella QBOE. Nella fase orientale, infatti, la stratosfera inferiore è caratterizzata da temperature più fredde rispetto alla QBOW, a causa della dinamica termica e della subsidenza associate ai venti orientali; l’effetto radiativo delle nubi accentua questa differenza, rendendo la transizione tra troposfera e stratosfera più marcata. Questo feedback bidirezionale amplifica l’anomalia di temperatura al tropopausa, un elemento cruciale per il coupling stratosfera-troposfera nei tropici.
La Figura 7, originariamente pubblicata da Giorgetta et al. (1999) su Climate Dynamics con il permesso di Springer Nature, rappresenta un contributo significativo alla comprensione dei processi di interazione atmosferica. La scelta di analizzare separatamente Giugno e Luglio/Agosto riflette un interesse nel cogliere eventuali variazioni stagionali nell’influenza della QBO, potenzialmente legate a cambiamenti nella posizione delle principali regioni convettive o alla modulazione delle circolazioni tropicali come la cellula di Hadley o il Walker. I risultati suggeriscono che la QBO non agisce solo come una forzatura stratosferica passiva, ma innesca una serie di risposte troposferiche mediate da processi convettivi e radiativi, con effetti che si propagano attraverso la colonna atmosferica. Questo approccio modellistico, sebbene basato su una forzatura artificiale, fornisce un quadro controllato per esplorare i meccanismi di feedback e offre una base per ulteriori studi osservativi e simulativi volti a validare e raffinare queste conclusioni. La figura si inserisce così in un contesto più ampio di ricerca sul ruolo della stratosfera nella modulazione del clima tropicale, evidenziando l’importanza di considerare le interazioni tra dinamica, convezione e radiazione per una comprensione completa dei fenomeni atmosferici su scala globale.
Influenza dei riscaldamenti stratosferici improvvisi (SSW) sulla troposfera tropicale: studi modellistici globali
I riscaldamenti stratosferici improvvisi (SSW, dall’inglese Sudden Stratospheric Warmings) rappresentano fenomeni atmosferici di grande rilevanza, caratterizzati da rapide inversioni della circolazione stratosferica invernale alle alte latitudini, spesso accompagnate da significativi aumenti di temperatura nella stratosfera polare. Tali eventi, ben noti per i loro effetti sulle dinamiche atmosferiche extratropicali, hanno suscitato un crescente interesse per il loro potenziale impatto su regioni apparentemente lontane, come la troposfera tropicale. Negli ultimi decenni, numerosi studi modellistici hanno cercato di chiarire la natura e l’entità di questa influenza, mettendo in luce meccanismi complessi che collegano la stratosfera polare ai tropici attraverso processi di propagazione delle onde e cambiamenti nella circolazione atmosferica globale.
Uno degli studi pionieristici in questo ambito è stato condotto da Kodera e collaboratori, i cui risultati sono stati pubblicati in Kodera et al. (2011b). Questo lavoro ha sfruttato un approccio innovativo basato su simulazioni modellistiche, costruendo su precedenti ricerche (Mukougawa et al., 2005, 2007) che avevano identificato come l’introduzione di specifiche anomalie troposferiche, prevalentemente localizzate alle alte latitudini, nelle condizioni iniziali di un modello potesse innescare lo sviluppo di un SSW. Tale metodologia ha permesso ai ricercatori di generare due insiemi distinti di simulazioni: un ensemble di 13 membri caratterizzato dalla presenza di SSW e un ensemble di controllo, anch’esso di 13 membri, privo di tali eventi. Confrontando l’evoluzione media della troposfera tropicale nei due ensemble, Kodera et al. (2011b) hanno potuto isolare gli effetti specifici degli SSW, distinguendoli da variazioni casuali o da altri fattori atmosferici.
I risultati di questo studio hanno揭示ato differenze statisticamente significative nella distribuzione latitudinale delle precipitazioni tropicali tra i due ensemble. In particolare, nelle fasi iniziali dello sviluppo di un SSW, prima che si manifestassero cambiamenti marcati nella stratosfera polare, l’ensemble con SSW mostrava un incremento delle precipitazioni nei subtropici dell’emisfero nord (NH). Questo fenomeno è stato attribuito a una propagazione anomala delle onde planetarie all’interno della troposfera, che avrebbe alterato i pattern di convezione tropicale. Successivamente, a seguito della piena maturazione dell’SSW, si osservava un’evoluzione distinta: un aumento delle precipitazioni nei tropici dell’emisfero sud (SH) accompagnato da una simultanea soppressione nei tropici dell’emisfero nord. Questa seconda fase è stata interpretata come il risultato di un raffreddamento nella bassa stratosfera tropicale, un processo che, come discusso nella letteratura (cfr. Sezione 3.2 del testo originale), può modulare la stabilità atmosferica e influenzare i processi convettivi sottostanti. La capacità di questo studio di evidenziare differenze sistematiche tra gli ensemble SSW e non-SSW ha fornito una solida base empirica per sostenere l’esistenza di un autentico effetto degli SSW sulla troposfera tropicale, contribuendo a consolidare l’ipotesi di un’interconnessione dinamica tra stratosfera polare e tropici.
Recenti avanzamenti in questo campo hanno ulteriormente affinato la comprensione di tali fenomeni, cercando di affrontare questioni aperte legate alla riproducibilità dei risultati e alla definizione precisa dei meccanismi causa-effetto. Un esempio significativo è il lavoro di Noguchi et al. (2020), che ha analizzato l’evoluzione della troposfera tropicale durante un evento di SSW nell’emisfero sud, verificatosi nel settembre 2019. Embora questo evento non abbia soddisfatto pienamente i criteri standard per essere classificato come un “riscaldamento maggiore”, la sua intensità è stata sufficiente per giustificare un’indagine approfondita. Gli autori hanno adottato un approccio di previsione basato su ensemble, seguendo il metodo proposto da Hitchcock e Simpson (2014). In questo contesto, sono stati generati due insiemi di simulazioni: un ensemble di controllo, lasciato evolvere liberamente senza vincoli, e un ensemble “guidato” (nudged), in cui la dinamica stratosferica è stata forzata a seguire l’evoluzione osservata durante l’evento reale. Questo approccio ha permesso di isolare gli effetti della forzatura stratosferica sulle dinamiche troposferiche, offrendo un quadro più chiaro della co-evoluzione temporale di diverse variabili atmosferiche.
I risultati di Noguchi et al. (2020), parzialmente illustrati nella Figura 8 del loro lavoro, hanno fornito una rappresentazione dettagliata dell’impatto dell’SSW. In particolare, la Figura 8a riporta l’evoluzione temporale della temperatura a 10 hPa nelle regioni ad alta latitudine durante il mese di settembre 2019, confrontandola con le corrispondenti traiettorie negli ensemble di controllo e guidato. Questo confronto ha evidenziato come l’ensemble guidato riproducesse fedelmente l’aumento di temperatura osservato, mentre l’ensemble di controllo divergeva significativamente, sottolineando l’importanza della forzatura stratosferica nel determinare l’evoluzione dell’evento. Ulteriori analisi hanno permesso di tracciare la risposta della troposfera tropicale, mettendo in luce variazioni nei pattern di precipitazione e nella circolazione atmosferica che si sviluppavano in concomitanza con l’SSW.I riscaldamenti stratosferici improvvisi (SSW, Sudden Stratospheric Warmings) sono eventi atmosferici estremi che alterano significativamente la dinamica della stratosfera polare invernale, con ripercussioni che si estendono ben oltre le alte latitudini. Negli ultimi anni, la comunità scientifica ha dedicato crescente attenzione agli effetti di questi fenomeni sulla troposfera tropicale, un’area apparentemente distante ma connessa attraverso complessi meccanismi di teleconnessione atmosferica. Studi modellistici avanzati hanno permesso di esplorare queste interazioni, fornendo evidenze robuste di come gli SSW possano modulare parametri chiave come temperatura, precipitazioni e circolazione nei tropici. In questo contesto, i lavori di Noguchi et al. (2020), Yoshida (2019) ed Eguchi et al. (2015) rappresentano contributi significativi, ciascuno con approcci metodologici distinti che arricchiscono la comprensione di tali dinamiche.
Un esempio emblematico è offerto dall’analisi di Noguchi et al. (2020), che ha esaminato l’evento di SSW nell’emisfero sud (SH) del settembre 2019. Utilizzando un approccio basato su ensemble, gli autori hanno confrontato un ensemble di controllo, lasciato evolvere liberamente, con un ensemble “guidato” (nudged), forzato a seguire l’evoluzione stratosferica osservata. I risultati, illustrati in una serie di figure (8b-8g), evidenziano differenze sistematiche tra i due ensemble in diverse variabili troposferiche tropicali. In particolare, le Figure 8b e 8c mostrano variazioni rispettivamente nelle temperature tropicali e nel riscaldamento convettivo, suggerendo che l’SSW influenzi la distribuzione termica e i processi convettivi nei tropici. Le Figure 8d e 8e, invece, rivelano modifiche nella circolazione meridionale, con effetti che si manifestano sia nella stratosfera che nella troposfera, indicando una perturbazione su scala verticale dell’intero sistema atmosferico. Infine, le Figure 8f e 8g documentano differenze nelle precipitazioni tropicali, con un esempio concreto: la variazione media delle precipitazioni su una regione dell’Asia meridionale/sud-orientale, calcolata su un periodo di due settimane, raggiunge circa il 70% della deviazione standard intra-ensemble, un valore che sottolinea l’entità dell’impatto stratosferico.
Questi risultati non solo confermano un’influenza sistematica degli SSW sulla troposfera tropicale, ma mostrano anche somiglianze con caratteristiche stratosferiche tropicali precedentemente identificate in studi osservativi (cfr. Sezione 3.2). Tuttavia, l’analisi delle distribuzioni di probabilità delle precipitazioni (Figura 8g) evidenzia una sfida significativa: la variabilità interna agli ensemble, se rappresentativa della realtà, complica l’attribuzione di effetti sistematici a partire da singoli eventi. Questo suggerisce che, mentre gli SSW producono segnali rilevabili su scala statistica, la loro impronta su casi specifici può essere mascherata dal rumore naturale della variabilità troposferica.
Un ulteriore contributo alla comprensione di questa relazione è fornito da Yoshida (2019), che ha analizzato un vasto dataset di 6117 eventi SSW generati tramite simulazioni numeriche. Questo approccio su larga scala ha permesso di individuare una correlazione statisticamente significativa tra gli SSW e le precipitazioni tropicali mediate zonalmente. In particolare, Yoshida ha rilevato un incremento delle precipitazioni nei giorni immediatamente precedenti e coincidenti con gli SSW, seguito da una riduzione nei giorni successivi. Sebbene l’ampiezza di questo segnale sia relativamente debole – circa il 10% in metriche rilevanti come l’intensità delle precipitazioni – l’impatto sugli eventi estremi è notevole: la probabilità di cicloni tropicali intensi aumenta del 30% in un intervallo di 10 giorni dopo un SSW. Questi risultati suggeriscono che gli SSW non solo modulano i pattern medi di precipitazione, ma possono anche amplificare la frequenza o l’intensità di fenomeni meteorologici estremi nei tropici, con implicazioni potenzialmente rilevanti per la previsione e la gestione dei rischi.
Un aspetto critico emerso dallo studio di Noguchi et al. (2020) riguarda la sensibilità dei risultati alla parametrizzazione convettiva del modello. Modificando tali parametri, gli autori hanno osservato variazioni nella risposta della troposfera tropicale al forzamento stratosferico, evidenziando come le rappresentazioni semplificate della convezione possano influenzare le conclusioni degli studi modellistici. Questa dipendenza solleva interrogativi sulla robustezza delle simulazioni e sottolinea l’importanza di sviluppare modelli più realistici. In questa direzione si colloca il lavoro di Eguchi et al. (2015), che ha esplorato gli effetti di un SSW sulla troposfera tropicale utilizzando il Nonhydrostatic ICosahedral Atmospheric Model (NICAM), un modello globale che simula direttamente la convezione senza ricorrere a parametrizzazioni. In un’integrazione di 60 giorni, gli autori hanno documentato cambiamenti troposferici successivi a un SSW, ma, come da loro stessi riconosciuto, l’assenza di un ensemble di simulazioni ha impedito di stabilire un nesso causale diretto. Questo studio, pur preliminare, rappresenta un passo verso l’eliminazione delle incertezze legate alle parametrizzazioni, aprendo la strada a future ricerche con modelli ad alta risoluzione.
In sintesi, questi studi convergono nel dimostrare che gli SSW esercitano un’influenza misurabile sulla troposfera tropicale, modulando temperatura, precipitazioni e circolazione attraverso meccanismi che coinvolgono sia la propagazione delle onde che le interazioni stratosfera-troposfera. Tuttavia, emergono anche sfide significative: la variabilità interna agli ensemble, la dipendenza dai parametri modellistici e la difficoltà di isolare effetti causali in singoli eventi richiedono ulteriori approfondimenti. L’integrazione di approcci statistici su larga scala (come in Yoshida, 2019) con simulazioni ad alta risoluzione (come in Eguchi et al., 2015) e analisi ensemble sofisticate (come in Noguchi et al., 2020) sarà cruciale per consolidare queste conoscenze. Tali progressi non solo miglioreranno la nostra comprensione delle dinamiche atmosferiche globali, ma avranno anche implicazioni pratiche per la previsione meteorologica e climatica, specialmente in regioni tropicali vulnerabili agli eventi estremi.
Studi con modelli chimico-climatici accoppiati sui cambiamenti climatici a lungo termine: il ruolo di ozono e vapore acqueo
I riscaldamenti stratosferici improvvisi (SSW) e le dinamiche atmosferiche associate rappresentano solo una parte delle complesse interazioni che governano il sistema climatico terrestre. Un altro aspetto cruciale riguarda l’influenza a lungo termine delle variazioni chimiche nella stratosfera, in particolare dell’ozono e del vapore acqueo, sulla troposfera tropicale e sul bilancio radiativo globale. Questi costituenti atmosferici, concentrati nella bassa stratosfera tropicale, esercitano effetti radiativi significativi che modulano la distribuzione della temperatura nella regione del tropopausa e nella troposfera superiore, con ripercussioni sull’intero equilibrio energetico della troposfera tropicale. Studi seminali come quelli di Forster e Shine (1997) e Solomon et al. (2010) hanno evidenziato come tali effetti siano fondamentali non solo per la climatologia regionale, ma anche per la risposta del sistema climatico agli scenari di cambiamento globale. Inoltre, le fluttuazioni annuali e interannuali di ozono e vapore acqueo contribuiscono a determinare variazioni stagionali (Fueglistaler et al., 2011; Gilford e Solomon, 2017; Ming et al., 2017) e interannuali (Gilford et al., 2016) delle temperature nella regione del tropopausa, influenzando processi radiativo-dinamici che collegano stratosfera e troposfera.
Per esplorare queste dinamiche, i modelli chimico-climatici accoppiati si sono rivelati strumenti essenziali. A differenza dei modelli climatici tradizionali, che spesso utilizzano climatologie predefinite per l’ozono, questi modelli prevedono dinamicamente l’evoluzione dell’ozono e di altre specie chimiche, consentendo di valutare il loro impatto su scenari di forzatura climatica, come l’aumento dei gas serra. Un esempio significativo è il lavoro di Nowack et al. (2015), che ha analizzato la sensibilità climatica a un quadruplicamento della concentrazione di anidride carbonica (4 × CO2 rispetto ai livelli preindustriali). In presenza di un ozono interattivo, gli autori hanno riscontrato una riduzione del 20% nell’aumento della temperatura superficiale rispetto a un modello con ozono fisso. Questo risultato, sebbene non uniforme tra tutti i modelli chimico-climatici – come discusso in Marsh et al. (2016), Chiodo et al. (2018) e Nowack et al. (2018) – evidenzia l’importanza delle retroazioni chimico-fisiche nella modulazione della risposta climatica.
Il meccanismo alla base di questa riduzione è complesso e coinvolge una cascata di processi interconnessi. In primo luogo, l’aumento dei gas serra intensifica la circolazione Brewer-Dobson, un sistema di trasporto stratosferico che trasferisce aria dai tropici alle alte latitudini. Questo rafforzamento riduce le concentrazioni di ozono nella bassa stratosfera tropicale, alterandone le proprietà radiative. La conseguente diminuzione del riscaldamento a onde lunghe provoca un raffreddamento della bassa stratosfera e del tropopausa, riducendo l’ingresso di vapore acqueo nella stratosfera. Poiché il vapore acqueo è un potente gas serra, questa diminuzione attenua l’effetto serra complessivo, sebbene tale effetto sia parzialmente compensato da un aumento della nuvolosità nella troposfera superiore e al livello del tropopausa, che contribuisce a un riscaldamento radiativo aggiuntivo. Questo intreccio di retroazioni dimostra come la chimica stratosferica dinamica possa influire sulla risposta climatica globale, introducendo una variabilità che i modelli con ozono fisso non riescono a catturare.
Le implicazioni di queste dinamiche si estendono anche alla variabilità climatica su scala regionale, come evidenziato da Nowack et al. (2017) in relazione al fenomeno di El Niño. È noto che l’aumento dei gas serra tende a stabilizzare la troposfera, indebolendo la circolazione di Walker e, in misura minore, quella di Hadley (Ma et al., 2018). Questo processo riduce lo stress del vento superficiale verso est nell’Oceano Pacifico, attenuando il gradiente di temperatura superficiale est-ovest e favorendo un aumento della frequenza degli eventi di El Niño (Bayr et al., 2014). Tuttavia, l’inclusione dell’ozono interattivo modifica questo scenario. La riduzione dell’aumento delle temperature superficiali dovuta alle retroazioni sopra descritte limita la stabilizzazione troposferica e l’indebolimento della circolazione di Walker. Attraverso simulazioni modellistiche, illustrate nella Figura 9 di Nowack et al. (2017), gli autori dimostrano che questo effetto riduce l’incremento della frequenza degli eventi di El Niño, in particolare degli eventi estremi, rispetto alle previsioni di modelli che trascurano la retroazione dell’ozono. Fino a tempi recenti, molti modelli climatici utilizzati per le proiezioni a lungo termine non includevano tali dinamiche, suggerendo che le stime tradizionali potrebbero sovrastimare l’impatto del riscaldamento globale su fenomeni come El Niño.
Questi studi sottolineano il ruolo cruciale della chimica stratosferica nel modulare il clima terrestre, evidenziando come l’interazione tra ozono, vapore acqueo e dinamiche atmosferiche possa alterare significativamente la sensibilità climatica e la variabilità regionale. Tuttavia, permangono incertezze: la variabilità tra i modelli chimico-climatici, la complessità delle retroazioni e la necessità di dati osservativi a lungo termine per validare queste simulazioni rappresentano sfide aperte. Futuri sviluppi potrebbero includere l’integrazione di modelli con una risoluzione spaziale e temporale più elevata, insieme a campagne osservative mirate a monitorare le variazioni chimiche nella bassa stratosfera tropicale. Tali progressi saranno essenziali per affinare le proiezioni climatiche e comprendere appieno l’interazione tra forzanti antropogeniche e processi naturali nel sistema Terra.

Analisi dettagliata dei risultati modellistici sull’impatto di un SSW sulla troposfera tropicale: una rielaborazione della Figura 8 di Noguchi et al. (2020)
I riscaldamenti stratosferici improvvisi (SSW, Sudden Stratospheric Warmings) sono fenomeni atmosferici estremi che perturbano la circolazione stratosferica polare, con effetti che si propagano potenzialmente fino alla troposfera tropicale attraverso meccanismi dinamici complessi. Lo studio di Noguchi et al. (2020) ha analizzato l’SSW dell’emisfero sud (SH) verificatosi nel settembre 2019, utilizzando un approccio basato su ensemble di simulazioni per valutare l’influenza della dinamica stratosferica forzata sulla troposfera tropicale. I risultati principali sono sintetizzati nella Figura 8, composta da sette pannelli (da (a) a (g)), che illustrano l’evoluzione temporale e spaziale di variabili chiave confrontando un ensemble “guidato” (NUDGE), vincolato all’evoluzione stratosferica osservata, con un ensemble “libero” (FREE), privo di tale forzatura. Di seguito, si fornisce un’analisi esaustiva di ciascun pannello, integrando il contesto scientifico e le implicazioni dei risultati.
Pannello (a): Evoluzione temporale della temperatura stratosferica polare a 10 hPa
Il primo pannello presenta una serie temporale della temperatura a 10 hPa nella calotta polare dell’emisfero sud (70°S – 90°S) durante agosto e settembre 2019, un periodo che include l’insorgenza e lo sviluppo dell’SSW. La linea nera spessa rappresenta i dati osservati derivati dall’analisi JRA-55, una rianalisi atmosferica ampiamente utilizzata per validare simulazioni modellistiche. Le linee viola mostrano i membri individuali dell’ensemble NUDGE, inizializzato il 10 agosto 2019 e forzato a seguire la dinamica stratosferica reale, mentre le linee verdi rappresentano i membri dell’ensemble FREE, che evolve senza vincoli esterni. Le medie degli ensemble sono indicate rispettivamente da linee viola e verdi più spesse. Questo pannello evidenzia la capacità dell’ensemble NUDGE di riprodurre fedelmente l’aumento di temperatura caratteristico dell’SSW, con picchi che si allineano ai dati osservati, mentre l’ensemble FREE diverge significativamente, mantenendo temperature più stabili e non catturando l’evento. Tale contrasto stabilisce la validità del nudging come metodo per isolare gli effetti stratosferici e fornisce una base per analizzare le ripercussioni troposferiche nei pannelli successivi.
Pannelli (b) e (c): Differenze temporali e verticali tra NUDGE e FREE nella regione tropicale
I pannelli (b) e (c) illustrano l’evoluzione temporale delle differenze medie tra gli ensemble NUDGE e FREE in sezioni trasversali tempo-altezza, calcolate nella regione quasi-equatoriale dell’emisfero nord (0° – 20°N). Il pannello (b) mostra le variazioni di temperatura, mentre il (c) rappresenta il tasso di riscaldamento associato alla convezione cumuliforme, entrambi mediati su questa fascia latitudinale. Le regioni con differenze statisticamente significative al 90%, determinate tramite il test t di Welch, sono evidenziate con un tratteggio. Questi grafici rivelano che l’SSW induce cambiamenti misurabili nella struttura termica e convettiva della troposfera tropicale, con effetti che si estendono dalla bassa stratosfera fino agli strati troposferici superiori. Ad esempio, un raffreddamento stratosferico potrebbe stabilizzare la colonna atmosferica, sopprimendo la convezione e riducendo il riscaldamento associato, un risultato coerente con le teorie sulle interazioni stratosfera-troposfera. La significatività statistica di queste differenze sottolinea la robustezza dell’impatto stratosferico, suggerendo una teleconnessione dinamica mediata dalla propagazione delle onde o da variazioni nella circolazione globale.
Pannelli (d) ed (e): Modifiche alla circolazione meridionale indotte dall’SSW
I pannelli (d) ed (e) presentano sezioni trasversali latitudine-altezza della funzione di flusso di massa residua TEM (Transformed Eulerian Mean), un diagnostico che descrive la circolazione meridionale media zonale nell’atmosfera, per due periodi distinti: 1-15 settembre 2019 (fase iniziale dell’SSW) e 16-30 settembre 2019 (fase matura). I contorni, tracciati su scala logaritmica, rappresentano la media dell’ensemble NUDGE, mentre i colori indicano le differenze tra NUDGE e FREE. Le aree con differenze positive (rosse) o negative (blu) significative al 90% (test t di Welch) sono tratteggiate. Questi pannelli mostrano che l’SSW altera la circolazione sia nella stratosfera che nella troposfera, con effetti più pronunciati nella seconda metà di settembre. Nella fase iniziale (d), le differenze sono limitate, riflettendo un’influenza stratosferica ancora in sviluppo, mentre nella fase successiva (e), si osserva una modifica più marcata, suggerendo un impatto ritardato sulla dinamica troposferica tropicale, probabilmente mediato da cambiamenti nella Brewer-Dobson circulation o da onde planetarie.
Pannello (f): Distribuzione spaziale delle differenze nelle precipitazioni convettive
Il pannello (f) mostra una sezione trasversale longitudine-latitudine delle differenze medie tra NUDGE e FREE nelle precipitazioni convettive, calcolate per il periodo 16-30 settembre 2019. Le regioni con differenze significative al 90% (test t di Welch) sono tratteggiate, e un riquadro nero delimita la regione del Monsone Asiatico. Questo grafico evidenzia che l’SSW modifica i pattern di precipitazione tropicale, con variazioni spaziali che riflettono l’influenza stratosferica su processi convettivi regionali. Ad esempio, un aumento delle precipitazioni nell’area del Monsone Asiatico potrebbe indicare un’intensificazione della convezione dovuta a un’alterazione della stabilità atmosferica, mentre una riduzione altrove potrebbe riflettere una soppressione convettiva. La significatività di queste differenze rafforza l’ipotesi che gli SSW abbiano un’impronta sistematica sulla troposfera tropicale, con implicazioni per la previsione meteorologica regionale.
Pannello (g): Distribuzione statistica delle precipitazioni nella regione del Monsone Asiatico
Il pannello (g) presenta un istogramma delle precipitazioni convettive giornaliere nella regione del Monsone Asiatico (definita nel pannello (f)) per il periodo 16-30 settembre 2019. L’istogramma viola rappresenta l’ensemble NUDGE, quello verde l’ensemble FREE, con croci che indicano i valori medi di ensemble e tempo. Il rapporto segnale-rumore è fornito in due forme: tra parentesi, calcolato come la differenza media tra gli ensemble divisa per la dispersione dei valori mediati su area e periodo; senza parentesi, basato su dati giornalieri individuali. Questo pannello mostra una chiara separazione tra le distribuzioni di NUDGE e FREE, con l’ensemble NUDGE che tende a valori diversi (ad esempio, precipitazioni più intense o ridotte) a causa dell’SSW. Il rapporto segnale-rumore, sebbene modesto, indica che l’effetto stratosferico è rilevabile, ma la sovrapposizione delle distribuzioni suggerisce che la variabilità naturale può mascherare il segnale in singoli casi, sottolineando la necessità di analisi statistiche su larga scala.
Implicazioni scientifiche e conclusioni
La Figura 8 di Noguchi et al. (2020) fornisce una rappresentazione multidimensionale dell’impatto dell’SSW del settembre 2019 sulla troposfera tropicale, dimostrando che la forzatura stratosferica (NUDGE) induce cambiamenti sistematici in temperatura, convezione, circolazione e precipitazioni rispetto a uno scenario privo di SSW (FREE). I risultati confermano l’esistenza di una teleconnessione stratosfera-troposfera, coerente con i meccanismi proposti in letteratura, come la modulazione della stabilità atmosferica e la propagazione delle onde planetarie. Tuttavia, la modestia del rapporto segnale-rumore nel pannello (g) evidenzia una sfida: la variabilità interna al sistema atmosferico può attenuare la rilevabilità dell’effetto in analisi di singoli eventi, rendendo essenziali approcci ensemble per distinguere il segnale dal rumore. Questi risultati non solo approfondiscono la comprensione delle interazioni atmosferiche globali, ma hanno anche implicazioni pratiche per la modellistica climatica e la previsione di fenomeni tropicali, come i monsoni, in presenza di perturbazioni stratosferiche.
Studi con modelli climatici globali (GCM) sugli effetti della geoingegneria: implicazioni per la circolazione e l’idroclima tropicale
La geoingegneria, intesa come l’intervento deliberato sui processi climatici terrestri per contrastare il riscaldamento globale, ha attirato crescente attenzione negli ultimi decenni, specialmente attraverso tecniche come l’iniezione di aerosol stratosferici o composti precursori di aerosol capaci di assorbire la radiazione solare in entrata. Questo metodo, ispirato agli effetti climatici delle eruzioni vulcaniche naturali, si propone di ridurre l’impatto del cambiamento climatico futuro diminuendo la quantità di energia solare che raggiunge la superficie terrestre. Tuttavia, nonostante il suo potenziale, l’approccio comporta rischi significativi e conseguenze non intenzionali, in particolare sulle dinamiche atmosferiche regionali e sull’idroclima, con un’enfasi particolare sulle regioni tropicali. Studi recenti hanno evidenziato come tali interventi possano alterare i pattern di precipitazione e la circolazione atmosferica, sollevando interrogativi sulla loro fattibilità e sui trade-off ambientali associati. In questo contesto, i modelli climatici globali (GCM) si sono rivelati strumenti fondamentali per esplorare i complessi effetti della geoingegneria stratosferica, mettendo in luce sia i meccanismi radiativi diretti che quelli dinamici indiretti.
Uno degli esempi più interessanti di queste dinamiche riguarda i potenziali impatti sulla variabilità idroclimatica regionale. Haywood et al. (2013) hanno analizzato come l’iniezione di aerosol stratosferici possa influenzare le precipitazioni nel Sahel, una regione già vulnerabile a siccità e fluttuazioni climatiche, mentre Khodri et al. (2017) hanno investigato l’effetto su El Niño, evidenziando una possibile modulazione della variabilità del Pacifico tropicale. Questi studi suggeriscono che l’aumento del carico di aerosol stratosferico possa perturbare i delicati equilibri della troposfera tropicale attraverso molteplici percorsi fisici. Tradizionalmente, l’attenzione si è concentrata sull’effetto radiativo diretto degli aerosol, che riduce la radiazione solare incidente e altera il bilancio energetico superficiale, influenzando così i pattern di precipitazione. Questo meccanismo è spesso rappresentato nei modelli semplificati mediante il cosiddetto “solar dimming” (oscuramento solare), come illustrato da Kravitz et al. (2014), in cui l’iniezione di aerosol viene simulata riducendo artificialmente l’irraggiamento solare senza considerare la distribuzione o le proprietà fisiche degli aerosol stessi.
Tuttavia, un secondo percorso, meno frequentemente considerato ma altrettanto rilevante, emerge dal riscaldamento della bassa stratosfera tropicale indotto dall’assorbimento di radiazione (sia solare che a onde lunghe) da parte degli aerosol stratosferici. Questo effetto termico, che si verifica quando gli aerosol assorbono energia e riscaldano gli strati atmosferici circostanti, può alterare la stabilità verticale dell’atmosfera e modificare la dinamica troposferica sottostante. Tale processo è spesso trascurato nelle simulazioni che si limitano al “solar dimming” e, persino nei modelli più avanzati che includono esplicitamente gli aerosol, il suo ruolo può essere sottovalutato a causa della complessità delle interazioni coinvolte. Ferraro et al. (2014) hanno affrontato questa lacuna utilizzando un GCM di complessità intermedia, dimostrando che l’aumento di aerosol solfatici stratosferici provoca un riscaldamento della troposfera superiore attraverso l’emissione di radiazione a onde lunghe dagli aerosol stessi e dalla bassa stratosfera riscaldata. Questo riscaldamento indebolisce la circolazione troposferica tropicale, riducendo la vigorosità dei moti convettivi e influenzando i pattern di precipitazione in modo diverso rispetto a quanto previsto dai soli effetti radiativi superficiali.
Un’analisi più approfondita è stata condotta da Simpson et al. (2019), che hanno sfruttato un modello di sistema terrestre all’avanguardia per isolare l’effetto del riscaldamento stratosferico indotto dalla geoingegneria. Gli autori hanno simulato uno scenario di forzatura climatica estrema (RCP8.5) con l’aggiunta di aerosol stratosferici, quindi hanno estratto il contributo termico specifico del riscaldamento della bassa stratosfera e lo hanno applicato separatamente alle integrazioni climatiche di base. Questo approccio ha permesso di distinguere gli effetti del riscaldamento stratosferico da quelli del “solar dimming” globale, offrendo una visione più chiara delle dinamiche indotte dagli aerosol. I risultati indicano che il riscaldamento della bassa stratosfera tende a ridurre l’intensità della circolazione tropicale, un fenomeno che si traduce in una diminuzione dei contrasti geografici nelle precipitazioni. In particolare, si osserva una riduzione delle precipitazioni nelle regioni tropicali precedentemente umide, come le zone di convergenza intertropicale, e un aumento nelle aree precedentemente secche, come alcune regioni subtropicali. Questo effetto è attribuito a una stabilizzazione della colonna atmosferica: il riscaldamento stratosferico riduce il gradiente termico verticale, indebolendo i moti convettivi che alimentano i sistemi precipitativi.
Le implicazioni di questi risultati sono molteplici. Da un lato, confermano che la geoingegneria stratosferica non è una soluzione neutrale, ma un intervento che redistribuisce i pattern climatici globali, potenzialmente esacerbando squilibri idrici in alcune regioni mentre ne mitiga altri. Dall’altro, evidenziano la necessità di modelli più sofisticati che integrino sia gli effetti radiativi superficiali che le dinamiche termiche stratosferiche per prevedere accuratamente gli esiti della geoingegneria. Studi come quelli di Ferraro et al. (2014) e Simpson et al. (2019) sottolineano anche la complessità delle retroazioni atmosferiche: ad esempio, un indebolimento della circolazione tropicale potrebbe influenzare non solo le precipitazioni, ma anche la distribuzione di calore e umidità su scala globale, con ripercussioni su fenomeni come i monsoni o la variabilità ENSO (El Niño-Southern Oscillation).Le implicazioni delle ricerche sulla geoingegneria stratosferica, in particolare quelle relative all’iniezione di aerosol che assorbono radiazione solare, si estendono oltre il loro contesto applicativo immediato, offrendo spunti significativi anche per comprendere gli effetti delle eruzioni vulcaniche che raggiungono la stratosfera tropicale. È ampiamente riconosciuto che tali eruzioni, come quelle storiche di El Chichón (1982) e Pinatubo (1991), provocano un riscaldamento della bassa stratosfera tropicale attraverso l’assorbimento di radiazione solare e infrarossa da parte degli aerosol solfatici iniettati nell’atmosfera superiore (Fujiwara et al., 2015). Questo aumento di temperatura, che può raggiungere diversi gradi Kelvin, altera la struttura termica stratosferica e ha il potenziale di influenzare i processi troposferici sottostanti. Parallelamente, numerosi studi hanno suggerito che queste perturbazioni vulcaniche modifichino i pattern di precipitazione, con particolare attenzione alla loro distribuzione spaziale nelle regioni tropicali (Iles et al., 2013). Tradizionalmente, tali cambiamenti sono stati attribuiti a variazioni nel bilancio energetico superficiale: la riduzione della radiazione solare in entrata (effetto “solar dimming”) raffredda la superficie terrestre, alterando i gradienti termici che guidano la convezione e, di conseguenza, le precipitazioni. Tuttavia, le evidenze emergenti dalle simulazioni di geoingegneria indicano che il riscaldamento indotto dagli aerosol nella bassa stratosfera tropicale potrebbe giocare un ruolo altrettanto cruciale, se non dominante, in questi processi dinamici.
Questa prospettiva suggerisce una reinterpretazione dei meccanismi alla base delle risposte idroclimatiche post-vulcaniche. Mentre l’approccio convenzionale si concentra sull’impatto radiativo diretto sulla superficie, i risultati modellistici più recenti evidenziano che il riscaldamento stratosferico può modulare la stabilità atmosferica e la circolazione troposferica in modi che non sono pienamente catturati dai modelli semplificati. Ad esempio, il calore aggiuntivo nella bassa stratosfera può ridurre il gradiente di temperatura verticale tra stratosfera e troposfera superiore, stabilizzando la colonna atmosferica e indebolendo i moti convettivi tropicali. Questo effetto si traduce in una redistribuzione delle precipitazioni, con una tendenza alla diminuzione nelle regioni umide, dove la convezione è più intensa, e un aumento nelle aree più secche, dove la dinamica atmosferica è meno vigorosa. Tale meccanismo si affianca, e in alcuni casi si sovrappone, agli effetti superficiali, suggerendo che la risposta idroclimatica alle eruzioni vulcaniche sia il risultato di un’interazione complessa tra forzanti radiativi e dinamici.
Un’interessante analogia emerge quando si confrontano gli effetti del riscaldamento stratosferico indotto dagli aerosol con quelli associati alla Quasi-Biennial Oscillation (QBO), un’oscillazione regolare dei venti stratosferici equatoriali con un periodo di circa 28 mesi. Durante la fase occidentale della QBO (QBOW), la bassa stratosfera tropicale tende a essere più calda rispetto alla fase orientale (QBOE), con una differenza di temperatura di circa 4 K a 20 km di altitudine. Gli esperimenti di geoingegneria e vulcanismo simulati, tuttavia, producono un riscaldamento molto più intenso, nell’ordine di 10 K a 20 km, come riportato da Simpson et al. (2019). Nonostante la differenza di magnitudine, esiste una coerenza qualitativa: in entrambi i casi, il riscaldamento stratosferico tende a indebolire la circolazione tropicale, riducendo i contrasti spaziali nelle precipitazioni. Questa somiglianza suggerisce che i processi fisici sottostanti – come la modulazione della circolazione meridionale e la soppressione della convezione profonda – possano essere simili, sebbene operino su scale diverse. La maggiore intensità del riscaldamento negli scenari di aerosol implica effetti potenzialmente più pronunciati, ma la corrispondenza con la QBO offre un quadro teorico per interpretare questi fenomeni nel contesto della variabilità climatica naturale.
Per esplorare ulteriormente queste dinamiche, Simpson et al. (2019) hanno condotto un esperimento semplificato con un modello di tipo “aquaplanet”, una configurazione ideale che rappresenta un pianeta interamente coperto da oceani, priva di continenti e delle loro complessità orografiche. In questo setup, sono state imposte regioni localizzate di temperature superficiali del mare (SST) relativamente alte e basse nei tropici, simulando gradienti termici artificiali. Applicando un riscaldamento stratosferico forzato, gli autori hanno osservato una risposta coerente con i risultati delle simulazioni più complesse: una riduzione delle precipitazioni nelle regioni umide e un aumento in quelle secche. Questo esperimento, pur stilizzato, isola l’effetto del riscaldamento stratosferico dagli influssi superficiali, confermando che la perturbazione della bassa stratosfera è sufficiente a modificare i pattern convettivi tropicali. La consistenza tra questo risultato e le simulazioni di geoingegneria sotto scenari realistici (come RCP8.5) rafforza l’ipotesi che il riscaldamento stratosferico sia un driver chiave, indipendentemente dalla complessità del sistema modellizzato.
Questi risultati, originariamente motivati dall’interesse per la geoingegneria, si intrecciano in modo significativo con gli studi sulla QBO discussi nella letteratura precedente (ad esempio, Sezione 4.1a). Entrambi i filoni di ricerca evidenziano il ruolo della bassa stratosfera tropicale come nodo critico nelle teleconnessioni atmosferiche, capable di influenzare la dinamica troposferica su scala globale. Nel caso delle eruzioni vulcaniche, questa connessione suggerisce che gli effetti idroclimatici osservati – come la riduzione delle precipitazioni monsoniche o le anomalie nella distribuzione tropicale – possano essere parzialmente attribuiti al riscaldamento stratosferico, piuttosto che esclusivamente al raffreddamento superficiale. Per la QBO, invece, il riscaldamento più moderato associato alla fase QBOW implica effetti simili ma meno intensi, che si manifestano come modulazioni stagionali o interannuali della circolazione tropicale.
Le implicazioni di queste scoperte sono rilevanti sia per la comprensione dei processi naturali che per la valutazione delle strategie di geoingegneria. Per le eruzioni vulcaniche, i modelli climatici dovrebbero integrare meglio il contributo del riscaldamento stratosferico per migliorare le previsioni degli impatti idroclimatici, specialmente nelle regioni tropicali vulnerabili come il Sahel o il bacino del Pacifico. Per la geoingegneria, i risultati sottolineano la necessità di considerare gli effetti collaterali dinamici oltre quelli radiativi, poiché un intervento mirato a ridurre il riscaldamento globale potrebbe inavvertitamente alterare i regimi precipitativi con conseguenze sociali ed ecologiche significative. Futuri studi potrebbero approfondire queste dinamiche combinando osservazioni post-vulcaniche, simulazioni ad alta risoluzione e analisi della variabilità naturale come la QBO, offrendo una visione più integrata delle interazioni stratosfera-troposfera nel sistema climatico terrestre.

Analisi approfondita dei risultati di simulazioni chimico-climatiche: interpretazione della Figura 9 da Nowack et al. (2017)
La comprensione delle interazioni tra i gas serra, la chimica stratosferica e la dinamica troposferica rappresenta una sfida cruciale per la modellistica climatica moderna. La Figura 9, tratta da Nowack et al. (2017), sintetizza i risultati di un esperimento condotto con un modello chimico-climatico accoppiato, progettato per valutare gli effetti combinati di un quadruplicamento della concentrazione di anidride carbonica (4 × CO2) e delle conseguenti variazioni nell’ozono stratosferico sulla troposfera tropicale. Attraverso il confronto di tre scenari distinti – un controllo con ozono interattivo (A), uno scenario con 4 × CO2 e ozono interattivo (B), e uno con 4 × CO2 ma ozono fisso (C1) – gli autori esplorano come le retroazioni dell’ozono modulino la risposta climatica, con particolare attenzione alla temperatura e alla circolazione di Walker nei tropici (5°S – 5°N). La figura si articola in quattro pannelli (a-d), ciascuno dei quali offre una prospettiva complementare su questi processi. Di seguito, si presenta un’analisi esaustiva di ciascun pannello, integrata con il contesto scientifico e le implicazioni per la comprensione del sistema climatico.
Contesto sperimentale e razionale
L’esperimento si basa su tre simulazioni:
- A: una simulazione di controllo che rappresenta uno stato climatico di riferimento con ozono interattivo, cioè in cui le concentrazioni di ozono rispondono dinamicamente alle condizioni atmosferiche (ad esempio, variazioni nella circolazione stratosferica e nella chimica).
- B: uno scenario perturbato in cui la concentrazione di CO2 è quadruplicata rispetto ad A, mantenendo l’ozono interattivo, consentendo così di catturare sia l’effetto radiativo del CO2 sia le retroazioni chimico-dinamiche dell’ozono.
- C1: uno scenario con 4 × CO2 rispetto ad A, ma con la distribuzione di ozono imposta a quella di A (ozono fisso), eliminando le variazioni di ozono indotte dal CO2.
Le differenze tra questi scenari permettono di isolare i contributi specifici: B – A rappresenta l’effetto totale del quadruplicamento di CO2, includendo le modifiche all’ozono, mentre B – C1 evidenzia l’impatto delle variazioni di ozono in B rispetto alla distribuzione statica di A. Tutte le quantità sono mediate latitudinalmente tra 5°S e 5°N, focalizzandosi sulla regione equatoriale dove la circolazione di Walker domina la dinamica atmosferica tropicale.
Pannello (a): Variazioni di temperatura indotte da 4 × CO2 con ozono interattivo (B – A)
Il primo pannello illustra la variazione di temperatura tra lo scenario B e lo scenario A, probabilmente rappresentata come una sezione trasversale altezza-latitudine o altezza-tempo, con valori mediati nella fascia tropicale (5°S – 5°N).
- Risultati principali: Si osserva un riscaldamento più pronunciato nella troposfera superiore rispetto alla troposfera inferiore, indicando una riduzione del gradiente verticale di temperatura, noto come lapse rate troposferico.
- Meccanismo fisico: L’aumento della concentrazione di CO2 amplifica l’effetto serra, intrappolando maggiore radiazione a onde lunghe nell’atmosfera. Questo effetto è più marcato nella troposfera superiore, dove la densità atmosferica è minore e la capacità di assorbire ed emettere radiazione infrarossa è accentuata dalla presenza di gas serra. La diminuzione del lapse rate implica una stabilizzazione della colonna atmosferica, riducendo la tendenza alla convezione profonda e alterando i processi dinamici tropicali. Questo risultato è coerente con le aspettative teoriche per un’atmosfera sottoposta a un forte forzante radiativo, ma il ruolo dell’ozono interattivo aggiunge una complessità che viene esplorata nel pannello successivo.
Pannello (b): Contributo delle variazioni di ozono alla distribuzione della temperatura (B – C1)
Il secondo pannello confronta lo scenario B con C1, isolando l’effetto delle variazioni di ozono indotte dal quadruplicamento di CO2 rispetto a uno scenario con ozono fisso.
- Risultati principali: Le variazioni di ozono in B riducono il riscaldamento della troposfera superiore rispetto a quanto previsto dal solo aumento di CO2 (come in C1). Di conseguenza, la diminuzione del lapse rate in B è meno accentuata rispetto a uno scenario senza retroazioni dell’ozono.
- Meccanismo sottostante: L’aumento di CO2 intensifica la circolazione Brewer-Dobson, un sistema di trasporto stratosferico che sposta aria dai tropici verso i poli, riducendo le concentrazioni di ozono nella bassa stratosfera tropicale. Questa deplezione diminuisce il riscaldamento radiativo a onde lunghe nella troposfera superiore, esercitando un effetto di raffreddamento relativo che contrasta il riscaldamento indotto dal CO2. Tale feedback attenua la stabilizzazione verticale della troposfera, con implicazioni per la convezione e la circolazione atmosferica. Questo pannello evidenzia che l’ozono non è un componente passivo, ma un attore dinamico che modifica significativamente la risposta termica al forzante dei gas serra.
Pannello (c): Cambiamenti nella velocità verticale (omega) con 4 × CO2 e ozono interattivo (B e B – A)
Il terzo pannello presenta il campo di omega (velocità verticale in coordinate di pressione, dove valori positivi indicano discesa e negativi risalita) per lo scenario B (contorni) e la differenza tra B e A (ombreggiatura). Omega è un diagnostico fondamentale per valutare la forza e la struttura della circolazione verticale, strettamente connessa alla circolazione di Walker nei tropici.
- Risultati principali: In B, si osserva una riduzione dell’intensità della circolazione di Walker, accompagnata da uno spostamento verso est della zona di massima risalita (upwelling). La differenza B – A quantifica questi cambiamenti rispetto al controllo.
- Interpretazione dinamica: L’aumento di CO2 stabilizza la troposfera, riducendo il gradiente termico verticale e indebolendo i moti convettivi che alimentano la circolazione di Walker. Questo sistema, caratterizzato da una forte risalita sul Pacifico occidentale e una discesa sul Pacifico orientale, subisce una diminuzione di vigorosità e uno spostamento della convezione verso est, un segnale tipico di condizioni favorevoli a El Niño. La combinazione di CO2 e ozono interattivo in B produce un effetto netto che riflette sia il forzante radiativo che le retroazioni chimiche, come esplorato ulteriormente nel pannello (d).
Pannello (d): Influenza dell’ozono sulla circolazione di Walker (B e B – C1)
Il quarto pannello mostra il campo di omega per B (contorni) e la differenza tra B e C1 (ombreggiatura), isolando l’effetto delle variazioni di ozono sulla circolazione verticale.
- Risultati principali: La circolazione di Walker in B è più forte rispetto a C1, indicando che le variazioni di ozono attenuano l’indebolimento che si verificherebbe con il solo aumento di CO2.
- Meccanismo e implicazioni: In C1, dove l’ozono è fisso, il quadruplicamento di CO2 provoca un riscaldamento troposferico più uniforme e una maggiore stabilizzazione, portando a un indebolimento più marcato della circolazione di Walker. In B, la riduzione dell’ozono stratosferico e il conseguente raffreddamento relativo della troposfera superiore limitano questa stabilizzazione, preservando una maggiore intensità della circolazione. Questo effetto riduce l’entità dello spostamento verso est della convezione e mitiga la tendenza verso condizioni di El Niño rispetto a uno scenario senza retroazioni dell’ozono. Il confronto B – C1 sottolinea l’importanza di includere la chimica dinamica nei modelli climatici per una rappresentazione accurata delle risposte tropicali.
Significato scientifico e implicazioni
La Figura 9 offre una visione integrata degli effetti combinati di CO2 e ozono sulla troposfera tropicale, evidenziando il ruolo cruciale delle retroazioni chimico-dinamiche. I pannelli (a) e (b) dimostrano che l’ozono interattivo modula la distribuzione verticale della temperatura, riducendo il riscaldamento della troposfera superiore e attenuando la stabilizzazione atmosferica indotta dal CO2. I pannelli (c) e (d) mostrano che queste modifiche termiche si traducono in una circolazione di Walker meno indebolita e in una minore tendenza verso configurazioni di El Niño rispetto a quanto previsto da modelli con ozono fisso. Questi risultati hanno implicazioni significative:
- Variabilità tropicale: La preservazione parziale della circolazione di Walker suggerisce una riduzione della frequenza o dell’intensità degli eventi di El Niño in scenari con ozono interattivo, un aspetto critico per le regioni tropicali dipendenti dai pattern precipitativi associati all’ENSO (El Niño-Southern Oscillation).
- Accuratezza della modellistica: Molti modelli climatici tradizionali utilizzano ozono fisso, rischiando di sovrastimare gli impatti del CO2 sulla stabilità troposferica e sulla variabilità tropicale. L’inclusione dell’ozono interattivo è essenziale per catturare la complessità delle risposte climatiche.
- Interazioni stratosfera-troposfera: Il feedback dell’ozono evidenzia un collegamento dinamico tra la chimica stratosferica e la dinamica troposferica, rafforzando la necessità di approcci modellistici accoppiati che integrino questi processi.
In conclusione, la Figura 9 di Nowack et al. (2017) rappresenta un contributo fondamentale alla comprensione delle retroazioni climatiche nei tropici, dimostrando che le variazioni di ozono indotte dai gas serra non sono un dettaglio secondario, ma un elemento chiave nella modulazione della risposta atmosferica al cambiamento climatico. Questi risultati invitano a ulteriori ricerche per raffinare i modelli e validare queste dinamiche con osservazioni a lungo termine.
Influenza delle Maree Solari Semidiurne sul Coupling Stratosfera-Troposfera Tropicale: Un’Analisi Basata su Modelli GCM
Nel panorama degli studi sulla dinamica atmosferica, un’area di crescente interesse è rappresentata dal coupling tra stratosfera e troposfera nelle regioni tropicali, con particolare attenzione ai meccanismi che regolano le variazioni climatiche su scale temporali brevi. Tra i contributi più significativi in questo campo si collocano gli studi condotti da Sakazaki et al. (2017) e Sakazaki e Hamilton (2017), i quali hanno investigato gli effetti delle maree atmosferiche, in particolare della marea semidiurna (S2), sul ciclo diurno delle precipitazioni tropicali. Questi lavori utilizzano un approccio modellistico avanzato, basato su un General Circulation Model (GCM), per esplorare come le forzanti stratosferiche e troposferiche interagiscano nel modulare processi atmosferici fondamentali.
La marea semidiurna S2 è un fenomeno ben documentato nella letteratura scientifica, noto per essere principalmente eccitato dal riscaldamento dell’ozono nella stratosfera, dove l’assorbimento della radiazione solare ultravioletta genera oscillazioni termiche regolari con un periodo di circa 12 ore. Questo processo stratosferico si propaga verso il basso, influenzando la dinamica della troposfera tropicale. Per comprendere il contributo relativo delle diverse regioni atmosferiche, Sakazaki e collaboratori hanno progettato una serie di esperimenti numerici controllati all’interno del loro GCM. In tali esperimenti, i meccanismi di forzatura troposferica e stratosferica sono stati separatamente soppressi in modo artificiale, permettendo di isolare gli effetti di ciascuna componente sull’ampiezza della marea S2. I risultati di queste simulazioni hanno rivelato che la forzatura stratosferica gioca un ruolo cruciale, contribuendo per circa il 50% all’ampiezza della marea semidiurna osservata nella troposfera tropicale. Questo dato sottolinea l’importanza di considerare le interazioni verticali tra i diversi strati atmosferici per una comprensione completa della dinamica tropicale.
Un aspetto particolarmente innovativo dello studio di Sakazaki et al. (2017) riguarda l’analisi dell’impatto della marea S2 sulla variabilità semidiurna delle precipitazioni tropicali. Attraverso gli esperimenti di soppressione delle forzanti, gli autori hanno dimostrato che una riduzione dell’ampiezza della marea si traduce in una corrispondente diminuzione della variazione semidiurna delle precipitazioni. Questo legame suggerisce che la marea semidiurna agisca come un driver primario per il ciclo diurno della convezione nelle regioni tropicali, con circa la metà di tale variazione attribuibile agli effetti stratosferici. Tale conclusione è supportata dall’osservazione che le oscillazioni di pressione indotte dalla marea modulano i processi convettivi nella troposfera, influenzando la formazione e l’intensità delle precipitazioni.
Un ulteriore elemento di interesse emerso da questi studi è la sensibilità della variazione semidiurna delle precipitazioni alla parametrizzazione convettiva adottata nel modello GCM. Mentre l’ampiezza della marea S2, misurata in termini di variazioni di pressione, rimane relativamente stabile indipendentemente dallo schema convettivo utilizzato, l’entità della risposta delle precipitazioni varia significativamente in base alla parametrizzazione scelta. Gli autori interpretano questa dipendenza come un’indicazione che i meccanismi fisici responsabili della conversione di una perturbazione di pressione troposferica in un segnale convettivo sono catturati in modo differente dai vari schemi di parametrizzazione. Alcuni modelli riescono a riprodurre fedelmente la complessità di questi processi, mentre altri risultano meno efficaci, suggerendo che l’analisi della risposta convettiva alla marea S2 possa rappresentare un utile banco di prova per valutare e migliorare le parametrizzazioni convettive nei GCM.
Questa sensibilità ha implicazioni più ampie per lo studio del coupling stratosfera-troposfera. La capacità di un modello di simulare accuratamente la risposta delle precipitazioni a una forzatura di origine stratosferica può fornire informazioni preziose sui processi fisici che governano l’interazione tra questi due strati atmosferici. Tuttavia, è importante sottolineare che la marea semidiurna opera su scale temporali relativamente brevi (12 ore), e i meccanismi coinvolti potrebbero differire significativamente da quelli che dominano su scale temporali più lunghe, come quelle settimanali o stagionali. Ad esempio, mentre le maree atmosferiche sono fenomeni ad alta frequenza, i processi di coupling su scale più estese potrebbero essere influenzati da fattori come la variabilità della temperatura superficiale del mare o le onde planetarie, che richiedono approcci modellistici e concettuali distinti.
In sintesi, gli studi di Sakazaki et al. (2017) e Sakazaki e Hamilton (2017) offrono un contributo significativo alla comprensione del ruolo delle maree solari semidiurne nel modulare il clima tropicale, evidenziando il peso della stratosfera come agente attivo nel forcing troposferico. Questi lavori non solo confermano l’importanza delle interazioni verticali nell’atmosfera, ma propongono anche un metodo innovativo per testare e affinare i modelli numerici attraverso l’analisi della risposta convettiva a perturbazioni di origine stratosferica. Tali risultati aprono la strada a ulteriori indagini sulla dinamica atmosferica tropicale e sul suo ruolo nel sistema climatico globale.
Influenza del QBO sulla Troposfera Tropicale: Analisi Avanzate tramite Modelli a Risoluzione di Convezione (CRM)
Introduzione al Ruolo dei Modelli nella Dinamica Troposferica Tropicale
La comprensione delle interazioni tra stratosfera e troposfera nelle regioni tropicali rappresenta una sfida cruciale per la modellistica climatica e meteorologica. Nei modelli globali di circolazione generale (GCM), le variazioni simulate nella troposfera tropicale, inclusa la risposta a perturbazioni stratosferiche come quelle associate alla Quasi-Biennial Oscillation (QBO), dipendono in modo critico dalla parametrizzazione dei processi convettivi. Queste parametrizzazioni, necessarie per rappresentare la convezione su scale sub-grid nei GCM, introducono incertezze significative nei risultati, poiché il loro comportamento varia a seconda delle assunzioni fisiche adottate. Come evidenziato nella Sezione 4.1 (paragrafi a-e), gli studi che hanno analizzato in dettaglio il coupling stratosfera-troposfera nei tropici utilizzando modelli globali sono relativamente pochi. Questa limitazione suggerisce la necessità di ampliare l’indagine a un insieme più diversificato di modelli GCM, che includano un ventaglio più ampio di schemi convettivi, al fine di testarne la robustezza e migliorare la rappresentazione dei processi fisici coinvolti.
Un’alternativa promettente a tale approccio è rappresentata dai modelli a risoluzione di convezione (Convection-Resolving Models, CRM), noti anche come modelli “convection-permitting”. Questi modelli si distinguono per la loro capacità di risolvere esplicitamente i processi convettivi, eliminando la dipendenza dalle parametrizzazioni approssimative tipiche dei GCM. Caratterizzati da dinamiche non idrostatiche, alta risoluzione orizzontale (generalmente inferiore a pochi chilometri) e una rappresentazione dettagliata dei processi microfisici e radiativi, i CRM offrono un quadro più realistico della convezione atmosferica. In questo contesto, il presente testo si concentra su simulazioni CRM condotte in condizioni idealizzate, come domini orizzontali di dimensioni ridotte, che consentono di isolare specifici meccanismi fisici. Per un approfondimento sugli studi rilevanti condotti con modelli mesoscalari a risoluzione di convezione, si rimanda a Back et al. (2020) e alle referenze associate.
Il Contributo Pionieristico di Nie e Sobel (2015)
Un esempio emblematico di applicazione dei CRM allo studio del coupling stratosfera-troposfera è offerto dal lavoro pionieristico di Nie e Sobel (2015). Questo studio ha analizzato gli effetti delle perturbazioni di temperatura nella bassa stratosfera, simili a quelle indotte dal QBO, sulla convezione troposferica tropicale. Tali perturbazioni rientrano nel cosiddetto “Tropical Pathway”, un meccanismo attraverso il quale segnali stratosferici possono influenzare la dinamica troposferica, generando feedback che modulano l’attività convettiva. Gli autori hanno utilizzato un modello a risoluzione di convezione su un dominio orizzontale limitato, un approccio consolidato nella comunità scientifica che studia la convezione troposferica. Il dominio simulato è stato definito come un’area quadrata con condizioni al contorno periodiche, una scelta che garantisce la continuità dei flussi fisici lungo i bordi e semplifica l’analisi dei processi locali.
Un elemento distintivo di questa metodologia è la gestione del trasporto verticale di massa. A differenza di alcuni approcci classici, in cui il trasporto verticale medio nel dominio è vincolato a zero, Nie e Sobel hanno adottato un metodo basato sull’approssimazione del gradiente di temperatura debole (Weak Temperature Gradient, WTG). Secondo questa approssimazione, valida nei tropici dove il parametro di Coriolis è piccolo, i gradienti di temperatura orizzontali sono mantenuti deboli grazie alla rapida propagazione di onde di gravità. In tale contesto, la temperatura media del dominio viene rilassata verso un profilo di temperatura ambientale predefinito, rappresentativo delle condizioni di fondo su larga scala, mentre il trasporto verticale di massa medio viene calcolato come variabile derivata. Questo approccio consente al modello di simulare un flusso verticale non nullo, interpretabile come il risultato di una sorgente di massa all’interno del dominio.
Implicazioni Fisiche dell’Approccio WTG
L’approssimazione WTG si basa sull’idea che il dominio simulato rappresenti una porzione limitata di una vasta regione convettiva tropicale, circondata da un ambiente di aree non convettive in cui il profilo di temperatura evolve lentamente. La presenza di un trasporto verticale medio non nullo implica che il dominio agisca come un sistema aperto, in cui masse d’aria, umidità e altre proprietà fisiche vengono introdotte attraverso flussi orizzontali provenienti dall’ambiente esterno. Questi flussi orizzontali sono giustificati come una rappresentazione semplificata del trasporto su larga scala, che collega la convezione locale alla circolazione atmosferica più ampia. In tal modo, l’approccio WTG cattura alcuni aspetti dell’interazione tra la convezione locale e la dinamica su scala sinottica, offrendo un compromesso tra la complessità di un modello globale e la semplicità di una simulazione idealizzata.
Tuttavia, tale metodologia presenta alcune limitazioni intrinseche. Sebbene riesca a riprodurre gli effetti del trasporto orizzontale sul dominio convettivo, non consente una rappresentazione completa dell’interazione bidirezionale tra la regione convettiva e l’ambiente circostante. Inoltre, non permette di esplorare le dinamiche tra regioni convettive adiacenti con caratteristiche diverse, come variazioni nella stabilità atmosferica o nell’umidità. Queste restrizioni derivano dalla natura idealizzata del dominio e dall’assunzione che le condizioni ambientali rimangano stazionarie o evolvano solo lentamente rispetto ai processi convettivi simulati.
Significato Scientifico e Prospettive Future
Il lavoro di Nie e Sobel (2015) dimostra il potenziale dei CRM nel superare alcune delle limitazioni dei GCM, fornendo una visione più dettagliata dei meccanismi attraverso cui il QBO influenza la troposfera tropicale. La capacità di risolvere esplicitamente la convezione consente di analizzare come le perturbazioni stratosferiche modulino l’organizzazione e l’intensità dei sistemi convettivi, offrendo spunti preziosi sui feedback troposferici associati. Inoltre, l’approccio WTG si rivela uno strumento efficace per collegare i processi locali alla circolazione su larga scala, pur con i limiti sopra descritti.
Questi risultati sottolineano l’importanza di integrare studi basati su CRM con quelli condotti tramite GCM, al fine di ottenere una comprensione più completa del coupling stratosfera-troposfera. L’espansione di tali indagini a domini più ampi o a configurazioni che includano interazioni bidirezionali potrebbe ulteriormente migliorare la nostra capacità di modellizzare i complessi processi atmosferici tropicali. In definitiva, l’approccio dei CRM rappresenta un passo avanti significativo nello studio della dinamica atmosferica, con implicazioni rilevanti per la previsione climatica e meteorologica nelle regioni tropicali.La comprensione delle interazioni tra stratosfera e troposfera nelle regioni tropicali rappresenta un campo di ricerca cruciale per migliorare la modellistica atmosferica e le previsioni climatiche. Un aspetto chiave di questa dinamica è l’influenza di fenomeni come la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) e le maree atmosferiche sui processi convettivi troposferici. Studi recenti hanno impiegato modelli a risoluzione di convezione (CRM) per esplorare tali interazioni, superando alcune limitazioni dei modelli globali di circolazione generale (GCM), che dipendono fortemente dalle parametrizzazioni convettive. Queste parametrizzazioni, necessarie per rappresentare processi su scala sub-grid, introducono incertezze significative, rendendo auspicabile un approccio più dettagliato e diversificato.
Un contributo significativo in questo ambito è rappresentato da ricerche che analizzano come perturbazioni stratosferiche modulino la dinamica troposferica. Ad esempio, simulazioni condotte con CRM hanno permesso di isolare gli effetti di variazioni di temperatura nella bassa stratosfera, simili a quelle del QBO, sulla convezione tropicale. In tali esperimenti, la temperatura della superficie del mare (SST) è stata specificata come uniforme e variabile tra diverse simulazioni, definita in termini di differenza (ΔSST) rispetto a un profilo di controllo radiativo-convettivo. Queste simulazioni iniziali, neutre rispetto al QBO, evolvevano verso stati con velocità verticale non nulla, il cui profilo dipendeva dal valore di ΔSST. Successivamente, sono state introdotte perturbazioni di temperatura a livelli superiori, rappresentative delle fasi QBOE (anomalie fredde) e QBOW (anomalie calde), per valutare le risposte troposferiche.
I risultati hanno rivelato che le perturbazioni fredde QBOE aumentavano il moto verticale nella troposfera superiore, riducendolo in quella inferiore, generando un profilo definito “top-heavy”. Questo cambiamento era associato a un incremento della nuvolosità alta, con effetti opposti osservati per le perturbazioni calde QBOW. La risposta delle precipitazioni, tuttavia, si è dimostrata più complessa: a valori bassi di ΔSST, le precipitazioni aumentavano, guidate dal riscaldamento radiativo indotto dalla maggiore nuvolosità; a valori più alti, invece, si riducevano, a causa dell’aumento della stabilità umida lorda (GMS), che misura la resistenza della colonna atmosferica all’esportazione di energia umida. Questo bilancio tra processi radiativi e dinamici evidenzia un’interazione non lineare, suggerendo che l’effetto del QBO sulla convezione dipende fortemente dalle condizioni ambientali di base.
Parallelamente, altri studi hanno esaminato il ruolo delle maree atmosferiche, come la marea semidiurna (S2), eccitata dal riscaldamento dell’ozono nella stratosfera. Utilizzando GCM avanzati, esperimenti hanno soppresso selettivamente le forzanti stratosferiche e troposferiche, dimostrando che la componente stratosferica contribuisce per circa il 50% all’ampiezza della marea S2 nella troposfera. Inoltre, è emerso che la variazione semidiurna delle precipitazioni tropicali è significativamente influenzata da questa marea, con una riduzione dell’ampiezza della marea che si riflette in una diminuzione corrispondente delle precipitazioni. Un’osservazione rilevante è la sensibilità di questa risposta alla parametrizzazione convettiva: mentre l’ampiezza della marea, misurata come variazione di pressione, rimane stabile, la risposta precipitativa varia in base allo schema convettivo adottato, indicando che alcuni modelli catturano meglio i meccanismi fisici che collegano le perturbazioni di pressione alla convezione.
Questi approcci si integrano con metodologie basate sull’approssimazione del gradiente di temperatura debole (WTG), spesso utilizzata nei CRM. In tale contesto, la temperatura media del dominio viene rilassata verso un profilo ambientale, consentendo un trasporto verticale di massa non nullo, interpretato come il risultato di flussi orizzontali dall’ambiente circostante. Questo metodo rappresenta una porzione di una regione convettiva tropicale più ampia, catturando parzialmente l’interazione con la circolazione su larga scala. Tuttavia, limita l’analisi a un’interazione unidirezionale, trascurando dinamiche bidirezionali tra regioni convettive e ambiente o tra aree convettive adiacenti con proprietà diverse.
Complessivamente, questi studi sottolineano la complessità del coupling stratosfera-troposfera. L’influenza del QBO e delle maree atmosferiche sulla troposfera tropicale non segue schemi lineari, ma è modulata da fattori come la struttura verticale del moto, la nuvolosità, la stabilità atmosferica e le condizioni superficiali. L’uso combinato di CRM e GCM offre un quadro promettente per approfondire tali meccanismi, evidenziando l’importanza di migliorare le parametrizzazioni convettive e di estendere le simulazioni a scenari più realistici. Queste ricerche non solo affinano la nostra comprensione della dinamica atmosferica tropicale, ma forniscono anche strumenti per valutare e ottimizzare i modelli climatici, con implicazioni rilevanti per la previsione degli impatti climatici su scala regionale e globale.

La modulazione troposferica indotta dalla Quasi-Biennial Oscillation (QBO) rappresenta un tema di grande interesse nella dinamica atmosferica tropicale, con implicazioni significative per la previsione climatica e meteorologica. Uno studio fondamentale in questo ambito, condotto da Nie e Sobel (2015), ha utilizzato un modello a risoluzione di convezione (CRM) per esplorare come le anomalie di temperatura al livello della tropopausa, associate alle fasi orientali (QBOE) e occidentali (QBOW) del QBO, influenzino processi chiave nella troposfera tropicale. I risultati di queste simulazioni sono sintetizzati in una rappresentazione grafica dettagliata, qui rielaborata, che mette in evidenza le differenze tra QBOE e QBOW per quattro grandezze atmosferiche fondamentali: precipitazioni, flusso di massa delle nubi, frazione di copertura nuvolosa e velocità verticale. Queste differenze sono analizzate in funzione di una perturbazione uniforme della temperatura superficiale del mare (ΔSST), offrendo una visione approfondita della complessità delle interazioni stratosfera-troposfera.
Le simulazioni sono strutturate in set comprendenti una configurazione di controllo e due varianti perturbate: QBOE, caratterizzata da anomalie fredde al confine tra troposfera e stratosfera, e QBOW, caratterizzata da anomalie calde. La temperatura media del dominio di simulazione è definita da un equilibrio radiativo-convettivo calcolato a una temperatura superficiale del mare (SST) fissata, alla quale viene aggiunta la perturbazione ΔSST, variabile tra le simulazioni. Questo approccio consente di esaminare la sensibilità della risposta troposferica a diverse condizioni di superficie, un fattore critico per comprendere la dinamica convettiva tropicale. Per mantenere la coerenza con le condizioni tipiche dei tropici, dove i gradienti di temperatura orizzontali sono deboli a causa della rapida propagazione delle onde di gravità, è stata adottata l’approssimazione del gradiente di temperatura debole (Weak Temperature Gradient, WTG). In questo metodo, la temperatura media del dominio è specificata e rilassata verso un profilo ambientale predefinito, eliminando la necessità di imporre una conservazione della massa locale. Gli squilibri nel flusso di massa risultanti sono interpretati come compensati da scambi con un ambiente esterno idealizzato, rappresentativo della circolazione su larga scala.
La rappresentazione grafica analizza le differenze tra QBOE e QBOW (calcolate come QBOE meno QBOW) per le quattro grandezze considerate, ciascuna media sul dominio di simulazione. La prima grandezza esaminata è la precipitazione, che mostra una risposta non lineare e dipendente da ΔSST. A valori bassi di ΔSST, la differenza è positiva, indicando che le precipitazioni sono più intense in QBOE rispetto a QBOW. Questo incremento è attribuito al ruolo dominante del riscaldamento radiativo, generato dall’aumento della nuvolosità alta nelle simulazioni QBOE. Man mano che ΔSST aumenta, tuttavia, la differenza diventa negativa, con una riduzione delle precipitazioni in QBOE rispetto a QBOW. Questo cambiamento di segno è spiegato dall’aumento della stabilità umida lorda (Gross Moist Stability, GMS), una grandezza che quantifica la resistenza della colonna atmosferica all’esportazione di energia umida tramite la convezione. La GMS cresce in QBOE a causa della struttura verticale alterata del moto convettivo, limitando l’efficienza della formazione di precipitazioni a ΔSST più elevati.
La seconda grandezza è il flusso di massa delle nubi, che rappresenta il trasporto verticale di massa associato ai sistemi convettivi. Le differenze tra QBOE e QBOW rivelano una redistribuzione dell’attività convettiva: in QBOE, il flusso di massa si concentra maggiormente nella troposfera superiore, riflettendo un profilo di velocità verticale più “top-heavy” (pesante in alto), mentre in QBOW il flusso tende a essere più uniforme o spostato verso livelli inferiori. Questo pattern è coerente con l’effetto delle anomalie fredde in QBOE, che destabilizzano la troposfera alta, e delle anomalie calde in QBOW, che stabilizzano tale regione, modificando la distribuzione verticale della convezione.
La terza grandezza considerata è la frazione di copertura nuvolosa, che mostra un incremento significativo in QBOE rispetto a QBOW, particolarmente a livelli alti. Le anomalie fredde al livello della tropopausa in QBOE riducono la stabilità statica nella troposfera superiore, favorendo la formazione di nubi alte, come cirri, che contribuiscono al riscaldamento radiativo. Al contrario, le anomalie calde in QBOW stabilizzano la colonna, riducendo la nuvolosità a queste altitudini. Questa variazione nella copertura nuvolosa gioca un ruolo cruciale nel modulare il bilancio radiativo e, di conseguenza, la risposta precipitativa, soprattutto a basse ΔSST.
Infine, la velocità verticale, quarta grandezza analizzata, evidenzia le differenze nella struttura dinamica tra QBOE e QBOW. In QBOE, le anomalie fredde aumentano il moto ascendente nella troposfera superiore e lo riducono in quella inferiore, generando un profilo “top-heavy” che riflette una convezione più profonda e concentrata ad alte quote. In QBOW, l’effetto è inverso, con un moto verticale più pronunciato a livelli bassi e una riduzione nella troposfera alta. Queste alterazioni nella dinamica verticale sono strettamente legate alla stabilità atmosferica e influenzano sia il flusso di massa delle nubi sia la formazione di precipitazioni.
L’analisi di Nie e Sobel (2015) mette in luce la complessità della risposta troposferica alle perturbazioni di tipo QBO. Il cambiamento di segno nella differenza delle precipitazioni tra QBOE e QBOW, positivo a basse ΔSST e negativo a ΔSST più alti, è un risultato centrale che sfida interpretazioni semplicistiche dell’influenza del QBO sulla convezione. A basse ΔSST, il riscaldamento radiativo indotto dalla nuvolosità alta domina, destabilizzando la colonna e promuovendo precipitazioni più intense in QBOE. Con l’aumento di ΔSST, tuttavia, l’effetto dinamico della GMS prevale, riducendo l’efficienza convettiva e attenuando la risposta precipitativa. Questo comportamento non lineare sottolinea l’importanza di considerare il contesto termodinamico, in particolare la temperatura superficiale del mare, nella valutazione degli impatti del QBO.
In conclusione, la rappresentazione grafica elaborata da Nie e Sobel (2015) fornisce una sintesi quantitativa e visiva delle differenze tra QBOE e QBOW, evidenziando come le anomalie di temperatura stratosferiche modulino la dinamica troposferica tropicale in modo complesso e condizionato da ΔSST. Le variazioni osservate in precipitazioni, flusso di massa delle nubi, frazione nuvolosa e velocità verticale riflettono un’interazione intricata tra processi radiativi e dinamici, offrendo spunti preziosi per la comprensione del coupling stratosfera-troposfera. Questi risultati sottolineano la necessità di ulteriori studi che integrino variazioni realistiche delle condizioni ambientali e dinamiche bidirezionali, contribuendo a migliorare la rappresentazione di tali processi nei modelli climatici e a raffinare le previsioni degli impatti del QBO sul clima tropicale.
L’interazione tra la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) e la convezione troposferica tropicale è un tema di crescente interesse nella dinamica atmosferica, con studi recenti che hanno utilizzato modelli a risoluzione di convezione (CRM) per esplorare come le perturbazioni stratosferiche influenzino i processi convettivi. Un contributo significativo in questo campo è stato offerto da Yuan (2015), che ha condotto un’analisi distinta rispetto a quella di Nie e Sobel (2015), adottando configurazioni modellistiche diverse per esaminare gli effetti del QBO sulla troposfera. Nella prima parte del suo studio, Yuan ha implementato una simulazione tridimensionale in un dominio orizzontale limitato, simile per dimensioni a quello impiegato da Nie e Sobel, ma con una differenza cruciale: l’assenza dell’approssimazione del gradiente di temperatura debole (WTG). In assenza di questa approssimazione, non vi era una convergenza o divergenza media dei flussi orizzontali nel dominio, e il sistema era vincolato a mantenere un bilancio di massa locale senza interazioni implicite con un ambiente esterno. I risultati di queste simulazioni hanno mostrato una risposta troposferica alle perturbazioni di tipo QBO significativamente più debole rispetto a quella osservata da Nie e Sobel, suggerendo che i processi dinamici e fisici facilitati dall’approssimazione WTG—come lo scambio di massa con l’ambiente circostante—siano fondamentali per amplificare l’impatto delle anomalie stratosferiche sulla convezione tropicale.
Nella seconda parte del lavoro di Yuan (2015), l’analisi si è spostata su una scala spaziale più ampia, impiegando un dominio orizzontale esteso in cui sono stati imposti gradienti della temperatura superficiale del mare (SST) per simulare una circolazione di tipo Walker, un pattern tipico dei tropici caratterizzato da regioni convettive alternate a zone di subsidenza. Tuttavia, questa simulazione è stata limitata a una configurazione bidimensionale, includendo solo una dimensione orizzontale oltre a quella verticale, il che rappresenta una semplificazione significativa rispetto alla realtà tridimensionale dell’atmosfera. In questo contesto, sono state applicate perturbazioni di temperatura a livelli superiori, rappresentative delle fasi del QBO, per valutare il loro impatto sulle regioni convettive della circolazione Walker. I risultati hanno mostrato che le anomalie fredde di tipo QBOE riducevano le precipitazioni nelle regioni convettive centrali—associate a valori elevati di ΔSST—mentre si osservava un lieve aumento delle precipitazioni nelle aree adiacenti, mantenendo il totale delle precipitazioni nel dominio approssimativamente costante. Questo comportamento è coerente con i risultati di Nie e Sobel (2015) per valori alti di ΔSST, dove le precipitazioni diminuiscono in QBOE rispetto a QBOW, ma la decomposizione della risposta differisce: Yuan ha attribuito la riduzione in parte a una diminuzione dell’evaporazione superficiale e in parte a un aumento della stabilità umida lorda (GMS), una grandezza che descrive la resistenza della colonna atmosferica alla convezione.
Tuttavia, i risultati di Yuan richiedono un’interpretazione cauta a causa della bidimensionalità del modello, un limite che potrebbe aver influenzato la dinamica atmosferica simulata. Come sottolineato da Wang e Sobel (2011), le simulazioni bidimensionali tendono a distorcere i processi convettivi e la propagazione delle onde, riducendo la complessità delle interazioni orizzontali rispetto a un sistema tridimensionale. Nonostante ciò, lo studio di Yuan offre un vantaggio rispetto all’approccio WTG di Nie e Sobel: mentre quest’ultimo consente solo un’interazione unidirezionale tra la convezione locale e la circolazione su larga scala, il modello bidimensionale di Yuan introduce elementi di interazione bidirezionale. Questi includono l’avvezione orizzontale di umidità tra regioni convettive e non convettive e la diffusione di nubi alte, che possono modulare il bilancio radiativo e termodinamico della troposfera. Tali dinamiche suggeriscono un meccanismo più complesso di feedback tra la stratosfera e la troposfera, in cui le perturbazioni QBO non solo influenzano la convezione, ma sono a loro volta modulate dalle variazioni spaziali delle condizioni troposferiche.
Un’estensione significativa di queste ricerche è stata proposta da Martin et al. (2019), che hanno ripreso il framework di modellazione a dominio limitato di Nie e Sobel (2015) per investigare l’interazione tra il QBO e la Madden-Julian Oscillation (MJO), un’oscillazione intra-stagionale dominante nei tropici. In questo lavoro, le simulazioni sono state arricchite con profili di temperatura ambientale variabili nel tempo e sorgenti di umidità medie nel dominio, rappresentative del trasporto orizzontale, derivati da osservazioni raccolte durante una campagna internazionale nell’Oceano Indiano tra il 2011 e il 2012 (Yoneyama et al. 2013). L’obiettivo era analizzare come le variazioni associate alla MJO, un fenomeno caratterizzato da fasi convettive e non convettive su scala temporale di 30-60 giorni, interagissero con le perturbazioni stratosferiche del QBO. L’inclusione di tali dati osservativi ha permesso di superare alcune delle limitazioni delle simulazioni idealizzate, offrendo una rappresentazione più realistica delle condizioni ambientali e della loro evoluzione temporale. Questo approccio ha evidenziato il potenziale del framework CRM per collegare processi su scale temporali diverse, dal ciclo semidiurno delle maree atmosferiche alle oscillazioni quasi-biennali e intra-stagionali.
Complessivamente, questi studi evidenziano la complessità del coupling stratosfera-troposfera nei tropici e la necessità di approcci modellistici diversificati per catturare i molteplici meccanismi in gioco. La debole risposta osservata da Yuan (2015) senza l’approssimazione WTG sottolinea l’importanza dello scambio di massa con l’ambiente esterno nel determinare l’ampiezza della risposta convettiva alle perturbazioni QBO, mentre la simulazione della circolazione Walker rivela come i gradienti spaziali della SST possano modulare tale interazione su scala regionale. Tuttavia, la bidimensionalità del secondo esperimento di Yuan limita la generalizzabilità dei risultati, suggerendo che simulazioni tridimensionali su domini più ampi siano necessarie per una rappresentazione completa delle dinamiche orizzontali. L’estensione di Martin et al. (2019) alla MJO, d’altra parte, dimostra come l’integrazione di dati osservativi in modelli CRM possa arricchire l’analisi, collegando processi locali a variazioni su larga scala. Insieme, questi lavori sottolineano il ruolo critico della struttura verticale della convezione, della stabilità atmosferica e delle interazioni orizzontali nel determinare l’impatto del QBO sulla troposfera, aprendo la strada a ulteriori indagini che combinino approcci idealizzati e realistici per affinare la comprensione di questi complessi fenomeni atmosferici.La dinamica dell’interazione tra la stratosfera e la troposfera nei tropici rappresenta un campo di studio fondamentale per comprendere come i processi su larga scala, come la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) e la Madden-Julian Oscillation (MJO), influenzino la convezione atmosferica. Ricerche recenti hanno impiegato simulazioni numeriche a risoluzione di convezione per esplorare tali interazioni, ponendo quesiti chiave sull’evoluzione della convezione in presenza di variazioni imposte simili a quelle dell’MJO e sul loro potenziale effetto di rinforzo o attenuazione di tali oscillazioni. Ad esempio, studi come quelli di Sentic et al. (2015) e Wang et al. (2016) hanno analizzato se, in regioni orizzontali limitate, la convezione risponda in modo coerente con le osservazioni quando sottoposta a forzanti su larga scala rappresentative della MJO, un’oscillazione intra-stagionale che alterna fasi di intensa attività convettiva a periodi di soppressione su scale temporali di 30-60 giorni. Questi lavori hanno fornito una base per successive indagini che integrano anche l’influenza del QBO, un’oscillazione biennale dei venti stratosferici che modula la temperatura al confine tra troposfera e stratosfera.
Un contributo significativo in questa direzione è offerto da Martin et al. (2019), che hanno esteso l’approccio a dominio limitato per includere perturbazioni di temperatura simili al QBO, analizzandone l’impatto sulla risposta convettiva alle variazioni MJO. Le loro simulazioni dimostrano che, in condizioni QBOE—caratterizzate da anomalie fredde al livello della tropopausa—la convezione associata alle fasi attive dell’MJO risulta amplificata. Questo si manifesta attraverso velocità verticali più intense, un aumento della frazione di copertura nuvolosa, particolarmente a livelli alti, e una riduzione della radiazione a onda lunga uscente (Outgoing Longwave Radiation, OLR), un indicatore della presenza di nubi alte che schermano la radiazione infrarossa. Tali effetti suggeriscono che le anomalie fredde del QBOE destabilizzano la troposfera superiore, favorendo una convezione più profonda e organizzata. Inoltre, gli autori hanno variato l’altezza alla quale veniva imposta la perturbazione di temperatura simile al QBO, osservando una rapida diminuzione della risposta convettiva all’aumentare di tale altezza. Questo risultato è coerente con la struttura verticale delle anomalie di temperatura del QBO, che mostrano un massimo di intensità nella bassa stratosfera (come illustrato, ad esempio, nella Figura 2 del loro studio). In particolare, un incremento significativo delle precipitazioni è stato rilevato solo quando la perturbazione era posizionata all’altezza più bassa, mentre nessuna variazione apprezzabile si è verificata a quote più alte, incluso il livello considerato più rappresentativo delle condizioni reali del QBO.
Queste simulazioni si sono concentrate esclusivamente sugli effetti delle perturbazioni di temperatura, senza considerare variazioni concomitanti nello shear verticale del vento, un altro meccanismo proposto per il coupling stratosfera-troposfera. La scelta di un dominio senza variazioni latitudinali sistematiche e con un vento di fondo nullo ha permesso di isolare gli effetti della temperatura da quelli dello shear, applicandoli indipendentemente. Martin et al. (2019) hanno anche testato l’impatto di una perturbazione del vento simile al QBO, ma non hanno riscontrato alcuna risposta significativa nei parametri convettivi troposferici. Questo risultato suggerisce che il meccanismo dello shear verticale, spesso ipotizzato come un canale attraverso cui il QBO influenza la convezione tropicale, abbia un’importanza limitata rispetto alle variazioni di temperatura, almeno nel contesto idealizzato di queste simulazioni.
Un approccio complementare è offerto da studi idealizzati che includono una stratosfera risolta, come quelli di Nishimoto et al. (2016) e Bui et al. (2017), i quali hanno esplorato il coupling stratosfera-troposfera attraverso simulazioni bidimensionali con periodicità orizzontale e parametro di Coriolis nullo, tipiche delle regioni equatoriali. In queste configurazioni, si è osservato lo sviluppo spontaneo di un’oscillazione dei venti stratosferici simile al QBO, accompagnata da variazioni coerenti nei venti troposferici e nell’organizzazione spazio-temporale delle precipitazioni. La presenza di una stratosfera risolta ha permesso di catturare i feedback verticali tra i due strati atmosferici, evidenziando come le oscillazioni stratosferiche possano modulare la dinamica convettiva sottostante. Più recentemente, Bui et al. (2019) hanno esteso questa analisi a simulazioni tridimensionali, confermando un comportamento qualitativamente simile, ma con una rappresentazione più realistica delle interazioni orizzontali e verticali. Questi studi suggeriscono che il coupling stratosfera-troposfera possa emergere spontaneamente in presenza di una dinamica interna ben risolta, senza la necessità di forzanti esterne imposte, offrendo un’ulteriore prospettiva sui meccanismi che collegano le oscillazioni stratosferiche alla variabilità troposferica.Complessivamente, queste ricerche mettono in luce la complessità dell’interazione tra il QBO e la convezione tropicale, evidenziando il ruolo dominante delle anomalie di temperatura rispetto allo shear del vento nell’amplificare la risposta convettiva, specialmente in presenza di variazioni su larga scala come quelle dell’MJO. L’amplificazione osservata in condizioni QBOE da Martin et al. (2019) dipende criticamente dall’altezza della perturbazione, sottolineando l’importanza della struttura verticale del QBO nel determinare il suo impatto sulla troposfera. Allo stesso tempo, la debole risposta alle perturbazioni del vento indica che i meccanismi dinamici legati allo shear potrebbero essere secondari in contesti idealizzati, sebbene ulteriori indagini in configurazioni più realistiche siano necessarie per confermare questa conclusione. Le simulazioni bidimensionali e tridimensionali di Nishimoto et al. (2016), Bui et al. (2017) e Bui et al. (2019), invece, suggeriscono che il coupling possa manifestarsi anche come un fenomeno emergente, con oscillazioni stratosferiche che influenzano la troposfera attraverso feedback interni. Questi risultati collettivi sottolineano la necessità di un approccio integrato che combini simulazioni idealizzate e osservazioni reali per chiarire i molteplici processi coinvolti, offrendo spunti preziosi per migliorare la rappresentazione del QBO e dell’MJO nei modelli climatici e per comprendere meglio le loro implicazioni sul clima tropicale.L’interazione tra la stratosfera e la troposfera nei tropici è un processo complesso che richiede un’attenta analisi per determinare i meccanismi causali sottostanti, specialmente quando si osservano variazioni troposferiche coerenti con oscillazioni stratosferiche come la Quasi-Biennial Oscillation (QBO). La presenza di tale coerenza suggerisce un’influenza significativa della stratosfera sulla dinamica convettiva troposferica, ma, come accade in molti problemi atmosferici simili, la semplice correlazione non è sufficiente per stabilire una relazione di causa-effetto. Per affrontare questa questione, studi come quello di Bui et al. (2017) hanno approfondito la dinamica delle variazioni troposferiche associate a un’oscillazione simile al QBO, utilizzando un approccio basato su esperimenti numerici che vincolano selettivamente l’evoluzione del vento zonale in specifici strati atmosferici. Questi esperimenti, i cui risultati selezionati sono illustrati graficamente (ad esempio, nella Figura 11), offrono una prospettiva dettagliata sui processi fisici che collegano le oscillazioni stratosferiche alla variabilità troposferica, con particolare attenzione al ruolo dello shear del vento a diverse altitudini.
Nelle simulazioni di controllo condotte da Bui et al. (2017), è emerso che lo shear del vento nella bassa troposfera, che varia in sincronia con l’oscillazione simile al QBO, esercita un’influenza significativa sull’intensità delle precipitazioni. Le differenze tra condizioni di precipitazioni leggere e intense, come evidenziato nei pannelli della figura (ad esempio, Figure 11a, c per precipitazioni leggere e Figure 11b, d per precipitazioni intense), indicano che la struttura del vento nella troposfera inferiore modula la convezione in modo diretto. Questo suggerisce che la coerenza tra le variazioni dei venti zonali e delle precipitazioni non implichi necessariamente un controllo dominante da parte della stratosfera, nonostante l’ampiezza dell’oscillazione del vento zonale sia significativamente maggiore nella stratosfera rispetto alla troposfera. Per esplorare ulteriormente questa dinamica, gli autori hanno condotto esperimenti in cui il vento zonale nella bassa troposfera è stato artificialmente vincolato, impedendone la variazione naturale. In tali condizioni, l’organizzazione spaziale e temporale delle precipitazioni ha mostrato una correlazione significativa con lo shear del vento presente nello strato tra 8 e 10 km di altezza, ma non con lo shear a quote più elevate. Questo risultato ha portato Bui et al. (2017) a sostenere che il meccanismo di shear proposto da Gray et al. (1992a)—secondo cui variazioni del vento verticale influenzano la convezione tropicale—sia realizzabile, almeno in un contesto modellistico idealizzato.
Tuttavia, questa interpretazione richiede alcune precisazioni. Lo strato tra 8 e 10 km, dove è stata riscontrata la maggiore sensibilità allo shear, si trova nella troposfera superiore, ben al di sotto della tropopausa o della bassa stratosfera, anche considerando che le simulazioni di Nishimoto et al. (2016) e Bui et al. (2017) utilizzavano una configurazione con una tropopausa artificialmente bassa, fissata a circa 13 km. Questa altezza ridotta è una semplificazione rispetto alla realtà, dove la tropopausa tropicale si trova tipicamente tra 16 e 18 km, e solleva interrogativi sulla diretta applicabilità di questi risultati ai segnali QBO osservati nell’atmosfera reale. Sebbene il lavoro fornisca una dimostrazione concreta dell’effetto dello shear a livelli superiori sulla convezione e sulle precipitazioni, non stabilisce ancora un legame definitivo con le dinamiche stratosferiche tipiche del QBO, che si manifestano prevalentemente a quote più alte. Inoltre, l’assenza di sensibilità allo shear negli strati superiori al di sopra dei 10 km suggerisce che i processi troposferici locali potrebbero giocare un ruolo più rilevante rispetto a un controllo diretto della stratosfera in questo specifico contesto modellistico.
Questi risultati non entrano in contraddizione con altre ricerche recenti, come quelle di Martin et al. (2019), che hanno esplorato l’influenza del QBO sulla convezione tropicale in presenza di variazioni su larga scala simili alla Madden-Julian Oscillation (MJO). Martin et al. hanno dimostrato che le perturbazioni di temperatura di tipo QBOE amplificano la risposta convettiva, ma hanno trovato un effetto trascurabile delle perturbazioni del vento zonale, suggerendo che lo shear verticale abbia un’importanza limitata rispetto alle anomalie di temperatura. La coerenza tra i due studi emerge dal fatto che entrambi indicano una maggiore rilevanza dei processi troposferici interni o delle perturbazioni di temperatura rispetto a meccanismi puramente dinamici legati allo shear stratosferico. Tuttavia, mentre Martin et al. si concentrano su un’altezza specifica vicina alla tropopausa per le perturbazioni di temperatura, Bui et al. evidenziano un’influenza significativa dello shear a quote intermedie della troposfera, suggerendo che i meccanismi di coupling possano variare in base al livello atmosferico considerato e alle configurazioni modellistiche adottate.
Il lavoro di Bui et al. (2017) si inserisce in un contesto più ampio di simulazioni idealizzate che cercano di chiarire i meccanismi di interazione stratosfera-troposfera. Le loro configurazioni, basate su un modello bidimensionale con periodicità orizzontale e un parametro di Coriolis nullo, rappresentano una semplificazione delle condizioni tropicali reali, ma permettono di isolare processi specifici, come l’emergenza spontanea di oscillazioni simili al QBO e la loro coerenza con la variabilità troposferica. L’approccio sperimentale di vincolare il vento zonale in strati selezionati offre un metodo potente per dissezionare i contributi relativi della troposfera e della stratosfera, dimostrando che, sebbene la stratosfera possa generare oscillazioni di grande ampiezza, la risposta convettiva troposferica è fortemente modulata da dinamiche locali, come lo shear nella bassa e media troposfera. Questo risultato sottolinea la necessità di ulteriori indagini per stabilire se e come tali meccanismi si applichino all’atmosfera reale, dove la tropopausa più alta e la tridimensionalità dei flussi atmosferici potrebbero alterare i pattern osservati.
In sintesi, gli esperimenti numerici di Bui et al. (2017) forniscono una prospettiva preziosa sul ruolo dello shear del vento nella modulazione della convezione tropicale, evidenziando una sensibilità significativa nella troposfera superiore (8-10 km) che supporta il meccanismo di Gray et al. (1992a). Tuttavia, la posizione relativamente bassa di questo strato rispetto alla tropopausa reale e l’assenza di un legame diretto con i segnali stratosferici del QBO indicano che la rilevanza per le osservazioni atmosferiche rimane da verificare. Questi risultati, combinati con quelli di Martin et al. (2019), suggeriscono che il coupling stratosfera-troposfera nei tropici sia il risultato di un’interazione complessa tra temperatura, shear e processi convettivi locali, richiedendo ulteriori studi che integrino configurazioni più realistiche e dati osservativi per chiarire i meccanismi causali e la loro applicabilità al clima tropicale.
Dinamiche dei cicloni tropicali: un’analisi modellistica della sensibilità dell’intensità e della struttura alle variazioni della temperatura della tropopausa
I cicloni tropicali costituiscono uno dei fenomeni meteorologici più complessi e distruttivi del nostro pianeta, la cui intensità e frequenza dipendono da un intreccio di fattori ambientali e processi dinamici interni. Negli ultimi decenni, la comunità scientifica ha dedicato crescente attenzione allo studio della relazione tra le caratteristiche di questi sistemi e le condizioni atmosferiche, con particolare riferimento alla temperatura della tropopausa. Questo parametro gioca un ruolo cruciale nella determinazione dell’intensità potenziale (Vp²), un concetto teorico sviluppato da Bister ed Emanuel (2002) per quantificare il limite massimo teorico della velocità del vento superficiale di un ciclone tropicale sulla base delle proprietà termodinamiche dell’ambiente circostante. L’intensità potenziale, espressa come il quadrato della velocità del vento teorica (Vp²), è stata proposta come un indicatore fondamentale per stimare l’intensità reale dei cicloni (Vs²), sebbene la corrispondenza tra questi due valori sia ancora oggetto di un acceso dibattito scientifico.
Per esplorare questa relazione, sono stati condotti numerosi studi modellistici, caratterizzati da approcci diversi in termini di complessità e dimensionalità. Alcuni di questi si sono avvalsi di modelli assisimmetrici bidimensionali, mentre altri hanno adottato configurazioni tridimensionali più avanzate. In molti casi, i modelli recenti hanno raggiunto risoluzioni orizzontali sufficientemente elevate da permettere una rappresentazione esplicita dei processi convettivi, eliminando la necessità di parametrizzazioni approssimative (tale approccio è noto come “convection-permitting”). Un contributo significativo in questa direzione è offerto dallo studio di Ramsay (2013), basato su un modello bidimensionale con una griglia orizzontale di 2 km di spaziatura. Questa indagine ha analizzato l’impatto delle variazioni della temperatura stratosferica sull’intensità dei cicloni tropicali, evidenziando una relazione lineare tra la diminuzione della temperatura stratosferica e l’aumento della velocità massima del vento superficiale (Vs). In particolare, i risultati indicano un incremento di Vs pari a 1 m s⁻¹ per ogni riduzione di 1 K della temperatura stratosferica. Parallelamente, la velocità del vento superficiale prevista (Vp), derivata dalle condizioni ambientali, ha mostrato una tendenza analoga, suggerendo una coerenza tra le stime teoriche e i risultati simulati e rafforzando l’ipotesi che l’intensità potenziale possa rappresentare un valido predittore dell’intensità effettiva.
Un’altra prospettiva è fornita dallo studio tridimensionale di Wang et al. (2014), che ha utilizzato un dominio computazionale interno con una risoluzione di 4 km. Questo lavoro ha esaminato la sensibilità dell’intensità potenziale (Vp) e dell’intensità simulata (Vs) alla temperatura della tropopausa in un ambiente controllato e semplificato, variato sistematicamente tra diverse simulazioni. Le condizioni iniziali e ambientali considerate hanno indicato una sensibilità di Vp compresa tra −0,4 e −1 m s⁻¹ K⁻¹, suggerendo che una diminuzione della temperatura della tropopausa tende ad amplificare l’intensità potenziale del ciclone. Tuttavia, le simulazioni hanno prodotto valori di Vs significativamente superiori rispetto alle stime teoriche di Vp, una discrepanza che gli autori hanno attribuito a dinamiche interne al modello, come l’interazione tra processi convettivi e la struttura tridimensionale del ciclone, non pienamente catturate dalla teoria dell’intensità potenziale. Nonostante ciò, la sensibilità di Vs alla temperatura della tropopausa è risultata pari a circa −0,4 m s⁻¹ K⁻¹, un valore che si posiziona all’estremità inferiore dell’intervallo stimato per Vp, evidenziando una certa coerenza qualitativa tra i due parametri.
La comparazione tra i risultati di Ramsay (2013) e Wang et al. (2014) rivela una divergenza quantitativa significativa nella sensibilità di Vs alla temperatura della tropopausa. Mentre il modello bidimensionale di Ramsay suggerisce un effetto più marcato (−1 m s⁻¹ K⁻¹), il modello tridimensionale di Wang et al. indica una risposta più attenuata (−0,4 m s⁻¹ K⁻¹), con una differenza di un fattore due tra le due stime. Questa variabilità può essere attribuita a differenze nella configurazione dei modelli, come la dimensionalità, la risoluzione spaziale e il trattamento dei processi fisici. Tuttavia, entrambi gli studi convergono nel supportare due conclusioni fondamentali: in primo luogo, l’intensità potenziale (Vp²) mantiene una rilevanza fisica come indicatore dell’intensità effettiva (Vs²); in secondo luogo, la temperatura della tropopausa esercita un’influenza significativa sull’intensità dei cicloni tropicali, in linea con le previsioni teoriche.
Tale consenso, tuttavia, non chiude il dibattito scientifico. Studi più recenti, come quello bidimensionale di Takemi e Yamasaki (2020), hanno messo in discussione l’importanza relativa della temperatura della tropopausa, suggerendo che l’intensità dei cicloni tropicali possa essere più fortemente modulata dal tasso di decadimento verticale della temperatura nella troposfera (lapse rate) rispetto alla tropopausa stessa. Questa ipotesi introduce un ulteriore livello di complessità nella comprensione delle dinamiche dei cicloni, indicando che la struttura termica dell’intera colonna atmosferica potrebbe avere un ruolo predominante rispetto a un singolo livello di confine.
Un aspetto critico che emerge da questa analisi è la limitata attenzione dedicata alla frequenza dei cicloni tropicali in questi studi. Sebbene l’intensità sia un parametro cruciale, la frequenza di formazione dei cicloni – una proprietà inizialmente esplorata da Gray (1984) – rimane meno compresa in relazione alla temperatura della tropopausa. La complessità di questo problema deriva dal fatto che la genesi e lo sviluppo dei cicloni tropicali sono influenzati non solo da variabili locali, come la temperatura della tropopausa, ma anche da processi sinottici e su larga scala, difficili da riprodurre accuratamente nei modelli ad alta risoluzione utilizzati per questi studi. A tal proposito, un’indagine più ampia condotta da Vecchi et al. (2019) con modelli globali a diverse risoluzioni ha evidenziato che i cambiamenti nella frequenza dei cicloni tropicali in scenari di riscaldamento globale dipendono da due fattori principali: la variazione della frequenza dei “semi” sinottici di cicloni tropicali e la probabilità che tali semi si intensifichino in sistemi maturi. Questi risultati suggeriscono che per ottenere una valutazione completa degli impatti delle variazioni ambientali sui cicloni tropicali sia necessario integrare approcci modellistici locali con simulazioni globali, combinando alta risoluzione e rappresentazioni realistiche delle dinamiche atmosferiche su larga scala.
In sintesi, gli studi modellistici analizzati confermano il ruolo significativo della temperatura della tropopausa nel modulare l’intensità dei cicloni tropicali, pur evidenziando variazioni nella sensibilità tra diverse configurazioni modellistiche. Tuttavia, la questione della frequenza rimane un campo aperto, richiedendo ulteriori indagini per colmare le lacune nella comprensione delle interazioni tra fattori ambientali e processi di formazione dei cicloni. Questi sviluppi sono essenziali per migliorare le previsioni dei cicloni tropicali e per anticipare i loro cambiamenti in un contesto di riscaldamento globale.
Implicazioni pratiche delle interazioni stratosfera-troposfera nella modellistica e previsione meteorologica: un focus sulle scale stagionali e substagionali
Le interazioni tra la stratosfera e la troposfera rappresentano un campo di ricerca in continua evoluzione, con crescenti evidenze del loro impatto sulle dinamiche atmosferiche globali. Negli ultimi anni, tali interazioni sono state sfruttate per migliorare le previsioni meteorologiche su scale temporali stagionali e substagionali, portando a significativi avanzamenti sia nella pratica previsionale che nella modellizzazione climatica. Studi come quelli di Fereday et al. (2012) e Domeisen et al. (2020a, b) hanno dimostrato che il legame tra la stratosfera e la troposfera extratropicale può essere utilizzato per affinare le previsioni stagionali, mentre contributi come quelli di Scaife et al. (2012) e Manzini et al. (2014) hanno evidenziato come queste conoscenze stiano influenzando lo sviluppo di modelli climatici più accurati. Parallelamente, l’importanza di questo accoppiamento è stata riconosciuta anche per le previsioni extratropicali su scale substagionali, come sottolineato da Domeisen et al. (2020a, b), aprendo nuove prospettive per la previsione di fenomeni meteorologici a medio termine.
Gran parte delle applicazioni pratiche finora sviluppate si è concentrata sull’inverno dell’emisfero nord (NH), in particolare nella regione dell’Atlantico settentrionale. In quest’area, è stata identificata una connessione significativa tra lo stato della stratosfera e l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), un modo di variabilità atmosferica che influenza fortemente il clima europeo e nordamericano. Questo legame ha permesso di migliorare l’abilità previsionale stagionale, sfruttando segnali stratosferici come indicatori precoci di configurazioni troposferiche rilevanti. Tuttavia, progressi simili sono stati ottenuti anche nell’emisfero sud (SH), specialmente durante la primavera, dove studi come quelli di Seviour et al. (2014) e Hendon et al. (2020) hanno dimostrato un incremento dell’abilità previsionale per il Modo Annulare Meridionale (SAM), un altro pattern atmosferico fondamentale per il clima delle medie e alte latitudini australi. Questi risultati suggeriscono che l’influenza stratosferica non è limitata a una singola regione o stagione, ma potrebbe avere un potenziale applicativo più ampio.
Un’ulteriore area di interesse riguarda l’interazione tra la stratosfera e la troposfera tropicale. Sebbene questa relazione sia meno compresa rispetto a quella extratropicale, un suo chiarimento potrebbe portare a benefici pratici significativi. La Madden-Julian Oscillation (MJO), ad esempio, è il principale modo di variabilità intrasstagionale nei tropici, con un ruolo chiave nel modulare eventi meteorologici estremi come i cicloni tropicali (Vitart 2009; Vitart et al. 2017). Migliorare le previsioni dell’MJO non solo aumenterebbe la capacità di anticipare tali fenomeni nei tropici, ma avrebbe ripercussioni anche sulle previsioni a medio e lungo termine nelle regioni extratropicali. È noto, infatti, che le anomalie delle precipitazioni tropicali, spesso associate all’MJO, influenzano la variabilità atmosferica extratropicale attraverso meccanismi di teleconnessione, come evidenziato da Manola et al. (2013), Scaife et al. (2017) e Dias e Kiladis (2019). Pertanto, una comprensione più approfondita dell’influenza stratosferica sui tropici potrebbe rappresentare una svolta per la previsione meteorologica globale.
Alcuni progressi in questa direzione sono già stati compiuti. Marshall et al. (2017), ad esempio, hanno analizzato l’abilità delle previsioni substagionali dell’MJO utilizzando il sistema POAMA (Predictive Ocean Atmosphere Model for Australia) del Bureau of Meteorology australiano. I loro risultati indicano che l’abilità previsionale è significativamente maggiore negli anni caratterizzati dalla fase orientale della Quasi-Biennial Oscillation (QBOE) rispetto a quelli della fase occidentale (QBOW). In particolare, hanno osservato che lo stesso livello di accuratezza previsionale viene raggiunto con un ritardo di 8 giorni nelle previsioni per QBOE rispetto a QBOW, suggerendo che la fase della QBO possa modulare la predicibilità dell’MJO. Studi successivi, come quelli di Lim et al. (2019) e Wang et al. (2019), hanno confermato queste conclusioni analizzando un insieme più ampio di modelli previsionali. Lim et al. (2019) hanno inoltre rilevato che, negli anni QBOW, la ridotta abilità previsionale è parzialmente attribuibile all’incapacità dei modelli di riprodurre la durata più breve degli eventi MJO rispetto a quanto osservato in QBOE. Tuttavia, Kim et al. (2019) hanno recentemente messo in discussione la significatività statistica di queste differenze, pur confermando una tendenza generale a una maggiore abilità previsionale in QBOE. Si noti che questi studi si sono concentrati sull’inverno dell’emisfero nord, la stagione in cui le osservazioni mostrano una correlazione significativa tra QBO e MJO (Son et al. 2017; Marshall et al. 2017), rendendola il periodo più promettente per migliorare le previsioni stagionali.
Le implicazioni di queste interazioni non si limitano ai tropici o all’Atlantico settentrionale. L’MJO, ad esempio, è un elemento cruciale nelle previsioni substagionali e stagionali nelle regioni extratropicali, dove la sua influenza si estende attraverso teleconnessioni atmosferiche. Wang et al. (2018b) hanno osservato che il segnale dell’MJO nella North Pacific Storm Track è più intenso durante l’inverno negli anni QBOE, coerentemente con un segnale tropicale più forte. Analogamente, Kim et al. (2020b) hanno evidenziato una modulazione della QBO sul segnale dell’MJO nelle precipitazioni invernali nell’Asia orientale. Studi come quello di Mundhenk et al. (2018), supportato da Baggett et al. (2017), hanno dimostrato che un indice combinato QBO-MJO può migliorare le previsioni substagionali degli eventi di “fiumi atmosferici” sulla costa occidentale del Nord America, fenomeni associati a precipitazioni intense e potenzialmente devastanti. Inoltre, Inoue et al. (2011) hanno analizzato l’effetto della QBO sulle precipitazioni nelle regioni tropicali, subtropicali ed extratropicali asiatiche durante l’autunno dell’emisfero nord, mentre Seo et al. (2013) hanno identificato un impatto simile sui pattern di precipitazione nel Pacifico occidentale in primavera. Questi risultati suggeriscono che l’influenza stratosferica potrebbe essere sfruttata per migliorare le previsioni stagionali in diverse stagioni e regioni geografiche, ampliando il campo di applicazione oltre l’inverno boreale.
In sintesi, l’integrazione delle interazioni stratosfera-troposfera nei modelli previsionali offre opportunità concrete per migliorare l’accuratezza delle previsioni stagionali e substagionali, sia nei tropici che nelle regioni extratropicali. Sebbene i maggiori progressi siano stati finora ottenuti nell’inverno dell’emisfero nord, evidenze crescenti indicano un potenziale applicativo in altre stagioni e aree geografiche. Ulteriori ricerche saranno necessarie per consolidare queste relazioni e ottimizzare i sistemi previsionali, ma i risultati attuali rappresentano un passo significativo verso una previsione meteorologica più affidabile e integrata.

Analisi delle dinamiche convettive troposferiche mediante simulazioni numeriche bidimensionali: effetti del taglio del vento sulla struttura e sull’intensità della convezione (Figura 11)
La comprensione dei processi convettivi nella troposfera tropicale è fondamentale per elucidare le interazioni tra i diversi strati atmosferici e per migliorare le previsioni meteorologiche nei tropici e oltre. La Figura 11, tratta da Bui et al. (2017), presenta i risultati di simulazioni numeriche bidimensionali condotte con un modello cloud-resolving (risolvente le nubi) privo di effetti rotazionali, progettato per esaminare come il taglio del vento (wind shear) negli strati atmosferici inferiori e medi influenzi la struttura e l’intensità della convezione. Queste simulazioni si inseriscono nel contesto più ampio dello studio delle influenze della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) sulla troposfera tropicale, sebbene il livello di shear analizzato sia situato ben al di sotto della tropopausa, suggerendo un focus su dinamiche troposferiche piuttosto che su interazioni dirette stratosfera-troposfera.
Struttura della figura
La figura è organizzata in otto pannelli, disposti in due colonne e quattro righe, che rappresentano due scenari simulati sotto condizioni di precipitazione leggera (colonna sinistra) e intensa (colonna destra):
- Prima e seconda riga (pannelli a-d): illustrano i risultati di una simulazione di controllo, in cui i venti non sono soggetti a vincoli artificiali, permettendo alla convezione di evolversi liberamente in risposta alle condizioni ambientali iniziali.
- Terza e quarta riga (pannelli e-h): mostrano i risultati di una simulazione “nudged”, in cui il profilo del vento zonale tra 0 e 8,5 km di altitudine è fortemente vincolato (secondo le equazioni 3 e 4 di Bui et al., 2017), introducendo un taglio artificiale per valutare il suo impatto sulla dinamica convettiva.
I pannelli si dividono in due categorie di rappresentazione:
- Velocità verticale e linee di flusso (pannelli a, b, e, f): riportano sezioni trasversali della velocità verticale composita (in m s⁻¹, indicata con contorni arcobaleno) e le linee di flusso del vento zonale relative alla velocità di propagazione del sistema convettivo.
- Distribuzione di nuvole, acqua piovana e temperatura potenziale (pannelli c, d, g, h): mostrano sezioni trasversali delle concentrazioni composite di nuvole d’acqua liquida (sfumature grigie, in × 10⁻² g kg⁻¹), nuvole di ghiaccio (sfumature blu, in × 10⁻² g kg⁻¹), acqua piovana (contorni rossi, in × 10⁻¹ g kg⁻¹) e temperatura potenziale (contorni arancioni, in K).
Obiettivi scientifici delle simulazioni
Queste simulazioni mirano a investigare uno dei meccanismi proposti per spiegare l’influenza della QBO sulla troposfera tropicale: il ruolo del taglio del vento negli strati superiori nel modulare la forza e l’altezza di penetrazione della convezione. La QBO, un’oscillazione quasi-biennale dei venti zonali nella stratosfera tropicale, è nota per influenzare la dinamica atmosferica a varie scale, ma gli effetti qui analizzati si concentrano su un livello troposferico (0-8,5 km), ben al di sotto della tropopausa, che nei tropici si trova tipicamente tra 15 e 17 km. Questo approccio consente di isolare l’impatto del wind shear troposferico senza coinvolgere direttamente i processi stratosferici, offrendo una prospettiva complementare agli studi che esaminano interazioni a quote più elevate.
Analisi dettagliata dei pannelli
1. Velocità verticale e linee di flusso (pannelli a, b, e, f)
- Simulazione di controllo (pannelli a e b):
- Nel pannello (a), relativo alla precipitazione leggera, la velocità verticale composita mostra un movimento ascendente moderato, con valori tipicamente inferiori rispetto a quelli associati a convezione intensa. Le linee di flusso del vento zonale indicano una circolazione relativamente simmetrica rispetto alla propagazione del sistema, riflettendo un’organizzazione convettiva poco disturbata dall’assenza di vincoli sul vento.
- Nel pannello (b), per la precipitazione intensa, la velocità verticale raggiunge valori più elevati, evidenziando una convezione più vigorosa e profonda. Le linee di flusso mostrano una maggiore asimmetria, suggerendo che l’intensità del sistema amplifica le interazioni tra il flusso zonale e il moto verticale. In questa configurazione, l’assenza di shear artificialmente imposto consente alla convezione di estendersi verso quote più alte, favorendo un trasferimento significativo di massa e calore verso gli strati superiori della troposfera.
- Simulazione nudged (pannelli e e f):
- Nel pannello (e), per la precipitazione leggera, la velocità verticale appare ridotta rispetto al pannello (a), con moti ascendenti meno intensi e una distribuzione verticale più contenuta. Le linee di flusso indicano una circolazione zonale più compatta, influenzata dal vincolo sul vento tra 0 e 8,5 km, che introduce un effetto stabilizzante e limita l’espansione verticale della convezione.
- Nel pannello (f), per la precipitazione intensa, la velocità verticale rimane significativa, ma è inferiore rispetto al pannello (b), e l’altezza di penetrazione della convezione appare visibilmente ridotta. Le linee di flusso riflettono una struttura più compressa, coerentemente con l’impatto del taglio del vento, che ostacola il trasporto verticale di energia e umidità. Questo suggerisce che anche in presenza di forcing convettivi più forti, lo shear troposferico può esercitare un controllo determinante sull’evoluzione del sistema.
2. Distribuzione di nuvole, acqua piovana e temperatura potenziale (pannelli c, d, g, h)
- Simulazione di controllo (pannelli c e d):
- Nel pannello (c), per la precipitazione leggera, le nuvole d’acqua liquida e di ghiaccio si concentrano a quote moderate, con una distribuzione verticale limitata e una quantità relativamente bassa di acqua piovana. La temperatura potenziale mostra una variazione graduale con l’altezza, indicando una struttura termica stabile disturbata solo parzialmente dalla convezione.
- Nel pannello (d), per la precipitazione intensa, si osserva un’estensione verticale più pronunciata delle nuvole d’acqua e di ghiaccio, che raggiungono quote più elevate grazie alla forza della convezione. L’acqua piovana è presente in concentrazioni significativamente maggiori, riflettendo un’intensa attività precipitativa, mentre la temperatura potenziale mostra perturbazioni più marcate, indicative di un trasferimento di calore latente verso strati superiori. In assenza di vincoli sul vento, la convezione può sviluppare una struttura profonda e ben organizzata.
- Simulazione nudged (pannelli g e h):
- Nel pannello (g), per la precipitazione leggera, le nuvole d’acqua e di ghiaccio sono confinate a quote inferiori rispetto al pannello (c), con una riduzione della loro estensione verticale e una quantità minima di acqua piovana. La temperatura potenziale presenta una variazione meno accentuata, suggerendo che il vincolo sul vento limita la destabilizzazione termica indotta dalla convezione.
- Nel pannello (h), per la precipitazione intensa, la distribuzione di nuvole e acqua piovana rimane significativa, ma la loro altezza massima è ridotta rispetto al pannello (d). La temperatura potenziale riflette una struttura termica meno perturbata verticalmente, coerentemente con una convezione meno penetrante. Il taglio del vento imposto tra 0 e 8,5 km agisce come una barriera dinamica, contenendo lo sviluppo verticale e riducendo l’efficienza del trasporto di umidità e calore.
Interpretazione scientifica e implicazioni
I risultati delle simulazioni evidenziano il ruolo critico del taglio del vento troposferico nel modulare la convezione:
- Impatto del wind shear: Nella simulazione di controllo, l’assenza di vincoli sul vento consente alla convezione di svilupparsi liberamente, con velocità verticali più intense e un’altezza di penetrazione maggiore, particolarmente evidente nelle condizioni di precipitazione intensa. Al contrario, nella simulazione nudged, il taglio del vento introdotto artificialmente indebolisce i moti verticali e limita l’estensione verticale della convezione, riducendo la capacità del sistema di trasportare umidità e calore verso quote più alte. Questo effetto è attribuibile alla dissipazione dell’energia cinetica verticale da parte dello shear, che destabilizza la colonna convettiva e ne ostacola l’organizzazione.
- Rilevanza per la QBO: Sebbene queste simulazioni non coinvolgano direttamente la stratosfera, il meccanismo del wind shear qui analizzato è uno dei processi proposti per spiegare l’influenza della QBO sulla troposfera tropicale. La QBO modula i venti zonali stratosferici, e variazioni nel profilo del vento possono propagarsi verso il basso, influenzando indirettamente la convezione troposferica. Tuttavia, poiché lo shear in queste simulazioni è applicato a quote inferiori alla tropopausa, i risultati suggeriscono che dinamiche troposferiche locali possano contribuire significativamente agli effetti osservati, indipendentemente da processi stratosferici diretti.
- Differenze tra condizioni di precipitazione: Le condizioni di precipitazione intensa mostrano una convezione più robusta in entrambe le simulazioni, ma l’effetto limitante del wind shear è più marcato nella simulazione nudged, dove anche i sistemi più forti non raggiungono le altezze osservate nella simulazione di controllo. Questo indica che l’intensità del forcing convettivo può parzialmente contrastare gli effetti dello shear, ma non superarli completamente.
Conclusione
La Figura 11 offre una rappresentazione dettagliata di come il taglio del vento troposferico influenzi la dinamica convettiva, con implicazioni per la comprensione delle interazioni tra i profili di vento e la variabilità tropicale. Le differenze tra la simulazione di controllo e quella nudged evidenziano che lo shear riduce sia la forza che l’altezza di penetrazione della convezione, un meccanismo che potrebbe contribuire agli effetti della QBO sulla troposfera, sebbene in questo caso limitato a dinamiche troposferiche inferiori. Questi risultati sottolineano l’importanza di considerare i profili di vento nelle simulazioni numeriche e nelle previsioni meteorologiche, fornendo una base per ulteriori studi sull’interazione tra troposfera e stratosfera nei tropici.
Valutazione e validazione dei modelli atmosferici: sfruttamento dell’accoppiamento stratosfera-troposfera tropicale per migliorare l’affidabilità delle simulazioni climatiche
La comprensione approfondita delle interazioni tra stratosfera e troposfera tropicale offre non solo opportunità per migliorare le previsioni meteorologiche, ma anche un potenziale significativo nella valutazione e validazione dei modelli numerici utilizzati nelle scienze atmosferiche. Questo aspetto assume un’importanza cruciale nei modelli climatici impiegati per la previsione a lungo termine, dove la verifica diretta dell’abilità predittiva rispetto ai cambiamenti climatici osservati è intrinsecamente impossibile, data la scala temporale decennale o secolare di tali proiezioni. In assenza di un confronto diretto con dati osservativi futuri, un approccio indiretto ampiamente adottato consiste nell’esaminare la capacità dei modelli di riprodurre variazioni atmosferiche su scale temporali più brevi, purché queste siano ben documentate nelle osservazioni. La riproduzione accurata di tali variazioni, specialmente quando associata a processi fisici rilevanti per le dinamiche climatiche a lungo termine, rafforza la fiducia nella robustezza complessiva del modello, fornendo una base indiretta per valutarne l’affidabilità predittiva.
Un esempio concreto di questo approccio è stato proposto da Sakazaki et al. (2017), i quali hanno analizzato la capacità dei modelli di simulare la variazione semidiurna delle precipitazioni nei tropici, un fenomeno influenzato dal riscaldamento stratosferico indotto dall’ozono. Questo processo è relativamente ben caratterizzato nelle osservazioni, grazie alla sua natura ciclica e alla disponibilità di dati satellitari e di superficie. Tuttavia, gli autori hanno evidenziato che la rappresentazione di questa variabilità differisce notevolmente tra i modelli, a seconda delle parametrizzazioni convettive utilizzate. Tale discrepanza suggerisce che la variazione semidiurna possa essere sfruttata come un indicatore diagnostico per valutare e ottimizzare le parametrizzazioni convettive, un elemento critico per la simulazione accurata dei processi troposferici nei modelli climatici.
Un’opportunità analoga emerge dall’interazione tra la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) e la Madden-Julian Oscillation (MJO), due fenomeni chiave della dinamica atmosferica tropicale. La QBO, un’oscillazione quasi-biennale dei venti zonali nella stratosfera tropicale, è stata ipotizzata come modulatore della MJO, il principale modo di variabilità intrasstagionale nei tropici. Sebbene l’effetto della QBO sull’MJO possa essere considerato “debole” dal punto di vista operativo – nel senso che il suo impatto non sembra sufficiente a migliorare significativamente l’abilità predittiva delle previsioni substagionali – esso introduce una componente deterministica nella variabilità temporale dell’MJO. Questa caratteristica offre un’opportunità unica per la validazione dei modelli, consentendo di testare la loro capacità di riprodurre un segnale specifico e osservabile. Studi recenti hanno sottolineato che nessun modello in esecuzione libera (free-running), ossia non vincolato da dati osservativi in tempo reale, riesce attualmente a catturare in modo soddisfacente questa connessione QBO-MJO (Lee e Klingaman 2018; Kim et al. 2020a; Lim e Son 2020). Tale limitazione rappresenta una sfida significativa, ma anche un potenziale punto di forza per l’assessment modellistico, poiché fornisce un benchmark concreto per identificare carenze strutturali nei modelli climatici.
L’importanza di questa valutazione è amplificata dalla notevole eterogeneità nel comportamento simulato dell’MJO tra i modelli climatici attuali. Jiang et al. (2015) hanno documentato un’ampia gamma di rappresentazioni dell’MJO, con differenze significative in termini di ampiezza, frequenza e propagazione, riflettendo incertezze nei processi fisici sottostanti. La MJO è un fenomeno complesso, la cui simulazione dipende da molteplici parametri, tra cui la convezione profonda, l’interazione tra umidità e dinamica atmosferica, e i processi di feedback tra troposfera e oceano. Esiste un dibattito scientifico attivo sui meccanismi fisici dominanti che governano l’MJO, con diversi modelli teorici proposti per descriverne l’origine e l’evoluzione. In questo contesto, Zhang et al. (2020) hanno suggerito che la capacità di un modello di riprodurre la connessione QBO-MJO potrebbe rappresentare un criterio discriminante per valutare la validità di tali teorie. Ad esempio, un modello che catturi accuratamente l’influenza della QBO sull’MJO potrebbe essere considerato più robusto nel rappresentare i processi fisici che collegano la stratosfera e la troposfera tropicale, offrendo una maggiore affidabilità anche per proiezioni climatiche a lungo termine.
L’approccio basato sull’accoppiamento QBO-MJO per la validazione dei modelli si inserisce in un quadro più ampio di miglioramento delle simulazioni climatiche. La difficoltà nel riprodurre questa interazione evidenzia lacune nelle attuali rappresentazioni dei processi stratosferici e troposferici, come la parametrizzazione della convezione, la dinamica verticale del vento e il trasferimento di energia tra strati atmosferici. Inoltre, la connessione QBO-MJO potrebbe avere implicazioni per i cambiamenti climatici futuri, poiché variazioni nella circolazione stratosferica indotte dal riscaldamento globale potrebbero alterare la variabilità intrasstagionale nei tropici, con effetti a cascata sulle teleconnessioni extratropicali. Pertanto, un modello che dimostri abilità nel simulare questa interazione non solo guadagna credibilità nella riproduzione della variabilità presente, ma potrebbe anche essere meglio equipaggiato per prevedere scenari futuri in cui tali processi giocano un ruolo significativo.
In sintesi, l’accoppiamento tra stratosfera e troposfera tropicale, esemplificato dalla relazione QBO-MJO, offre un’opportunità preziosa per la valutazione e validazione dei modelli climatici. Sebbene la sua debolezza in termini di impatto previsionale substagionale limiti il suo utilizzo operativo immediato, la sua natura deterministica fornisce un test diagnostico per verificare la fedeltà fisica dei modelli. Superare le attuali limitazioni nella simulazione di questa interazione richiede progressi nella rappresentazione dei processi atmosferici chiave, ma il raggiungimento di tale obiettivo potrebbe non solo migliorare la fiducia nei modelli climatici, ma anche affinare la nostra comprensione delle dinamiche atmosferiche globali su scale temporali che spaziano dal breve al lungo termine.

Analisi delle interazioni tra processi stratosferici e troposferici tropicali su diverse scale temporali: una rappresentazione concettuale degli accoppiamenti atmosferici (Figura 12)
La dinamica atmosferica nei tropici è regolata da una complessa rete di processi che operano su scale temporali disparate, spaziando da variazioni giornaliere a oscillazioni pluriennali, e che coinvolgono sia la stratosfera che la troposfera. La Figura 12, come descritta, offre una sintesi visiva di questi processi e delle loro potenziali interazioni, rappresentando un diagramma concettuale che mira a elucidare i meccanismi di accoppiamento tra i due strati atmosferici. L’obiettivo è fornire una panoramica delle scale temporali caratteristiche dei fenomeni stratosferici e troposferici tropicali, evidenziando i collegamenti tra di essi attraverso frecce colorate che distinguono la natura dei forcing e il grado di certezza scientifica associato a ciascun accoppiamento. Questo approccio riflette il progresso attuale nella comprensione delle dinamiche atmosferiche tropicali e identifica le aree in cui persistono incertezze, offrendo una base per orientare future indagini scientifiche.
Struttura e organizzazione della figura
La Figura 12 mappa i processi atmosferici rilevanti nella stratosfera e nella troposfera tropicale lungo un continuum temporale, probabilmente organizzato su un asse che spazia da scale sub-giornaliere (ore) a scale decennali o oltre. I processi sono collegati da frecce che indicano direzionalità e tipo di accoppiamento:
- Frecce arancioni: rappresentano risposte periodiche a forcing solari, come il ciclo diurno o il ciclo undecennale dell’attività solare. Queste interazioni sono guidate da variazioni esterne ben definite e prevedibili nel tempo.
- Frecce blu: indicano accoppiamenti su altre scale temporali, derivanti da dinamiche interne all’atmosfera o da interazioni non direttamente legate al sole, come oscillazioni atmosferiche o influenze stagionali.
- Tonalità di blu: una gradazione cromatica distingue il livello di robustezza delle evidenze scientifiche. Il blu scuro denota accoppiamenti solidamente stabiliti, supportati da osservazioni empiriche o simulazioni modellistiche affidabili, mentre le tonalità più chiare segnalano accoppiamenti per i quali esistono solo evidenze preliminari, caratterizzati da incertezza o da un consenso scientifico ancora in fase di consolidamento.
Sebbene la descrizione non fornisca un elenco esaustivo dei processi rappresentati, il contesto degli studi sull’accoppiamento stratosfera-troposfera consente di ipotizzare una selezione rappresentativa, che sarà dettagliata di seguito.
Processi rappresentati e loro scale temporali
Processi stratosferici
La stratosfera tropicale è caratterizzata da fenomeni che operano su scale temporali variabili, spesso influenzati da forcing esterni o da dinamiche interne:
- Variazioni diurne e semidiurne: il riscaldamento stratosferico indotto dall’assorbimento della radiazione solare da parte dell’ozono genera cicli giornalieri che possono influenzare la temperatura e la circolazione atmosferica su scale orarie o semidiurne.
- Quasi-Biennial Oscillation (QBO): un’oscillazione quasi-periodica dei venti zonali stratosferici con un ciclo medio di circa 28 mesi, che rappresenta una delle principali fonti di variabilità nella stratosfera tropicale.
- Ciclo solare undecennale: variazioni nell’irradianza solare su un periodo di circa 11 anni, associate al ciclo delle macchie solari, che possono modulare la struttura termica e dinamica della stratosfera.
- Interazioni con onde planetarie: anche se più prominenti alle alte latitudini, le onde stratosferiche possono propagarsi o influenzare indirettamente i tropici su scale stagionali o interannuali.
Processi troposferici tropicali
La troposfera tropicale è dominata da fenomeni convettivi e circolatori che rispondono sia a forcing locali che a influenze su larga scala:
- Ciclo diurno della convezione: variazioni giornaliere delle precipitazioni e dell’attività convettiva, guidate dal riscaldamento solare della superficie terrestre e marina.
- Madden-Julian Oscillation (MJO): un modo di variabilità intrasstagionale (30-60 giorni) che si manifesta come un’onda di convezione e pressione che si propaga verso est attraverso i tropici.
- Oscillazioni stagionali: fluttuazioni legate ai monsoni o ad altri cicli annuali che influenzano la distribuzione delle precipitazioni e dei venti.
- El Niño-Southern Oscillation (ENSO): un’oscillazione interannuale (2-7 anni) della temperatura superficiale del mare nel Pacifico tropicale, con impatti significativi sulla circolazione troposferica globale.
Questi processi sono probabilmente disposti nella figura in ordine crescente di scala temporale, con frecce che collegano fenomeni stratosferici e troposferici per indicare le possibili influenze reciproche.
Interpretazione degli accoppiamenti
Frecce arancioni: risposte periodiche ai forcing solari
Le frecce arancioni evidenziano interazioni guidate da variazioni solari, che si manifestano su scale temporali ben definite:
- Ciclo diurno/semidiurno: il riscaldamento stratosferico da ozono, che segue il ciclo solare giornaliero, può influenzare la convezione troposferica modulando la stabilità atmosferica o il trasporto verticale di energia. Ad esempio, Sakazaki et al. (2017) hanno documentato un effetto osservabile sulla variazione semidiurna delle precipitazioni tropicali, un accoppiamento relativamente ben consolidato.
- Ciclo undecennale: le variazioni nell’irradianza solare associate al ciclo di 11 anni possono alterare la temperatura stratosferica, con effetti potenziali sulla circolazione troposferica tropicale, come modifiche a lungo termine nei pattern di precipitazione o nella forza della convezione. Questo accoppiamento potrebbe essere più speculativo, a seconda delle evidenze disponibili, ma è plausibilmente incluso tra le frecce arancioni per la sua natura periodica.
Frecce blu scure: accoppiamenti ben identificati
Le frecce blu scure rappresentano interazioni supportate da solide evidenze osservative o modellistiche:
- QBO e MJO: uno degli accoppiamenti più studiati è l’influenza della QBO sulla MJO. Studi come Son et al. (2017) e Marshall et al. (2017) hanno dimostrato che la fase della QBO (orientale o occidentale) modula l’intensità, la durata e la predicibilità degli eventi MJO nella troposfera tropicale, specialmente durante l’inverno boreale. Questo effetto è attribuito a cambiamenti nel profilo del vento stratosferico che influenzano la stabilità verticale e la convezione troposferica, un’interazione ormai ampiamente accettata.
- Effetti stagionali: un altro possibile accoppiamento ben consolidato potrebbe riguardare l’influenza delle variazioni stagionali della stratosfera (ad esempio, attraverso il trasporto di ozono o la dinamica dei venti) sulla troposfera tropicale, come i cambiamenti nei pattern di precipitazione monsonici.
Frecce blu chiare: accoppiamenti incerti
Le frecce blu chiare indicano interazioni per le quali esistono evidenze preliminari, ma che rimangono oggetto di incertezza o dibattito:
- QBO e variazioni troposferiche minori: oltre all’MJO, la QBO potrebbe influenzare altri processi troposferici, come le precipitazioni stagionali o la convezione diurna, ma le evidenze osservative sono meno robuste e i modelli spesso falliscono nel riprodurre tali effetti (Lee e Klingaman, 2018).
- Ciclo solare e troposfera a lungo termine: l’impatto del ciclo undecennale sulla troposfera tropicale attraverso cambiamenti stratosferici potrebbe essere ipotizzato, ma la sua rilevanza e consistenza restano incerte, con studi che suggeriscono effetti marginali o dipendenti da condizioni specifiche.
- Interazioni indirette: accoppiamenti come l’influenza di onde planetarie stratosferiche sulla troposfera tropicale tramite teleconnessioni potrebbero essere inclusi in questa categoria, data la loro complessità e la mancanza di consenso definitivo.
Implicazioni scientifiche
La Figura 12 sintetizza lo stato attuale della conoscenza sull’accoppiamento stratosfera-troposfera tropicale, offrendo una rappresentazione visiva che integra:
- Pluralità delle scale temporali: i processi rappresentati coprono un ampio spettro temporale, evidenziando come le interazioni tra stratosfera e troposfera possano operare attraverso meccanismi rapidi (diurni) o lenti (interannuali), con implicazioni per la modellistica e la previsione a diverse scale.
- Grado di certezza: la distinzione tra blu scuro e chiaro riflette il progresso scientifico nel consolidare alcuni accoppiamenti (es. QBO-MJO) e la necessità di ulteriori indagini per chiarire quelli meno definiti, come gli effetti a lungo termine del ciclo solare.
- Sfide modellistiche: la figura sottolinea la difficoltà dei modelli climatici nel riprodurre accuratamente questi accoppiamenti, specialmente quelli incerti (blu chiaro), un aspetto critico per migliorare le previsioni substagionali, stagionali e climatiche.
Conclusione
La Figura 12 è un diagramma concettuale che illustra i processi stratosferici e troposferici tropicali e i loro accoppiamenti su diverse scale temporali, utilizzando frecce arancioni per le risposte periodiche ai forcing solari e frecce blu, con tonalità variabili, per altri tipi di interazioni. Le frecce blu scure evidenziano accoppiamenti ben stabiliti, come l’influenza della QBO sull’MJO, mentre le tonalità chiare indicano connessioni ancora speculative, come effetti minori o a lungo termine. Questa rappresentazione non solo organizza la conoscenza esistente, ma identifica anche le lacune da colmare, offrendo un quadro di riferimento per approfondire la comprensione delle dinamiche atmosferiche tropicali e il loro ruolo nel sistema climatico globale.
Questioni irrisolte e sfide future nell’indagine dell’accoppiamento tra stratosfera e troposfera tropicale
La comprensione delle interazioni dinamiche tra stratosfera e troposfera rappresenta un pilastro fondamentale della meteorologia moderna, con implicazioni che si estendono dalla previsione a breve termine alla modellizzazione climatica a lungo termine. Le sezioni precedenti di questo lavoro hanno sintetizzato un corpus crescente di evidenze, derivanti sia da osservazioni empiriche che da simulazioni numeriche, che dimostrano un’influenza significativa della stratosfera sulla troposfera tropicale. Tale influenza si manifesta attraverso una serie di processi fisici complessi, per i quali sono stati proposti diversi meccanismi di accoppiamento. Questi includono, ma non si limitano a, variazioni nei profili di vento stratosferici, effetti termodinamici legati al riscaldamento da ozono e interazioni indirette mediate da onde atmosferiche. Per ciascuno di questi meccanismi, è stato esaminato il grado di verifica raggiunto attraverso studi teorici e modellistici, evidenziando sia i progressi compiuti che le lacune ancora esistenti nella comprensione scientifica.
Un elemento centrale di questa analisi è stato il confronto con l’evoluzione della conoscenza sull’accoppiamento tra stratosfera e troposfera extratropicale, un campo di ricerca che ha beneficiato di significativi avanzamenti negli ultimi vent’anni. In ambito extratropicale, processi come i Sudden Stratospheric Warmings (SSW) e la propagazione verso il basso delle anomalie stratosferiche verso la troposfera, con effetti sulla North Atlantic Oscillation (NAO) o sul Southern Annular Mode (SAM), sono stati ampiamente documentati e compresi. Questo progresso ha permesso di sviluppare modelli predittivi più accurati e di sfruttare tali interazioni per migliorare le previsioni stagionali. Tuttavia, il confronto tra i problemi di accoppiamento extratropicale e tropicale rivela somiglianze e differenze sostanziali. Tra le somiglianze si annovera l’importanza dei profili di vento verticale e della stabilità atmosferica come mediatori dell’influenza stratosferica; tra le differenze spiccano la maggiore complessità della convezione tropicale e la natura più diretta delle teleconnessioni extratropicali, rispetto alle interazioni più sfumate nei tropici.
La Figura 12, discussa in precedenza, funge da rappresentazione sintetica e visiva della gamma di processi stratosferici che possono instaurare un legame dinamico con la troposfera tropicale. Tali processi coprono un amplio spettro temporale, dalle variazioni diurne legate al riscaldamento solare, alla Quasi-Biennial Oscillation (QBO) su scala biennale, fino agli effetti del ciclo solare undecennale. La figura evidenzia come questi fenomeni stratosferici possano modulare diversi aspetti del comportamento troposferico, inclusi la Madden-Julian Oscillation (MJO), i pattern di precipitazione e la struttura convettiva generale. Attraverso l’uso di frecce colorate, essa distingue gli accoppiamenti ben consolidati da quelli ancora incerti, offrendo una mappa concettuale che non solo riassume lo stato attuale della conoscenza, ma sottolinea anche le aree che richiedono ulteriori approfondimenti.
Nonostante i progressi descritti, rimangono numerose questioni aperte che rappresentano sfide significative per la ricerca futura. Ad esempio, mentre l’effetto della QBO sull’MJO è stato documentato con un certo grado di affidabilità, i meccanismi fisici sottostanti – come il ruolo del taglio del vento o delle variazioni di temperatura stratosferica – non sono stati completamente chiariti. Inoltre, la capacità dei modelli numerici di riprodurre fedelmente questi accoppiamenti rimane limitata, come evidenziato dal fallimento dei modelli in esecuzione libera nel catturare l’interazione QBO-MJO. Questo solleva interrogativi sulla rappresentazione dei processi convettivi e dinamici nei tropici, così come sulla necessità di migliorare le parametrizzazioni fisiche per catturare le subtili influenze stratosferiche. Un’altra sfida riguarda l’estensione degli studi a processi meno esplorati, come l’impatto delle variazioni solari a lungo termine sulla troposfera tropicale o l’interazione tra stratosfera e fenomeni troposferici su scale temporali intermedie.
Il confronto con l’accoppiamento extratropicale suggerisce che il progresso nei tropici potrebbe beneficiare di approcci simili, come lo sviluppo di campagne osservative mirate e l’integrazione di dati ad alta risoluzione spaziale e temporale. Tuttavia, la natura intrinsecamente diversa della circolazione tropicale, dominata dalla convezione profonda e da una minore influenza delle onde planetarie rispetto alle latitudini extratropicali, richiede strategie specifiche per affrontare queste incertezze. In questo contesto, le sfide future includono non solo il consolidamento delle evidenze esistenti, ma anche l’espansione della comprensione verso nuovi meccanismi di accoppiamento e il loro potenziale impatto sul clima globale.
In sintesi, le sezioni precedenti hanno delineato un quadro in cui la stratosfera emerge come un attore significativo nel modulare la troposfera tropicale, con meccanismi proposti che spaziano da effetti diretti del vento a influenze termodinamiche indirette. Il parallelo con i progressi nell’accoppiamento extratropicale offre un modello di successo da cui trarre ispirazione, ma sottolinea altresì le peculiarità del problema tropicale. La Figura 12 cristallizza questa complessità, mappando i processi stratosferici e i loro legami con la troposfera tropicale, e ponendo le basi per un’agenda di ricerca volta a rispondere alle domande ancora aperte e a superare le sfide metodologiche e concettuali che persistono in questo campo.
6.1 Analisi e Osservazioni sull’Influenza Stratosferica sulla Troposfera Tropicale: Limiti e Prospettive
Le interazioni tra la stratosfera e la troposfera tropicale rappresentano un campo di studio di crescente interesse nella meteorologia dinamica, con particolare attenzione al ruolo della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) e dei Sudden Stratospheric Warmings (SSW) nel modulare processi troposferici come la frequenza dei cicloni tropicali, le precipitazioni tropicali e la Madden-Julian Oscillation (MJO). Tuttavia, l’evidenza osservativa di queste influenze, come il presunto segnale del QBO sulla frequenza stagionale dei cicloni tropicali nell’Atlantico, si è rivelata meno netta con l’estensione temporale dei record di dati disponibili. Inizialmente, alcune analisi suggerivano una relazione chiara e definita, ma l’accumulo di ulteriori osservazioni ha introdotto una maggiore complessità, evidenziando come la variabilità intrinseca e i fattori confondenti possano offuscare segnali che sembravano robusti in dataset più brevi. Questo fenomeno sottolinea una sfida fondamentale: la lunghezza del periodo osservativo, pur coprendo ormai diverse decadi, rimane un limite critico per discernere pattern climatici significativi in presenza di oscillazioni naturali e forzature esterne.
Un segnale del QBO sulla circolazione troposferica tropicale media, sia su scala stagionale che annuale, sembra emergere con crescente coerenza, come discusso in dettaglio nella Sezione 3. Tuttavia, persiste una considerevole incertezza riguardo alla struttura spaziale di queste influenze, in particolare per quanto concerne le variazioni longitudinali e stagionali. Il QBO, caratterizzato da un’alternanza biennale dei venti zonali nella stratosfera tropicale, è documentato con osservazioni dirette a partire dagli anni ’50, grazie ai dati radiosondati raccolti in stazioni tropicali chiave. Nonostante questa continuità temporale, la rappresentazione della variabilità troposferica associata rimane frammentaria, in parte a causa della scarsa copertura spaziale delle osservazioni dirette e della complessità delle interazioni dinamiche tra stratosfera e troposfera. Ad esempio, gli studi sulla relazione tra il QBO e le precipitazioni tropicali si scontrano con la limitata disponibilità di dati affidabili su scala globale. Il Global Precipitation Climatology Project (GPCP), che integra osservazioni satellitari, radiosondaggi e misurazioni di superficie a partire dal 1979, ha fornito una base preziosa per lavori come quelli di Liess e Geller (2012), Gray et al. (2018) e Lee et al. (2019). Questi studi hanno cercato di quantificare l’impatto del QBO sulle precipitazioni, ma la finestra temporale di poco più di quattro decenni limita la capacità di discriminare segnali climatici a lungo termine da fluttuazioni decennali o casuali.
Per superare tali limitazioni, Gray et al. (2018) hanno confrontato i dati GPCP con quelli derivati dalla rianalisi ERA-40/ERA-Interim, che coprono un periodo più lungo (dal 1958 in poi). Questo approccio ha rivelato che l’utilizzo delle precipitazioni simulate dalla rianalisi produce risultati coerenti con il GPCP, migliorando al contempo la significatività statistica grazie a un’estensione temporale maggiore. Tuttavia, l’affidabilità dei dataset di rianalisi per il periodo pre-satellitare (fine anni ’50 – fine anni ’70) è oggetto di dibattito. Sebbene tali dataset siano generalmente considerati robusti per le dinamiche su larga scala nelle regioni extratropicali dell’emisfero settentrionale, come dimostrato da Gerber e Martieau (2018), la loro accuratezza nei tropici è meno consolidata. Le quantità derivate dai modelli, come le precipitazioni, dipendono fortemente dalle parametrizzazioni fisiche e sono solo debolmente vincolate da osservazioni dirette, specialmente prima dell’avvento dei satelliti. Nonostante ciò, esiste un margine promettente per integrare altre variabili di rianalisi, come i flussi di calore o la vorticità, negli studi sul QBO, ampliando così il quadro interpretativo. Inoltre, Hersbach et al. (2017) hanno evidenziato il potenziale dei dati radiosondati d’alta quota per migliorare le rianalisi anche per gli anni ’50 e precedenti, aprendo la possibilità di sfruttare l’intero periodo di osservazioni del QBO (dal 1950 in poi) con una risoluzione temporale e spaziale più raffinata.
Un ulteriore sviluppo significativo concerne la connessione tra il QBO e la MJO, un’oscillazione intrastagionale dominante nei tropici. Le recenti evidenze di questa relazione hanno generato un notevole interesse nella comunità scientifica, stimolando indagini approfondite. Kim et al. (2020a) hanno analizzato la variabilità interannuale dell’MJO attraverso simulazioni modellistiche, concludendo che la probabilità che tale connessione sia casuale è estremamente bassa. Tuttavia, la limitata lunghezza del record osservativo utilizzato in questi studi rappresenta un ostacolo per trarre conclusioni definitive. Klotzbach et al. (2019), avvalendosi di dataset più estesi, hanno suggerito che questa interazione sia emersa con chiarezza solo a partire dagli anni ’80, ipotizzando che cambiamenti nella struttura termica della troposfera tropicale abbiano accresciuto la sensibilità dell’MJO al QBO. Una prospettiva simile emerge dall’analisi di Camargo e Sobel (2010), che hanno rilevato un’evoluzione temporale nella relazione statistica tra il QBO e i cicloni tropicali, suggerendo che la sensibilità di questi fenomeni al QBO possa variare su scale temporali sia intrastagionali che stagionali. L’assenza di una comprensione dettagliata dei meccanismi fisici sottostanti rende difficile escludere l’influenza di fattori esterni, come il cambiamento climatico o la variabilità naturale, su tali dinamiche.
Parallelamente, l’effetto degli SSW sulla troposfera tropicale rimane un’area di ricerca che richiede ulteriori approfondimenti. Gli SSW, eventi di riscaldamento improvviso della stratosfera polare, sono noti per perturbare la circolazione extratropicale, ma le loro ripercussioni sui tropici sono meno documentate. Alcuni studi basati su eventi specifici hanno suggerito influenze significative, ma la dimostrazione di un impatto sistematico e robusto è ostacolata dalla brevità del record osservativo e dalla complessità della struttura latitudinale e longitudinale di tali effetti, come evidenziato da Hitchcock e Simpson (2014). L’incertezza statistica associata a queste analisi diminuirà solo gradualmente con l’accumulo di nuovi dati, un processo inevitabilmente lento. Per questo motivo, l’integrazione delle osservazioni con studi modellistici mirati appare la strategia più promettente per progredire nel breve termine, come già avvenuto con successo per le dinamiche extratropicali. Tali modelli, se adeguatamente calibrati, potrebbero chiarire i meccanismi di trasferimento dell’energia e della quantità di moto tra stratosfera e troposfera, offrendo una base più solida per interpretare i dati osservativi.
In sintesi, l’analisi delle influenze stratosferiche sulla troposfera tropicale si scontra con limitazioni intrinseche legate alla durata e alla qualità dei record osservativi, alla complessità delle interazioni dinamiche e alla variabilità climatica di fondo. Tuttavia, l’integrazione di dataset di rianalisi, l’espansione delle serie temporali e l’uso di approcci modellistici avanzati offrono prospettive incoraggianti per superare tali ostacoli, migliorando la nostra comprensione di questi processi fondamentali per il clima globale.
6.2 Modelli Globali e Simulazioni Numeriche: Un’Analisi Avanzata delle Interazioni Stratosfera-Troposfera Tropicale
L’indagine sull’influenza della stratosfera sulla troposfera tropicale mediante modelli numerici rappresenta un campo di ricerca ancora relativamente poco esplorato, nonostante il suo potenziale per chiarire dinamiche climatiche complesse. Gli studi basati su modelli climatici globali (GCM) che analizzano tali interazioni sono sorprendentemente scarsi, un aspetto che riflette sia le difficoltà tecniche nell’integrare processi stratosferici nei modelli troposferici sia la necessità di risorse computazionali considerevoli per simulazioni ad alta risoluzione. Per garantire la validità scientifica delle conclusioni tratte da questi modelli, è fondamentale valutare con attenzione la robustezza della risposta della troposfera tropicale alla Quasi-Biennial Oscillation (QBO) attraverso un’ampia gamma di GCM, in particolare quelli che differiscono per le parametrizzazioni dei processi fisici chiave, come la convezione cumuliforme e il trasferimento radiativo. Queste parametrizzazioni, che semplificano fenomeni atmosferici complessi per renderli trattabili computazionalmente, possono introdurre incertezze significative nella rappresentazione delle interazioni stratosfera-troposfera, rendendo necessario un confronto sistematico tra modelli per identificare segnali consistenti e distinguere artefatti numerici da risposte fisiche reali.
Negli ultimi anni, diversi GCM hanno acquisito la capacità di simulare il QBO, un’oscillazione biennale dei venti zonali nella stratosfera tropicale che rappresenta uno dei principali meccanismi di coupling verticale nell’atmosfera terrestre. Questa capacità è al centro dell’iniziativa SPARC QBOi (Anstey et al. 2020), che mira a standardizzare e migliorare la rappresentazione del QBO nei modelli globali. Tuttavia, la risposta della troposfera tropicale al QBO rimane un aspetto critico da investigare. Un approccio efficiente, specialmente nelle fasi iniziali di studio, consiste nell’imporre artificialmente un QBO nei modelli, come dimostrato nei lavori pionieristici di Giorgetta et al. (1999) e Garfinkel e Hartmann (2011). Tale metodologia consente di controllare la struttura del QBO, ad esempio variandone l’ampiezza o la fase nella parte più bassa della stratosfera, e di analizzare sistematicamente la sensibilità della troposfera tropicale a queste perturbazioni. Questo è particolarmente rilevante poiché i GCM in esecuzione libera tendono a sottostimare l’ampiezza del QBO nelle sue componenti di vento e temperatura nella bassa stratosfera (Kim et al. 2020a), un limite che potrebbe influenzare la capacità dei modelli di catturare fedelmente le interazioni con la troposfera sottostante. Studi di sensibilità di questo tipo potrebbero quindi fornire preziose informazioni sui meccanismi fisici che governano la propagazione del segnale stratosferico verso la troposfera tropicale, come la modulazione delle onde di gravità o i cambiamenti nei gradienti termici verticali.
La questione della robustezza tra diversi modelli si estende anche ad altri aspetti delle dinamiche stratosferiche. Ad esempio, Nowack et al. (2015, 2017) hanno evidenziato come l’accoppiamento tra la dinamica stratosferica e la chimica stratosferica, in particolare le variazioni dell’ozono, possa modulare la risposta troposferica in modi che dipendono fortemente dalla configurazione del modello. Allo stesso modo, Simpson et al. (2019) hanno esplorato gli effetti del riscaldamento stratosferico sulla risposta alla geoingegneria degli aerosol, suggerendo che le perturbazioni stratosferiche possono avere ripercussioni significative sui processi troposferici, come la distribuzione delle precipitazioni o la stabilità convettiva. In entrambi i casi, la consistenza dei risultati tra modelli con differenti schemi fisici rimane un elemento cruciale per validare tali effetti e per garantire che le conclusioni non siano un artefatto di specifiche parametrizzazioni.
Un ambito di particolare interesse è l’utilizzo dei modelli di previsione stagionale per analizzare la connessione tra il QBO e la Madden-Julian Oscillation (MJO), un’oscillazione intrastagionale che domina la variabilità meteorologica tropicale. Studi come quelli di Marshall et al. (2017), Lim et al. (2019), Wang et al. (2019) e Martin et al. (2020) hanno dimostrato che questi modelli sono in grado di catturare la modulazione dell’MJO da parte del QBO, un’interazione che i GCM in esecuzione libera spesso non riescono a simulare in modo spontaneo. I risultati di queste simulazioni stagionali non solo forniscono un valido complemento alle osservazioni, limitate dalla brevità del record storico, ma offrono anche un’opportunità unica per dissezionare i processi fisici coinvolti, come l’influenza del QBO sulla convezione profonda o sulla propagazione delle onde equatoriali. Inoltre, l’approccio basato sui modelli stagionali è stato esteso da Back et al. (2020), che hanno utilizzato il modello mesoscalare WRF a una risoluzione “convection-permitting” (che consente la rappresentazione esplicita della convezione senza ricorrere a parametrizzazioni). Questo tipo di simulazione ad alta risoluzione potrebbe rivelarsi particolarmente utile per studiare i dettagli spaziali e temporali della risposta troposferica tropicale al QBO, superando alcune delle limitazioni dei GCM tradizionali.
6.3 Modelli a Risoluzione di Nubi (CRM): Approfondimenti e Sfide nell’Analisi delle Interazioni Stratosfera-Troposfera Tropicale
L’impiego dei modelli a risoluzione di nubi (CRM, Cloud-Resolving Models) per esplorare i potenziali effetti della stratosfera sulla convezione tropicale ha già prodotto risultati degni di nota, offrendo un livello di dettaglio che supera le capacità dei modelli globali tradizionali. Questi modelli, progettati per risolvere esplicitamente i processi convettivi su scale spaziali fini, hanno permesso di indagare come variazioni nella stratosfera, come quelle associate alla Quasi-Biennial Oscillation (QBO) o alla struttura della tropopausa, possano influenzare i pattern di convezione tropicale. Tuttavia, per consolidare tali intuizioni in una comprensione robusta e generalizzabile, è indispensabile valutare la consistenza dei risultati attraverso un’ampia gamma di CRM, considerando le differenze nelle formulazioni dinamiche fondamentali, nelle parametrizzazioni microfisiche (come la formazione di gocce e cristalli di ghiaccio) e nei modelli radiativi che regolano il bilancio energetico atmosferico. Studi seminali come quelli di Nie e Sobel (2015), Yuan (2015) e Martin et al. (2019) hanno fatto affidamento sul System for Atmospheric Modelling (SAM, Khairoutdinov e Randall 2003), integrandolo con uno schema radiativo derivato dal NCAR Community Climate Model (Kiehl et al. 1998). Sebbene tali lavori abbiano gettato le basi per comprendere le interazioni stratosfera-troposfera, la dipendenza da un unico framework modellistico solleva interrogativi sulla trasferibilità dei risultati ad altri sistemi numerici con diverse rappresentazioni dei processi fisici.
A tale proposito, è in corso un progetto internazionale volto a confrontare sistematicamente diversi CRM attraverso configurazioni sperimentali standardizzate (Wing et al. 2018). Questo sforzo mira a quantificare le incertezze legate alle scelte modellistiche e a identificare segnali fisici coerenti nelle simulazioni della convezione tropicale. Un’estensione naturale di questo approccio sarebbe l’inclusione di esperimenti specificamente progettati per perturbare le condizioni nella bassa stratosfera o alla tropopausa, ad esempio modificando i profili di temperatura o vento per simulare gli effetti delle fasi del QBO (orientale, QBOE, o occidentale, QBOW). Un confronto multi-modello di questo tipo potrebbe rivelare in che misura le risposte convettive dipendono dalle caratteristiche della stratosfera e fornire una base più solida per interpretare le variazioni osservate nei pattern di precipitazione o nell’attività convettiva tropicale.
Gli effetti della stratosfera sulla convezione tropicale, evidenziati sia da studi osservativi che modellistici, si manifestano prevalentemente su scala sinottica o stagionale. Tra questi vi sono cambiamenti nei pattern medi stagionali delle precipitazioni, modulazioni nell’ampiezza e nella struttura della Madden-Julian Oscillation (MJO) e alterazioni nella distribuzione spaziale della convezione profonda. I CRM, grazie alla loro capacità di risolvere i processi convettivi su scale dell’ordine di pochi chilometri, rappresentano uno strumento ideale per analizzare tali fenomeni. Recentemente, simulazioni con CRM su domini spaziali estesi, sufficienti a catturare direttamente questi effetti su larga scala, sono diventate tecnicamente fattibili (Satoh et al. 2019). Tuttavia, tali esperimenti richiedono risorse computazionali eccezionali, con costi crescenti in termini di potenza di calcolo e tempo di esecuzione. Di conseguenza, la possibilità di condurre integrazioni temporali prolungate o studi di sensibilità dettagliati, ad esempio variando parametri come la temperatura superficiale del mare (SST) o il profilo verticale di umidità, rimane fortemente limitata. Questa restrizione rappresenta una barriera significativa per comprendere appieno la dinamica delle interazioni stratosfera-troposfera su scale temporali rilevanti per il clima.
Un’alternativa per aggirare tali limitazioni è l’approccio del “debole gradiente di temperatura” (Weak Temperature Gradient, WTG), che consente di utilizzare CRM su domini spaziali ristretti per studiare la distribuzione della convezione su larga scala. Questo metodo si basa sull’assunzione che i gradienti orizzontali di temperatura nella troposfera tropicale siano trascurabili, permettendo di parametrizzare gli effetti della circolazione su larga scala senza simularla esplicitamente. Sebbene efficace per alcune applicazioni, come l’analisi della risposta convettiva a variazioni locali delle SST, questo approccio presenta limitazioni intrinseche che richiedono un’analisi critica, specialmente nel contesto del coupling stratosfera-troposfera. In particolare, il WTG non riesce a riprodurre l’accoppiamento non locale tra il campo di umidità su larga scala, la convezione e la dinamica atmosferica globale, un’interazione centrale nelle teorie del “moisture mode” che spiegano l’evoluzione dell’MJO (Sobel e Maloney 2012; Adames e Kim 2016). Queste teorie sottolineano come l’MJO sia guidata da feedbacks tra l’umidità troposferica, la convezione e le onde equatoriali, processi che trascendono le scale locali e che non possono essere adeguatamente rappresentati in un dominio ristretto.
Un esempio concreto di tali limitazioni emerge dal lavoro di Nie e Sobel (2015), che hanno utilizzato un CRM con l’approccio WTG per esaminare la risposta delle precipitazioni alle fasi del QBO. I loro risultati indicano che il segno della variazione delle precipitazioni (aumenti o diminuzioni) tra QBOE e QBOW dipende dall’entità dell’anomalia delle SST nella regione convettiva, suggerendo una relazione diretta tra temperatura superficiale e intensità convettiva. Tuttavia, questa conclusione riflette una prospettiva puramente locale, intrinseca al dominio limitato del modello, e non considera gli effetti di retroazione su scala sinottica, come la modulazione del flusso di umidità o la riorganizzazione della circolazione tropicale indotta dalla stratosfera. Di conseguenza, rimane aperto il quesito se tali risultati possano spiegare la variabilità spaziale delle precipitazioni associata alle fasi del QBO, come suggerito da osservazioni dirette o da studi con modelli climatici globali (GCM). Per rispondere a questa domanda, sarebbe necessario integrare le simulazioni CRM con approcci ibridi che combinino la risoluzione fine dei processi convettivi con una rappresentazione più completa delle dinamiche su larga scala, eventualmente attraverso l’accoppiamento con modelli regionali o globali.
In sintesi, i CRM offrono un’opportunità unica per esplorare i dettagli delle interazioni tra stratosfera e troposfera tropicale, ma il loro utilizzo efficace richiede un superamento delle attuali limitazioni computazionali e metodologiche. Il confronto sistematico tra modelli, l’espansione dei domini di simulazione e una valutazione critica degli approcci semplificati come il WTG saranno essenziali per chiarire il ruolo della stratosfera nella modulazione della convezione tropicale. Solo attraverso questi progressi sarà possibile colmare il divario tra le evidenze modellistiche e le osservazioni, contribuendo a una comprensione più approfondita dei processi atmosferici che governano il clima tropicale e le sue variazioni.
6.4 Meccanismi di Interazione tra Stratosfera e Troposfera Tropicale: Un’Analisi Dettagliata
La comprensione dei meccanismi attraverso cui la stratosfera influenza la troposfera tropicale rappresenta una sfida cruciale per la meteorologia dinamica e la climatologia, con implicazioni significative per la previsione del clima e la modellizzazione atmosferica. La Sezione 2 ha delineato i principali percorsi – denominati Tropicale, Subtropicale ed Extratropicale – che descrivono le possibili vie di trasferimento dell’influenza stratosferica verso la troposfera tropicale. Questi percorsi si basano su processi dinamici su larga scala che coinvolgono sia la stratosfera che la troposfera, o entrambe, e si inseriscono in un contesto più ampio di fenomeni climatici che includono oscillazioni come la Quasi-Biennial Oscillation (QBO) e variazioni nella circolazione planetaria. Tali dinamiche sono teoricamente rappresentabili dalla maggior parte dei modelli climatici globali (GCM), data la loro capacità di simulare i flussi energetici e di quantità di moto su scale sinottiche e globali. Tuttavia, determinare quale di questi percorsi predomini in una specifica simulazione modellistica o situazione reale è un compito complesso, spesso ostacolato dalla difficoltà di isolare segnali specifici in presenza di variabilità naturale e feedbacks multipli. Una strategia per affrontare questa sfida consiste nell’adattare i modelli eliminando selettivamente uno dei percorsi, ad esempio modificando le condizioni al confine stratosferico o i gradienti di vento. Tuttavia, tali interventi possono introdurre effetti collaterali imprevisti sul comportamento complessivo del modello, compromettendo l’affidabilità delle conclusioni.
Per superare queste limitazioni, Gray et al. (2018) hanno proposto un approccio osservativo innovativo, integrando variabili supplementari nei loro calcoli di regressione per distinguere il contributo relativo dei diversi percorsi. Questa metodologia, che consente di correlare cambiamenti specifici nella stratosfera (ad esempio, variazioni dei venti zonali o della temperatura) con risposte troposferiche misurabili (come le precipitazioni), potrebbe essere adattata con successo anche alle simulazioni modellistiche, offrendo un ponte tra dati empirici e rappresentazioni numeriche. È importante sottolineare che i percorsi identificati non operano in isolamento, ma sono parte di un sistema più ampio di interazioni bidirezionali tra stratosfera e troposfera. Ad esempio, Yamazaki et al. (2020) hanno recentemente avanzato l’ipotesi che il Percorso Tropicale possa svolgere un ruolo cruciale nella connessione tra il QBO e la stratosfera extratropicale, un’interazione ben documentata nella letteratura scientifica. Secondo questa visione, le perturbazioni indotte dal QBO nella troposfera tropicale modificherebbero i pattern di precipitazione, influenzando la genesi e la propagazione di onde planetarie che si dirigono verso la troposfera e la stratosfera extratropicali. Questo processo evidenzia come i meccanismi locali nei tropici possano avere ripercussioni su scala globale, sottolineando la complessità del sistema atmosferico accoppiato.
Un aspetto distintivo del coupling stratosfera-troposfera nei tropici, rispetto alle regioni extratropicali, risiede nella possibilità di un impatto diretto sui sistemi convettivi troposferici. Questo effetto si manifesta attraverso tre principali vie: il Percorso Tropicale, che prevede un’influenza dall’alto tramite variazioni nelle condizioni stratosferiche sovrastanti; il Percorso Subtropicale, che opera attraverso la modulazione del getto subtropicale; e il Percorso Extratropicale, che integra dinamiche più ampie con feedbacks troposferici mediati dalla convezione. A differenza delle regioni extratropicali, dove le interazioni stratosferiche influenzano prevalentemente la circolazione sinottica attraverso onde di Rossby o variazioni del vortice polare, nei tropici l’interazione diretta con la convezione profonda introduce un livello aggiuntivo di complessità. Sono stati identificati tre meccanismi principali che potrebbero mediare questa risposta troposferica alle perturbazioni stratosferiche, ciascuno con implicazioni distinte per la dinamica atmosferica tropicale:
- Effetto del wind shear verticale al livello della tropopausa: Le variazioni del gradiente di vento verticale nella regione di transizione tra troposfera e stratosfera possono alterare la stabilità e l’organizzazione dei sistemi convettivi profondi. Ad esempio, un aumento del wind shear potrebbe favorire la formazione di celle convettive più intense o modificarne la durata, influenzando la distribuzione delle precipitazioni e il rilascio di calore latente nella troposfera superiore.
- Effetto delle variazioni di temperatura nella bassa stratosfera: Cambiamenti nella temperatura stratosferica inferiore, spesso associati alle fasi del QBO, modificano la stabilità statica al livello della tropopausa. Una tropopausa più fredda e stabile può inibire la penetrazione convettiva verso la stratosfera, riducendo l’intensità della convezione profonda, mentre una tropopausa più calda potrebbe facilitare la formazione di nubi torreggianti, con conseguenti effetti sul bilancio energetico troposferico.
- Effetto delle variazioni di vorticità al livello della tropopausa: Le perturbazioni nella vorticità relativa o assoluta nella regione della tropopausa possono influenzare l’accoppiamento tra i sistemi convettivi profondi e la circolazione su larga scala. Ad esempio, un aumento della vorticità ciclonica potrebbe intensificare la convergenza a bassa quota, stimolando la convezione, mentre variazioni opposte potrebbero sopprimere tali processi, alterando la dinamica regionale.
Questi meccanismi non operano in modo isolato, ma interagiscono con i feedbacks troposferici, come la redistribuzione dell’umidità o la modulazione delle onde equatoriali, che a loro volta possono amplificare o attenuare l’influenza stratosferica. La complessità di tali interazioni richiede un approccio integrato che combini osservazioni ad alta risoluzione, come quelle fornite da radiosonde e satelliti, con simulazioni modellistiche avanzate. Ad esempio, l’analisi di casi specifici di QBOE (fase orientale) e QBOW (fase occidentale) potrebbe rivelare come le differenze nei profili verticali di vento e temperatura si traducano in variazioni osservabili della convezione e della precipitazione tropicale. Allo stesso modo, studi mirati sugli effetti dei Sudden Stratospheric Warmings (SSW) sui tropici potrebbero chiarire se e come le perturbazioni stratosferiche polari si propagano verso sud, influenzando i sistemi convettivi attraverso uno dei percorsi identificati.In conclusione, i meccanismi che collegano la stratosfera alla troposfera tropicale rappresentano un campo di ricerca ricco di potenzialità, ma anche di sfide metodologiche. La loro comprensione richiede non solo una caratterizzazione dettagliata dei percorsi Tropicale, Subtropicale ed Extratropicale, ma anche un’analisi approfondita delle interazioni bidirezionali e dei feedbacks convettivi che caratterizzano il sistema atmosferico tropicale. Solo attraverso un approccio multidisciplinare, che integri osservazioni, esperimenti modellistici controllati e tecniche statistiche avanzate, sarà possibile discernere i contributi relativi di questi meccanismi e il loro ruolo nel modulare il clima tropicale su scale temporali che vanno dall’intrastagionale al decennale.
I meccanismi finora descritti si concentrano sugli effetti diretti percepiti al livello della tropopausa, il confine dinamico che separa la troposfera dalla stratosfera e che funge da interfaccia cruciale per il trasferimento di segnali atmosferici. Tuttavia, affinché tali effetti si estendano attraverso l’intera profondità della troposfera tropicale – un requisito indispensabile per influenzare fenomeni complessi come la Madden-Julian Oscillation (MJO) o per indurre variazioni geografiche nella distribuzione delle precipitazioni – è necessario che si instaurino feedback significativi all’interno della troposfera stessa. Questi feedback possono amplificare o modulare l’influenza iniziale della stratosfera, coinvolgendo processi come la redistribuzione dell’umidità, la modifica della convezione profonda e l’interazione con la circolazione su larga scala. Una comprensione più solida di quale tra i tre meccanismi proposti – (i) l’effetto del wind shear verticale al livello della tropopausa, (ii) l’effetto delle variazioni di temperatura e stabilità statica nella bassa stratosfera, o (iii) l’effetto delle variazioni di vorticità sulla dinamica convettiva – sia predominante potrebbe chiarire non solo la natura di queste interazioni, ma anche il modo migliore per quantificare la fase della Quasi-Biennial Oscillation (QBO). Come evidenziato nelle Sezioni 3.1a e 3.1b, la definizione della fase del QBO varia tra gli autori, spaziando dall’uso dei venti zonali a specifiche altitudini (ad esempio, 50 hPa o 70 hPa) a indici compositi che integrano più variabili. Identificare quale metrica della QBO stabilisca il legame più robusto con la troposfera potrebbe quindi migliorare la capacità predittiva dei modelli e affinare l’interpretazione dei dati osservativi.
Considerando il ruolo centrale della dinamica dettagliata dei sistemi convettivi tropicali in questi processi, un’indagine approfondita dei meccanismi (i) e (ii) attraverso modelli a risoluzione di nubi (CRM) si prospetta come una strategia di ricerca altamente produttiva. I CRM, grazie alla loro capacità di risolvere esplicitamente i processi convettivi su scale spaziali fini, offrono un’opportunità unica per analizzare come le condizioni al confine stratosferico influenzino la struttura e l’intensità della convezione. Ad esempio, i risultati di Bui et al. (2017), discussi nella Sezione 4.2a, hanno evidenziato un impatto significativo del wind shear verticale sulla convezione, ma tale effetto si manifesta prevalentemente a livelli troposferici inferiori, ben al di sotto della tropopausa. Questo suggerisce che il meccanismo (i) potrebbe essere meno efficace nel trasmettere segnali stratosferici attraverso l’intera colonna troposferica rispetto a quanto inizialmente ipotizzato. Più recentemente, Martin et al. (2019) hanno utilizzato simulazioni CRM per esplorare la variabilità dell’MJO, riscontrando che le variazioni del wind shear al livello della tropopausa producono solo un effetto marginale sulla dinamica convettiva. Sebbene questi risultati debbano essere confermati attraverso un campionamento più ampio di simulazioni e modelli diversi – un’esigenza comune nello studio del coupling stratosfera-troposfera – l’evidenza attuale sembra orientare l’attenzione verso il meccanismo (ii) come il più promettente per spiegare gli effetti significativi delle perturbazioni stratosferiche sulla troposfera tropicale. Questo meccanismo potrebbe avere rilevanza sia per gli impatti del QBO che per quelli dei Sudden Stratospheric Warmings (SSW), offrendo una chiave interpretativa unificata per fenomeni apparentemente distinti.
All’interno del meccanismo (ii), che attribuisce un ruolo centrale alle variazioni di temperatura nella bassa stratosfera e alla conseguente modifica della stabilità statica al livello della tropopausa, si possono distinguere diverse sottodinamiche potenzialmente rilevanti. Gray et al. (1992b), ad esempio, hanno proposto un’ipotesi secondo cui tali cambiamenti influenzano direttamente la dinamica dei sistemi convettivi profondi attraverso un’interazione complessa: l’anomalia della circolazione meridionale indotta dal QBO altera l’altezza della tropopausa, mentre la variazione della stabilità statica modifica i processi di dissipazione delle onde di gravità generate dalla convezione. Questo potrebbe portare a una modulazione dell’intensità e dell’estensione verticale delle nubi convettive, con effetti a cascata sulla struttura termica e dinamica della troposfera. In un’analisi complementare, Giorgetta et al. (1999) hanno esaminato la risposta troposferica a un QBO imposto in simulazioni GCM, sottolineando l’importanza degli effetti radiativi delle nubi. Essi hanno suggerito che le variazioni di temperatura stratosferica, alterando la formazione e le proprietà ottiche delle nubi alte (come i cirri), influenzino il bilancio radiativo troposferico, con ripercussioni sulla convezione sottostante. Questo aspetto è stato ulteriormente esplorato da Nie e Sobel (2015) in un contesto CRM, dove gli effetti radiativi delle nubi sono emersi come un fattore critico nella modulazione della risposta convettiva alle fasi del QBO.
Un’ulteriore raffinazione di questa ipotesi è stata proposta da Son et al. (2017), che hanno collegato la modulazione del QBO delle temperature vicino alla tropopausa all’osservata connessione MJO-QBO. Secondo i loro studi, un raffreddamento della tropopausa durante la fase QBOE favorisce la formazione di cirri più estesi e persistenti, i quali, attraverso effetti radiativi, alterano le temperature e la circolazione nella troposfera inferiore, potenzialmente amplificando l’MJO. Questa idea è supportata da Hendon e Abhik (2018), che, analizzando dati osservativi, hanno riscontrato una marcata differenza nella struttura del campo di temperatura nell’alta troposfera dell’MJO tra gli anni QBOE e QBOW. In particolare, durante gli anni QBOE, si osserva un’anomalia di temperatura fredda più pronunciata nell’alta troposfera, un’osservazione che Abhik e Hendon (2019) hanno confermato in modelli di previsione stagionale. Essi sostengono che questa anomalia sia indicativa dell’importanza dei feedback radiativi dei cirri, che potrebbero amplificare la risposta dinamica dell’MJO attraverso un riscaldamento radiativo differenziale o una modifica della stabilità verticale. Tuttavia, stabilire con certezza che gli effetti radiativi dei cirri giochino un ruolo attivo, piuttosto che essere una conseguenza passiva delle dinamiche convettive, richiede ulteriori indagini. Studi futuri potrebbero beneficiare di esperimenti controllati con CRM, integrati da misurazioni satellitari ad alta risoluzione delle proprietà dei cirri (come spessore ottico e contenuto di ghiaccio), per quantificare il loro contributo al bilancio energetico troposferico.
In sintesi, mentre il meccanismo (ii) emerge come il più probabile candidato per mediare gli effetti stratosferici sulla troposfera tropicale, la sua efficacia dipende da una rete complessa di sottoprocessi che coinvolgono stabilità statica, dinamica convettiva ed effetti radiativi. La combinazione di approcci modellistici avanzati, come i CRM, con analisi osservative dettagliate sarà essenziale per chiarire questi meccanismi e per determinare come le variazioni stratosferiche si traducano in impatti osservabili su fenomeni chiave come l’MJO o la distribuzione delle precipitazioni. Tali progressi non solo rafforzeranno la nostra comprensione del coupling stratosfera-troposfera, ma offriranno anche strumenti più robusti per la previsione climatica stagionale e a lungo termine.Le analisi radiative basate su dati satellitari hanno fornito evidenze convincenti dell’influenza dei cirri sottili sul bilancio energetico complessivo della troposfera, come dimostrato da studi seminali quali quelli di Choi e Ho (2006) e Hong et al. (2016). Questi lavori hanno evidenziato come le nubi alte, grazie alle loro proprietà ottiche uniche, possano modulare il flusso di radiazione infrarossa e solare, influenzando la distribuzione termica verticale nella troposfera. Analogamente, Fu et al. (2018) hanno documentato un impatto significativo dei cirri sulla Transizione Troposfera-Stratosfera (TTL), una regione critica che funge da interfaccia tra i due strati atmosferici e che regola processi come lo scambio di vapore acqueo e la formazione di nubi al confine superiore della troposfera. Inoltre, i feedback radiativi associati alle nubi sono stati frequentemente invocati come componenti chiave nei meccanismi che governano la Madden-Julian Oscillation (MJO), un’oscillazione intrastagionale dominante nei tropici. Autori come Raymond (2001), Sobel e Maloney (2012) e Adames e Kim (2016) hanno sottolineato il ruolo di questi feedback nel modulare l’intensità e la propagazione dell’MJO, suggerendo che le variazioni nella copertura nuvolosa e nelle proprietà radiative possano amplificare le anomalie convettive e termiche. Tuttavia, resta un’incognita se i cirri situati specificamente al livello della tropopausa possano contribuire in modo significativo a tali feedback, o se il loro ruolo sia subordinato a quello delle nubi troposferiche più basse. Risolvere questa questione richiede un’analisi approfondita delle interazioni tra radiazione, dinamica e microfisica nella TTL, un’area di studio che si trova ancora in una fase esplorativa.
L’influenza della Quasi-Biennial Oscillation (QBO) sull’MJO, così come su altri aspetti della circolazione troposferica, potrebbe rappresentare un esempio paradigmatico del tipo di interazione complessa tra circolazione, umidità, nubi e radiazione descritto da Voigt e Shaw (2015) nel contesto della risposta atmosferica all’aumento dei gas serra. In questo framework, le perturbazioni stratosferiche alterano il bilancio radiativo e termico, innescando una cascata di effetti che si propagano verso la troposfera attraverso cambiamenti nella distribuzione dell’umidità e nella formazione delle nubi. Un meccanismo simile potrebbe applicarsi a variazioni della temperatura nella bassa stratosfera o alla tropopausa indotte da altri fenomeni, come i Sudden Stratospheric Warmings (SSW), che generano riscaldamenti improvvisi nella stratosfera polare, o le oscillazioni intrastagionali e interannuali della circolazione di Brewer-Dobson, che regola il trasporto verticale di massa e calore nei tropici. Tuttavia, un limite delle analisi di Voigt e Shaw (2015) è che le variazioni delle “nubi alte” da loro identificate si collocano prevalentemente nell’alta troposfera, piuttosto che essere confinate alla tropopausa. Questo solleva interrogativi sulla capacità dei cirri al livello della tropopausa di generare effetti radiativi sufficientemente intensi da innescare cambiamenti profondi nella circolazione troposferica, come quelli necessari per modificare l’MJO o i pattern di precipitazione su scala regionale. Per affrontare questa incertezza, saranno necessari studi mirati che combinino osservazioni satellitari ad alta risoluzione con simulazioni modellistiche avanzate, capaci di distinguere gli effetti radiativi delle nubi stratosferiche da quelli delle nubi troposferiche più profonde.
Un approccio promettente per investigare questi processi è rappresentato dagli esperimenti di “negazione dei meccanismi” (mechanism denial experiments), una tecnica che consiste nell’alterare selettivamente la rappresentazione di specifici processi fisici all’interno di un modello per valutarne l’impatto sul fenomeno di interesse. Questo metodo è stato applicato con successo in altri ambiti della dinamica atmosferica, ad esempio per studiare l’aggregazione convettiva (Muller e Bony 2015) e i meccanismi sottostanti l’MJO (Khairoutdinov ed Emanuel 2018). Nel contesto del coupling stratosfera-troposfera, tali esperimenti potrebbero essere utilizzati per disattivare i feedback radiazione-nubi o per limitarli a specifici livelli verticali, come la tropopausa o l’alta troposfera, al fine di quantificare il loro contributo relativo. Ad esempio, rimuovendo gli effetti radiativi dei cirri al livello della tropopausa in un modello CRM (Cloud-Resolving Model) o GCM (General Circulation Model), si potrebbe determinare se questi sono essenziali per amplificare la risposta troposferica alle perturbazioni stratosferiche, o se altri processi dinamici, come la modulazione del wind shear o della stabilità statica, siano predominanti. Questo approccio metodologico offrirebbe un modo sistematico per dissezionare la complessità delle interazioni stratosfera-troposfera, fornendo una base empirica per validare o confutare le ipotesi teoriche esistenti.
Un’importante lezione tratta dagli studi sul coupling stratosfera-troposfera nelle regioni extratropicali è che l’influenza della stratosfera sulla troposfera si manifesta spesso attraverso schemi spaziali ben definiti, mediati da feedback dinamici all’interno della troposfera stessa. In particolare, una componente significativa di questa influenza assume la forma del Northern Annular Mode (NAM) o del Southern Annular Mode (SAM), che descrivono la variabilità della posizione latitudinale e della struttura del getto delle medie latitudini. Questi modi anulari non si limitano a una descrizione zonale della circolazione, ma presentano, specialmente nell’emisfero nord (NH), una marcata struttura longitudinale che ha implicazioni dirette per il tempo e il clima regionale. Tale pattern caratteristico emerge su una vasta gamma di scale temporali: dalle perturbazioni mensili associate agli SSW, alle variazioni interannuali legate al QBO o a eruzioni vulcaniche, fino a scale decadali (come il ciclo solare) e secolari (come la risposta ai cambiamenti nei gas serra a lunga vita media), come illustrato in dettaglio da Kidston et al. (2015, Fig. 2). Questa coerenza suggerisce che i feedback dinamici troposferici, amplificati dalla struttura della stratosfera, possano produrre risposte organizzate su larga scala, un principio che potrebbe essere applicabile anche ai tropici, sebbene con modalità diverse data la predominanza della convezione profonda rispetto alle dinamiche sinottiche extratropicali.
Nei tropici, l’analogo di tali schemi spaziali potrebbe essere meno evidente, ma l’interazione tra nubi, radiazione e circolazione potrebbe svolgere un ruolo simile nel mediare gli effetti stratosferici. Ad esempio, un’alterazione della temperatura della tropopausa indotta dal QBO o da un SSW potrebbe modificare la formazione dei cirri, influenzando il bilancio radiativo e, di conseguenza, la stabilità verticale e la convezione sottostante. Questo processo potrebbe amplificare fenomeni come l’MJO o alterare la distribuzione delle precipitazioni, ma la sua efficacia dipende dalla forza relativa degli effetti radiativi rispetto ad altri meccanismi, come il wind shear o la vorticità. Per chiarire queste dinamiche, sarà essenziale integrare approcci osservativi – come l’analisi delle proprietà microfisiche dei cirri tramite dati satellitari avanzati – con esperimenti modellistici che esplorino sistematicamente la sensibilità della troposfera tropicale a tali perturbazioni stratosferiche. Solo attraverso questa combinazione sarà possibile determinare se i cirri al livello della tropopausa rappresentino un anello critico nella catena di feedbacks che collega la stratosfera al clima tropicale.
In conclusione, l’interazione tra effetti radiativi delle nubi e dinamiche stratosferiche offre un fertile terreno di indagine per comprendere il coupling stratosfera-troposfera nei tropici. Sebbene le evidenze attuali suggeriscano un ruolo potenziale dei cirri nella modulazione della circolazione troposferica, la loro rilevanza rispetto ad altri processi остается incerta. Approcci innovativi, come gli esperimenti di negazione dei meccanismi e l’analisi comparativa tra tropici ed extratropici, saranno fondamentali per colmare queste lacune e per costruire una visione più integrata delle interazioni atmosferiche su scala globale.Come evidenziato in questa revisione e rappresentato schematicamente nella Figura 12, un corpus crescente di evidenze, derivante sia da osservazioni che da simulazioni modellistiche, supporta l’ipotesi di un’influenza significativa della stratosfera sulla circolazione troposferica tropicale. Questo effetto si manifesta attraverso la propagazione verso il basso di perturbazioni originatesi nella bassa stratosfera tropicale, trasmesse mediante un’interazione complessa che combina processi dinamici, radiativi e radiativi associati alle nubi. Tali meccanismi alterano la struttura, l’intensità e la distribuzione spaziale della convezione troposferica, un elemento fondamentale per la dinamica atmosferica tropicale. Le perturbazioni nella bassa stratosfera possono essere innescate da una varietà di forcing, illustrati da sinistra a destra nella Figura 12, che operano su scale temporali diverse: dai giorni, come nel caso delle maree atmosferiche guidate dal riscaldamento diurno dell’ozono nella stratosfera; alle settimane, associate a eventi come i Sudden Stratospheric Warmings (SSW) o altre variazioni nella circolazione stratosferica extratropicale; agli anni, con fenomeni come la Quasi-Biennial Oscillation (QBO), le fluttuazioni nella circolazione di Brewer-Dobson (BDC) o gli impatti di eruzioni vulcaniche che iniettano aerosol nella stratosfera; fino a scale decadali e secolari, legate a cambiamenti climatici a lungo termine. Alcuni di questi effetti, indicati nella figura con frecce arancioni, seguono cicli periodici ben definiti, come quelli diurni o annuali, mentre altri, segnalati con frecce blu, si caratterizzano per la loro natura irregolare e contingente.
Nonostante i progressi nella documentazione di questi fenomeni, le ampiezze specifiche e i pattern geografici della risposta troposferica a queste perturbazioni su diverse scale temporali rimangono solo parzialmente caratterizzati. Ad esempio, nel caso della QBO, esistono evidenze che suggeriscono un impatto significativo sulla circolazione di Walker, la grande cella convettiva che domina il Pacifico tropicale, con conseguenti modifiche nella distribuzione latitudinale della convezione nelle regioni centrali ed orientali del Pacifico. Queste alterazioni spaziali non sono casuali, ma riflettono l’azione di meccanismi di feedback operanti all’interno della troposfera, che amplificano e strutturano la risposta iniziale alla perturbazione stratosferica. Questo processo presenta paralleli con quanto osservato nelle regioni extratropicali, dove il coupling stratosfera-troposfera si manifesta frequentemente attraverso schemi spaziali coerenti, come il Northern Annular Mode (NAM) o il Southern Annular Mode (SAM). Nei tropici, la forte variabilità spaziale della risposta al QBO indica che i feedback troposferici, probabilmente legati alla convezione e alla redistribuzione dell’umidità, giocano un ruolo cruciale nel determinare l’impronta geografica dell’influenza stratosferica.
Il problema della comprensione del coupling stratosfera-troposfera nei tropici condivide molte similitudini con l’analisi delle modifiche nella circolazione atmosferica e nei regimi di precipitazione indotte dall’aumento delle concentrazioni di gas serra, un tema centrale nella scienza del cambiamento climatico. In questo contesto, sono stati proposti diversi meccanismi di feedback troposferico per spiegare le risposte climatiche osservate e simulate. Ad esempio, Chou e Neelin (2004) e Held e Soden (2006) hanno introdotto concetti come “il bagnato diventa più bagnato” (wet get wetter) e “il ricco diventa più ricco” (rich get richer), che descrivono come le regioni già umide tendano a ricevere precipitazioni ancora maggiori in un clima più caldo, a causa dell’aumento della capacità di trattenere vapore acqueo dell’atmosfera e dei conseguenti feedbacks convettivi. Questi meccanismi sono stati ulteriormente esplorati da Chou et al. (2009), che hanno analizzato come le dinamiche regionali e i gradienti di umidità possano amplificare tali effetti. Una revisione recente di Ma et al. (2018) ha sintetizzato questi sviluppi, evidenziando la complessità delle interazioni tra termodinamica e dinamica atmosferica. Bony et al. (2013) hanno proposto una distinzione fondamentale tra cambiamenti “termodinamici”, guidati da variazioni nella capacità di vapor acqueo e nel bilancio energetico, e cambiamenti “dinamici”, legati alla riorganizzazione della circolazione atmosferica. Essi sostengono che le differenze dinamiche siano responsabili di gran parte della variabilità nelle previsioni tra diversi modelli climatici, un’osservazione che ha implicazioni dirette per lo studio del coupling stratosfera-troposfera.
Applicando questa prospettiva ai tropici, è plausibile che variazioni simili nei processi dinamici possano influenzare la risposta della troposfera tropicale al QBO o ad altri forcing stratosferici. Ad esempio, la modulazione della convezione da parte della QBO potrebbe dipendere non solo dalle condizioni al confine stratosferico, ma anche da come i modelli rappresentano i feedbacks dinamici interni alla troposfera, come la formazione di nubi o la redistribuzione dell’umidità su larga scala. Tuttavia, un limite significativo nella comprensione di questi fenomeni è rappresentato dal fatto che tali interazioni sono state investigate solo in un numero ristretto di modelli climatici e simulazioni. Questa lacuna metodologica introduce incertezze nella generalizzazione dei risultati e nella valutazione della robustezza delle risposte previste. Ad esempio, mentre alcuni modelli indicano un rafforzamento della circolazione di Walker durante la fase orientale del QBO (QBOE), altri potrebbero enfatizzare cambiamenti diversi, come uno spostamento latitudinale delle zone convettive, a seconda delle parametrizzazioni adottate per la convezione o la radiazione. Per superare tali discrepanze, sarà necessario ampliare il campionamento modellistico, includendo una gamma più diversificata di GCM e CRM (Cloud-Resolving Models), e integrare queste simulazioni con analisi osservative dettagliate delle variazioni troposferiche associate a specifici eventi stratosferici.
In definitiva, l’influenza della stratosfera sulla troposfera tropicale emerge come un fenomeno multiscalare, che richiede un approccio integrato per decifrare i contributi relativi dei processi dinamici, radiativi e convettivi. La somiglianza con i meccanismi di risposta ai gas serra suggerisce che le lezioni apprese da questi ultimi possano informare gli studi sul coupling stratosfera-troposfera, e viceversa. Ad esempio, l’adozione di esperimenti controllati per isolare i feedbacks dinamici, simili a quelli utilizzati per studiare i cambiamenti climatici indotti dai gas serra, potrebbe chiarire come la QBO o gli SSW modulino la circolazione tropicale. Questo approccio interdisciplinare sarà essenziale per caratterizzare pienamente le ampiezze, i pattern spaziali e i meccanismi di feedback che mediano l’interazione stratosfera-troposfera, fornendo una base più solida per la previsione climatica su scale temporali che spaziano dal breve al lungo termine.
6.5 Il ruolo della Madden-Julian Oscillation (MJO) e la sua interazione con la Quasi-Biennial Oscillation (QBO)
La Madden-Julian Oscillation (MJO) rappresenta una delle principali modalità di variabilità intrastagionale nei tropici, caratterizzata da oscillazioni su scala planetaria nella convezione profonda e nei venti zonali che si propagano verso est con un periodo tipico compreso tra 30 e 60 giorni. Uno degli aspetti più intriganti della sua dinamica riguarda la sua apparente risposta alla Quasi-Biennial Oscillation (QBO), un fenomeno stratosferico che si manifesta con l’alternanza periodica, ogni circa 28 mesi, dei venti zonali nella stratosfera equatoriale tra fasi orientali (QBOE) e occidentali (QBOW). A differenza di altri casi noti di influenza stratosferica sulla troposfera, come ad esempio gli effetti della stratosfera polare sulla circolazione extratropicale, il legame tra QBO e MJO si distingue per il fatto che non si traduce primariamente in un’alterazione della circolazione atmosferica media su scale temporali lunghe (ad esempio stagionali o annuali), ma piuttosto in una modulazione della variabilità intrastagionale stessa, ovvero nella forza, nella frequenza e nella struttura degli eventi MJO.
Questo fenomeno ha dato origine a un acceso dibattito scientifico, che si articola attorno a due interpretazioni principali. Da un lato, vi è la prospettiva cosiddetta “MJO-centrica”, secondo la quale l’influenza del QBO sull’MJO rappresenta il processo primario e fondamentale. In questa visione, le anomalie osservate nello stato medio stagionale della troposfera, come variazioni nella posizione dei venti o nei pattern di precipitazione, sarebbero una semplice conseguenza indiretta dei cambiamenti indotti dal QBO nella dinamica intrastagionale dell’MJO. Ad esempio, un aumento della frequenza o dell’intensità degli eventi MJO durante una specifica fase del QBO potrebbe riflettersi in un segnale stagionale più marcato, senza che vi sia un’effettiva alterazione diretta della circolazione media da parte della stratosfera. Dall’altro lato, si contrappone una visione alternativa, in cui il QBO eserciterebbe un’influenza primaria sullo stato troposferico su scale temporali più lunghe (stagionali o oltre), modificando le condizioni di larga scala – come la stabilità atmosferica o la distribuzione della temperatura – che, a loro volta, condizionerebbero indirettamente l’attività dell’MJO.
La tesi “MJO-centrica” trova sostegno in alcune evidenze teoriche e osservative che suggeriscono una particolare sensibilità dell’MJO alle condizioni al confine tra troposfera e stratosfera, in particolare alle temperature al livello della tropopausa. Si ipotizza che le variazioni di temperatura indotte dal QBO, attraverso meccanismi come le retroazioni radiative o gli effetti sulla stabilità verticale, possano amplificare o inibire directly l’attività convettiva associata all’MJO. Ad esempio, durante la fase orientale del QBO (QBOE), quando i venti stratosferici equatoriali soffiano da est e le temperature nella bassa stratosfera sono più fredde, si osserva un potenziamento dell’MJO, con eventi più intensi e frequenti. Al contrario, nella fase occidentale (QBOW), con temperature stratosferiche più calde, l’MJO tende a indebolirsi. Questa relazione diretta potrebbe spiegare la presenza di un segnale robusto e statisticamente significativo nella connessione QBO-MJO, mentre il segnale del QBO nelle medie stagionali della troposfera appare molto più debole e meno coerente, suggerendo che l’effetto stratosferico si manifesti principalmente attraverso la modulazione della variabilità intrastagionale.
Tuttavia, recenti studi basati su modelli di previsione stagionale, come quello condotto da Martin et al. (2020), complicano ulteriormente il quadro. Queste simulazioni indicano che le differenze nell’attività dell’MJO tra le fasi QBOE e QBOW dipendono in modo critico dalle condizioni iniziali imposte al modello, piuttosto che da un’interazione continua e sostenuta con lo stato stratosferico del QBO durante il periodo simulato. Ciò solleva una questione cruciale: le differenze osservate sono il risultato di strutture preesistenti nell’atmosfera troposferica al momento dell’inizializzazione del modello (ad esempio, configurazioni convettive o stati di umidità che favoriscono l’insorgenza dell’MJO), il che rafforzerebbe la visione MJO-centrica, oppure derivano da proprietà di larga scala dello stato iniziale, come la distribuzione della temperatura o dei venti zonali, che supporterebbero invece l’ipotesi alternativa di un’influenza indiretta mediata dalla troposfera?
Questo dilemma richiama dibattiti analoghi nel campo della dinamica extratropicale, dove ci si interroga se la posizione e l’intensità media stagionale del getto occidentale siano determinate dalla frequenza relativa di eventi transitori ad alto o basso indice atmosferico (ad esempio, fasi di blocco o flusso zonale), o se, al contrario, sia lo stato medio del getto a controllare la probabilità di tali eventi. Nel contesto tropicale, la questione assume una rilevanza particolare data la complessità delle interazioni tra stratosfera e troposfera e l’importanza dell’MJO come driver di variabilità climatica globale. Risolvere questo enigma richiede un approccio integrato che combini osservazioni ad alta risoluzione, esperimenti di modellazione numerica avanzata e sviluppi teorici. Ad esempio, analisi statistiche delle serie temporali di dati satellitari e di rianalisi potrebbero aiutare a isolare il contributo diretto del QBO sull’MJO rispetto a quello indiretto mediato dalle condizioni troposferiche, mentre simulazioni mirate con modelli accoppiati stratosfera-troposfera potrebbero chiarire il ruolo delle retroazioni radiative e dinamiche.
In definitiva, la distinzione tra le due interpretazioni – MJO-centrica o troposfera-mediata – non è meramente accademica o una questione di preferenza interpretativa. Ha implicazioni profonde per la comprensione dei meccanismi di accoppiamento tra stratosfera e troposfera, per la predicibilità stagionale dell’MJO e per la modellazione climatica a scala globale. Solo attraverso un’analisi sistematica e interdisciplinare sarà possibile determinare se una delle due prospettive possa essere esclusa o se, come spesso accade in meteorologia, la realtà risieda in una combinazione sfumata di entrambi i processi.
Ringraziamenti
Questo lavoro si inserisce nell’ambito dell’iniziativa SATIO-TCS (Stratospheric and Tropospheric Influences on Tropical Convective Systems) del programma SPARC (Stratosphere-troposphere Processes And their Role in Climate). Gli autori desiderano esprimere la loro gratitudine per il prezioso contributo offerto dalle discussioni con Mike Davey, Andrew Dowdy, Qiang Fu, Nick Hall, Adrian Matthews, Scott Osprey e Verena Schenzinger, oltre che per i commenti ricevuti dagli editori e, in particolare, dai due revisori anonimi. Il lavoro è stato reso possibile grazie al supporto finanziario del programma IDEX Chaires d’Attractivité dell’Université Fédérale de Toulouse, Midi-Pyrénées (PHH), del grant NSF AGS-1555851 (MHH), dei grant JSPS KAKENHI JP24224011 e JP17H01159 (SY), e del National Center for Atmospheric Research, finanziato dalla National Science Foundation sotto l’accordo cooperativo 1852977 (IRS).