Introduzione e razionale scientifico

La variabilità climatica nell’Atlantico settentrionale è un pilastro fondamentale per comprendere i regimi meteorologici e climatici dell’Europa, del Nord America orientale e delle regioni circumatlantiche. Tale variabilità è in gran parte governata da pattern atmosferici su larga scala, tra cui l’Oscillazione del Nord Atlantico (NAO) e il Pattern dell’Atlantico Orientale (EA), che modulano la distribuzione delle masse d’aria, le traiettorie delle tempeste e le anomalie termo-pluviometriche. La NAO è definita dalla fluttuazione della differenza di pressione tra l’anticiclone delle Azzorre e la depressione islandese, con impatti climatici ben documentati: le sue fasi positive favoriscono inverni miti e piovosi nell’Europa settentrionale, mentre le fasi negative spostano il flusso atlantico verso sud, portando condizioni più fredde e secche in gran parte del continente. L’EA, invece, rappresenta il secondo modo di variabilità atmosferica nell’area, influenzando la posizione latitudinale dei centri di pressione e spesso amplificando o attenuando gli effetti della NAO.

Un elemento critico nella dinamica atmosferica dell’Atlantico settentrionale è il jet stream, una corrente a getto a scala sinottica guidata dall’interazione tra vortici atmosferici (eddies) e forzanti planetarie. La sua velocità e posizione latitudinale determinano la traiettoria delle perturbazioni e la distribuzione delle anomalie climatiche regionali. Tuttavia, la comprensione di questi fenomeni su scale temporali lunghe è limitata dalla disponibilità di dati strumentali, che raramente si estendono oltre il 1850. Per colmare questa lacuna, Mellado-Cano e colleghi hanno sviluppato un’analisi innovativa basata su osservazioni storiche delle direzioni del vento nel Canale della Manica, coprendo un arco temporale di oltre tre secoli (1685–2014). Questo approccio consente di esplorare la variabilità e le interazioni tra NAO, EA e jet stream su scale interannuali, decadali e secolari, offrendo una prospettiva senza precedenti sulla dinamica climatica a lungo termine.


Metodi di ricostruzione e analisi

Il cuore dello studio risiede nell’utilizzo di un dataset storico di osservazioni giornaliere delle direzioni del vento registrate nel Canale della Manica, un’area strategicamente posizionata per catturare le firme della circolazione atmosferica atlantica. I dati, raccolti durante i mesi invernali (dicembre-febbraio, DJF) – periodo in cui NAO ed EA raggiungono la loro massima espressione dinamica – sono stati aggregati in indici mensili di persistenza del vento lungo le direzioni cardinali (nord, est, sud, ovest), denominati Directional Indices (DIs). Questi indici fungono da proxy per ricostruire i pattern atmosferici, sfruttando la relazione tra la direzione del vento e la configurazione dei campi di pressione su larga scala.

Per isolare i modi dominanti di variabilità, gli autori hanno applicato la decomposizione ai valori singolari (SVD) ai DIs, identificando due componenti principali: il primo modo, che spiega il 44% della varianza totale, è stato associato alla NAO (NAO_DIs), mentre il secondo modo, responsabile del 35% della varianza, è stato attribuito all’EA (EA_DIs). Queste ricostruzioni sono state validate tramite correlazioni con indici NAO ed EA derivati da dati strumentali moderni (ad esempio, differenze di pressione tra stazioni meteorologiche) e attraverso l’analisi delle loro firme climatiche su temperatura e precipitazioni europee, dimostrando una robustezza statistica e fisica significativa.

Parallelamente, gli autori hanno derivato stime della velocità e della latitudine del jet stream nord-atlantico utilizzando i DIs come indicatori indiretti. La persistenza di venti occidentali, ad esempio, è correlata a un jet stream più intenso e spostato verso nord, mentre venti meridionali indicano uno spostamento verso sud o una riduzione della velocità. Questo approccio ha permesso di collegare la variabilità sinottica del jet stream ai pattern di NAO ed EA su un periodo temporale eccezionalmente lungo.


Risultati salienti

1. Evoluzione temporale di NAO ed EA

Le serie temporali ricostruite evidenziano una marcata variabilità dei pattern atmosferici su scale temporali multiple. Nei secoli XVII e XVIII, fino al 1750 circa, si osserva una prevalenza di fasi positive dell’EA, accompagnata da una NAO relativamente instabile. In contrasto, il XIX secolo è caratterizzato da una predominanza di fasi negative della NAO, con un EA frequentemente in opposizione di fase. Il XX secolo, invece, mostra transizioni più rapide, con un aumento delle fasi positive di NAO verso la fine del periodo, in linea con il riscaldamento globale osservato. Queste oscillazioni suggeriscono che i pattern atmosferici non seguono un comportamento stazionario, ma rispondono a modulazioni di lungo periodo, potenzialmente legate a forzanti esterne.

2. Ruolo modulatorio dell’EA sulla NAO

Un risultato chiave dello studio è la dimostrazione del ruolo attivo dell’EA nel modulare gli effetti climatici della NAO. Analizzando le configurazioni combinate delle loro fasi (ad esempio, NAO+/EA+, NAO-/EA-), gli autori hanno identificato pattern di pressione e anomalie climatiche che differiscono significativamente dalle firme canoniche della sola NAO. L’EA influenza in modo particolare le precipitazioni, con effetti più pronunciati su regioni come il Mediterraneo occidentale e la Scandinavia, rispetto alla temperatura, dove la NAO rimane dominante. Questo interplay evidenzia la necessità di considerare entrambi i pattern per una previsione accurata delle condizioni climatiche regionali.

3. Dinamica del jet stream

Le ricostruzioni del jet stream mostrano oscillazioni coerenti con le fasi di NAO ed EA. Durante periodi di NAO negativa, come nel XIX secolo, il jet stream tende a spostarsi verso latitudini più meridionali, riducendo l’influenza del flusso atlantico sull’Europa centro-settentrionale. Fasi positive dell’EA, al contrario, sono associate a un jet stream più settentrionale e vigoroso, spesso amplificando le condizioni di tempesta. Queste variazioni riflettono l’interazione tra il forcing degli eddies e la struttura zonale della circolazione, con implicazioni per la frequenza e l’intensità delle perturbazioni sinottiche.

4. Contesto storico-climatico

Le serie temporali lunghe permettono di collocare i cambiamenti recenti in un contesto storico. Ad esempio, il periodo pre-1750, con EA positivo dominante, potrebbe riflettere un regime di circolazione influenzato da forzanti naturali come la ridotta attività solare durante il Minimo di Maunder. Il XIX secolo, con NAO negativa persistente, coincide con la coda della Piccola Era Glaciale, mentre le anomalie del tardo XX secolo potrebbero essere legate all’influenza antropogenica, come l’aumento delle concentrazioni di gas serra.


Discussione scientifica

Lo studio di Mellado-Cano et al. sottolinea come la dinamica atmosferica dell’Atlantico settentrionale sia il risultato di un’interazione complessa tra NAO, EA e jet stream. L’EA emerge non solo come un complemento alla NAO, ma come un attore cruciale nella modulazione della posizione dei centri di pressione e nella distribuzione delle anomalie climatiche. Il jet stream, a sua volta, agisce come un ponte tra i pattern su larga scala e le condizioni locali, rispondendo alle variazioni nei gradienti di pressione e nelle forzanti sinottiche.

Dal punto di vista metodologico, l’uso dei DIs come proxy rappresenta un’innovazione significativa, dimostrando che dati storici non convenzionali possono estendere la nostra comprensione della variabilità climatica ben oltre i limiti dei record strumentali. Questo approccio potrebbe essere applicato ad altre regioni o periodi, arricchendo le ricostruzioni paleoclimatiche. Inoltre, i risultati sollevano interrogativi sull’adeguatezza dei modelli climatici contemporanei, che spesso si basano su dati brevi e potrebbero non catturare pienamente le oscillazioni multidecadali o secolari.

Le implicazioni di questo lavoro si estendono anche alle proiezioni climatiche future. La non-stazionarietà dei pattern atmosferici suggerisce che le risposte del sistema climatico alle forzanti antropogeniche potrebbero differire da quelle storiche, specialmente se NAO ed EA subiscono ulteriori cambiamenti di fase o intensità. Questo aspetto merita ulteriori indagini, possibilmente integrando le ricostruzioni con simulazioni modellistiche a lungo termine.


Conclusioni

Il lavoro di Mellado-Cano e colleghi offre una delle ricostruzioni più estese e dettagliate della variabilità atmosferica nell’Atlantico settentrionale, coprendo più di tre secoli di dati. Le serie temporali di NAO, EA e jet stream non solo confermano l’importanza di questi elementi nel plasmare il clima regionale, ma evidenziano anche la loro interdipendenza e la loro evoluzione nel tempo. Questo studio rappresenta un punto di riferimento per la climatologia storica, fornendo una base solida per esplorare le cause profonde della variabilità climatica e per migliorare la nostra capacità di prevedere gli impatti futuri del cambiamento climatico.

https://journals.ametsoc.org/view/journals/clim/32/19/jcli-d-19-0135.1.xml

Autori:
Javier Mellado-Cano¹², David Barriopedro³, Ricardo García-Herrera³⁴, Ricardo M. Trigo¹, Armand Hernández⁵
¹ Instituto Dom Luiz, Faculdade de Ciências, Universidade de Lisboa, Lisbona, Portogallo
² Departamento de Física de la Tierra y Astrofísica, Facultad de Ciencias Físicas, Universidad Complutense de Madrid, Madrid, Spagna
³ Instituto de Geociencias, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Universidad Complutense de Madrid, Madrid, Spagna
⁴ Departamento de Física de la Tierra y Astrofísica, Facultad de Ciencias Físicas, Universidad Complutense de Madrid, Madrid, Spagna
⁵ Instituto de Ciencias de la Tierra Jaume Almera, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Barcellona, Spagna
(Manoscritto ricevuto il 18 febbraio 2019, accettato in forma definitiva il 20 giugno 2019)

Introduzione e Contesto Scientifico

La comprensione della variabilità climatica su scale temporali che spaziano dall’interannuale al pluridecennale nell’area euro-atlantica rappresenta una sfida cruciale per le scienze atmosferiche moderne. Tra i principali attori che modulano questa variabilità, l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO) è stata a lungo riconosciuta come un pattern dominante, capace di influenzare profondamente il clima invernale europeo attraverso le sue fasi positive e negative. Tuttavia, studi più recenti hanno posto crescente attenzione sul ruolo del Modello Atlantico Orientale (EA), un pattern meno studiato ma altrettanto significativo, che sembra interagire in modo complesso con la NAO, contribuendo a modulare la dinamica atmosferica del Nord Atlantico. A queste dinamiche si aggiunge la variabilità del getto nord atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven”, un elemento chiave nella distribuzione delle anomalie di pressione e nelle condizioni meteorologiche associate.

Nonostante l’importanza di questi fenomeni, le serie temporali strumentali disponibili per NAO ed EA coprono un periodo relativamente breve, generalmente limitato a partire dalla metà del XIX secolo. Questa limitazione temporale ha ostacolato una caratterizzazione esaustiva delle oscillazioni atmosferiche su scale temporali più lunghe, impedendo di collocare gli eventi recenti in un contesto storico più ampio. Per superare tali lacune, il presente studio si propone di ricostruire e analizzare le più lunghe serie temporali basate su dati osservativi per gli indici NAO ed EA invernali, estendendosi dal 1685 al 2014, e di fornire stime della velocità e della latitudine del getto nord atlantico nello stesso intervallo temporale. Questo approccio consente di esplorare la variabilità climatica su molteplici scale temporali e di chiarire le interazioni tra questi pattern atmosferici e le loro implicazioni per il clima europeo.

Metodologia e Risultati Principali

Le serie temporali elaborate in questo studio si basano su un’integrazione di dati osservativi storici, proxy climatici e ricostruzioni basate su modelli, coprendo un arco temporale di oltre tre secoli (1685–2014). I risultati evidenziano una marcata variabilità degli indici NAO ed EA, con oscillazioni rilevanti che si manifestano su scale interannuali, decennali e persino pluridecennali. Ad esempio, si osserva una predominanza di fasi positive dell’EA prima del 1750, un periodo caratterizzato da condizioni climatiche distintive nell’area euro-atlantica, mentre la NAO tende a mostrare una prevalenza di fasi negative durante gran parte del XIX secolo, in concomitanza con anomalie climatiche ben documentate, come il raffreddamento associato alla Piccola Era Glaciale.

Un aspetto centrale dell’analisi riguarda l’interazione tra NAO ed EA, studiata mediante l’identificazione di combinazioni specifiche delle loro fasi durante il XX secolo. Tale approccio ha permesso di evidenziare il ruolo complementare dell’EA nel modulare i centri d’azione atmosferici del Nord Atlantico, ossia le regioni di alta e bassa pressione che determinano la traiettoria delle perturbazioni e i regimi climatici associati. In particolare, l’EA sembra amplificare o attenuare gli effetti della NAO, con un’influenza più pronunciata sulle precipitazioni rispetto alla temperatura. Aree come la Groenlandia e il Mediterraneo occidentale, notoriamente sensibili alla NAO, mostrano risposte climatiche significativamente alterate dalla presenza di specifiche configurazioni dell’EA, suggerendo che una semplice correlazione tra proxy naturali (ad esempio, anelli degli alberi o carote di ghiaccio) e NAO possa risultare inadeguata senza considerare queste interazioni.

Implicazioni Climatiche e Dinamiche a Lungo Termine

L’analisi delle serie temporali pluricentenarie rivela periodi prolungati caratterizzati da stati dominanti di NAO ed EA, offrendo nuove prospettive sulla dinamica di fasi climatiche eccezionali. Ad esempio, il tardo XX secolo si distingue per un significativo spostamento dei centri d’azione del Nord Atlantico, un’anomalia che appare coerente con le transizioni osservate nello spazio delle fasi NAO/EA. Queste transizioni, ricorrenti nel corso dei secoli, sembrano associate a variazioni di lunga durata nella posizione e nell’intensità del getto nord atlantico, il cui comportamento è stato stimato in termini di latitudine e velocità media invernale. La variabilità del getto, che oscilla tra configurazioni più meridionali o settentrionali e tra regimi più o meno intensi, emerge come un elemento critico nel determinare le condizioni climatiche su scala regionale e continentale.

Un ulteriore risultato degno di nota è la presenza di discrepanze tra diversi indici NAO ricostruiti per lo stesso periodo, un fenomeno che potrebbe riflettere differenze metodologiche o l’influenza di fattori locali non pienamente catturati dai dati. Tali discrepanze sottolineano la complessità della circolazione atmosferica nord atlantica e la necessità di approcci integrati per una sua corretta interpretazione.

Conclusioni

Questo studio fornisce una delle più complete ricostruzioni storiche della dinamica atmosferica del Nord Atlantico, evidenziando il ruolo cruciale delle interazioni tra NAO ed EA nel plasmare il clima euro-atlantico su scale temporali che vanno dall’interannuale al secolare. I risultati ottenuti non solo ampliano la nostra comprensione delle oscillazioni climatiche passate, ma offrono anche un quadro di riferimento per interpretare le tendenze attuali e future nel contesto del cambiamento climatico globale. La marcata variabilità del getto nord atlantico e le transizioni nello spazio delle fasi NAO/EA suggeriscono che la complessità di questi pattern debba essere pienamente considerata nella modellizzazione climatica e nelle previsioni a lungo termine, con implicazioni significative per la gestione delle risorse idriche, la pianificazione agricola e la mitigazione degli impatti climatici estremi.

1. Introduzione: Il Ruolo del Getto Nord-Atlantico e dei Pattern di Variabilità Atmosferica nel Clima Euro-Atlantico

La dinamica atmosferica del settore euro-atlantico è fortemente influenzata dal getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven”, un flusso d’aria ad alta quota che regola la distribuzione delle masse d’aria, la formazione dei regimi meteorologici sinottici e, di conseguenza, le condizioni climatiche regionali. Questo getto agisce come un elemento di connessione tra i pattern di variabilità atmosferica su larga scala, come l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), e le manifestazioni climatiche superficiali osservabili in Europa e nelle regioni limitrofe. La NAO, identificata come il pattern dominante di variabilità atmosferica nella regione euro-atlantica (si veda, ad esempio, Pinto e Raible 2012, e riferimenti ivi contenuti), esercita un’influenza significativa sul clima invernale, con effetti che si estendono attraverso gran parte dell’anno, salvo nei mesi di alta estate (luglio e agosto; Folland et al. 2009). Strutturalmente, la NAO si manifesta attraverso una configurazione dipolare nel campo di pressione atmosferica, con un polo di alta pressione centrato sulle Azzorre e un polo di bassa pressione localizzato sull’Islanda, comunemente definiti come i centri d’azione del Nord Atlantico. Durante le sue fasi positive, la NAO è associata a un rafforzamento del gradiente di pressione tra questi centri, portando condizioni più calde e umide nell’Europa centrale e settentrionale e un marcato deficit di precipitazioni nell’Europa meridionale. Al contrario, le fasi negative della NAO corrispondono a un indebolimento di tale gradiente, con effetti opposti che includono temperature più fredde e precipitazioni ridotte nel nord e un aumento delle piogge nel sud (Trigo et al. 2002).

Nonostante il ruolo predominante della NAO, è ormai evidente che essa non è sufficiente a spiegare l’intera gamma di anomalie climatiche osservate nel continente europeo. Diverse regioni mostrano variazioni climatiche che sfuggono alla classica interpretazione basata esclusivamente sulla NAO (García-Herrera e Barriopedro 2018, e riferimenti ivi citati), suggerendo che altri meccanismi e pattern di variabilità atmosferica contribuiscano significativamente alla complessità del sistema climatico euro-atlantico. Tra questi, il Modello Atlantico Orientale (EA) e il Modello Scandinavo (SCAND) emergono come fattori rilevanti, capaci di modulare il clima europeo in modi complementari o concorrenti rispetto alla NAO (Comas-Bru e McDermott 2014; Jerez e Trigo 2013; Trigo et al. 2008). Inoltre, la NAO stessa non presenta un segnale stazionario nel tempo: studi come quelli di Vicente-Serrano e López-Moreno (2008) e Raible et al. (2014) evidenziano che la sua influenza sul clima superficiale varia in risposta a cambiamenti nella posizione e nell’intensità dei centri d’azione del Nord Atlantico. Queste variazioni, spesso legate a migrazioni spaziali o a fluttuazioni di intensità dei poli di pressione (Barriopedro et al. 2014; Comas-Bru e McDermott 2014), limitano la capacità predittiva della NAO e sottolineano la necessità di un approccio integrato che consideri molteplici pattern di variabilità per una caratterizzazione più completa della dinamica climatica regionale.

Il Modello Atlantico Orientale (EA), identificato come il secondo pattern di variabilità climatica per importanza nella regione (Wallace e Gutzler 1981; Barnston e Livezey 1987), presenta caratteristiche distintive rispetto alla NAO. Tradizionalmente descritto come un dipolo di pressione con centri spostati verso sud-est e orientati più zonalmente rispetto a quelli della NAO, l’EA è stato ridescritto in studi recenti come un monopolo ben definito di pressione al livello del mare (SLP), situato a sud dell’Islanda e a ovest dell’Irlanda (Moore et al. 2013; Comas-Bru e McDermott 2014; Comas-Bru e Hernández 2018). Questa configurazione suggerisce che l’EA non solo influenzi la distribuzione delle anomalie di pressione nel Nord Atlantico, ma abbia anche un ruolo attivo nel modulare la posizione dei centri d’azione nord-atlantici, alterando così le risposte climatiche superficiali associate alla NAO. Un esempio emblematico di questa interazione si è verificato durante gli episodi di NAO negativa eccezionalmente intensi, come quelli registrati nel dicembre 2010 e nell’inverno 2006/07, quando l’EA ha contribuito a determinare condizioni climatiche estreme in Europa, caratterizzate da temperature insolitamente basse (Moore et al. 2011; Moore e Renfrew 2012). Tali eventi dimostrano che l’EA può amplificare o attenuare gli effetti della NAO, rendendo indispensabile un’analisi congiunta dei due pattern per comprendere pienamente le dinamiche atmosferiche.

L’importanza dell’interazione tra NAO ed EA si estende oltre le condizioni meteorologiche immediate, influenzando processi ecologici e biogeochimici su scala continentale. Ad esempio, Bastos et al. (2016) hanno dimostrato che entrambi i pattern modulano il sink di CO2 terrestre in Europa, con implicazioni per il ciclo del carbonio e la risposta degli ecosistemi al cambiamento climatico. Questa interdipendenza evidenzia la necessità di una caratterizzazione più approfondita degli effetti combinati di NAO ed EA, superando le analisi tradizionali che si concentrano su un singolo pattern.

Dal punto di vista dinamico, la variabilità del getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy” rappresenta un elemento chiave per comprendere l’interazione tra NAO ed EA. Le fluttuazioni nella latitudine e nella velocità del getto durante i mesi invernali possono essere efficacemente descritte attraverso una combinazione degli indici NAO ed EA (Woollings et al. 2010; Woollings e Blackburn 2012). Ad esempio, una NAO positiva tende a spostare il getto verso nord e ad aumentarne l’intensità, mentre l’EA può modificarne ulteriormente la traiettoria o l’energia, influenzando la distribuzione delle perturbazioni atmosferiche e i regimi climatici associati. Questa relazione dinamica suggerisce che un’analisi integrata di NAO, EA e della variabilità del getto possa fornire una visione più completa delle forze che modellano il clima euro-atlantico, aprendo la strada a una migliore comprensione delle sue oscillazioni storiche e delle proiezioni future.La dinamica del getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy” è strettamente connessa a una serie di processi atmosferici che modulano il clima euro-atlantico. In particolare, parametri come la velocità e la latitudine del getto influenzano direttamente la posizione delle traiettorie delle tempeste nel Nord Atlantico (Pinto et al. 2007), determinando la distribuzione spaziale e temporale delle perturbazioni meteorologiche. Inoltre, la configurazione del getto, inclusa la sua ondulazione, gioca un ruolo cruciale nella formazione di regimi meteorologici di tipo ondulatorio, noti per la loro persistenza e impatto su scala regionale (Woollings et al. 2018). Studi osservativi e modellistici hanno evidenziato come la latitudine e la sinuosità del getto nord-atlantico siano fattori determinanti nella genesi di eventi meteorologici estremi alle medie latitudini, come ondate di freddo, tempeste intense o siccità prolungate (Mahlstein et al. 2012; Röthlisberger et al. 2016). Questi fenomeni assumono un’importanza ancora maggiore nel contesto del cambiamento climatico globale, poiché le proiezioni dei futuri cambiamenti climatici regionali in Europa dipendono in modo critico dalle risposte del getto alle forzanti antropogeniche e naturali, risposte che rimangono caratterizzate da ampie incertezze (Zappa e Shepherd 2017; Peings et al. 2018). Tuttavia, la comprensione approfondita della variabilità del getto è ostacolata dalla limitata disponibilità di dati osservativi diretti, in particolare per quanto riguarda le misurazioni del vento, che risultano concentrate prevalentemente nel XX secolo e scarsamente rappresentative dei periodi precedenti (Garcia-Herrera et al. 2018, e riferimenti ivi citati). Questa lacuna temporale rappresenta una sfida significativa per collocare le tendenze moderne in un contesto storico più ampio e per valutare la stabilità dei pattern atmosferici su scale secolari.

Negli ultimi decenni, la comunità scientifica ha compiuto notevoli progressi nell’estendere indietro nel tempo gli indici dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), il principale pattern di variabilità atmosferica del settore euro-atlantico. Le ricostruzioni più lunghe e dettagliate si basano su proxy indiretti, come anelli degli alberi, carote di ghiaccio e sedimenti lacustri (Cook et al. 1998; Appenzeller et al. 1998; Ortega et al. 2015; Sjolte et al. 2018, e riferimenti ivi citati). Queste serie, sebbene preziose per la loro risoluzione temporale, mostrano spesso discrepanze significative nel periodo preindustriale, attribuibili a variazioni locali nei segnali climatici o a limitazioni nella calibrazione dei proxy stessi (Schmutz et al. 2000; Schultz et al. 2015). D’altro canto, le ricostruzioni basate su osservazioni meteorologiche dirette, come quelle derivate da registrazioni storiche di pressione atmosferica, si fermano generalmente al XVIII secolo (Jones et al. 1997; Luterbacher et al. 2001), lasciando molte domande aperte sulla variabilità della NAO in epoche più remote (Hurrell et al. 2003). Rispetto alla NAO, il Modello Atlantico Orientale (EA), secondo pattern di variabilità per importanza nella regione, ha ricevuto un’attenzione minore in termini di ricostruzioni storiche. Solo di recente sono stati compiuti sforzi per derivare indici EA basati su dati storici di pressione al livello del mare (SLP), con Moore e Renfrew (2012) che hanno proposto una serie a partire dal 1870, successivamente aggiornata ed estesa al 1851 da Comas-Bru e Hernández (2018). Tuttavia, l’evoluzione dell’EA prima della metà del XIX secolo rimane largamente inesplorata, e gli studi che analizzano congiuntamente NAO ed EA, insieme alle loro interazioni, sono finora limitati al XX secolo. Ancora più carente è un approccio integrato che sfrutti questi indici per ricostruire la variabilità del getto nord-atlantico su scale temporali plurisecolari, un passo essenziale per comprendere le dinamiche atmosferiche storiche e il loro ruolo nel modulare il clima europeo.

In questo contesto, il presente studio si propone di colmare tali lacune utilizzando gli indici direzionali (DIs), derivati da osservazioni della direzione del vento registrate sopra il Canale della Manica (Mellado-Cano et al. 2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics). Questi dati, raccolti con continuità e basati su osservazioni dirette, offrono un’opportunità unica per estendere all’indietro le serie temporali degli indici NAO ed EA, andando oltre i limiti delle registrazioni strumentali tradizionali. Attraverso questa metodologia, è stato possibile analizzare le diverse combinazioni di stati NAO ed EA e utilizzarle per ricostruire la variabilità del getto nord-atlantico a partire dalla fine del XVII secolo, coprendo un periodo che va dal 1685 al 2014. Le serie invernali così derivate rappresentano uno strumento robusto per caratterizzare la variabilità climatica euro-atlantica su un ampio spettro di frequenze, dalle oscillazioni interannuali a quelle plurisecolari. A differenza delle ricostruzioni basate su proxy, che possono essere influenzate da rumore locale o da incertezze metodologiche, queste serie si fondano su dati osservativi diretti, garantendo una maggiore affidabilità e coerenza. Inoltre, l’estensione temporale oltre il periodo industriale consente di esaminare la dinamica atmosferica in un contesto pre-antropogenico, offrendo nuove prospettive sulla stabilità e sull’evoluzione dei pattern climatici in risposta a forzanti naturali.

Questa analisi non si limita a una mera estensione temporale degli indici, ma mira a esplorare le interazioni tra NAO ed EA e il loro impatto combinato sul comportamento del getto nord-atlantico. La capacità di questi pattern di influenzare la latitudine, la velocità e la traiettoria del getto fornisce un quadro più completo delle forze che hanno plasmato il clima euro-atlantico nel corso dei secoli. I risultati di questo lavoro promettono di gettare luce su periodi storici significativi, come le anomalie climatiche della Piccola Era Glaciale, e di fornire un benchmark per validare i modelli climatici utilizzati nelle proiezioni future, migliorando così la nostra comprensione della complessa interplay tra circolazione atmosferica e clima regionale.

2. Dataset e Metodologia per la Ricostruzione della Variabilità Atmosferica Euro-Atlantica

Per analizzare la variabilità climatica euro-atlantica su scale temporali plurisecolari, questo studio si avvale delle serie temporali degli indici direzionali (DIs), introdotti da Mellado-Cano et al. (2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics). Queste serie, caratterizzate da una risoluzione mensile, coprono un intervallo temporale eccezionalmente lungo, dal 1685 al 2014, con solo alcune lacune di dati per singoli mesi. I DIs sono derivati da osservazioni giornaliere della direzione del vento rilevate sopra il Canale della Manica, una regione strategicamente significativa per la sua posizione nel cuore del settore euro-atlantico. Tali osservazioni provengono principalmente dai diari di bordo delle navi, una fonte storica preziosa che consente di accedere a dati meteorologici pre-strumentali (García-Herrera et al. 2018). Gli indici quantificano la persistenza del vento, espressa come percentuale di giorni in un mese, lungo le quattro direzioni cardinali principali: settentrionale, meridionale, orientale e occidentale. Per un’analisi approfondita delle fonti dati e della metodologia di costruzione dei DIs, si rimanda a Mellado-Cano et al. (2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics). Studi precedenti hanno dimostrato che questi indici non solo integrano le informazioni fornite dall’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), ma catturano anche segnali climatici distintivi, evidenziando periodi anomali sia nell’era recente (Barriopedro et al. 2014) che in quella preindustriale (Mellado-Cano et al. 2018; Vicente-Serrano et al. 2018). Questa capacità di rappresentare la variabilità atmosferica su un ampio spettro temporale li rende strumenti ottimali per caratterizzare la dinamica climatica euro-atlantica degli ultimi tre secoli, superando i limiti delle ricostruzioni tradizionali basate su proxy o dati strumentali di durata più breve.

In questo lavoro, i DIs sono utilizzati come base per costruire indicatori della NAO e del Modello Atlantico Orientale (EA) per il periodo 1685–2014, consentendo di inferire parametri chiave del getto nord-atlantico, quali la velocità e la latitudine. L’analisi si concentra sulle medie stagionali invernali [dicembre–febbraio (DJF)], un periodo in cui NAO ed EA mostrano la massima attività dinamica e spiegano la parte più significativa della varianza della circolazione atmosferica nel Nord Atlantico (Hurrell et al. 2003; Trigo et al. 2008; Comas-Bru e Hernández 2018). La scelta di concentrarsi sull’inverno è motivata dalla forte influenza di questi pattern sui regimi climatici europei durante questa stagione, quando il gradiente di pressione tra i centri d’azione del Nord Atlantico raggiunge il suo apice. Per garantire la robustezza dei risultati e consentire un confronto con le ricostruzioni esistenti, sono stati impiegati anche altri indici NAO ed EA derivati da fonti e metodologie diverse (Tabella 1). Tra questi figurano: l’indice NAO basato sui componenti principali (PC) di Hurrell (1995), derivato da dati di pressione al livello del mare (SLP); gli indici NAO stazionari di Jones et al. (1997) e Luterbacher et al. (2001), anch’essi basati su SLP; l’indice EA di Comas-Bru e Hernández (2018), ottenuto tramite un approccio PC multi-rianalisi; l’indice EA calcolato come secondo PC dai dati SLP della rianalisi ERA-20C del ventesimo secolo dell’ECMWF (Poli et al. 2016); e gli indici NAO ed EA del Climate Prediction Center (CPC) della NOAA (disponibili su https://www.cpc.ncep.noaa.gov/data/teledoc/telecontents.shtml), derivati da un’analisi PC ruotata dell’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500) dalla rianalisi NCEP–NCAR (Kalnay et al. 1996). Questa pluralità di approcci permette di valutare la coerenza delle ricostruzioni e di identificare eventuali discrepanze legate alle metodologie o alle fonti dati.

Per analizzare le firme superficiali associate agli indici NAO ed EA, sono stati utilizzati dataset climatici ad alta risoluzione spaziale e temporale. Le temperature mensili vicino alla superficie sono state estratte dal database CRU TS3 della Climatic Research Unit (Harris et al. 2014), mentre le precipitazioni totali mensili provengono dal Global Precipitation Climatology Centre (GPCC; Schamm et al. 2014). Entrambi i dataset coprono il periodo 1901–2014 e sono forniti su una griglia regolare di 1° × 1° di longitudine-latitudine, limitata alle aree terrestri. Questi dati offrono una rappresentazione dettagliata delle condizioni climatiche superficiali, consentendo di correlare gli indici atmosferici con le variazioni di temperatura e precipitazione su scala regionale. Inoltre, sono stati acquisiti dati mensili di altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500) e pressione al livello del mare (SLP) dalla rianalisi ERA-20C, con una risoluzione spaziale di 2,5° × 2,5°. Questa rianalisi fornisce un quadro coerente della circolazione atmosferica su larga scala, integrando osservazioni storiche con modelli numerici.

Infine, i parametri giornalieri del getto nord-atlantico sono stati calcolati utilizzando i dati di vento zonale della rianalisi ERA-20C per il periodo 1901–2010, seguendo la metodologia proposta da Woollings et al. (2010). Il vento zonale medio a bassa quota (tra 925 e 700 hPa) è stato inizialmente sottoposto a un filtro passa-basso con una finestra di 10 giorni per eliminare le fluttuazioni a breve termine, quindi mediato longitudinalmente tra 0° e 60°W, una regione rappresentativa della traiettoria del getto nel Nord Atlantico. Per ogni giorno, la posizione del getto è stata definita come la latitudine compresa tra 15° e 75°N in cui il vento zonale medio raggiunge il suo valore massimo, mentre la velocità del getto è stata calcolata come il valore del vento zonale corrispondente a tale latitudine. Queste serie giornaliere sono state successivamente aggregate per ottenere medie invernali (DJF), fornendo una stima quantitativa della variabilità del getto su scala stagionale. L’integrazione di questi dati con gli indici NAO ed EA derivati dai DIs consente di esplorare le relazioni tra la circolazione atmosferica su larga scala e i parametri dinamici del getto, offrendo una visione più completa della loro evoluzione storica e delle loro implicazioni climatiche.

Questa combinazione di dataset storici e moderni, unita a un approccio metodologico robusto, permette di superare i limiti delle serie temporali tradizionali, offrendo una base solida per analizzare la dinamica atmosferica euro-atlantica su un arco temporale che abbraccia sia il periodo preindustriale che quello moderno. I risultati di questa analisi promettono di migliorare la nostra comprensione delle interazioni tra NAO, EA e il getto nord-atlantico, con potenziali applicazioni nella validazione dei modelli climatici e nella previsione delle tendenze future.

Analisi Dettagliata e Interpretazione Scientifica della Tabella 1: Performance dei Vettori Singolari (SVD1 e SVD2) degli Indici Direzionali (DIs) Rispetto agli Indici Tradizionali NAO ed EA

La Tabella 1, intitolata “Performance of the first (SVD1) and second (SVD2) singular vectors of the DIs with respect to traditional NAO and EA indices, as diagnosed by the Pearson correlation coefficient and RMSE for 1951–2001,” presenta un’analisi quantitativa comparativa tra gli indici direzionali (DIs) sviluppati da Mellado-Cano et al. (2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics) e una serie di indici tradizionali dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO) e del Modello Atlantico Orientale (EA). Questa valutazione è cruciale per valutare la capacità degli indici direzionali, derivati da osservazioni storiche della direzione del vento nel Canale della Manica, di rappresentare i pattern di variabilità atmosferica su larga scala che dominano la circolazione euro-atlantica. L’analisi si basa su due metriche statistiche principali: il coefficiente di correlazione di Pearson (R) e l’errore quadratico medio (Root Mean Square Error, RMSE), calcolati per il periodo 1951–2001, un intervallo temporale rappresentativo per la validazione con dati moderni e strumenti rianalisi. I valori di R significativi a un livello di p < 0,01 sono evidenziati in grassetto, indicando relazioni statisticamente robuste, mentre l’RMSE quantifica la deviazione media tra i vettori singolari (SVD1 e SVD2) degli DIs e gli indici di riferimento.

Struttura e Contesto della Tabella

La tabella è organizzata in cinque colonne, che descrivono: (1) gli indici NAO ed EA tradizionali utilizzati come benchmark; (2) la definizione metodologica di ciascun indice (ad esempio, basata su componenti principali, pressione al livello del mare [SLP], o altezza geopotenziale a 500 hPa [Z500]); (3) il periodo temporale coperto da ogni indice; (4) i coefficienti di correlazione di Pearson tra SVD1 e SVD2 degli DIs e gli indici NAO/EA; e (5) gli errori quadratici medi associati a tali correlazioni. Gli indici NAO ed EA sono derivati da fonti diverse, incluse rianalisi (ad esempio, ERA-20C, NCEP–NCAR), osservazioni stazionarie, e approcci basati su componenti principali (PC) o funzioni empiriche ortogonali (EOF), riflettendo la diversità delle metodologie utilizzate nella climatologia per quantificare questi pattern. I DIs, invece, si basano su osservazioni storiche di direzione del vento, offrendo una prospettiva unica per estendere le analisi oltre i limiti delle registrazioni strumentali moderne, coprendo il periodo 1685–2014.

Interpretazione degli Indici NAO

Gli indici NAO rappresentano il pattern dominante di variabilità atmosferica nel settore euro-atlantico, caratterizzato da un dipolo di pressione tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese. La tabella valuta la performance di SVD1 e SVD2 nel replicare cinque indici NAO tradizionali:

  1. CPC NOAA (NAO)
    • Definizione: Primo componente principale (PC) ruotato di anomalie standardizzate dell’altezza geopotenziale a 500 hPa, derivato dalla rianalisi NCEP–NCAR.
    • Periodo: 1950–2014.
    • Correlazione (R): SVD1/SVD2: 0,61 / -0,22. Il coefficiente di 0,61 per SVD1 indica una correlazione moderatamente forte e positiva, suggerendo che il primo vettore singolare degli DIs cattura una porzione significativa della variabilità NAO identificata dal CPC NOAA. La correlazione negativa di -0,22 con SVD2 è indicativa di una relazione inversa o di scarsa rilevanza, riflettendo una limitata sovrapposizione tra il secondo vettore singolare e questo indice.
    • Errore Quadratico Medio (RMSE): SVD1/SVD2: 0,88 / 1,54. L’RMSE relativamente basso per SVD1 (0,88) evidenzia una buona corrispondenza quantitativa, mentre il valore più alto per SVD2 (1,54) suggerisce una maggiore deviazione, confermando che SVD1 è più rappresentativo per questo indice.
  2. Hurrell (1995)
    • Definizione: Primo PC delle anomalie SLP a 500 hPa (20°–90°N), calcolato su un dominio settentrionale del Nord Atlantico.
    • Periodo: 1901–2014.
    • Correlazione (R): SVD1/SVD2: 0,49 / -0,18. La correlazione di 0,49 con SVD1 è più modesta, indicando una capacità ridotta dei DIs di replicare pienamente questo indice rispetto a CPC NOAA, potenzialmente dovuta a differenze metodologiche o spaziali. La correlazione con SVD2 (-0,18) è trascurabile.
    • RMSE: SVD1/SVD2: 1,00 / 1,52. Gli errori sono leggermente più alti rispetto al CPC NOAA, suggerendo una corrispondenza meno stretta, ma comunque accettabile.
  3. Jones et al. (1997)
    • Definizione: Differenza tra le anomalie SLP osservate a Ponta Delgada (Azzorre, 37,7°N, 25,7°W) e Akureyri (Islanda, 65,7°N, 18,1°W), un approccio stazionario basato su dati osservativi storici.
    • Periodo: 1824–2014.
    • Correlazione (R): SVD1/SVD2: 0,74 / -0,17. La correlazione di 0,74 con SVD1 è la più alta tra gli indici NAO, evidenziando una forte corrispondenza statistica e suggerendo che i DIs, tramite SVD1, replicano efficacemente questo indice storico. La correlazione con SVD2 è minima.
    • RMSE: SVD1/SVD2: 0,72 / 1,51. L’RMSE per SVD1 è il più basso tra gli indici NAO, confermando un’elevata precisione nella rappresentazione.
  4. Luterbacher et al. (2002)
    • Definizione: Differenza tra le anomalie SLP medie su griglie 5° × 5° a Azzorre e Islanda, basate su osservazioni storiche ricostruite.
    • Periodo: 1685–2001.
    • Correlazione (R): SVD1/SVD2: 0,77 / -0,24. Con un coefficiente di 0,77, questo indice mostra la correlazione più alta complessiva con SVD1, indicando un’ottima concordanza tra i DIs e questa ricostruzione NAO storica. La correlazione con SVD2 è debole.
    • RMSE: SVD1/SVD2: 0,68 / 1,56. L’errore per SVD1 è il più basso, sottolineando una rappresentazione altamente accurata.

Interpretazione degli Indici EA

Il Modello Atlantico Orientale (EA), secondo pattern di variabilità nella regione, è meno studiato e mostra correlazioni generalmente più deboli con i DIs, riflettendo la sua natura più complessa e la minore sovrapposizione con i segnali di direzione del vento:

  1. CPC NOAA (EA)
    • Definizione: Secondo PC ruotato di anomalie standardizzate di Z500, derivato dalla rianalisi NCEP–NCAR.
    • Periodo: 1950–2014.
    • Correlazione (R): SVD1/SVD2: 0,34 / 0,54. La correlazione moderata di 0,34 con SVD1 e di 0,54 con SVD2 indica che entrambi i vettori singolari catturano parte della variabilità EA, con SVD2 che mostra una relazione più forte. Questo suggerisce che il segnale EA è parzialmente rappresentato dai DIs, ma con una maggiore enfasi sul secondo vettore singolare.
    • RMSE: SVD1/SVD2: 1,14 / 0,95. L’errore è relativamente basso per SVD2 (0,95), indicando una buona corrispondenza, mentre è più alto per SVD1 (1,14), confermando che SVD2 è più rappresentativo per questo indice.
  2. Second EOF SLP ERA-20C
    • Definizione: Secondo PC standardizzato delle anomalie SLP (10°–80°N, 100°W–40°E) dalla rianalisi ERA-20C.
    • Periodo: 1901–2010.
    • Correlazione (R): SVD1/SVD2: -0,37 / 0,71. La correlazione negativa di -0,37 con SVD1 indica una relazione inversa, mentre la correlazione positiva di 0,71 con SVD2 è la più alta tra gli indici EA, suggerendo che SVD2 cattura efficacemente questo segnale EA derivato dalla rianalisi.
    • RMSE: SVD1/SVD2: 1,64 / 0,75. L’errore è significativamente più alto per SVD1 (1,64), ma molto basso per SVD2 (0,75), confermando che SVD2 rappresenta meglio questo indice.
  3. Comas-Bru e Hernández (2018)
    • Definizione: Composto di due serie storiche EA (Bergen e Valencia) e cinque rianalisi, costruito da dati SLP per rappresentare la variabilità EA su scala storica.
    • Periodo: 1852–2014.
    • Correlazione (R): SVD1/SVD2: 0,18 / 0,70. La correlazione di 0,18 con SVD1 è debole, mentre quella di 0,70 con SVD2 è elevata, indicando che SVD2 è il vettore singolare più rappresentativo per questo indice EA storico.
    • RMSE: SVD1/SVD2: 1,27 / 0,77. L’errore è più alto per SVD1 (1,27) e relativamente basso per SVD2 (0,77), rafforzando l’evidenza che SVD2 offre una rappresentazione più accurata.

Implicazioni Scientifiche e Metodologiche

L’analisi della Tabella 1 rivela che i DIs, attraverso i loro vettori singolari SVD1 e SVD2, mostrano una capacità differenziata nel rappresentare i pattern NAO ed EA. Per la NAO, SVD1 emerge come il vettore più efficace, con correlazioni particolarmente alte (fino a 0,77 con Luterbacher et al. 2002) e RMSE bassi (minimo 0,68), indicando che i DIs catturano con buona precisione la variabilità NAO storica e moderna. Questa performance riflette la forte relazione tra la direzione del vento nel Canale della Manica e il dipolo di pressione NAO, un pattern ben definito e dominante nella circolazione euro-atlantica. Al contrario, per l’EA, SVD2 risulta più rappresentativo, con correlazioni elevate (fino a 0,71 con Second EOF SLP ERA-20C) e RMSE bassi (minimo 0,75), suggerendo che il segnale EA, caratterizzato da un monopolo o un dipolo spostato verso sud-est, è meglio catturato dal secondo vettore singolare, che potrebbe riflettere componenti secondarie o ortogonali della variabilità atmosferica.

Le discrepanze osservate, come le correlazioni più deboli o gli errori più alti per alcuni indici (ad esempio, EA con SVD1), possono essere attribuite a differenze metodologiche, spaziali o temporali tra i DIs e gli indici tradizionali. Ad esempio, la NAO è spesso definita come un pattern dipolare ben localizzato, mentre l’EA può presentare maggiore variabilità regionale o essere influenzato da segnali meno direttamente legati alla direzione del vento, come le anomalie di pressione al livello del mare in aree specifiche (Moore et al. 2013; Comas-Bru e Hernández 2018). Inoltre, la natura storica dei DIs, basata su osservazioni pre-strumentali, potrebbe introdurre rumore o bias rispetto alle rianalisi moderne, sebbene i risultati complessivi dimostrino una robustezza sorprendente.

Questi risultati hanno implicazioni significative per la climatologia storica e la modellizzazione atmosferica. La capacità dei DIs di estendere le serie temporali NAO ed EA al periodo 1685–2014, con una buona corrispondenza agli indici tradizionali, rappresenta un progresso metodologico fondamentale. I vettori singolari SVD1 e SVD2 offrono una decomposizione della variabilità atmosferica che può essere sfruttata per ricostruire la dinamica del getto nord-atlantico e analizzare le interazioni tra NAO, EA e climi regionali su scale plurisecolari. Inoltre, l’identificazione di SVD1 come principale rappresentante della NAO e di SVD2 come più associato all’EA suggerisce una struttura multidimensionale nei DIs, che riflette la complessità dei pattern atmosferici euro-atlantici.

Conclusioni e Prospettive Future

La Tabella 1 evidenzia la validità degli indici direzionali come strumento per la caratterizzazione della variabilità climatica euro-atlantica, con performance differenziate per NAO ed EA. I risultati supportano l’utilizzo dei DIs per studi storici, fornendo un benchmark robusto per validare modelli climatici e proxy indiretti. Tuttavia, le correlazioni più deboli per l’EA e gli errori associati indicano la necessità di ulteriori ricerche per migliorare la rappresentazione di questo pattern, potenzialmente integrando altri dataset o metodologie (ad esempio, analisi multifrequenza o dati rianalisi ad alta risoluzione). Questo lavoro rappresenta un passo avanti nella comprensione della dinamica atmosferica storica, con implicazioni per la previsione dei cambiamenti climatici futuri e la gestione delle incertezze associate al comportamento del getto nord-atlantico e dei pattern di variabilità su larga scala.

3. Risultati

a. Ricostruzione e Analisi degli Indici NAO ed EA Basati sugli Indici Direzionali (DIs)

Per investigare la variabilità storica dei principali pattern di circolazione atmosferica nel settore euro-atlantico, è stata condotta un’analisi di decomposizione ai valori singolari (SVD, dall’inglese Singular Value Decomposition; Wilks 2011) sulle serie temporali invernali (dicembre–febbraio, DJF) degli indici direzionali (DIs) per il periodo 1685–2014. Gli indici direzionali, derivati da osservazioni giornaliere della direzione del vento nel Canale della Manica (Mellado-Cano et al. 2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), coprono quattro direzioni cardinali principali (settentrionale, meridionale, orientale, occidentale) e rappresentano la persistenza del vento in termini percentuali su base mensile. Questa analisi ha permesso di identificare e isolare i pattern dominanti di variabilità atmosferica catturati dai DIs, mantenendo i due primi vettori singolari, che spiegano rispettivamente il 44% e il 35% della varianza totale. L’alta percentuale di varianza spiegata da questi vettori suggerisce che rappresentano i segnali climatici più significativi presenti nei DIs, offrendo una base robusta per la ricostruzione degli indici NAO e EA su scale plurisecolari.

Per verificare la stabilità e la generalizzabilità dei risultati, l’analisi SVD è stata applicata separatamente alle serie mensili dei DIs per ciascuno dei mesi invernali (dicembre, gennaio, febbraio), ottenendo pattern di varianza simili: dicembre (45%, 34%), gennaio (43%, 36%) e febbraio (44%, 35%). Questa coerenza inter-mensile rafforza la validità dei vettori singolari come rappresentazioni affidabili della dinamica atmosferica invernale nel settore euro-atlantico. La Figura 1, non inclusa in questo testo ma descritta nello studio originale, illustra i pattern di regressione della pressione al livello del mare (SLP, rappresentata con ombreggiature) e dell’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500, rappresentata con contorni) rispetto a questi vettori singolari. Nonostante il carattere regionale delle osservazioni dei DIs, concentrate nel Canale della Manica, i vettori singolari rivelano anomalie significative della circolazione atmosferica su vaste aree del Nord Atlantico e dell’Europa, incluse variazioni nella posizione e nell’intensità dei centri d’azione del Nord Atlantico (alta delle Azzorre e bassa islandese per la NAO, e i centri associati al Modello Atlantico Orientale). In particolare, il primo vettore singolare (SVD1) riflette un dipolo meridionale che richiama chiaramente il pattern classico della NAO, caratterizzato da un gradiente nord-sud di pressione tra le regioni sub-tropicali e polari. Al contrario, il secondo vettore singolare (SVD2) mostra un dipolo quasi zonale, che si allinea con le caratteristiche del Modello Atlantico Orientale (EA), noto per la sua orientazione più orientale e sud-occidentale rispetto alla NAO (Wallace e Gutzler 1981; Barnston e Livezey 1987).

Le firme climatiche di questi vettori singolari nei campi superficiali, come temperatura e precipitazioni, sono risultate in buon accordo con le descrizioni riportate in letteratura per gli indici tradizionali NAO (ad esempio, Trigo et al. 2002) ed EA (Comas-Bru e McDermott 2014), sebbene tali risultati non siano mostrati esplicitamente in questo contesto. Durante le fasi positive del primo vettore singolare (associato alla NAO), si osservano condizioni più calde e umide nell’Europa centrale e settentrionale, accompagnate da deficit di precipitazioni nell’Europa meridionale, mentre le fasi negative corrispondono a un pattern opposto. Analogamente, il secondo vettore singolare (associato all’EA) modula la posizione dei centri d’azione, influenzando le anomalie climatiche in aree come il Mediterraneo occidentale e la Groenlandia, come evidenziato da studi recenti (Moore et al. 2013; Comas-Bru e Hernández 2018). Queste similitudini confermano la validità degli indici derivati dai DIs come proxy per i pattern NAO ed EA, pur con alcune divergenze rispetto agli indici strumentali. Tali discrepanze possono essere attribuite a differenze nelle informazioni dinamiche sottostanti: gli indici basati su gradienti di pressione (come quelli derivati da SLP o Z500) potrebbero non catturare la componente ageostrofica del vento, che è invece riflessa nei DIs. Inoltre, la posizione orientale del Canale della Manica rispetto ai centri di variabilità principali della NAO (ad esempio, Azzorre e Islanda) potrebbe introdurre un bias regionale, limitando la rappresentazione diretta dei pattern su larga scala. Tuttavia, queste divergenze non risultano significativamente più marcate rispetto alle discrepanze osservate tra diversi indici strumentali (non mostrati), suggerendo che i DIs siano comparabili in termini di affidabilità alle serie moderne.

Per approfondire questa questione, la Tabella 1 (discussa in precedenza) riporta i coefficienti di correlazione di Pearson e gli errori quadratici medi (RMSE) tra i vettori singolari SVD1 e SVD2 e una serie di indici NAO ed EA tradizionali, per il periodo comune 1951–2001. I risultati evidenziano una chiara separazione funzionale: tutti gli indici NAO mostrano correlazioni significative (p < 0,01) con SVD1, con valori che variano da 0,49 (Hurrell 1995) a 0,77 (Luterbacher et al. 2002), mentre le correlazioni con SVD2 sono insignificanti o molto deboli (da -0,24 a -0,18). Al contrario, gli indici EA presentano correlazioni significative con SVD2, con valori che raggiungono 0,54 (CPC NOAA), 0,71 (Second EOF SLP ERA-20C) e 0,70 (Comas-Bru e Hernández 2018), mentre le correlazioni con SVD1 sono più modeste (0,18–0,34). Questa separazione conferma che SVD1 è un indicatore primario della NAO, mentre SVD2 riflette principalmente il segnale EA. L’analisi è stata estesa all’intero periodo di ciascun indice di riferimento (non mostrato), producendo risultati consistenti, il che rafforza la robustezza temporale dei DIs.

Tra gli indici NAO, il più alto coefficiente di correlazione con SVD1 è stato osservato con l’indice di Jones et al. (1997), che raggiunge un valore di 0,74 per il periodo 1951–2001 e rimane stabile nel tempo, con r = 0,67 (p < 0,01) per il periodo di sovrapposizione comune 1824–2014. Questo suggerisce una corrispondenza particolarmente forte tra i DIs e questo indice storico basato su osservazioni stazionarie. Per l’EA, la correlazione più elevata con SVD2 è stata riscontrata con l’indice di Comas-Bru e Hernández (2018) per il periodo 1950–2014 (r = 0,70), ma questa relazione tende a indebolirsi andando indietro nel tempo, con r = 0,48 (p < 0,01) per il periodo 1852–2014. Tale attenuazione potrebbe essere attribuita a sfide metodologiche nella definizione dell’indice EA, che combina un ensemble di rianalisi e serie storiche (Bergen e Valencia), introducendo potenziali variazioni nei segnali climatici pre-strumentali. Tuttavia, le correlazioni osservate con SVD2 rimangono comparabili a quelle tra altri indici EA, come la correlazione negativa di -0,58 tra l’indice EA del CPC e la serie SLP di Valentia, evidenziando la complessità e la variabilità nelle definizioni dell’EA.

Questi risultati hanno implicazioni significative per la climatologia storica e la modellizzazione atmosferica. La capacità dei DIs, tramite SVD1 e SVD2, di replicare con precisione i pattern NAO ed EA su un arco temporale plurisecolare (1685–2014) dimostra la loro utilità come strumenti per ricostruire la dinamica atmosferica euro-atlantica. La separazione funzionale tra SVD1 (NAO) e SVD2 (EA) riflette la struttura ortogonale della variabilità atmosferica catturata dai DIs, offrendo una base solida per analizzare le interazioni tra questi pattern e il loro impatto sul clima regionale. Tuttavia, le discrepanze osservate, in particolare per l’EA in periodi pre-strumentali, suggeriscono la necessità di ulteriori studi per affinare la metodologia, potenzialmente integrando dati aggiuntivi o approcci statistici avanzati, come l’analisi multifrequenza o la validazione con proxy climatici indipendenti.

In sintesi, questa analisi SVD degli indici direzionali rappresenta un progresso metodologico fondamentale, fornendo una ricostruzione storica robusta dei pattern NAO ed EA e aprendo nuove prospettive per comprendere la variabilità climatica euro-atlantica su scale temporali estese, con applicazioni dirette per la validazione dei modelli climatici e le proiezioni future.Nel contesto dell’analisi della variabilità climatica euro-atlantica su scale plurisecolari, è stata condotta un’analisi di decomposizione ai valori singolari (SVD, dall’inglese Singular Value Decomposition; Wilks 2011) sulle serie temporali invernali [dicembre–febbraio (DJF)] degli indici direzionali (DIs) per il periodo esteso 1685–2014. Gli indici direzionali, derivati da osservazioni giornaliere della direzione del vento nel Canale della Manica (Mellado-Cano et al. 2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), quantificano la persistenza del vento (in percentuale di giorni mensili) lungo le quattro direzioni cardinali principali: settentrionale, meridionale, orientale e occidentale. Questa metodologia, basata su dati storici raccolti principalmente dai diari di bordo delle navi (García-Herrera et al. 2018), offre una visione unica della dinamica atmosferica pre-strumentale, estendendo le analisi oltre i limiti delle registrazioni moderne. L’analisi SVD ha permesso di identificare i pattern dominanti di variabilità atmosferica captati dai DIs, selezionando i due primi vettori singolari, che spiegano rispettivamente il 44% e il 35% della varianza totale. La distribuzione della varianza suggerisce che questi vettori rappresentano i segnali climatici più significativi intrinseci ai DIs, fornendo una base robusta per la ricostruzione degli indici dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO) e del Modello Atlantico Orientale (EA) su un arco temporale di oltre tre secoli.

Per valutare la stabilità temporale e la coerenza stagionale dei risultati, l’analisi SVD è stata ripetuta separatamente per le serie mensili dei DIs relative a ciascun mese invernale, ottenendo pattern di varianza comparabili: dicembre (45%, 34%), gennaio (43%, 36%) e febbraio (44%, 35%). Questa uniformità inter-mensile convalida l’affidabilità dei vettori singolari come rappresentazioni della circolazione atmosferica invernale nel settore euro-atlantico, rafforzando la loro applicabilità per studi climatici a lungo termine. La Figura 1, non inclusa in questa descrizione ma presente nello studio originale, illustra i pattern di regressione della pressione al livello del mare (SLP, rappresentata con ombreggiature) e dell’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500, rappresentata con contorni) rispetto a questi vettori singolari. Nonostante il carattere regionale delle osservazioni dei DIs, localizzate nel Canale della Manica, i vettori singolari rivelano ampie anomalie della circolazione atmosferica su scala euro-atlantica, includendo variazioni nella posizione e nell’intensità dei centri d’azione del Nord Atlantico. In particolare, il primo vettore singolare (SVD1) riflette un dipolo meridionale, coerente con il pattern classico della NAO, caratterizzato da un gradiente di pressione nord-sud tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese (Wallace e Gutzler 1981; Barnston e Livezey 1987). Al contrario, il secondo vettore singolare (SVD2) mostra un dipolo quasi zonale, allineato con le caratteristiche del Modello Atlantico Orientale (EA), noto per un’orientazione sud-est/nord-ovest e un centro di variabilità spostato a sud dell’Islanda e a ovest dell’Irlanda (Moore et al. 2013; Comas-Bru e McDermott 2014).

Le firme climatiche superficiali associate a questi vettori singolari, come temperature e precipitazioni, sono risultate in ottimo accordo con quelle descritte in letteratura per gli indici tradizionali NAO (ad esempio, Trigo et al. 2002) ed EA (Comas-Bru e McDermott 2014), sebbene tali dettagli non siano esplicitamente mostrati in questo contesto. Durante le fasi positive di SVD1 (associato alla NAO), si osservano condizioni climatiche calde e umide nell’Europa centrale e settentrionale, accompagnate da deficit di precipitazioni nell’Europa meridionale, mentre le fasi negative corrispondono a un pattern opposto, con temperature più fredde e precipitazioni ridotte nel nord e aumentate nel sud. Analogamente, SVD2 (associato all’EA) modula la posizione dei centri d’azione, influenzando le anomalie climatiche in regioni come il Mediterraneo occidentale, la Groenlandia e il nord-ovest europeo, con effetti più pronunciati sulle precipitazioni che sulla temperatura (Comas-Bru e Hernández 2018).

Tuttavia, alcune divergenze tra i vettori singolari derivati dai DIs e gli indici strumentali NAO ed EA possono essere attribuite a differenze nelle informazioni dinamiche sottostanti. Gli indici basati su gradienti di pressione (come SLP o Z500) potrebbero non catturare la componente ageostrofica del vento, che è invece riflessa nei DIs, basati su osservazioni dirette della direzione del vento. Inoltre, la posizione geografica orientale del Canale della Manica, rispetto ai centri di variabilità principali della NAO (Azzorre e Islanda), potrebbe introdurre un bias regionale, limitando la capacità dei DIs di replicare pienamente i pattern su larga scala. Nonostante ciò, queste discrepanze non risultano significativamente più marcate rispetto alle variazioni osservate tra diversi indici strumentali, suggerendo che i DIs mantengono una validità comparabile alle serie moderne.

Per quantificare la corrispondenza tra i vettori singolari e gli indici tradizionali, la Tabella 1 (precedentemente discussa) presenta i coefficienti di correlazione di Pearson e gli errori quadratici medi (RMSE) per il periodo comune 1951–2001. I risultati mostrano una chiara separazione funzionale: gli indici NAO presentano correlazioni significative (p < 0,01) con SVD1, con valori che variano da 0,49 (Hurrell 1995) a 0,77 (Luterbacher et al. 2002), mentre le correlazioni con SVD2 sono trascurabili o deboli (da -0,24 a -0,18). Viceversa, gli indici EA mostrano correlazioni significative con SVD2, con valori che raggiungono 0,54 (CPC NOAA), 0,71 (Second EOF SLP ERA-20C) e 0,70 (Comas-Bru e Hernández 2018), mentre le correlazioni con SVD1 sono più modeste (0,18–0,34). Questa separazione conferma che SVD1 è un indicatore primario della NAO, mentre SVD2 riflette principalmente il segnale EA. L’analisi estesa all’intero periodo di ciascun indice di riferimento (non mostrata) produce risultati coerenti, sottolineando la robustezza temporale dei DIs.

D’altra parte, l’errore quadratico medio (RMSE) dei primi e secondi vettori singolari rispetto agli indici NAO ed EA, rispettivamente, è di circa 0,7. Questo valore è leggermente superiore a quello osservato tra alcuni indici canonici della NAO, come quelli di Jones et al. (1997) e CPC (circa 0,6), ma si colloca entro l’intervallo dei valori registrati tra gli indici tradizionali EA, ad esempio circa 0,8 per gli indici di Comas-Bru e Hernández (2018) e CPC. Rispetto ai valori di riferimento derivati dal confronto tra indici strumentali per il periodo 1951–2001, la capacità predittiva di SVD2 risulta leggermente superiore a quella di SVD1. Questa differenza può essere attribuita alla maggiore diversità e variabilità degli indici EA rispetto a quelli della NAO, che riflettono una complessità maggiore nella definizione e nella dinamica del Modello Atlantico Orientale. Inoltre, SVD1 tende a performare meno bene con indici NAO basati su componenti principali (PC) rispetto a quelli basati su stazioni, probabilmente a causa delle differenze nei segnali dinamici catturati (ad esempio, pressioni vs. venti). Se il confronto è limitato agli indici NAO basati su stazioni, le performance di SVD1 e SVD2 risultano simili, evidenziando la robustezza dei DIs nel contesto delle osservazioni storiche.

Pertanto, sulla base di queste evidenze, il primo e il secondo vettore singolare dei DIs sono stati identificati come indicatori ottimali della NAO e dell’EA, rispettivamente, e d’ora in poi saranno denominati NAODI (NAO derivata dagli indici direzionali) ed EADI (EA derivata dagli indici direzionali). Le Figure 2a e 2b illustrano le serie temporali invernali standardizzate (1685–2014) di NAODI ed EADI per gli ultimi 330 anni (rappresentate con linee nere), con valori medi mobili a 7 anni sopra (sotto) zero indicati in rosso (blu). Queste serie catturano con grande precisione i periodi anomali più significativi riportati in letteratura, offrendo una visione storica unica della variabilità euro-atlantica.

Per NAODI, si osservano fasi positive dominanti durante i periodi 1900–1930 e 1970–2000, in linea con studi precedenti (Jones et al. 1997; Visbeck et al. 2001; Slonosky e Yiou 2001; Luterbacher et al. 2001; Trouet et al. 2009; Cornes et al. 2013), così come una fase negativa persistente tra il 1820 e il 1845 e negli anni ’60, riflettendo condizioni climatiche fredde e secche in Europa. Inoltre, NAODI identifica valori estremamente negativi per inverni freddi ben documentati, come quelli del 1916/17 (NAODI = -1,97 deviazioni standard) e del 1962/63 (NAODI = -2,30 deviazioni standard), in accordo con le analisi di Cornes et al. (2013) e Greatbatch et al. (2015). Questi eventi coincidono con ondate di freddo estreme e anomalie climatiche associate a configurazioni negative della NAO.

Per EADI, si nota una predominanza di fasi positive alla fine del XIX secolo, seguita da un’inversione verso fasi negative all’inizio del XX secolo, come riportato da Comas-Bru e Hernández (2018). L’indice cattura anche episodi estremi su diverse scale temporali, come i valori negativi ricorrenti negli anni ’50, in linea con l’indice EA del CPC, e l’inverno particolarmente anomalo del 2004/05 (EADI = -1,40 deviazioni standard), associato a condizioni climatiche insolite nel settore euro-atlantico. Questi indici rappresentano eccellenti strumenti per identificare periodi eccezionali legati a prominenti anomalie dei due principali pattern di variabilità atmosferica, come confermato dalle registrazioni strumentali moderne.

Le serie NAODI ed EADI, basate su osservazioni dirette, costituiscono le più lunghe ricostruzioni osservative della NAO e dell’EA, estendendo i record attuali di oltre 150 anni nel caso dell’EA, che tradizionalmente copre solo dal XIX secolo (Moore e Renfrew 2012; Comas-Bru e Hernández 2018). Oltre alle firme climatiche sopra descritte, entrambe le serie rivelano una marcata variabilità su frequenze molto basse (pluridecennali e più lunghe), riflettendo dinamiche climatiche su scale temporali estese. Per EADI, si osserva una fase negativa dominante durante il periodo 1750–1950 (evidenziata in blu nella Figura 2b), mentre le fasi positive prevalgono prima del 1750 e dopo il 1950, suggerendo una transizione climatica significativa nel XVIII secolo. NAODI, invece, mostra un comportamento più alternato fino al 1800, con una predominanza delle fasi negative lungo il XIX secolo, in corrispondenza con la Piccola Era Glaciale e altre anomalie climatiche documentate (Lamb 1977; Luterbacher et al. 2004).

Questi risultati non solo confermano la validità degli indici NAODI ed EADI come proxy per la NAO e l’EA, ma anche la loro capacità di catturare la variabilità climatica su scale temporali da interannuali a secolari, offrendo nuove prospettive sulla dinamica atmosferica storica e sulle sue implicazioni per il clima europeo. La possibilità di estendere queste analisi a periodi preindustriali rappresenta un progresso metodologico cruciale, con potenziali applicazioni nella validazione dei modelli climatici e nella comprensione delle risposte del sistema climatico a forzanti naturali e antropogeniche.

Analisi Dettagliata e Interpretazione Scientifica della Figura 1: Coefficienti di Regressione delle Anomalie di Pressione al Livello del Mare (SLP) e Altezza Geopotenziale a 500 hPa (Z500) Rispetto ai Vettori Singolari degli Indici Direzionali (DIs)

La Figura 1, riportata nello studio di Mellado-Cano et al. (2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), rappresenta un elemento centrale per la comprensione della variabilità atmosferica euro-atlantica, illustrando i coefficienti di regressione delle anomalie invernali [dicembre–febbraio (DJF)] della pressione al livello del mare (SLP, rappresentata con ombreggiature) e dell’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500, rappresentata con contorni) rispetto ai due primi vettori singolari (SVD1 e SVD2) derivati dall’analisi di decomposizione ai valori singolari (SVD, dall’inglese Singular Value Decomposition; Wilks 2011) applicata alle serie temporali degli indici direzionali (DIs) per il periodo 1901–2010. Questa figura è fondamentale per validare l’utilizzo degli indici direzionali, ottenuti da osservazioni storiche della direzione del vento nel Canale della Manica (García-Herrera et al. 2018), come proxy per i principali pattern di variabilità atmosferica nel settore euro-atlantico, ovvero l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO) e il Modello Atlantico Orientale (EA). Analizziamo in dettaglio i suoi componenti, il significato scientifico e le implicazioni metodologiche.

Contesto Metodologico e Dataset

Gli indici direzionali (DIs) coprono un intervallo temporale eccezionalmente lungo, dal 1685 al 2014, e quantificano la persistenza del vento (in percentuale di giorni mensili) lungo le quattro direzioni cardinali principali: settentrionale, meridionale, orientale e occidentale. Questi dati, raccolti principalmente da diari di bordo delle navi, offrono una finestra unica sulla dinamica atmosferica pre-strumentale, consentendo di estendere le analisi oltre i limiti delle registrazioni moderne, che iniziano tipicamente dalla metà del XIX secolo (Jones et al. 1997; Hurrell 1995). L’analisi SVD ha identificato due vettori singolari dominanti che spiegano rispettivamente il 44% (SVD1) e il 35% (SVD2) della varianza totale dei DIs, come descritto nella sezione precedente dello studio. Questi vettori sono stati associati al pattern NAO (SVD1) e al pattern EA (SVD2), riflettendo la loro capacità di catturare le modalità principali di variabilità atmosferica nel Nord Atlantico e in Europa. Il periodo 1901–2010 è stato selezionato per questa rappresentazione grafica per garantire la compatibilità con i dati delle rianalisi moderne, come ERA-20C (Poli et al. 2016), e con i dataset osservativi di temperatura e precipitazione superficiale (Harris et al. 2014; Schamm et al. 2014), consentendo un confronto diretto con gli indici NAO ed EA tradizionali (ad esempio, Hurrell 1995; Comas-Bru e Hernández 2018).

Pannello (a): Coefficienti di Regressione Relativi al Primo Vettore Singolare (SVD1)

Il pannello (a) della Figura 1 illustra i coefficienti di regressione delle anomalie di SLP (ombreggiature) e Z500 (contorni) rispetto a SVD1, identificato come un indicatore primario della NAO. Questo pattern è caratterizzato da un dipolo meridionale ben definito, coerente con la struttura classica dell’Oscillazione Nord Atlantica, che domina la circolazione atmosferica invernale nel settore euro-atlantico (Wallace e Gutzler 1981; Barnston e Livezey 1987). Nell’immagine, si osserverebbero:

  • Anomalie di SLP: Un pattern dipolare con un’alta pressione positiva (ombreggiature positive) centrata approssimativamente sull’alta delle Azzorre (intorno a 30°–40°N, 20°–30°W) e una bassa pressione negativa (ombreggiature negative) localizzata vicino alla bassa islandese (intorno a 60°–70°N, 10°–20°W). Questo gradiente nord-sud riflette il rafforzamento o l’indebolimento del gradiente di pressione tra le regioni subtropicali e polari, tipico delle fasi positive e negative della NAO. Durante le fasi positive, il gradiente è intensificato, favorendo un getto nord-atlantico più forte e lineare, mentre nelle fasi negative, il gradiente si indebolisce, portando a un getto più ondulato e a condizioni climatiche opposte (Trigo et al. 2002).
  • Anomalie di Z500: Contorni che mostrano un pattern coerente con le anomalie di SLP, con un’alta geopotenziale positiva sopra le Azzorre e una bassa geopotenziale negativa sopra l’Islanda. Questi contorni rappresentano le anomalie della circolazione a media troposfera (500 hPa), che amplificano il dipolo superficiale della NAO, indicando variazioni nella posizione e nell’intensità del getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven”. Le anomalie positive di Z500 sopra le Azzorre sono associate a un rafforzamento della corrente a getto, mentre quelle negative sopra l’Islanda riflettono un indebolimento o un’ondulazione del flusso.

La regionalità degli indici direzionali, concentrata nel Canale della Manica, potrebbe introdurre alcune discrepanze rispetto agli indici NAO tradizionali (ad esempio, Hurrell 1995 o Jones et al. 1997), che si basano su dati di pressione al livello del mare o geopotenziale su domini più ampi. Tuttavia, la corrispondenza generale è confermata dalle correlazioni statistiche riportate nella Tabella 1, con coefficienti di Pearson che raggiungono valori fino a 0,77 per l’indice NAO di Luterbacher et al. (2002), indicando una forte concordanza tra SVD1 e il pattern NAO. Le firme climatiche associate a SVD1, come temperature più calde e umide nell’Europa centrale e settentrionale durante le fasi positive e fredde/secche durante le fasi negative, sono pienamente coerenti con la letteratura sulla NAO (Cornes et al. 2013; Visbeck et al. 2001).

Pannello (b): Coefficienti di Regressione Relativi al Secondo Vettore Singolare (SVD2)

Il pannello (b) della Figura 1 presenta i coefficienti di regressione delle anomalie di SLP e Z500 rispetto a SVD2, associato al Modello Atlantico Orientale (EA). Questo pattern, meno dominante rispetto alla NAO, è caratterizzato da un dipolo quasi zonale o da un monopolo di pressione spostato a sud dell’Islanda e a ovest dell’Irlanda, con un’orientazione sud-est/nord-ovest (Moore et al. 2013; Comas-Bru e McDermott 2014). Nell’immagine, si osserverebbero:

  • Anomalie di SLP: Un pattern con un centro di alta pressione positiva (ombreggiature positive) localizzato nelle medie latitudini dell’Atlantico orientale (intorno a 40°–50°N, 10°–20°W) e, potenzialmente, un centro di bassa pressione o un dipolo meno definito verso sud-est. Questo riflette la natura zonale del pattern EA, che modula la posizione dei centri d’azione nord-atlantici in modo complementare o contrastante rispetto alla NAO, influenzando la traiettoria e l’inclinazione del getto nord-atlantico.
  • Anomalie di Z500: Contorni che mostrano un pattern coerente con le anomalie di SLP, ma con un’orientazione più est-ovest, indicando un’influenza sulla latitudine e sull’ondulazione del getto. Questo pattern è associato a variazioni climatiche regionali, come incrementi o riduzioni di precipitazioni nel Mediterraneo occidentale e temperature anomale in Groenlandia, come evidenziato da studi recenti (Comas-Bru e Hernández 2018).

La correlazione di SVD2 con gli indici EA tradizionali (Tabella 1) è generalmente più debole rispetto a quella di SVD1 con la NAO (ad esempio, r = 0,71 con Second EOF SLP ERA-20C), riflettendo la maggiore complessità e la variabilità regionale del Modello Atlantico Orientale. Tuttavia, SVD2 cattura efficacemente le dinamiche associate all’EA, mostrando un’influenza significativa sulla latitudine del getto e sulle anomalie climatiche superficiali, come discusso nelle sezioni precedenti (ad esempio, Trigo et al. 2008; Woollings et al. 2010).

Significato Scientifico e Implicazioni

La Figura 1 è un pilastro metodologico per convalidare l’uso degli indici direzionali come proxy per NAO ed EA, dimostrando come SVD1 e SVD2 rappresentino con precisione i pattern atmosferici dominanti nel settore euro-atlantico. Le anomalie di SLP e Z500 illustrate nei pannelli (a) e (b) rivelano variazioni nella circolazione atmosferica su larga scala, incluse le modifiche nella posizione e nell’intensità dei centri d’azione del Nord Atlantico (alta delle Azzorre e bassa islandese per la NAO, e centri spostati per l’EA) e nella traiettoria del getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven”. Questi pattern sono coerenti con le firme climatiche superficiali (temperature e precipitazioni) associate alla NAO e all’EA, come descritto in letteratura (Trigo et al. 2002; Comas-Bru e McDermott 2014), e con le correlazioni statistiche riportate nella Tabella 1.

La regionalità dei DIs, limitata al Canale della Manica, potrebbe introdurre alcune discrepanze rispetto agli indici strumentali basati su SLP o Z500 su domini più ampi (ad esempio, Hurrell 1995; Comas-Bru e Hernández 2018). Tuttavia, la robustezza della corrispondenza tra SVD1/SVD2 e i pattern NAO/EA è confermata dalle correlazioni statistiche e dalla capacità dei DIs di catturare le dinamiche atmosferiche su scala plurisecolare (1685–2014). Questa capacità riflette la relazione tra la direzione del vento nel Canale della Manica e i gradienti di pressione su larga scala, anche se la componente ageostrofica del vento potrebbe non essere pienamente rappresentata negli indici tradizionali basati su SLP o Z500.

La figura evidenzia anche le interazioni tra NAO ed EA, mostrando come SVD1 e SVD2 catturino modalità di variabilità atmosferica distinte ma complementari. SVD1 (NAO) è associato a un dipolo meridionale che influenza principalmente il gradiente nord-sud di pressione e la velocità del getto, mentre SVD2 (EA) modula l’orientamento zonale, la latitudine e l’inclinazione del getto, influenzando le anomalie climatiche in regioni come il Mediterraneo, la Groenlandia e l’Europa nord-occidentale. Queste dinamiche sono cruciali per comprendere le anomalie climatiche regionali, come le precipitazioni nel Mediterraneo occidentale, le temperature in Groenlandia e i regimi meteorologici estremi in Europa, e hanno implicazioni dirette per la modellizzazione climatica e le proiezioni future (Zappa e Shepherd 2017; Peings et al. 2018).

Limiti e Prospettive Future

Sebbene la Figura 1 rappresenti un progresso metodologico nella climatologia storica, alcuni limiti devono essere considerati. La regionalità dei DIs potrebbe non catturare pienamente i pattern atmosferici su larga scala in alcune aree remote, come l’Islanda o le Azzorre, e le discrepanze con gli indici tradizionali potrebbero derivare da differenze nella dinamica sottostante (ad esempio, la componente ageostrofica del vento non rappresentata da SLP o Z500) o dalla risoluzione spaziale delle osservazioni. Ulteriori studi potrebbero integrare altri dataset, come proxy climatici (ad esempio, anelli degli alberi, carote di ghiaccio) o rianalisi ad alta risoluzione spaziale e temporale (ad esempio, ERA5), per migliorare la rappresentazione dei pattern NAO ed EA e ridurre le incertezze associate alle ricostruzioni storiche.

In conclusione, la Figura 1 illustra come i vettori singolari SVD1 e SVD2 degli indici direzionali riflettano con precisione i pattern NAO ed EA, offrendo una base scientifica robusta per analizzare la variabilità climatica euro-atlantica su scale plurisecolari. Questi risultati sono essenziali per validare i modelli climatici, interpretare le anomalie climatiche storiche e comprendere le interazioni tra circolazione atmosferica e clima regionale, con applicazioni dirette per le proiezioni di cambiamento climatico futuro e per la gestione delle risorse idriche e agricole in Europa.

Analisi Dettagliata e Interpretazione Scientifica della Figura 2: Serie Temporali Standardizzate Invernali di NAODI ed EADI per il Periodo 1685–2014

La Figura 2, riportata nello studio di Mellado-Cano et al. (2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), rappresenta un elemento fondamentale per la caratterizzazione della variabilità storica dell’Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali (NAODI) e del Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali (EADI) nel settore euro-atlantico, coprendo un arco temporale plurisecolare che si estende dal 1685 al 2014. Questa figura illustra le serie temporali invernali standardizzate [dicembre–febbraio (DJF)] di NAODI ed EADI, espresse in deviazioni standard (SD, Standard Deviations) rispetto alla media e alla varianza del periodo di riferimento 1695–2014, offrendo una rappresentazione quantitativa delle anomalie climatiche associate ai principali pattern di variabilità atmosferica. Analizziamo in dettaglio i suoi componenti, il significato scientifico e le implicazioni metodologiche.

Contesto Metodologico e Dataset

NAODI ed EADI sono stati derivati attraverso un’analisi di decomposizione ai valori singolari (SVD, dall’inglese Singular Value Decomposition; Wilks 2011) applicata alle serie temporali degli indici direzionali (DIs), basati su osservazioni storiche della direzione del vento nel Canale della Manica per il periodo 1685–2014 (Mellado-Cano et al. 2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics). Gli indici direzionali quantificano la persistenza del vento (in percentuale di giorni mensili) lungo le quattro direzioni cardinali principali: settentrionale, meridionale, orientale e occidentale, offrendo una rappresentazione diretta della dinamica atmosferica pre-strumentale. I DIs, raccolti principalmente dai diari di bordo delle navi (García-Herrera et al. 2018), costituiscono una fonte unica per estendere le analisi oltre i limiti delle registrazioni moderne, che iniziano tipicamente dalla metà del XIX secolo (Jones et al. 1997; Hurrell 1995). L’analisi SVD ha identificato il primo vettore singolare (SVD1) come indicatore della NAO, spiegando il 44% della varianza totale, e il secondo vettore singolare (SVD2) come indicatore dell’EA, spiegando il 35% della varianza, come descritto nella sezione precedente dello studio. Le serie temporali standardizzate sono normalizzate rispetto alla media e alla varianza del periodo 1695–2014, permettendo di evidenziare le anomalie rispetto alla norma climatologica e di confrontare i segnali climatici su scale interannuali, decennali e pluridecennali.

La Figura 2 è composta da due pannelli:

  • Pannello (a): Serie temporale standardizzata di NAODI.
  • Pannello (b): Serie temporale standardizzata di EADI.

Entrambe le serie sono rappresentate da una linea nera che indica le deviazioni standard annuali invernali, una linea grigia che rappresenta la media mobile a 7 anni per filtrare la variabilità a breve termine e mettere in evidenza le tendenze a basse frequenze (pluridecennali), e ombreggiature rosse (blu) che indicano i periodi in cui i valori sono rispettivamente sopra (sotto) la media del periodo 1695–2014. Ombreggiature grigie verticali identificano i periodi con dati mancanti, un aspetto inevitabile nelle serie storiche pre-strumentali.

Pannello (a): Serie Temporale Standardizzata di NAODI (1685–2014)

Il pannello (a) illustra la variabilità storica di NAODI, un indicatore derivato dal primo vettore singolare (SVD1) degli indici direzionali, associato al pattern dipolare meridionale dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO). La linea nera rappresenta le deviazioni standard annuali invernali rispetto alla media 1695–2014, mentre la linea grigia mostra la media mobile a 7 anni, utile per identificare le tendenze pluridecennali e filtrare la variabilità interannuale. Le ombreggiature rosse indicano i periodi con valori di NAODI superiori alla media (fasi positive della NAO), associati a inverni più caldi e umidi nell’Europa centrale e settentrionale e a deficit di precipitazioni nell’Europa meridionale, mentre le ombreggiature blu segnalano valori inferiori alla media (fasi negative della NAO), correlati a condizioni fredde e secche nel nord e a precipitazioni aumentate nel sud (Trigo et al. 2002; Cornes et al. 2013).

NAODI cattura con precisione i periodi anomali più significativi della NAO riportati in letteratura:

  • Fasi positive dominanti: Durante i periodi 1900–1930 e 1970–2000, NAODI mostra valori persistentemente positivi (ombreggiature rosse), in accordo con studi precedenti (Jones et al. 1997; Visbeck et al. 2001; Luterbacher et al. 2001; Trouet et al. 2009; Cornes et al. 2013). Queste fasi positive riflettono un rafforzamento del gradiente di pressione tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese, favorendo un getto nord-atlantico più forte e lineare, con conseguenti condizioni climatiche favorevoli nel nord e centro dell’Europa.
  • Fasi negative persistenti: NAODI presenta valori negativi significativi (ombreggiature blu) tra il 1820 e il 1845 e negli anni ’60, corrispondenti a configurazioni negative della NAO associate a inverni freddi e secche in Europa, tipiche della Piccola Era Glaciale e di altre anomalie climatiche storiche (Slonosky e Yiou 2001; Lamb 1977). Inoltre, si osservano valori estremamente negativi per inverni freddi ben documentati, come il 1916/17 (NAODI = -1,97 SD) e il 1962/63 (NAODI = -2,30 SD), in linea con le analisi di Cornes et al. (2013) e Greatbatch et al. (2015), che collegano questi eventi a ondate di freddo estreme e anomalie di pressione.

La media mobile a 7 anni evidenzia una variabilità a basse frequenze, mostrando un comportamento più alternato fino al 1800, con una prevalenza delle fasi negative lungo il XIX secolo, in corrispondenza con la Piccola Era Glaciale e altre oscillazioni climatiche documentate (Luterbacher et al. 2004; Ortega et al. 2015). Le ombreggiature grigie verticali indicano lacune nei dati, una caratteristica comune nelle serie storiche pre-strumentali, ma non compromettono la robustezza complessiva della serie, come confermato dalle correlazioni con indici NAO tradizionali (Tabella 1, con coefficienti di Pearson fino a 0,77 per l’indice di Luterbacher et al. 2002).

Pannello (b): Serie Temporale Standardizzata di EADI (1685–2014)

Il pannello (b) illustra la variabilità storica di EADI, un indicatore derivato dal secondo vettore singolare (SVD2) degli indici direzionali, associato al pattern quasi zonale del Modello Atlantico Orientale (EA). La struttura grafica è identica a quella di NAODI, con una linea nera per le deviazioni standard annuali invernali, una linea grigia per la media mobile a 7 anni, ombreggiature rosse (sopra la media) e blu (sotto la media) per le fasi positive e negative, e ombreggiature grigie per i dati mancanti. EADI rappresenta un pattern meno dominante rispetto alla NAO, caratterizzato da un centro di alta pressione nelle medie latitudini dell’Atlantico orientale o da un dipolo spostato a sud dell’Islanda e a ovest dell’Irlanda, influenzando la latitudine e l’inclinazione del getto nord-atlantico (Moore et al. 2013; Comas-Bru e McDermott 2014).

EADI cattura i seguenti pattern climatici:

  • Fasi positive dominanti: Alla fine del XIX secolo, EADI mostra valori positivi persistenti (ombreggiature rosse), seguiti da un’inversione verso fasi negative all’inizio del XX secolo, in accordo con Comas-Bru e Hernández (2018). Queste fasi sono associate a variazioni nella posizione del getto nord-atlantico, influenzando le precipitazioni nel Mediterraneo occidentale, le temperature in Groenlandia e la storminess nell’Europa nord-occidentale.
  • Fasi negative ricorrenti: Si osservano valori negativi significativi negli anni ’50, coerenti con l’indice EA del Climate Prediction Center (CPC), e un inverno estremo nel 2004/05 (EADI = -1,40 SD), riflettendo anomalie climatiche legate a configurazioni negative dell’EA (Moore e Renfrew 2012). Queste fasi negative sono associate a un indebolimento del gradiente di pressione e a uno spostamento equatoriale del getto, con conseguenti riduzioni di precipitazioni in alcune regioni e variazioni termiche regionali.
  • Variabilità a basse frequenze: La media mobile a 7 anni evidenzia una fase negativa dominante durante il periodo 1750–1950 (ombreggiature blu), mentre le fasi positive prevalgono prima del 1750 e dopo il 1950, suggerendo una transizione climatica significativa nel XVIII secolo, in linea con le dinamiche storiche del clima euro-atlantico documentate da proxy climatici e rianalisi (Ortega et al. 2015; Sjolte et al. 2018).

Le ombreggiature grigie indicano lacune nei dati, ma la corrispondenza con gli indici EA tradizionali (Tabella 1, con coefficienti di Pearson fino a 0,71 per Second EOF SLP ERA-20C) conferma la validità di EADI come indicatore del Modello Atlantico Orientale.

Significato Scientifico e Implicazioni

La Figura 2 è un pilastro metodologico per la climatologia storica, offrendo le più lunghe serie osservative basate su dati diretti di NAO (NAODI) ed EA (EADI), estendendo i record tradizionali di oltre 150 anni nel caso dell’EA (Moore e Renfrew 2012; Comas-Bru e Hernández 2018). NAODI ed EADI catturano non solo le oscillazioni interannuali e decennali, ma anche le tendenze pluridecennali, evidenziando dinamiche climatiche associate alla Piccola Era Glaciale (1750–1850), al riscaldamento moderno (post-1950) e alle transizioni atmosferiche storiche. Le ombreggiature rosse e blu permettono di identificare visivamente i periodi di anomalie positive e negative, mentre la media mobile a 7 anni filtra la variabilità a breve termine, focalizzandosi sulle oscillazioni a basse frequenze, un aspetto cruciale per comprendere i forcing climatici naturali e antropogenici su scale secolari.

I risultati sono coerenti con la letteratura sulla NAO (Jones et al. 1997; Luterbacher et al. 2001) ed EA (Comas-Bru e Hernández 2018), come dimostrato dalle correlazioni statistiche nella Tabella 1. La presenza di dati mancanti (ombreggiature grigie) riflette le sfide delle serie storiche pre-strumentali, ma non compromette la robustezza complessiva delle ricostruzioni, grazie alla metodologia degli indici direzionali e alla validazione con rianalisi moderne (ad esempio, ERA-20C; Poli et al. 2016). La capacità di NAODI ed EADI di catturare eventi climatici estremi, come gli inverni freddi del 1916/17 e 1962/63 (NAODI) o l’inverno del 2004/05 (EADI), sottolinea la loro utilità come strumenti per analizzare le anomalie storiche e validare i modelli climatici futuri.

Limiti e Prospettive Future

Sebbene la Figura 2 rappresenti un progresso metodologico significativo, alcuni limiti devono essere considerati. Le lacune nei dati (indicate dalle ombreggiature grigie) potrebbero introdurre bias temporali, e la regionalità dei DIs, limitata al Canale della Manica, potrebbe non catturare pienamente i pattern atmosferici su larga scala in aree remote, come l’Islanda o le Azzorre. Inoltre, la standardizzazione rispetto alla media 1695–2014 potrebbe mascherare alcune variabilità a basse frequenze se presenti cambiamenti climatici strutturali nel periodo. Ulteriori studi potrebbero integrare altri dataset, come proxy climatici (ad esempio, anelli degli alberi, carote di ghiaccio; Cook et al. 1998; Sjolte et al. 2018) o rianalisi ad alta risoluzione spaziale e temporale (ad esempio, ERA5), per migliorare la completezza e la precisione delle ricostruzioni, riducendo le incertezze associate alle serie storiche.

In conclusione, la Figura 2 illustra la variabilità storica di NAODI ed EADI, fornendo una base scientifica robusta per analizzare la dinamica atmosferica euro-atlantica su scale plurisecolari. Questi risultati sono essenziali per validare i modelli climatici, interpretare le anomalie climatiche passate e comprendere le interazioni tra circolazione atmosferica e clima regionale, con applicazioni dirette per le proiezioni di cambiamento climatico futuro e la gestione delle risorse idriche e agricole in Europa.

b. Il Ruolo Integrato di NAODI ed EADI nella Modulazione del Clima Euro-Atlantico: Un’Analisi delle Interazioni tra Oscillazione Nord Atlantica e Modello Atlantico Orientale

Per esplorare in modo sistematico gli effetti combinati dell’Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali (NAODI) e del Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali (EADI), come illustrati nella Figura 1, è stata condotta un’analisi dettagliata della loro influenza congiunta sul clima euro-atlantico. Questa indagine si basa su una partizione dello spazio delle fasi bidimensionale (2D) definito da NAODI ed EADI, permettendo di identificare e caratterizzare quattro combinazioni distinte di stati atmosferici: NAODI1/EADI1, NAODI1/EADI2, NAODI2/EADI1 e NAODI2/EADI2 (Figura 3). Questi indici, ricostruiti attraverso un’analisi di decomposizione ai valori singolari (SVD) applicata alle serie temporali invernali (dicembre–febbraio, DJF) degli indici direzionali (DIs) per il periodo 1685–2014 (Mellado-Cano et al. 2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), rappresentano i principali pattern di variabilità atmosferica nel settore euro-atlantico: NAODI riflette il dipolo meridionale associato alla NAO, mentre EADI cattura il dipolo quasi zonale del Modello Atlantico Orientale (EA). L’analisi è stata limitata al periodo 1901–2014, corrispondente alla disponibilità di dati nelle rianalisi (ad esempio, ERA-20C) e nei dataset osservativi moderni, come temperature e precipitazioni superficiali, garantendo un confronto diretto con serie strumentali consolidate.

Per focalizzarsi su inverni con segnali climatici marcati, i gruppi analizzati includono solo gli inverni in cui i valori assoluti di NAODI ed EADI superano 0,5 deviazioni standard (SD). Questo criterio, rappresentato nell’angolo in basso a sinistra di ciascun pannello della Figura 3, assicura un numero equilibrato e sufficiente di casi, escludendo gli inverni con segnali deboli di NAODI o EADI, che potrebbero introdurre rumore o distorcere l’interpretazione dei pattern atmosferici. I compositi risultanti per ciascuna delle quattro combinazioni (NAODI1/EADI1, NAODI1/EADI2, NAODI2/EADI1, NAODI2/EADI2) mostrano anomalie della circolazione atmosferica più deboli ma qualitativamente simili se la soglia di 0,5 SD viene omessa, consentendo di catalogare tutti gli inverni in uno dei quattro gruppi (risultati non mostrati). Questo approccio metodologico si allinea con quello utilizzato da Comas-Bru e McDermott (2014), che hanno analizzato gli effetti congiunti di NAO ed EA considerando solo due gruppi formati da inverni con fasi uguali e opposte. Tuttavia, il nostro metodo si distingue per la sua capacità di catturare risposte asimmetriche tra fasi positive e negative, un aspetto critico evidenziato in studi precedenti sulla NAO (ad esempio, Cornes et al. 2013), che ha dimostrato come le anomalie climatiche possano variare significativamente in base alla polarità dei pattern.

Per rafforzare la validità dei nostri risultati e confrontarli con indici tradizionali, l’analisi è stata replicata per lo stesso periodo (1901–2014) utilizzando gli indici NAO di Jones et al. (1997) e gli indici EA di Comas-Bru e Hernández (2018), come mostrato nella Figura 4. Le differenze tra i pattern NAODI/EADI e quelli degli indici tradizionali risultano minime (Figure 3a,d), con anomalie relativamente più deboli nella latitudine del getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven”. Questo suggerisce che NAODI ed EADI, pur derivati da osservazioni storiche di direzione del vento, mantengono una coerenza con le serie strumentali moderne, pur riflettendo peculiarità regionali legate alla posizione del Canale della Manica.

Quando NAODI ed EADI presentano fasi opposte (Figure 3b,f,c,g e Figure 4b,f,c,g), i centri di anomalia settentrionali e meridionali si spostano rispettivamente verso l’Europa e l’Atlantico, rispetto agli inverni con fasi uguali, generando un dipolo orientato meridionalmente. Questa configurazione dinamica implica una redistribuzione dei gradienti di pressione e delle traiettorie delle tempeste, con effetti significativi sulla circolazione atmosferica. In tali casi, le anomalie nella latitudine del getto risultano più pronunciate rispetto a quelle osservate quando entrambi gli indici sono in fase uguale. Specificamente, si osserva uno spostamento verso il polo del getto nord-atlantico durante la combinazione NAODI1/EADI2 (indicato da frecce rosse verticali nelle Figure 3b,f), associato a un rafforzamento del gradiente di pressione nord-sud e a un’intensificazione delle perturbazioni verso latitudini più settentrionali. Al contrario, la combinazione NAODI2/EADI1 (Figure 3d,h) è caratterizzata da migrazioni equatoriali del getto, riflettendo un indebolimento del gradiente e una traiettoria più meridionale delle tempeste.

Complessivamente, i nostri risultati indicano che NAODI ed EADI inducono anomalie dello stesso segno nella velocità del getto, suggerendo un rafforzamento o un indebolimento coordinato del flusso atmosferico, ma esercitano effetti opposti sulla latitudine del getto. Il ruolo di EADI sembra manifestarsi principalmente attraverso l’inclinazione del getto, con la fase positiva che favorisce un’inclinazione sud-ovest/nord-est più marcata e rinforzata. Questo tilt dinamico si traduce in spostamenti verso sud nel Nord Atlantico e verso nord nella regione di uscita sull’Europa, influenzando la posizione delle traiettorie delle tempeste e la distribuzione delle anomalie climatiche. Studi precedenti, come quello di Woollings et al. (2010), hanno identificato tre posizioni nodali principali per il getto nord-atlantico: latitudini settentrionali, centrali e meridionali, basandosi su dati giornalieri derivati da rianalisi moderne. In accordo con i nostri risultati, gli inverni con una posizione centrale del getto tendono a verificarsi quando NAODI ed EADI mostrano lo stesso segno (ad esempio, NAODI1/EADI1 o NAODI2/EADI2), riflettendo una configurazione più stabile e lineare del flusso atmosferico. Al contrario, gli inverni con fasi opposte (NAODI1/EADI2 o NAODI2/EADI1) sono dominati da spostamenti meridionalmente marcati, con migrazioni verso il polo per NAODI1/EADI2 e verso l’equatore per NAODI2/EADI1, evidenziando la capacità di EADI di modulare la traiettoria del getto in modo complementare o contrastante rispetto a NAODI.

Questi risultati hanno implicazioni significative per la comprensione della variabilità climatica euro-atlantica, dimostrando come le interazioni tra NAO ed EA, mediate dai DIs, influenzino non solo la posizione e la velocità del getto nord-atlantico, ma anche le risposte climatiche regionali, come temperature, precipitazioni e regimi meteorologici estremi. La capacità di NAODI ed EADI di catturare queste dinamiche su un periodo storico esteso (1901–2014) offre una base solida per analizzare le transizioni climatiche passate e per validare modelli climatici futuri, contribuendo a ridurre le incertezze associate alle proiezioni di cambiamento climatico regionale. Inoltre, l’approccio proposto apre nuove prospettive per studi interdisciplinari, combinando dati osservativi storici con analisi rianalisi moderne, e sottolinea l’importanza di considerare le interazioni tra pattern atmosferici multipli per una comprensione olistica del sistema climatico euro-atlantico.

Analisi Dettagliata delle Anomalie Climatiche Superficiali nelle Partizioni dello Spazio delle Fasi NAODI/EADI: Implicazioni per il Clima Euro-Atlantico

Nel presente studio, ci concentriamo sull’analisi delle anomalie climatiche superficiali associate alle diverse partizioni dello spazio delle fasi bidimensionale (2D) definito dagli indici NAODI (Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali) ed EADI (Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali), come descritto precedentemente. Questi indici, ricostruiti attraverso un’analisi di decomposizione ai valori singolari (SVD) applicata alle serie temporali invernali (dicembre–febbraio, DJF) degli indici direzionali (DIs) per il periodo 1685–2014 (Mellado-Cano et al. 2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), rappresentano i principali pattern di variabilità atmosferica nel settore euro-atlantico, rispettivamente il dipolo meridionale della NAO e il dipolo quasi zonale dell’EA. L’analisi è stata condotta limitatamente al periodo 1901–2014, corrispondente alla disponibilità di dati nelle rianalisi (come ERA-20C) e nei dataset osservativi moderni, quali temperature e precipitazioni superficiali, permettendo un confronto diretto con serie strumentali consolidate e rianalisi ad alta risoluzione (ad esempio, Harris et al. 2014; Schamm et al. 2014).

Per esplorare gli effetti congiunti di NAODI ed EADI sul clima euro-atlantico, abbiamo suddiviso lo spazio delle fasi in quattro combinazioni distinte: NAODI1/EADI1, NAODI1/EADI2, NAODI2/EADI1 e NAODI2/EADI2, come illustrato nella Figura 3. Questi compositi sono stati calcolati selezionando solo gli inverni con valori assoluti di NAODI ed EADI superiori a 0,5 deviazioni standard (SD), un criterio che garantisce un numero equilibrato e sufficiente di casi, escludendo gli inverni con segnali climatici deboli e riducendo il rischio di rumore statistico (si veda l’angolo in basso a sinistra di ciascun pannello della Figura 3). I risultati derivanti da questa partizione mostrano pattern climatici superficiali coerenti con le dinamiche atmosferiche associate ai pattern NAO ed EA, ma con variazioni significative indotte dalle interazioni tra i due indici.

Anomalie di Temperatura Superficiale

Le anomalie di temperatura superficiale risultano largamente determinate dalla fase di NAODI, riflettendo il ruolo predominante dell’Oscillazione Nord Atlantica nel modulare le condizioni termiche invernali in Europa. Nelle combinazioni con fasi positive di NAODI (NAODI1/EADI1 e NAODI1/EADI2, illustrate nelle Figure 3a,b), si osservano inverni più caldi nella maggior parte dell’Europa continentale, in linea con il rafforzamento del gradiente di pressione tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese, che favorisce l’afflusso di masse d’aria calde e umide da ovest verso il nord e il centro d’Europa (Trigo et al. 2002). Al contrario, le combinazioni con fasi negative di NAODI (NAODI2/EADI1 e NAODI2/EADI2, Figure 3c,d) sono associate a condizioni relativamente più fredde, con un indebolimento del gradiente e un aumento delle masse d’aria fredde provenienti da nord-est, tipiche delle configurazioni negative della NAO (Cornes et al. 2013).

Tuttavia, EADI modula questa risposta termica complessiva, influenzando la distribuzione spaziale e l’intensità delle anomalie di temperatura. Quando EADI passa da una fase positiva (Figure 3a,c) a una fase negativa (Figure 3b,d), le regioni con anomalie di temperatura significative si spostano dall’Europa centrale al nord-est europeo, riflettendo una redistribuzione delle anomalie di pressione al livello del mare (SLP) e dell’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500) associate al Modello Atlantico Orientale. Questo spostamento è coerente con la natura zonale del pattern EA, che agisce come un monopolo o un dipolo spostato a sud dell’Islanda, modificando la traiettoria del getto nord-atlantico e le correnti superficiali (Moore et al. 2013; Comas-Bru e McDermott 2014). Ad esempio, in Groenlandia, le anomalie di temperatura sono più marcate quando la fase di EADI è opposta a quella di NAODI (Figure 3b,c e 4b,c), suggerendo un’interferenza significativa di EADI nel contesto delle configurazioni NAO negative, spesso associate a condizioni di blocco atmosferico (Davini et al. 2012; Hanna et al. 2016). In particolare, durante NAODI2/EADI1 (Figura 3c), il riscaldamento della Groenlandia è più pronunciato, riflettendo un rafforzamento delle anomalie di alta pressione, mentre durante NAODI2/EADI2 (Figura 3d), questo effetto è attenuato o addirittura invertito, indicando un’interazione complessa tra i due pattern.

Inoltre, esistono aree geografiche in cui il ruolo aggiuntivo di uno dei due indici altera significativamente la risposta termica attesa dall’altro. Ad esempio, nell’Europa sud-occidentale, sotto NAODI1, si osserva un riscaldamento significativo quando EADI è in fase positiva (Figura 3a), ma non si registrano segnali termici rilevanti quando EADI è in fase negativa (Figura 3b). Questo comportamento è in accordo con studi precedenti che hanno identificato un’influenza del Modello Atlantico Orientale sulle temperature invernali iberiche (Sáenz et al. 2001; Toreti et al. 2010; Hernández et al. 2015; Sánchez-López et al. 2016), dimostrando come EADI possa modificare o amplificare gli effetti della NAO in regioni sensibili. Analogamente, il riscaldamento della Groenlandia, tipicamente associato a condizioni di blocco durante le fasi negative della NAO, è più evidente per EADI1 (Figura 3c), ma viene significativamente smorzato o invertito per EADI2 (Figura 3d), evidenziando un’interferenza dinamica tra i pattern atmosferici.

Anomalie di Precipitazione Superficiale

Le anomalie di precipitazione, rappresentate nei pannelli di destra della Figura 3 (e confrontate con la Figura 4), risultano complessivamente più sensibili allo stato concomitante di NAODI ed EADI rispetto alle anomalie di temperatura, sebbene le aree che mostrano risposte significative siano relativamente più limitate. Questa maggiore sensibilità riflette il ruolo cruciale della latitudine e della traiettoria del getto nord-atlantico nel controllare il trasporto di umidità verso l’Europa, un processo fortemente influenzato dalle interazioni tra NAO ed EA. Le risposte di precipitazione più diffuse si verificano negli inverni con fasi opposte di NAODI ed EADI (Figure 3f,g), poiché queste combinazioni sono associate alle anomalie più marcate nella latitudine del getto, come discusso in precedenza. Questi spostamenti meridionali o polari del getto alterano significativamente le traiettorie delle tempeste e i flussi di umidità, determinando variazioni nelle precipitazioni regionali.

Ad esempio, la combinazione NAODI2/EADI1 (Figura 3g) è l’unica a produrre incrementi significativi di precipitazione nella Penisola Iberica, una regione nota per le sue forti risposte alla NAO (Trigo et al. 2002). Questo risultato è sorprendente, poiché l’EA (rappresentato da EADI) può sopraffare gli effetti della NAO, persino in aree considerate canoniche per le impronte climatiche di quest’ultima. Tale fenomeno è spiegato dagli effetti opposti di NAODI ed EADI sulla latitudine del getto: durante NAODI2/EADI1, entrambi i pattern contribuiscono a uno spostamento verso sud del getto nord-atlantico, favorendo un aumento della turbolenza e della storminess nelle regioni meridionali d’Europa (Figura 3g). Gli incrementi di precipitazione sono particolarmente pronunciati nell’Europa sud-occidentale e si attenuano progressivamente verso est, in accordo con l’estensione delle anomalie di alta pressione verso l’Europa centrale e orientale, che riducono l’umidità trasportata in quelle aree.

Al contrario, la combinazione NAODI2/EADI2 (Figure 3d,h) è meno efficace nel spostare la latitudine del getto a causa degli effetti contrastanti di NAODI ed EADI, che si annullano parzialmente. Questo bilanciamento dinamico riduce l’ampiezza delle anomalie di precipitazione, riflettendo una minore perturbazione delle traiettorie delle tempeste e un’attenuazione dei flussi di umidità verso l’Europa meridionale. Questi risultati sottolineano la complessità delle interazioni tra NAO ed EA, evidenziando come EADI possa amplificare, attenuare o addirittura invertire gli effetti di NAODI, specialmente nelle regioni con risposte climatiche sensibili, come la Penisola Iberica e la Groenlandia.

Implicazioni Scientifiche e Metodologiche

Le anomalie climatiche superficiali osservate nelle partizioni NAODI/EADI forniscono nuove evidenze sulla dinamica delle interazioni tra NAO ed EA, dimostrando come questi pattern, combinati, influenzino in modo differenziato temperatura e precipitazioni in Europa. La maggiore sensibilità delle precipitazioni agli stati congiunti di NAODI ed EADI riflette l’importanza della latitudine del getto come mediatore delle traiettorie delle tempeste e del trasporto di umidità, un aspetto cruciale per la modellizzazione climatica e la previsione delle anomalie regionali. Inoltre, i risultati evidenziano la necessità di considerare le interazioni non lineari tra pattern atmosferici multipli per interpretare correttamente i proxy naturali e le serie climatiche storiche, superando approcci semplificati basati su un singolo pattern (ad esempio, solo NAO). Questi findings hanno implicazioni dirette per la validazione dei modelli climatici attuali e per la comprensione dei cambiamenti climatici futuri, soprattutto in regioni vulnerabili come il Mediterraneo e la Groenlandia, dove le anomalie climatiche possono avere impatti socio-economici significativi.

L’approccio metodologico adottato, basato sugli indici direzionali e sulla partizione dello spazio delle fasi, rappresenta un progresso nella climatologia storica, offrendo una base robusta per estendere le analisi oltre i limiti delle registrazioni strumentali moderne. Tuttavia, le discrepanze osservate, come la variabilità regionale nelle risposte climatiche, suggeriscono la necessità di ulteriori studi per raffinare la metodologia, potenzialmente integrando dati ad alta risoluzione spaziale e temporale o approcci statistici avanzati, come modelli stocastici o analisi multifrequenza.Nell’ambito dell’analisi delle dinamiche atmosferiche euro-atlantiche, emerge un quadro significativo relativo alle configurazioni di pressione e alle traiettorie delle tempeste associate alle interazioni tra l’Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali (NAODI) e il Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali (EADI), come ricostruite per il periodo 1901–2014 sulla base di osservazioni storiche e rianalisi moderne (ad esempio, ERA-20C; Poli et al. 2016). In particolare, nelle configurazioni caratterizzate da fasi negative di NAODI (NAODI2), come quelle illustrate nelle Figure 3d,h, si osservano anomalie di pressione positiva confinate alle medie latitudini dell’Atlantico orientale. Questa distribuzione spaziale delle anomalie, rappresentata dalla pressione al livello del mare (SLP) e dall’altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500), delimita un centro di alta pressione che ostacola l’ingresso delle traiettorie delle tempeste nel settore più occidentale dell’Europa meridionale, un’area nota per la sua sensibilità alle dinamiche NAO ed EA (Trigo et al. 2002; Moore et al. 2013). Questo blocco atmosferico impedisce il flusso di sistemi perturbati verso la Penisola Iberica e le regioni adiacenti, riducendo l’attività delle tempeste in queste aree e favorendo condizioni di siccità o precipitazioni ridotte, come evidenziato in studi precedenti (Sousa et al. 2011).

Il getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven”, in questa configurazione, risulta più debole e caratterizzato da un’ondulazione accentuata, come descritto da Woollings et al. (2010). Tale ondulazione permette alle traiettorie delle tempeste di essere deviate verso nord o sud del centro di alta pressione, generando pattern di circolazione alternativi che non sono esplicitamente mostrati nei compositi, ma che possono essere dedotti dalla dinamica del getto e dalla distribuzione delle anomalie di pressione. Questa redistribuzione delle traiettorie delle tempeste lascia un corridoio di bassa pressione che si estende attraverso il nord Africa verso il Mediterraneo orientale, una dinamica atmosferica che è stata associata in letteratura a variazioni nel getto africano, un flusso d’aria che influenza la circolazione tropicale e subtropicale (Gaetani et al. 2011). Tale configurazione contribuisce a creare condizioni di instabilità o precipitazioni anomale nel Mediterraneo orientale, ampliando l’impatto regionale delle interazioni NAO-EA.

Questi risultati suggeriscono che le risposte di precipitazione nel Mediterraneo osservate nelle composizioni NAODI2 derivano dalla combinazione di inverni con segnali di precipitazione più marcati nel Mediterraneo occidentale o orientale, influenzati dal ruolo aggiuntivo del Modello Atlantico Orientale (EA, rappresentato da EADI). In particolare, la presenza di EADI in fase opposta a NAODI amplifica o modifica le anomalie di precipitazione, riflettendo la capacità dell’EA di modulare la posizione e l’intensità del getto nord-atlantico. Un comportamento analogo si osserva nelle fasi positive di NAODI (Figure 3e,f), dove le anomalie di precipitazione seguono pattern simili, ma con un’influenza opposta dell’EA. Di conseguenza, sotto fasi attive di EADI, la firma canonica di precipitazione attribuita alla NAO nell’Europa sud-occidentale, tipicamente caratterizzata da deficit di precipitazione durante le fasi negative di NAO (Trigo et al. 2002), si manifesta solo quando EADI è in fase opposta (ad esempio, NAODI2/EADI1). Se EADI è in fase con NAODI (ad esempio, NAODI2/EADI2), il segnale di precipitazione si sposta verso est, portando a risposte più deboli o assenti nell’Europa sud-occidentale, come evidenziato anche nella Figura 4.

Questo spostamento ovest-est del segnale canonico della NAO, indotto dall’interferenza del Modello Atlantico Orientale, ha implicazioni profonde per la variabilità climatica regionale e offre una spiegazione plausibile per l’anticorrelazione nella gravità della siccità riportata tra il Mediterraneo occidentale (ad esempio, la Penisola Iberica) e orientale (ad esempio, la Turchia) nel ventesimo secolo (Sousa et al. 2011). Durante le configurazioni con NAODI negativa e EADI positiva, come NAODI2/EADI1, si osserva un rafforzamento delle precipitazioni nell’Europa sud-occidentale, dovuto a uno spostamento verso sud del getto e a un aumento della storminess, mentre le condizioni di alta pressione si estendono verso est, riducendo le precipitazioni nel Mediterraneo orientale. Al contrario, nelle configurazioni con NAODI ed EADI in fase (ad esempio, NAODI2/EADI2), gli effetti contrastanti sulla latitudine del getto limitano gli spostamenti significativi delle traiettorie delle tempeste, risultando in risposte climatiche meno marcate.

Questi risultati sottolineano la complessità delle interazioni tra NAO ed EA, dimostrando come EADI possa amplificare, attenuare o invertire gli effetti di NAODI, specialmente nelle regioni climaticamente sensibili come il Mediterraneo. La capacità di NAODI ed EADI, derivati da osservazioni storiche di direzione del vento, di catturare queste dinamiche su un periodo esteso (1901–2014) rappresenta un progresso metodologico nella climatologia storica, con applicazioni dirette per la validazione dei modelli climatici e la comprensione delle variabilità passate e future. Tuttavia, le discrepanze regionali osservate, come la variabilità nelle risposte di precipitazione, suggeriscono la necessità di ulteriori ricerche per affinare le ricostruzioni, potenzialmente integrando dataset ad alta risoluzione spaziale e temporale o approcci statistici avanzati, come l’analisi multifrequenza o la modellizzazione numerica dettagliata.

Questa analisi contribuisce a una comprensione più olistica delle dinamiche atmosferiche euro-atlantiche, evidenziando l’importanza di considerare le interazioni non lineari tra pattern climatici multipli per interpretare correttamente le anomalie climatiche regionali e i loro impatti socio-economici, specialmente in un contesto di cambiamento climatico globale.

Analisi Dettagliata e Interpretazione Scientifica della Figura 3: Compositi Invernali delle Anomalie Climatiche Superficiali e Atmosferiche per le Combinazioni di NAODI ed EADI

La Figura 3, riportata nello studio di Mellado-Cano et al. (2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), rappresenta un elemento cardine per l’analisi delle interazioni tra l’Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali (NAODI) e il Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali (EADI) e dei loro effetti congiunti sul clima euro-atlantico durante gli inverni [dicembre–febbraio (DJF)] nel periodo 1901–2010. Questa figura illustra i compositi delle anomalie climatiche superficiali e atmosferiche per quattro combinazioni distinte di NAODI ed EADI, con valori assoluti superiori a 0,5 deviazioni standard (SD), offrendo una rappresentazione quantitativa e spaziale delle variazioni di temperatura, precipitazione, pressione al livello del mare (SLP), altezza geopotenziale a 500 hPa (Z500) e parametri del getto nord-atlantico. Analizziamo in dettaglio i suoi componenti, il significato scientifico e le implicazioni metodologiche.

Contesto Metodologico e Dataset

NAODI ed EADI sono stati derivati attraverso un’analisi di decomposizione ai valori singolari (SVD, dall’inglese Singular Value Decomposition; Wilks 2011) applicata alle serie temporali invernali degli indici direzionali (DIs) per il periodo 1685–2014, basati su osservazioni storiche della direzione del vento nel Canale della Manica (Mellado-Cano et al. 2018, 2019). I DIs quantificano la persistenza del vento (in percentuale di giorni mensili) lungo le quattro direzioni cardinali principali (settentrionale, meridionale, orientale, occidentale), fornendo una rappresentazione diretta della variabilità atmosferica pre-strumentale. NAODI, associato al primo vettore singolare (SVD1), riflette il pattern dipolare meridionale della NAO, mentre EADI, associato al secondo vettore singolare (SVD2), rappresenta il pattern quasi zonale del Modello Atlantico Orientale (EA). L’analisi dei compositi è stata limitata al periodo 1901–2010 per garantire la compatibilità con i dataset delle rianalisi moderne, come ERA-20C (Poli et al. 2016), e con i dataset osservativi di temperatura vicino alla superficie (CRU TS3, Harris et al. 2014) e precipitazione totale mensile (Global Precipitation Climatology Centre, GPCC, Schamm et al. 2014). La soglia di 0,5 SD per NAODI ed EADI assicura l’inclusione solo di inverni con segnali climatici marcati, riducendo il rumore statistico e migliorando la significatività dei risultati (Wilks 2011).

La figura è strutturata in otto pannelli, organizzati in due righe (temperatura/Z500 e precipitazione/SLP) e quattro colonne, corrispondenti alle seguenti combinazioni:

  • (a) e (e): NAODI1/EADI1 (fasi positive di entrambi gli indici).
  • (b) e (f): NAODI1/EADI2 (fase positiva di NAODI, fase negativa di EADI).
  • (c) e (g): NAODI2/EADI1 (fase negativa di NAODI, fase positiva di EADI).
  • (d) e (h): NAODI2/EADI2 (fasi negative di entrambi gli indici).

Le anomalie sono calcolate rispetto al periodo di riferimento 1901–2010, e solo quelle significativamente diverse (p < 0,05) dalla climatologia sono mostrate, determinate tramite un test bootstrap con 5000 iterazioni. Nel canto in basso a sinistra di ciascun pannello è indicato il numero di casi (inverni) inclusi in ciascun composito, garantendo una rappresentatività statistica adeguata. La figura include inoltre simboli grafici (frecce rosse orizzontali e linee viola verticali) che sintetizzano le anomalie della velocità (jet speed) e della latitudine (jet latitude) del getto nord-atlantico, calcolate secondo la metodologia di Woollings et al. (2010) e basate sui dati di vento zonale della rianalisi ERA-20C.

Pannelli (a)–(d): Anomalie di Temperatura Vicino alla Superficie e Altezza Geopotenziale a 500 hPa (Z500)

Questi pannelli mostrano le anomalie di temperatura vicino alla superficie (in °C, ombreggiature) e di Z500 (in decametri, dam, contorni), riflettendo la dinamica atmosferica a media troposfera e le sue implicazioni termiche sul clima euro-atlantico:

  • NAODI1/EADI1 (Pannello a): Con fasi positive di entrambi gli indici, si osservano anomalie di temperatura positive (ombreggiature rosse, ad esempio >0°C) nella maggior parte dell’Europa continentale, in particolare nel centro e nel nord, coerenti con le fasi positive della NAO, che rafforzano il gradiente di pressione tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese, favorendo l’afflusso di masse d’aria calde e umide da ovest (Trigo et al. 2002). I contorni di Z500 mostrano un’alta geopotenziale positiva sopra l’Atlantico orientale e una bassa negativa sopra l’Islanda, indicando un getto nord-atlantico più forte e lineare. La freccia rossa orizzontale verso est e la linea viola verticale verso l’alto indicano un rafforzamento e uno spostamento polare del getto, rispettivamente, riflettendo una configurazione atmosferica stabile e dominante.
  • NAODI1/EADI2 (Pannello b): Con una fase positiva di NAODI e una fase negativa di EADI, le anomalie di temperatura rimangono positive in Europa centrale, ma si spostano verso il nord-est europeo, riflettendo l’influenza modulatrice di EADI negativo, che indebolisce il gradiente zonale e sposta il getto verso latitudini più meridionali (linea viola verso il basso). I contorni di Z500 mostrano un pattern simile, ma con anomalie meno marcate nell’Atlantico orientale, indicando un’ondulazione maggiore del getto.
  • NAODI2/EADI1 (Pannello c): Con una fase negativa di NAODI e una fase positiva di EADI, si osservano anomalie di temperatura negative (ombreggiature blu, ad esempio <-0°C) in Europa centrale e settentrionale, tipiche delle fasi negative della NAO, caratterizzate da un indebolimento del gradiente di pressione e da masse d’aria fredde da nord-est (Cornes et al. 2013). L’EADI positivo sposta il getto verso il polo (linea viola verso l’alto), amplificando le anomalie termiche in Groenlandia, dove si osservano riscaldamenti significativi associati a condizioni di blocco (Davini et al. 2012; Hanna et al. 2016). I contorni di Z500 mostrano una bassa geopotenziale sopra l’Europa e un’alta sopra l’Atlantico orientale.
  • NAODI2/EADI2 (Pannello d): Con fasi negative di entrambi gli indici, le anomalie di temperatura sono negative in gran parte dell’Europa, ma meno marcate rispetto a NAODI2/EADI1, a causa degli effetti contrastanti di EADI negativo, che sposta il getto verso l’equatore (linea viola verso il basso) e indebolisce il gradiente. I contorni di Z500 mostrano un pattern meno definito, con anomalie più deboli e un getto meno lineare (freccia rossa verso ovest).

Le anomalie di temperatura e Z500 sono significativamente diverse (p < 0,05) dalla climatologia, come determinato dal test bootstrap con 5000 iterazioni, garantendo la robustezza statistica dei risultati. Il numero di casi in ciascun pannello, indicato in basso a sinistra, varia da circa 10 a 20 inverni, a seconda della combinazione, ed è sufficiente per una rappresentatività statistica adeguata.

Pannelli (e)–(h): Anomalie di Precipitazione e Pressione al Livello del Mare (SLP)

Questi pannelli mostrano le anomalie di precipitazione (in percentuale rispetto alle medie climatologiche, ombreggiature) e di SLP (in hPa, contorni), riflettendo la dinamica atmosferica superficiale, il trasporto di umidità e le traiettorie delle tempeste:

  • NAODI1/EADI1 (Pannello e): Con fasi positive di entrambi gli indici, si osservano deficit di precipitazione (ombreggiature negative, ad esempio <-10%) nell’Europa meridionale, come la Penisola Iberica, e aumenti nel nord Europa, tipici delle fasi positive della NAO, che spostano le traiettorie delle tempeste verso nord (Trigo et al. 2002). I contorni di SLP mostrano un’alta pressione sopra l’Atlantico orientale e una bassa sopra l’Islanda, con un getto rafforzato (freccia rossa verso est) e spostato verso il polo (linea viola verso l’alto).
  • NAODI1/EADI2 (Pannello f): Con una fase positiva di NAODI e una fase negativa di EADI, le anomalie di precipitazione sono meno marcate, con un spostamento verso est dei deficit, riflettendo l’influenza di EADI negativo che sposta il getto verso l’equatore (linea viola verso il basso) e altera le traiettorie delle tempeste. I contorni di SLP mostrano un pattern meno definito, con un indebolimento del gradiente zonale.
  • NAODI2/EADI1 (Pannello g): Con una fase negativa di NAODI e una fase positiva di EADI, si osservano aumenti significativi di precipitazione (ombreggiature positive, ad esempio >10%) nella Penisola Iberica, nonostante la fase negativa di NAODI, grazie allo spostamento equatoriale del getto (linea viola verso il basso) indotto da EADI positivo, che favorisce la storminess nel sud Europa (Comas-Bru e McDermott 2014). I contorni di SLP mostrano un’alta pressione spostata verso est e una bassa sopra l’Europa settentrionale, con un getto più debole (freccia rossa verso ovest).
  • NAODI2/EADI2 (Pannello h): Con fasi negative di entrambi gli indici, le anomalie di precipitazione sono deboli, riflettendo gli effetti contrastanti di NAODI ed EADI sulla latitudine del getto, che limitano gli spostamenti significativi delle traiettorie delle tempeste. I contorni di SLP mostrano un pattern meno marcato, con un getto più debole (freccia rossa verso ovest) e spostato verso l’equatore (linea viola verso il basso).

Le anomalie di precipitazione e SLP sono significativamente diverse (p < 0,05) dalla climatologia, come determinato dal test bootstrap, garantendo la significatività statistica. Il numero di casi varia, ma è adeguato per rappresentare le dinamiche climatiche.

Simboli Grafici del Getto Nord-Atlantico

Le frecce rosse orizzontali e le linee viola verticali sintetizzano le anomalie della velocità (jet speed) e della latitudine (jet latitude) del getto nord-atlantico, calcolate utilizzando i dati di vento zonale della rianalisi ERA-20C (1901–2010) secondo la metodologia di Woollings et al. (2010). Le frecce verso est indicano un rafforzamento del getto, mentre quelle verso ovest un indebolimento; le linee verso l’alto indicano uno spostamento polare, e quelle verso il basso uno spostamento equatoriale. La lunghezza di frecce e linee è proporzionale all’ampiezza dell’anomalia, offrendo una rappresentazione visiva della dinamica del getto in ciascuna combinazione. Ad esempio, nelle configurazioni con fasi opposte (NAODI1/EADI2, NAODI2/EADI1), si osservano spostamenti più marcati della latitudine del getto, riflettendo le interazioni non lineari tra NAO ed EA.

Significato Scientifico e Implicazioni

La Figura 3 evidenzia come NAODI ed EADI, combinati, influenzino temperature, precipitazioni e circolazione atmosferica nel settore euro-atlantico. NAODI domina le anomalie di temperatura, con fasi positive che portano riscaldamento in Europa centrale e fasi negative che causano raffreddamento, mentre EADI modula la distribuzione spaziale, specialmente in regioni come il nord-est europeo e la Groenlandia. Le precipitazioni sono più sensibili alle interazioni tra NAODI ed EADI, con risposte significative negli inverni con fasi opposte (ad esempio, NAODI2/EADI1), dove lo spostamento del getto verso sud favorisce precipitazioni aumentate nel Mediterraneo occidentale, superando gli effetti canonici della NAO (Trigo et al. 2002; Comas-Bru e McDermott 2014).

I risultati sono coerenti con studi precedenti, ma rivelano nuove insights sull’interferenza dell’EA con la NAO, specialmente nelle precipitazioni. La soglia di 0,5 SD e il test bootstrap garantiscono la significatività statistica, mentre i simboli del getto forniscono un quadro dinamico della circolazione, mostrando come NAODI ed EADI influenzino velocità e latitudine del getto in modo complementare o contrastante.

Limiti e Prospettive Future

La figura rappresenta un progresso metodologico, ma il periodo 1901–2010 limita l’analisi storica, e la regionalità dei DIs potrebbe non rappresentare pienamente aree remote. Ulteriori studi potrebbero estendere l’analisi a periodi pre-strumentali o integrare proxy climatici per migliorare la robustezza.

Analisi Dettagliata e Interpretazione Scientifica della Figura 4: Serie Temporali Standardizzate Invernali degli Indici Tradizionali NAO di Jones et al. (1997) e EA di Comas-Bru e Hernández (2018)

La Figura 4, riportata nello studio di Mellado-Cano et al. (2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), rappresenta un elemento cruciale per la validazione e il confronto della variabilità storica dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO) e del Modello Atlantico Orientale (EA) derivata da indici tradizionali con i pattern osservati negli indici derivati NAODI (Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali) ed EADI (Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali), come illustrati nella Figura 2. Questa figura presenta le serie temporali invernali standardizzate [dicembre–febbraio (DJF)] degli indici NAO di Jones et al. (1997) e EA di Comas-Bru e Hernández (2018), offrendo una rappresentazione quantitativa delle anomalie climatiche associate ai principali pattern di variabilità atmosferica nel settore euro-atlantico. Analizziamo in dettaglio i suoi componenti, il significato scientifico e le implicazioni metodologiche.

Contesto Metodologico e Dataset

Gli indici tradizionali utilizzati nella Figura 4 si basano su approcci osservativi e rianalisi moderne, coprendo periodi storici più brevi rispetto alle serie NAODI ed EADI, che si estendono dal 1685 al 2014. L’indice NAO di Jones et al. (1997) è derivato dalla differenza tra le anomalie di pressione al livello del mare (SLP) osservate a Ponta Delgada (Azzorre, 37,7°N, 25,7°W) e Akureyri (Islanda, 65,7°N, 18,1°W), basandosi su registrazioni storiche di stazioni meteorologiche. Questo indice copre il periodo 1824–2014 e rappresenta il pattern dipolare meridionale della NAO, caratterizzato da un gradiente nord-sud di pressione tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese, con fasi positive associate a inverni più caldi e umidi nell’Europa centrale e settentrionale e deficit di precipitazioni nell’Europa meridionale, e fasi negative associate a condizioni opposte (Trigo et al. 2002; Cornes et al. 2013). L’indice è stato standardizzato (espresso in deviazioni standard, SD) per consentire un confronto diretto con NAODI, mostrando una correlazione significativa di 0,74 con il primo vettore singolare (SVD1) degli indici direzionali (DIs), come riportato nella Tabella 1.

L’indice EA di Comas-Bru e Hernández (2018) è un composto di due serie storiche (Bergen, Norvegia, e Valencia, Spagna) e cinque rianalisi, costruito da dati SLP per rappresentare il pattern quasi zonale o il monopolo del Modello Atlantico Orientale, coprendo il periodo 1852–2014. Questo indice modula la latitudine e l’inclinazione del getto nord-atlantico, influenzando le precipitazioni nel Mediterraneo occidentale, le temperature in Groenlandia e la storminess nell’Europa nord-occidentale (Moore et al. 2013; Comas-Bru e McDermott 2014). È stato anch’esso standardizzato e correlato con il secondo vettore singolare (SVD2) degli DIs, mostrando una correlazione significativa di 0,70 (Tabella 1). La descrizione “As in Fig. 2, but for…” implica che la struttura grafica, i metodi di rappresentazione e i simboli siano identici a quelli della Figura 2, adattati agli indici tradizionali di Jones et al. (1997) ed Comas-Bru e Hernández (2018).

La figura è composta da due pannelli:

  • Pannello (a): Serie temporale standardizzata dell’indice NAO di Jones et al. (1997).
  • Pannello (b): Serie temporale standardizzata dell’indice EA di Comas-Bru e Hernández (2018).

Entrambe le serie sono rappresentate da una linea nera che indica le deviazioni standard annuali invernali rispetto alla media del periodo di riferimento (non specificato esplicitamente, ma presumibilmente adattato al periodo coperto dagli indici, ad esempio 1824–2014 per NAO o 1852–2014 per EA, o ristretto al 1901–2014 per compatibilità con i dataset moderni), una linea grigia che rappresenta la media mobile a 7 anni per filtrare la variabilità interannuale e mettere in evidenza le tendenze a basse frequenze (pluridecennali), e ombreggiature rosse (blu) che indicano i periodi in cui i valori sono rispettivamente sopra (sotto) la media del periodo di riferimento. Ombreggiature grigie verticali, se presenti, identificano i periodi con dati mancanti, un aspetto tipico delle serie storiche basate su osservazioni pre-strumentali o strumentali incomplete.

Pannello (a): Serie Temporale Standardizzata dell’Indice NAO di Jones et al. (1997)

Il pannello (a) illustra la variabilità storica dell’indice NAO di Jones et al. (1997) per il periodo 1824–2014 (o un sottoinsieme compatibile, come 1901–2014, per allinearsi con i dataset della Figura 2). La linea nera rappresenta le deviazioni standard annuali invernali rispetto alla media del periodo di riferimento, mentre la linea grigia mostra la media mobile a 7 anni, utile per identificare le tendenze pluridecennali e filtrare la variabilità a breve termine. Le ombreggiature rosse indicano i periodi con valori di NAO superiori alla media (fasi positive), associati a un rafforzamento del gradiente di pressione nord-sud tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese, che favorisce un getto nord-atlantico più forte e lineare, portando a condizioni climatiche più calde e umide nell’Europa centrale e settentrionale e a deficit di precipitazioni nell’Europa meridionale (Trigo et al. 2002; Cornes et al. 2013). Le ombreggiature blu indicano periodi con valori inferiori alla media (fasi negative), correlati a un indebolimento del gradiente, condizioni fredde e secche nel nord Europa e aumenti di precipitazioni nel sud (Visbeck et al. 2001; Slonosky e Yiou 2001).

Questa serie cattura i periodi anomali più significativi della NAO, come:

  • Fasi positive dominanti: Durante i periodi 1900–1930 e 1970–2000, l’indice mostra valori persistentemente positivi (ombreggiature rosse), in accordo con Jones et al. (1997), Visbeck et al. (2001), Luterbacher et al. (2001), Trouet et al. (2009) e Cornes et al. (2013). Queste fasi riflettono configurazioni atmosferiche stabili, con un getto nord-atlantico rafforzato che trasporta masse d’aria calde e umide verso l’Europa centrale e settentrionale.
  • Fasi negative persistenti: Si osservano valori negativi significativi (ombreggiature blu) tra il 1820 e il 1845 (limitato dal periodo di copertura) e negli anni ’60, corrispondenti a inverni freddi e secche in Europa, tipiche della Piccola Era Glaciale e di altre anomalie climatiche storiche (Lamb 1977; Slonosky e Yiou 2001). Valori estremamente negativi possono essere associati a inverni freddi noti, come il 1916/17 e il 1962/63 (Cornes et al. 2013; Greatbatch et al. 2015), riflettendo configurazioni negative della NAO con un getto più ondulato e masse d’aria fredde da nord-est.

La media mobile a 7 anni evidenzia una variabilità a basse frequenze, con una prevalenza delle fasi negative nel XIX secolo, coerente con i pattern osservati in NAODI nella Figura 2 e con le dinamiche climatiche della Piccola Era Glaciale (Luterbacher et al. 2004; Ortega et al. 2015). Le ombreggiature grigie, se presenti, indicano lacune nei dati, ma l’indice di Jones et al. (1997) è noto per la sua continuità relativa rispetto ad altre serie storiche, grazie alle registrazioni stazionarie.

Pannello (b): Serie Temporale Standardizzata dell’Indice EA di Comas-Bru e Hernández (2018)

Il pannello (b) illustra la variabilità storica dell’indice EA di Comas-Bru e Hernández (2018) per il periodo 1852–2014 (o un sottoinsieme compatibile, come 1901–2014). La struttura grafica è identica al pannello (a), con una linea nera per le deviazioni standard annuali invernali, una linea grigia per la media mobile a 7 anni, ombreggiature rosse (sopra la media) e blu (sotto la media), e ombreggiature grigie per i dati mancanti, se applicabile. EADI rappresenta il pattern quasi zonale o il monopolo dell’EA, caratterizzato da un centro di alta pressione nelle medie latitudini dell’Atlantico orientale o da un dipolo spostato a sud dell’Islanda e a ovest dell’Irlanda, influenzando la latitudine e l’inclinazione del getto nord-atlantico (Moore et al. 2013; Comas-Bru e McDermott 2014).

Questa serie cattura i pattern climatici dell’EA, come:

  • Fasi positive dominanti: Alla fine del XIX secolo, l’indice mostra valori positivi persistenti (ombreggiature rosse), seguiti da un’inversione verso fasi negative all’inizio del XX secolo, in accordo con Comas-Bru e Hernández (2018). Queste fasi sono associate a uno spostamento polare del getto, influenzando le precipitazioni nel Mediterraneo occidentale, i riscaldamenti in Groenlandia e la storminess nell’Europa nord-occidentale.
  • Fasi negative ricorrenti: Si osservano valori negativi significativi negli anni ’50, coerenti con l’indice EA del Climate Prediction Center (CPC), e un inverno estremo nel 2004/05, riflettendo anomalie climatiche legate a configurazioni negative dell’EA, con uno spostamento equatoriale del getto e riduzioni di precipitazioni in alcune regioni (Moore e Renfrew 2012).
  • Variabilità a basse frequenze: La media mobile a 7 anni evidenzia una fase negativa dominante durante il periodo 1750–1950 (se estesa, simile a EADI nella Figura 2), con fasi positive prevalenti prima del 1852 (limitato dal periodo di copertura) e dopo il 1950, suggerendo transizioni climatiche storiche coerenti con le dinamiche euro-atlantiche documentate da proxy climatici e rianalisi (Ortega et al. 2015; Sjolte et al. 2018).

Le ombreggiature grigie, se presenti, indicano lacune nei data, ma l’indice di Comas-Bru e Hernández (2018) è noto per la sua robustezza storica, basata su un ensemble di rianalisi e serie storiche (Bergen e Valencia), riducendo i gap rispetto ad altre serie.

Significato Scientifico e Implicazioni

La Figura 4 serve come benchmark per confrontare la variabilità storica della NAO ed EA derivata da indici tradizionali con quella di NAODI ed EADI (Figura 2), validando la coerenza metodologica degli indici direzionali. I pattern osservati (fasi positive/negative, tendenze pluridecennali) sono simili a quelli di NAODI ed EADI, come confermato dalle correlazioni statistiche nella Tabella 1 (r = 0,74 per NAO di Jones et al. 1997 con SVD1, e r = 0,70 per EA di Comas-Bru e Hernández 2018 con SVD2). Tuttavia, i periodi coperti dagli indici tradizionali sono più brevi: l’indice NAO di Jones et al. (1997) parte dal 1824, e l’indice EA di Comas-Bru e Hernández (2018) dal 1852, rispetto al 1685–2014 di NAODI ed EADI, evidenziando il vantaggio degli indici direzionali nel fornire ricostruzioni più lunghe e continuative, basate su osservazioni dirette di direzione del vento.

Le ombreggiature rosse e blu, combinate con la media mobile a 7 anni, permettono di identificare visivamente le anomalie climatiche interannuali e le tendenze a basse frequenze, essenziali per analizzare le dinamiche climatiche associate alla Piccola Era Glaciale (1750–1850), al riscaldamento moderno (post-1950) e alle transizioni atmosferiche storiche. Le lacune nei dati, se presenti, riflettono le sfide delle serie storiche pre-strumentali o strumentali incomplete, ma non compromettono la validità complessiva, come dimostrato dalle correlazioni con i DIs e dalla coerenza con le rianalisi moderne (ad esempio, ERA-20C; Poli et al. 2016). La capacità degli indici tradizionali di catturare eventi climatici estremi, come gli inverni freddi del 1916/17 e 1962/63 (NAO) o l’inverno del 2004/05 (EA), sottolinea la loro utilità come strumenti di riferimento, ma la loro copertura temporale più limitata rispetto ai DIs evidenzia il valore aggiunto degli indici direzionali per studi storici.

Limiti e Prospettive Future

Sebbene la Figura 4 rappresenti un progresso nella validazione degli indici direzionali, alcuni limiti devono essere considerati. I periodi più brevi degli indici di Jones et al. (1997) ed Comas-Bru e Hernández (2018) limitano l’analisi delle dinamiche climatiche pre-1850/1824, rendendo impossibile un confronto diretto con NAODI ed EADI per l’intero periodo 1685–2014. La regionalità degli indici tradizionali, basata su stazioni specifiche (NAO) o ensemble di rianalisi (EA), potrebbe introdurre bias spaziali rispetto ai DIs, concentrati nel Canale della Manica. Inoltre, le discrepanze tra indici tradizionali e DIs potrebbero derivare da differenze metodologiche (ad esempio, SLP vs. direzione del vento) o da variazioni nei segnali climatici regionali. Ulteriori studi potrebbero integrare proxy climatici (ad esempio, anelli degli alberi, carote di ghiaccio; Cook et al. 1998; Sjolte et al. 2018) o rianalisi ad alta risoluzione spaziale e temporale (ad esempio, ERA5) per migliorare la completezza e la precisione delle ricostruzioni, riducendo le incertezze associate alle serie storiche e ampliando il periodo di confronto.

In conclusione, la Figura 4 illustra la variabilità storica degli indici tradizionali NAO di Jones et al. (1997) ed EA di Comas-Bru e Hernández (2018), offrendo un benchmark robusto per validare NAODI ed EADI e analizzare la dinamica atmosferica euro-atlantica su scale plurisecolari. Questi risultati sono essenziali per comprendere le interazioni tra NAO ed EA, validare i modelli climatici e interpretare le anomalie climatiche passate, con applicazioni dirette per le proiezioni di cambiamento climatico futuro e la gestione delle risorse idriche e agricole in Europa.

Analisi Dettagliata e Interpretazione Scientifica della Tabella 2: Modello di Regressione Passo-Passo per le Anomalie della Velocità e della Latitudine del Getto Nord-Atlantico Basato su NAODI ed EADI

La Tabella 2, inclusa nello studio di Mellado-Cano et al. (2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), presenta un’analisi dettagliata di un modello di regressione passo-passo utilizzato per esplorare le relazioni tra gli indici NAODI (Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali) ed EADI (Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali) e le anomalie della velocità e della latitudine del getto nord-atlantico nel settore euro-atlantico. Questo approccio metodologico mira a comprendere come i principali pattern di variabilità atmosferica, ricostruiti attraverso osservazioni storiche della direzione del vento nel Canale della Manica, influenzino la dinamica del getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven” su scale temporali moderne e storiche. Analizziamo in dettaglio i risultati, il loro significato scientifico e le implicazioni per la climatologia euro-atlantica.

Contesto Metodologico e Obiettivo dello Studio

Gli indici NAODI ed EADI sono stati derivati da un’analisi statistica avanzata applicata alle serie temporali invernali degli indici direzionali (DIs), che coprono un periodo esteso dal 1685 al 2014 e si basano su osservazioni storiche della direzione del vento raccolte principalmente dai diari di bordo delle navi nel Canale della Manica (Mellado-Cano et al. 2018, 2019). Questi indici rappresentano rispettivamente il pattern dipolare meridionale dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO) e il pattern quasi zonale del Modello Atlantico Orientale (EA), consentendo di ricostruire la variabilità atmosferica su scale plurisecolari. La Tabella 2 si concentra su un modello di regressione passo-passo, un approccio che seleziona progressivamente i predittori più significativi (in questo caso, NAODI ed EADI) per spiegare le variazioni della velocità e della latitudine del getto nord-atlantico, un flusso d’aria critico che regola la circolazione atmosferica euro-atlantica e influenza i regimi climatici regionali.

Il modello è stato calibrato utilizzando i dati del periodo 1945–2010, un intervallo temporale sufficientemente lungo e rappresentativo per identificare le relazioni tra i predittori e le variabili dipendenti, e successivamente validato su un periodo indipendente, dal 1901 al 1944, per verificare la robustezza delle predizioni su un intervallo temporale precedente. Questo approccio consente di valutare non solo la capacità predittiva del modello, ma anche la sua generalizzabilità nel tempo, offrendo una base solida per analizzare la dinamica atmosferica storica e moderna.

Risultati del Modello di Regressione

L’analisi si concentra su due aspetti fondamentali del getto nord-atlantico: la sua velocità, che misura l’intensità del flusso d’aria, e la sua latitudine, che indica la posizione geografica del getto (settentrionale, centrale o meridionale). Per ciascuna di queste variabili, il modello valuta il contributo individuale di NAODI e EADI, così come il loro effetto combinato, misurando la forza delle relazioni attraverso indicatori statistici che riflettono la qualità della predizione.

Per la velocità del getto, il modello dimostra che NAODI è il predittore principale, mostrando una relazione molto forte con le variazioni della velocità. Questo suggerisce che le fasi positive di NAODI, associate a un gradiente di pressione più intenso tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese, sono strettamente legate a un rafforzamento del getto nord-atlantico, favorendo un flusso d’aria più rapido e lineare. EADI, invece, contribuisce in misura minore, ma in modo significativo, indicando che il Modello Atlantico Orientale modula l’intensità del getto, probabilmente attraverso variazioni nell’inclinazione o nella posizione dei centri di pressione. Quando entrambi gli indici sono combinati, la capacità del modello di spiegare le variazioni della velocità migliora leggermente, confermando che NAODI ed EADI insieme offrono una rappresentazione più completa della dinamica del getto.

Per la latitudine del getto, il modello rivela una relazione più complessa. NAODI mostra un’associazione moderata, indicando che le sue fasi positive sono legate a uno spostamento del getto verso latitudini più settentrionali, un effetto tipico del pattern NAO che spinge il getto verso il polo. Al contrario, EADI presenta un’associazione opposta, con le sue fasi positive associate a uno spostamento del getto verso latitudini più meridionali, riflettendo il ruolo complementare o contrastante del Modello Atlantico Orientale. La combinazione di entrambi gli indici migliora la capacità del modello di predire la latitudine, ma con una performance complessivamente meno robusta rispetto alla velocità, suggerendo una maggiore complessità e variabilità nelle dinamiche che determinano la posizione geografica del getto.

Durante il periodo di calibrazione (1945–2010), il modello dimostra una capacità predittiva eccellente per la velocità del getto, con una relazione forte tra i predittori e la variabile dipendente, e indicatori statistici che confermano una bassa deviazione media rispetto ai dati osservati. Per la latitudine, la capacità predittiva è moderata, con una deviazione media leggermente più alta, riflettendo la maggiore incertezza associata alle interazioni tra NAO ed EA nella modulazione della posizione del getto. Nel periodo di validazione (1901–1944), il modello mantiene una performance simile, con una capacità predittiva stabile per entrambe le variabili, dimostrando che le relazioni identificate sono robuste e generalizzabili nel tempo, anche su un intervallo temporale indipendente.

Significato Scientifico e Implicazioni

I risultati della Tabella 2 hanno implicazioni significative per la comprensione della dinamica atmosferica euro-atlantica e della variabilità climatica regionale. La predominanza di NAODI nel predire la velocità del getto evidenzia il ruolo centrale dell’Oscillazione Nord Atlantica nel modulare l’intensità del flusso d’aria nel Nord Atlantico, un fenomeno ben documentato in letteratura (Woollings et al. 2010; Zappa e Shepherd 2017). Le fasi positive della NAO, associate a un gradiente di pressione più forte, rafforzano il getto, favorendo condizioni climatiche più stabili e lineari, mentre le fasi negative lo indeboliscono, portando a un getto più ondulato e a maggiori variazioni regionali. L’influenza aggiuntiva di EADI sulla velocità, sebbene meno marcata, suggerisce che il Modello Atlantico Orientale contribuisce a raffinare questa dinamica, modulando l’inclinazione e l’orientamento del getto, con effetti sulle traiettorie delle tempeste e sulle anomalie climatiche superficiali.

Per la latitudine del getto, l’effetto opposto di NAODI ed EADI riflette le interazioni non lineari tra NAO ed EA, un aspetto cruciale per comprendere la posizione geografica del getto e le sue implicazioni climatiche. Le fasi positive di NAODI spingono il getto verso latitudini più settentrionali, favorendo condizioni climatiche più fredde e secche nel sud Europa e più umide nel nord, mentre le fasi positive di EADI lo spostano verso latitudini più meridionali, influenzando le precipitazioni nel Mediterraneo occidentale e la storminess nell’Europa meridionale. La capacità del modello di combinare questi effetti opposti dimostra la complessità della circolazione atmosferica, ma anche la necessità di considerare entrambi i pattern per una previsione accurata, specialmente in regioni sensibili come il Mediterraneo e la Groenlandia.

La robustezza del modello, confermata dalla validazione su un periodo indipendente, sottolinea la validità degli indici direzionali come strumenti per ricostruire la dinamica del getto nord-atlantico su scale temporali estese. Questo approccio rappresenta un progresso metodologico nella climatologia storica, permettendo di estendere le analisi oltre i limiti delle serie strumentali moderne, che spesso coprono solo il XIX e XX secolo. I risultati hanno applicazioni dirette per la validazione dei modelli climatici, la comprensione delle anomalie climatiche passate e la previsione delle tendenze future, specialmente in un contesto di cambiamento climatico globale, dove la posizione e l’intensità del getto nord-atlantico sono soggette a notevoli incertezze (Peings et al. 2018).

Limiti e Prospettive Future

Sebbene i risultati della Tabella 2 siano promettenti, alcuni limiti devono essere considerati. Il periodo di calibrazione (1945–2010) e di validazione (1901–1944) copre solo una parte del periodo totale dei DIs (1685–2014), limitando l’analisi storica pre-strumentale, che potrebbe rivelare ulteriori insights sulle dinamiche climatiche naturali. La regionalità degli indici direzionali, concentrata nel Canale della Manica, potrebbe non catturare pienamente i pattern atmosferici su larga scala del getto in aree remote, come l’Islanda o le Azzorre, potenzialmente introducendo bias spaziali. Inoltre, le discrepanze tra NAODI/EADI e gli indici tradizionali (basati su pressione al livello del mare o geopotenziale) potrebbero derivare da differenze metodologiche, come la rappresentazione della componente ageostrofica del vento non catturata dagli indici basati su gradienti di pressione.

Per superare questi limiti, ulteriori studi potrebbero integrare altri dataset, come proxy climatici storici (ad esempio, anelli degli alberi, carote di ghiaccio) o rianalisi ad alta risoluzione spaziale e temporale (ad esempio, ERA5), per migliorare la completezza e la precisione delle ricostruzioni. Un’analisi estesa al periodo pre-1850/1824, coperto da NAODI ed EADI ma non dagli indici tradizionali, potrebbe fornire nuove prospettive sulle dinamiche atmosferiche durante la Piccola Era Glaciale e altre oscillazioni climatiche passate. Inoltre, l’integrazione di approcci statistici avanzati, come modelli stocastici o analisi multifrequenza, potrebbe raffinare la predizione delle anomalie del getto, riducendo le incertezze associate alle interazioni tra NAO ed EA.

In conclusione, la Tabella 2 illustra la robustezza e la validità del modello di regressione passo-passo basato su NAODI ed EADI per analizzare le anomalie della velocità e della latitudine del getto nord-atlantico, offrendo una base scientifica per comprendere la dinamica atmosferica euro-atlantica su scale temporali moderne e storiche. Questi risultati sono essenziali per validare i modelli climatici, interpretare le anomalie climatiche passate e supportare le proiezioni di cambiamento climatico futuro, con applicazioni dirette per la gestione delle risorse idriche, la pianificazione agricola e la mitigazione degli impatti climatici estremi in Europa.

c. Ricostruzione Storica e Analisi della Variabilità di NAO, EA e del Getto Nord-Atlantico dal 1685

Nella sezione precedente, abbiamo evidenziato come le diverse combinazioni di NAODI (Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali) ed EADI (Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali) abbiano implicazioni profonde sulla variabilità climatica euro-atlantica, esercitando un’influenza significativa sulla latitudine e sulla velocità del getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven”. Questi effetti, analizzati attraverso compositi invernali (dicembre–febbraio, DJF) per il periodo 1901–2010, hanno rivelato pattern climatici distinti, come variazioni nelle temperature e nelle precipitazioni in Europa e nelle traiettorie delle tempeste, modificate dalla posizione e dall’intensità del getto (Mellado-Cano et al. 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics). In questa sezione, estendiamo l’analisi all’intero arco temporale coperto dagli indici direzionali, dal 1685 al 2014, per esplorare le frequenze relative delle combinazioni NAODI/EADI, la loro rilevanza nel spiegare periodi anomali degli ultimi tre secoli e la variabilità storica del getto nord-atlantico.

Per approfondire l’informazione complementare fornita da NAODI ed EADI sulla dinamica del getto nord-atlantico, abbiamo implementato un modello di regressione passo-passo (SRM, dall’inglese Stepwise Regression Model; Wilks 2011; Bruce e Bruce 2017), un approccio statistico avanzato che identifica la combinazione ottimale di predittori procedendo in modo iterativo, aggiungendo e rimuovendo variabili esplicative (NAODI ed EADI) per massimizzare la varianza spiegata della variabile dipendente, ovvero la latitudine o la velocità del getto. Questo metodo consente di selezionare solo i predittori che aumentano significativamente la capacità del modello di predire le anomalie del getto, basandosi su criteri statistici rigorosi. Il getto nord-atlantico, un flusso d’aria ad alta quota che regola la circolazione atmosferica euro-atlantica, è stato ricostruito utilizzando i dati di vento zonale della rianalisi ERA-20C (Poli et al. 2016) per il periodo moderno (1901–2010) e esteso al periodo storico (1685–2014) attraverso i coefficienti di regressione derivati dai DIs.

Il modello SRM è stato calibrato sul periodo 1945–2010, un intervallo temporale sufficientemente lungo e rappresentativo per campionare adeguatamente lo spazio delle fasi NAODI/EADI, garantendo una copertura diversificata delle combinazioni positive e negative. I risultati di questa calibrazione sono stati confrontati con quelli ottenuti per l’intero periodo 1901–2010, dimostrando una coerenza metodologica che rafforza la robustezza dell’approccio. Successivamente, i coefficienti di regressione dei predittori selezionati (NAODI ed EADI) sono stati utilizzati per ricostruire la latitudine e la velocità del getto nord-atlantico per l’intero periodo 1685–2014, estendendo la comprensione della dinamica atmosferica oltre i limiti delle registrazioni strumentali moderne. Per valutare la qualità e la precisione di queste ricostruzioni, sono stati impiegati diversi indicatori diagnostici, tra cui il coefficiente di correlazione di Pearson, l’errore quadratico medio (RMSE), l’errore di riduzione (RE, ad esempio, Luterbacher et al. 2004) e il coefficiente di efficienza (CE, Briffa et al. 1988; Cook et al. 1999), calcolati sul periodo di validazione 1901–44, un intervallo temporale indipendente utilizzato per verificare la generalizzabilità del modello.

I risultati del modello SRM dimostrano una capacità significativa nel spiegare la varianza del getto nord-atlantico, con una performance più marcata per la velocità del getto rispetto alla latitudine. Nel periodo di validazione, la correlazione tra i predittori (NAODI ed EADI) e la velocità del getto raggiunge un valore di 0,66, indicando una relazione forte e significativa, mentre per la latitudine del getto la correlazione è di 0,43, suggerendo una relazione moderata ma meno robusta. Questi risultati sono supportati da altri indicatori diagnostici, come valori positivi di RE e CE, che indicano che le predizioni del modello superano quelle basate sulla semplice climatologia, dimostrando una capacità predittiva superiore. La performance del nostro SRM è comparabile a quella ottenuta con indici strumentali NAO ed EA tradizionali (non mostrati), confermando la validità degli indici direzionali come strumenti per ricostruire la dinamica atmosferica storica.

Entrambi i predittori, NAODI ed EADI, entrano nel modello SRM, evidenziando i loro influssi indipendenti e complementari sul getto nord-atlantico. Dai coefficienti di regressione emerge che NAODI ed EADI esercitano effetti opposti sulla latitudine del getto: NAODI tende a spostare il getto verso latitudini più settentrionali durante le sue fasi positive, mentre EADI lo sposta verso latitudini più meridionali durante le sue fasi positive, riflettendo le dinamiche contrastanti o complementari tra NAO ed EA descritte nelle sezioni precedenti (ad esempio, Figura 3). Per la velocità del getto, invece, NAODI ed EADI hanno effetti di segno simile, contribuendo entrambi al rafforzamento o all’indebolimento del flusso, ma con pesi diversi, indicando che NAODI è il predittore dominante, mentre EADI modula l’intensità in misura minore.

La Figura 5a illustra la frequenza delle combinazioni dominanti di NAODI ed EADI per ciascun intervallo di 7 anni nel periodo 1685–2014, con colori che identificano specificamente le quattro combinazioni possibili: NAODI1/EADI1 (fasi positive di entrambi), NAODI1/EADI2 (fase positiva di NAODI, fase negativa di EADI), NAODI2/EADI1 (fase negativa di NAODI, fase positiva di EADI) e NAODI2/EADI2 (fasi negative di entrambi). In questa analisi, tutti gli inverni sono stati classificati in uno di questi quattro gruppi in base al segno degli indici, senza applicare soglie come quella di 0,5 SD usata nei compositi precedenti, per catturare l’intera variabilità storica. Considerando l’intero periodo, si osserva una distribuzione relativamente equilibrata delle combinazioni NAODI/EADI, con NAODI2/EADI1 che presenta frequenze leggermente inferiori (22,4%) rispetto alle altre, suggerendo una minore prevalenza di questa configurazione specifica nel corso dei secoli.

La Figura 5b visualizza le anomalie standardizzate medie a 7 anni della latitudine del getto, ricostruite utilizzando NAODI ed EADI, con colori arancioni che indicano un rafforzamento del getto e blu un indebolimento, per gli stessi intervalli di 7 anni. Questa rappresentazione consente di identificare le variazioni nella posizione e nell’intensità del getto su scale temporali pluridecennali, mettendo in evidenza una variabilità sostanziale da scale interannuali a centenarie, sia in termini di intensità che di posizione latitudinale. Per l’intero periodo 1685–2014, EADI emerge come il pattern dominante in quasi il 50% degli inverni, mostrando valori assoluti più grandi di NAODI, il che implica che gli ultimi tre secoli non possono essere adeguatamente descritti considerando solo lo stato di NAODI, ma richiedono un’analisi integrata di entrambi i pattern.

Di conseguenza, il getto nord-atlantico ha mostrato una variabilità significativa su un ampio spettro di scale temporali, riflettendo le complesse interazioni tra NAO ed EA e le loro influenze sulla circolazione atmosferica euro-atlantica. Nonostante questa variabilità, non si osservano indicazioni di tendenze a lungo termine o valori eccezionali negli ultimi decenni (ad esempio, post-1980) se considerati nel contesto dei 330 anni analizzati. Questo suggerisce che, sebbene il clima euro-atlantico abbia subito cambiamenti significativi nel XX e XXI secolo, tali variazioni non si distinguono come anomale o eccezionali rispetto alla variabilità storica osservata dal 1685, includendo periodi come la Piccola Era Glaciale e altre oscillazioni climatiche naturali.

Implicazioni Scientifiche e Metodologiche

I risultati di questa analisi rappresentano un progresso fondamentale nella climatologia storica, dimostrando la capacità di NAODI ed EADI, derivati da osservazioni dirette di direzione del vento, di ricostruire con precisione la dinamica del getto nord-atlantico su un arco temporale plurisecolare. La prevalenza di EADI come pattern dominante in quasi la metà degli inverni sottolinea l’importanza di considerare il Modello Atlantico Orientale insieme alla NAO per una comprensione completa della variabilità climatica euro-atlantica, superando approcci semplificati basati su un singolo pattern. La variabilità del getto, che oscilla tra intensità e posizioni latitudinali diverse, offre nuove evidenze sulle dinamiche climatiche passate, come le transizioni durante la Piccola Era Glaciale o il riscaldamento moderno, e fornisce un benchmark per validare i modelli climatici attuali.

Tuttavia, alcuni limiti devono essere considerati. La regionalità degli indici direzionali, concentrata nel Canale della Manica, potrebbe non catturare pienamente i pattern atmosferici su larga scala del getto in aree remote, come l’Islanda o le Azzorre, introducendo potenziali bias spaziali. Inoltre, le lacune nei dati storici, anche se minimali, potrebbero influenzare le stime, e la mancanza di tendenze a lungo termine negli ultimi decenni potrebbe riflettere incertezze nei dati pre-strumentali o nelle ricostruzioni. Studi futuri potrebbero integrare proxy climatici (ad esempio, anelli degli alberi, carote di ghiaccio) o rianalisi ad alta risoluzione (ad esempio, ERA5) per migliorare la precisione e l’estensione temporale delle analisi, esplorando ulteriormente le interazioni tra NAO, EA e il getto nord-atlantico su scale secolari.

In sintesi, questa analisi della variabilità di NAODI, EADI e del getto nord-atlantico dal 1685 fornisce una base scientifica robusta per comprendere la dinamica atmosferica euro-atlantica, con applicazioni dirette per la validazione dei modelli climatici, l’interpretazione delle anomalie climatiche passate e la previsione dei cambiamenti futuri, contribuendo a ridurre le incertezze associate alla variabilità climatica regionale in un contesto di cambiamento climatico globale.

Analisi Storica della Variabilità di NAODI, EADI e del Getto Nord-Atlantico dal 1685: Evidenze di Periodi Anomali e Transizioni Climatiche

Nella sezione precedente, abbiamo descritto come le diverse combinazioni di NAODI (Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali) ed EADI (Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali) esercitino un impatto significativo sulla variabilità climatica euro-atlantica, influenzando in modo differenziato la latitudine e la velocità del getto nord-atlantico guidato dalle correnti di tipo “eddy-driven” durante gli inverni [dicembre–febbraio (DJF)] nel periodo 1901–2010. Queste interazioni, analizzate attraverso compositi climatici e modelli di regressione passo-passo (Mellado-Cano et al. 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), hanno rivelato pattern distinti di temperatura, precipitazione e circolazione atmosferica, mediati dalla posizione e dall’intensità del getto. In questa sezione, estendiamo l’analisi all’intero arco temporale coperto dagli indici direzionali, dal 1685 al 2014, per esplorare in modo sistematico le frequenze relative delle combinazioni NAODI/EADI, la loro rilevanza nel spiegare periodi climatici anomali degli ultimi tre secoli e le dinamiche storiche del getto nord-atlantico.

Per approfondire le informazioni complementari fornite da NAODI ed EADI sulla dinamica del getto nord-atlantico, abbiamo implementato un modello di regressione passo-passo (SRM, dall’inglese Stepwise Regression Model), un approccio statistico avanzato descritto da Wilks (2011) e Bruce e Bruce (2017), che procede iterativamente per identificare la combinazione ottimale di predittori (NAODI ed EADI) massimizzando la varianza spiegata della variabile dipendente, rappresentata dalla latitudine o dalla velocità del getto. Questo metodo, basato su un processo di aggiunta e rimozione di variabili esplicative, seleziona solo i predittori che aumentano significativamente la capacità del modello di predire le anomalie del getto, utilizzando criteri statistici rigorosi come il test t per l’ipotesi nulla di coefficiente nullo. Il getto nord-atlantico, un flusso d’aria ad alta quota fondamentale per la circolazione atmosferica euro-atlantica, è stato inizialmente caratterizzato utilizzando i dati di vento zonale della rianalisi ERA-20C (Poli et al. 2016) per il periodo moderno (1901–2010), e successivamente ricostruito per l’intero periodo 1685–2014 attraverso i coefficienti di regressione derivati da NAODI ed EADI.

Il modello SRM è stato calibrato sul periodo 1945–2010, un intervallo temporale sufficientemente lungo e rappresentativo per campionare adeguatamente lo spazio delle fasi NAODI/EADI, includendo una varietà di combinazioni positive e negative dei due indici. I risultati di questa calibrazione sono stati confrontati con quelli ottenuti per l’intero periodo 1901–2010, dimostrando una coerenza metodologica che rafforza la robustezza dell’approccio. Successivamente, i coefficienti di regressione dei predittori selezionati sono stati applicati per ricostruire la latitudine e la velocità del getto nord-atlantico per l’intero periodo 1685–2014, estendendo la comprensione della dinamica atmosferica oltre i limiti delle registrazioni strumentali moderne, che coprono tipicamente solo dal XIX secolo. Per valutare la qualità e la precisione di queste ricostruzioni, sono stati utilizzati diversi indicatori diagnostici, tra cui il coefficiente di correlazione di Pearson, l’errore quadratico medio (RMSE), l’errore di riduzione (RE, ad esempio, Luterbacher et al. 2004) e il coefficiente di efficienza (CE, Briffa et al. 1988; Cook et al. 1999), calcolati sul periodo di validazione 1901–44, un intervallo temporale indipendente utilizzato per verificare la generalizzabilità del modello nel tempo.

I risultati del modello SRM dimostrano una capacità significativa nel spiegare la varianza del getto nord-atlantico, con una performance più marcata per la velocità del getto rispetto alla latitudine. Durante il periodo di validazione, la relazione tra i predittori (NAODI ed EADI) e la velocità del getto è risultata forte, con un’indicazione chiara di una capacità predittiva robusta, mentre per la latitudine del getto la relazione è stata moderata, riflettendo una maggiore complessità e variabilità nelle dinamiche che determinano la posizione geografica del getto. Questi risultati sono supportati da indicatori diagnostici positivi, come valori di RE e CE superiori alla climatologia, dimostrando che le predizioni del modello superano quelle basate su una semplice media climatica. Inoltre, la performance del nostro SRM è comparabile a quella ottenuta con indici strumentali NAO ed EA tradizionali (non mostrati), confermando la validità degli indici direzionali come strumenti affidabili per ricostruire la dinamica atmosferica storica.

L’analisi rivela che sia NAODI che EADI contribuiscono in modo indipendente al modello SRM, evidenziando i loro ruoli distinti e complementari nel modulare il getto nord-atlantico. Dai coefficienti di regressione emerge che NAODI ed EADI esercitano effetti opposti sulla latitudine del getto: le fasi positive di NAODI tendono a spostare il getto verso latitudini più settentrionali, favorendo un flusso d’aria più polare, mentre le fasi positive di EADI lo spostano verso latitudini più meridionali, riflettendo le dinamiche contrastanti o complementari tra NAO ed EA descritte nelle sezioni precedenti (ad esempio, Figura 3). Per la velocità del getto, invece, NAODI ed EADI mostrano effetti di segno simile, contribuendo entrambi al rafforzamento o all’indebolimento del flusso, ma con pesi diversi, indicando che NAODI è il predittore dominante, mentre EADI modula l’intensità in misura minore, probabilmente attraverso variazioni nell’inclinazione o nella traiettoria del getto.

La Figura 5a illustra la frequenza delle combinazioni dominanti di NAODI ed EADI per ciascun intervallo di 7 anni nel periodo 1685–2014, con colori che identificano specificamente le quattro combinazioni possibili: NAODI1/EADI1 (fasi positive di entrambi), NAODI1/EADI2 (fase positiva di NAODI, fase negativa di EADI), NAODI2/EADI1 (fase negativa di NAODI, fase positiva di EADI) e NAODI2/EADI2 (fasi negative di entrambi). In questa analisi, tutti gli inverni sono stati classificati in uno di questi quattro gruppi in base al segno degli indici, senza applicare soglie come quella di 0,5 deviazioni standard utilizzata nei compositi precedenti, al fine di catturare l’intera variabilità storica e fornire una rappresentazione completa delle dinamiche atmosferiche. Considerando l’intero periodo, si osserva una distribuzione relativamente equilibrata delle combinazioni NAODI/EADI, con NAODI2/EADI1 che presenta frequenze leggermente inferiori (22,4%) rispetto alle altre, suggerendo una minore prevalenza di questa configurazione specifica nel corso dei 330 anni analizzati.

La Figura 5b visualizza le anomalie standardizzate medie a 7 anni della latitudine del getto, ricostruite utilizzando NAODI ed EADI, con colori arancioni che indicano un rafforzamento del getto e blu un indebolimento, per gli stessi intervalli di 7 anni. Questa rappresentazione consente di identificare le variazioni nella posizione e nell’intensità del getto su scale temporali che spaziano dall’interannuale al centenario, mettendo in evidenza una variabilità sostanziale che riflette le complesse interazioni tra NAO ed EA e le loro influenze sulla circolazione atmosferica euro-atlantica. Per l’intero periodo 1685–2014, EADI emerge come il pattern dominante in quasi la metà degli inverni, mostrando valori assoluti più grandi di NAODI, il che implica che gli ultimi tre secoli non possono essere adeguatamente descritti considerando solo lo stato di NAODI, ma richiedono un’analisi integrata di entrambi i pattern per cogliere appieno la dinamica climatica.

Inoltre, emergono specifici periodi che si distinguono per la predominanza di una determinata combinazione NAODI/EADI, offrendo insights su anomalie climatiche storiche. Ad esempio, il periodo 1720–40 è stato caratterizzato da fasi positive ricorrenti di NAODI ed EADI, associate a grandi anomalie nel getto, come un getto più forte e spostato verso l’equatore (Figura 5b). Questa configurazione ha portato a inverni caldi nell’Europa centro-settentrionale e freddi in Groenlandia e nel bacino del Mediterraneo orientale, oltre che a condizioni relativamente secche nel Mediterraneo e umide nelle regioni settentrionali europee. Questi risultati forniscono un’evidenza dinamica del cambiamento verso un aumento delle precipitazioni nell’Europa settentrionale (Jacobeit et al. 2003; Pauling et al. 2006) e delle condizioni di siccità nel sud (Domínguez-Castro et al. 2008), che seguirono il Tardo Minimo di Maunder (LMM, 1700–15), un periodo di bassa attività solare e condizioni climatiche fredde ben documentato. Inoltre, le serie temporali NAODI ed EADI permettono di spiegare anni estremi individuali, come l’inverno del 1783/84, successivo all’eruzione vulcanica di Laki in Islanda. Studi precedenti, come quello di D’Arrigo et al. (2011), hanno attribuito le condizioni insolitamente fredde intorno all’Atlantico settentrionale a una fase negativa della NAO e a un evento caldo di El Niño–Oscillazione del Sud. I nostri risultati confermano la fase negativa della NAO (NAODI = -1,54 deviazioni standard), ma rivelano anche un ruolo chiave di EADI, che era anch’esso in fase negativa (-1,04 deviazioni standard), contribuendo entrambi a un’estrema debolezza del getto, con conseguenti anomalie climatiche diffuse.

Ci concentriamo ora sui periodi caratterizzati da fasi contrastanti tra NAODI ed EADI, che sono quelli che mostrano i maggiori spostamenti del getto nord-atlantico. Si sono verificati periodi ricorrenti di NAODI2/EADI1 durante il 1685–2014 (Figura 2), associati a escursioni verso sud del getto (Figura 5b), inclusi alcuni decenni del Tardo Minimo di Maunder (Mellado-Cano et al. 2018). Sebbene il periodo 1825–75 sia stato per lo più dominato da fasi negative di NAODI ed EADI, EADI era in una fase positiva durante gli anni ’40 del XIX secolo (evidenziato dalle ombreggiature blu in Figura 5b). Questo cambiamento di fase è significativo, poiché studi come quelli di Cornes et al. (2013) e Luterbacher et al. (2001) hanno riportato fasi negative della NAO durante gli anni ’30 del XIX secolo, ma i loro indici discordano sugli anni ’40, suggerendo incertezze nelle ricostruzioni storiche. I nostri risultati indicano che un passaggio alla fase positiva di EADI ha indotto variazioni nella circolazione atmosferica, simili a quelle osservate nella transizione dai pattern di Figura 3d a Figura 3c, che non vengono catturate allo stesso modo dai diversi indici NAO tradizionali. Questo sottolinea il ruolo critico di EADI nel modulare la posizione del getto e le anomalie climatiche, anche in presenza di una NAO negativa.

D’altra parte, studi recenti, come quello di Santos et al. (2013), hanno descritto due inverni eccezionali nel settore dell’Atlantico settentrionale (2009/10 e 2011/12), caratterizzati da comportamenti contrastanti del getto. Oltre alle fasi estremamente negative (2009/10) e positive (2011/12) della NAO riportate in quegli studi, le nostre serie NAODI ed EADI evidenziano un’influenza misurabile di EADI1 (fase positiva) nello spostamento verso sud del getto nel 2009/10 e di EADI2 (fase negativa) nello spostamento verso nord nel 2011/12, confermando il ruolo complementare dell’EA nel determinare la dinamica del getto.

Un altro periodo significativo è rappresentato dalla combinazione NAODI1/EADI2, che ha dominato diversi intervalli del periodo 1685–2014, in particolare l’inizio del ventesimo secolo (Figura 5a), caratterizzato da escursioni verso il polo del getto (Figura 5b). Questo è stato seguito da un rafforzamento e da migrazioni più frequenti verso sud del getto alla fine del ventesimo secolo, coincidente con una transizione verso inverni dominati da EADI1 durante il 1975–2000. Questo passaggio da EADI2 a EADI1, documentato nelle Figure 3e,f, è temporalmente coerente con lo spostamento ben documentato dei centri d’azione del Nord Atlantico, come descritto da Jung et al. (2003) e Vicente-Serrano e López-Moreno (2008), che hanno evidenziato migrazioni delle anomalie di pressione verso est nell’Atlantico orientale. Transizioni simili sono state ricorrenti negli ultimi tre secoli, come il passaggio da NAODI1/EADI1 a NAODI1/EADI2 all’inizio del ventesimo secolo o da NAODI2/EADI1 a NAODI2/EADI2 a metà del diciannovesimo secolo, suggerendo che anomalie di lunga durata, come gli spostamenti dei centri d’azione, possono essere in gran parte spiegate da diverse combinazioni di NAODI ed EADI e si sono verificate con frequenza negli ultimi 330 anni.

Implicazioni Scientifiche e Metodologiche

Questi risultati rappresentano un progresso fondamentale nella climatologia storica, dimostrando la capacità di NAODI ed EADI, derivati da osservazioni dirette di direzione del vento, di catturare con precisione la variabilità del getto nord-atlantico e le sue interazioni con NAO ed EA su un arco temporale plurisecolare. La prevalenza di EADI come pattern dominante in quasi la metà degli inverni sottolinea l’importanza di considerare il Modello Atlantico Orientale insieme alla NAO per una comprensione completa della variabilità climatica euro-atlantica, superando approcci semplificati basati su un singolo pattern. I periodi anomali identificati, come il 1720–40, il Tardo Minimo di Maunder e gli inverni estremi del 1783/84, 2009/10 e 2011/12, offrono nuove evidenze sulle dinamiche climatiche passate, fornendo un contesto storico per interpretare le tendenze moderne e validare i modelli climatici attuali.

Tuttavia, alcuni limiti devono essere considerati. La regionalità degli indici direzionali, concentrata nel Canale della Manica, potrebbe non catturare pienamente i pattern atmosferici su larga scala del getto in aree remote, come l’Islanda o le Azzorre, introducendo potenziali bias spaziali. Inoltre, le discrepanze tra NAODI/EADI e gli indici tradizionali, come quelle osservate negli anni ’40 del XIX secolo, potrebbero riflettere incertezze nelle ricostruzioni storiche o differenze metodologiche (ad esempio, direzione del vento vs. pressione al livello del mare). Studi futuri potrebbero integrare proxy climatici (ad esempio, anelli degli alberi, carote di ghiaccio) o rianalisi ad alta risoluzione (ad esempio, ERA5) per migliorare la precisione e l’estensione temporale delle analisi, esplorando ulteriormente le interazioni tra NAO, EA e il getto nord-atlantico su scale secolari.

In sintesi, questa analisi della variabilità di NAODI, EADI e del getto nord-atlantico dal 1685 fornisce una base scientifica robusta per comprendere le dinamiche atmosferiche euro-atlantiche, con applicazioni dirette per la validazione dei modelli climatici, l’interpretazione delle anomalie climatiche passate e la previsione dei cambiamenti futuri, contribuendo a ridurre le incertezze associate alla variabilità climatica regionale in un contesto di cambiamento climatico globale.

Analisi Dettagliata e Interpretazione Scientifica della Figura 5: Variabilità Storica delle Combinazioni NAODI/EADI e della Dinamica del Getto Nord-Atlantico dal 1685 al 2014

La Figura 5, riportata nello studio di Mellado-Cano et al. (2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), rappresenta un elemento fondamentale per l’analisi della variabilità storica dell’Oscillazione Nord Atlantica derivata dagli indici direzionali (NAODI) e del Modello Atlantico Orientale derivato dagli indici direzionali (EADI), nonché delle loro implicazioni sulla latitudine e la velocità del getto nord-atlantico nel settore euro-atlantico, coprendo un arco temporale plurisecolare dal 1685 al 2014. Questa figura, strutturata in due pannelli, offre una rappresentazione quantitativa e visiva della distribuzione temporale delle combinazioni NAODI/EADI e delle anomalie ricostruite del getto nord-atlantico, fornendo insight critici sulla dinamica atmosferica storica e moderna. Analizziamo in dettaglio i suoi componenti, il significato scientifico e le implicazioni metodologiche.

Contesto Metodologico e Dataset

NAODI ed EADI sono stati derivati attraverso un’analisi di decomposizione ai valori singolari (SVD, dall’inglese Singular Value Decomposition; Wilks 2011) applicata alle serie temporali invernali [dicembre–febbraio (DJF)] degli indici direzionali (DIs) per il periodo 1685–2014, basati su osservazioni storiche della direzione del vento nel Canale della Manica (Mellado-Cano et al. 2018, 2019). I DIs quantificano la persistenza del vento (in percentuale di giorni mensili) lungo le quattro direzioni cardinali principali (settentrionale, meridionale, orientale, occidentale), offrendo una rappresentazione diretta della variabilità atmosferica pre-strumentale. NAODI, associato al primo vettore singolare (SVD1), riflette il pattern dipolare meridionale della NAO, caratterizzato da un gradiente nord-sud di pressione tra l’alta delle Azzorre e la bassa islandese, mentre EADI, associato al secondo vettore singolare (SVD2), rappresenta il pattern quasi zonale o il monopolo del Modello Atlantico Orientale (EA), con un centro di pressione nelle medie latitudini dell’Atlantico orientale (Moore et al. 2013; Comas-Bru e McDermott 2014).

Questi indici sono stati utilizzati in un modello di regressione passo-passo (SRM, dall’inglese Stepwise Regression Model; Wilks 2011; Bruce e Bruce 2017) per ricostruire la latitudine e la velocità del getto nord-atlantico, un flusso d’aria ad alta quota che regola la circolazione atmosferica euro-atlantica e influenza i regimi climatici regionali. Il modello SRM è stato calibrato sul periodo 1945–2010 e validato sul periodo 1901–44, come descritto nella Tabella 2, dimostrando una capacità significativa nel spiegare la varianza del getto, con una performance più robusta per la velocità (r = 0,66) rispetto alla latitudine (r = 0,43). I dati del getto nord-atlantico sono stati inizialmente caratterizzati utilizzando i dati di vento zonale della rianalisi ERA-20C (Poli et al. 2016) per il periodo moderno (1901–2010) e successivamente estesi al periodo storico (1685–2014) mediante i coefficienti di regressione derivati da NAODI ed EADI. La Figura 5 estende questa analisi all’intero arco temporale, fornendo una visualizzazione grafica della variabilità storica delle combinazioni NAODI/EADI e delle anomalie del getto.

Pannello (a): Frequenza e Tipo delle Combinazioni Dominanti NAODI/EADI

Il pannello (a) illustra la frequenza e il tipo della combinazione dominante invernale di NAODI ed EADI per ciascun intervallo di 7 anni nel periodo 1685–2014, con colori che identificano le quattro combinazioni possibili:

  • NAODI1/EADI1: Fasi positive di entrambi gli indici, associate a un getto nord-atlantico più forte e spostato verso latitudini settentrionali, con inverni caldi e umidi nell’Europa centrale e settentrionale e deficit di precipitazioni nell’Europa meridionale (Trigo et al. 2002).
  • NAODI1/EADI2: Fase positiva di NAODI, fase negativa di EADI, associata a un getto spostato verso il polo, ma con effetti modulati dall’EA negativo, che può indebolire il gradiente zonale e spostare le anomalie climatiche verso est (Comas-Bru e McDermott 2014).
  • NAODI2/EADI1: Fase negativa di NAODI, fase positiva di EADI, associata a un getto spostato verso latitudini meridionali, con inverni freddi e secche nell’Europa centrale e settentrionale e aumenti di precipitazioni nel sud Europa, come la Penisola Iberica.
  • NAODI2/EADI2: Fasi negative di entrambi gli indici, associate a un getto più debole e meno definito, con effetti climatici meno marcati a causa degli influssi contrastanti di NAO ed EA sulla latitudine e la velocità del getto.

Il colore nero indica intervalli di 7 anni senza una combinazione dominante, cioè quando nessuna delle quattro combinazioni prevale chiaramente, riflettendo una variabilità bilanciata o un’assenza di segnali climatici marcati. Le ombreggiature grigie verticali segnalano periodi con dati mancanti, un aspetto inevitabile nelle serie temporali storiche pre-strumentali basate su osservazioni dirette di direzione del vento (García-Herrera et al. 2018), ma gestito attraverso metodologie statistiche robuste come l’analisi SVD e la regressione passo-passo.

L’analisi rivela una distribuzione relativamente equilibrata delle combinazioni NAODI/EADI nell’intero periodo 1685–2014, con NAODI2/EADI1 che presenta frequenze leggermente inferiori (22,4%) rispetto alle altre, suggerendo una minore prevalenza di questa configurazione specifica nel corso dei 330 anni analizzati. Questo equilibrio riflette una variabilità climatica complessa, ma evidenzia che EADI è il pattern dominante in quasi il 50% degli inverni, mostrando valori assoluti più grandi di NAODI, come discusso nella sezione precedente. Questo risultato sottolinea l’importanza di considerare il Modello Atlantico Orientale insieme alla NAO per descrivere adeguatamente la variabilità climatica euro-atlantica negli ultimi tre secoli, superando approcci che si concentrano esclusivamente sulla NAO (Hurrell et al. 2003; Woollings et al. 2010).

Pannello (b): Anomalie Ricostruite della Latitudine e Velocità del Getto Nord-Atlantico

Il pannello (b) presenta le anomalie ricostruite della latitudine del getto nord-atlantico, espresse in deviazioni standard (SD) rispetto al periodo 1685–2014, con una media mobile a 7 anni rappresentata da una linea grigia. Queste anomalie riflettono la posizione geografica del getto (settentrionale, centrale o meridionale) e sono state ricostruite utilizzando il modello SRM basato su NAODI ed EADI, come descritto nella Tabella 2. Le anomalie della velocità del getto, anch’esse medie a 7 anni, sono sovrapposte con colori: arancione per un rafforzamento del getto (velocità aumentata) e blu per un indebolimento (velocità ridotta), offrendo una rappresentazione visiva della dinamica atmosferica su scale temporali pluridecennali.

Questa rappresentazione consente di analizzare la variabilità del getto su un ampio spettro temporale, spaziando da scale interannuali a centenarie, sia in termini di intensità che di posizione latitudinale:

  • Latitudine del Getto: Le anomalie positive indicano uno spostamento verso il polo (latitudini settentrionali), tipicamente associato a fasi positive di NAODI (ad esempio, NAODI1/EADI2), mentre le anomalie negative indicano uno spostamento verso l’equatore (latitudini meridionali), legato a fasi negative di NAODI o positive di EADI (ad esempio, NAODI2/EADI1). Ad esempio, periodi come l’inizio del ventesimo secolo, dominati da NAODI1/EADI2, mostrano escursioni verso il polo, mentre il Tardo Minimo di Maunder (1700–15) presenta escursioni verso sud, associate a NAODI2/EADI1 (Mellado-Cano et al. 2018).
  • Velocità del Getto: I colori arancione e blu riflettono rispettivamente un’intensificazione o un indebolimento del flusso d’aria, coerenti con le fasi di NAODI ed EADI. Le fasi positive di NAODI sono associate a un getto più forte, come osservato nel periodo 1720–40, mentre le fasi positive di EADI possono modulare questa intensità, contribuendo a variazioni nell’inclinazione o nella traiettoria del getto, come evidenziato nei periodi di transizione tra EADI2 ed EADI1 alla fine del ventesimo secolo.

La variabilità del getto osservata è sostanziale, riflettendo le complesse interazioni tra NAO ed EA e le loro influenze sulla circolazione atmosferica euro-atlantica. Non si osservano indicazioni di tendenze a lungo termine o valori eccezionali negli ultimi decenni (post-1980) nel contesto dei 330 anni analizzati, suggerendo che le variazioni recenti del getto non si distinguono come anomale rispetto alla variabilità storica, inclusi periodi come la Piccola Era Glaciale e il riscaldamento moderno.

Significato Scientifico e Implicazioni

La Figura 5 è un pilastro metodologico per la climatologia storica, offrendo le più lunghe ricostruzioni osservative basate su dati diretti di NAODI, EADI e del getto nord-atlantico, coprendo il periodo 1685–2014. Il pannello (a) evidenzia la distribuzione temporale delle combinazioni NAODI/EADI, confermando la predominanza di EADI in quasi il 50% degli inverni e la necessità di un’analisi integrata per descrivere adeguatamente il clima euro-atlantico. Il pannello (b) mostra la variabilità del getto, riflettendo le interazioni tra NAO ed EA e le loro implicazioni sulle traiettorie delle tempeste, le temperature e le precipitazioni regionali, come discusso nelle Figure 2, 3 e 4.

I risultati sono coerenti con studi precedenti (Woollings et al. 2010; Zappa e Shepherd 2017), ma estendono le analisi a periodi pre-strumentali, fornendo nuove evidenze sulle dinamiche climatiche della Piccola Era Glaciale, del Tardo Minimo di Maunder, del riscaldamento moderno e delle transizioni atmosferiche storiche. Le ombreggiature grigie indicano lacune nei dati, ma non compromettono la robustezza complessiva, come dimostrato dalle correlazioni con indici tradizionali (Tabella 1) e dalla validazione del modello SRM (Tabella 2). La capacità di NAODI ed EADI di catturare periodi anomali, come il 1720–40, il 1783/84 e il Tardo Minimo di Maunder, offre un contesto storico per interpretare le tendenze moderne e validare i modelli climatici futuri.

Limiti e Prospettive Future

Sebbene la Figura 5 rappresenti un progresso metodologico significativo, alcuni limiti devono essere considerati. La regionalità degli indici direzionali, limitata al Canale della Manica, potrebbe non catturare pienamente i pattern atmosferici su larga scala del getto in aree remote, come l’Islanda o le Azzorre, introducendo potenziali bias spaziali. Inoltre, le lacune nei dati (indicate dalle ombreggiature grigie) potrebbero influenzare le stime, e la mancanza di tendenze a lungo termine negli ultimi decenni potrebbe riflettere incertezze nei dati pre-strumentali o nelle ricostruzioni. Ulteriori studi potrebbero integrare proxy climatici (ad esempio, anelli degli alberi, carote di ghiaccio; Cook et al. 1998; Sjolte et al. 2018) o rianalisi ad alta risoluzione spaziale e temporale (ad esempio, ERA5; Hersbach et al. 2020) per migliorare la completezza, la precisione e l’estensione temporale delle analisi, esplorando ulteriormente le interazioni tra NAO, EA e il getto nord-atlantico su scale secolari.

In conclusione, la Figura 5 illustra la variabilità storica di NAODI, EADI e del getto nord-atlantico, fornendo una base scientifica robusta per analizzare le dinamiche atmosferiche euro-atlantiche su scale plurisecolari. Questi risultati sono essenziali per validare i modelli climatici, interpretare le anomalie climatiche passate e supportare le proiezioni di cambiamento climatico futuro, con applicazioni dirette per la gestione delle risorse idriche, la pianificazione agricola e la mitigazione degli impatti climatici estremi in Europa.

4. Sintesi e Discussione: Ricostruzioni Storiche e Implicazioni della Variabilità Climatica Euro-Atlantica Basata su NAODI, EADI e il Getto Nord-Atlantico

In questo studio, presentiamo un record quasi continuo, basato su osservazioni dirette, degli indici invernali dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO) e del Modello Atlantico Orientale (EA), insieme a stime della latitudine e della velocità del getto nord-atlantico, coprendo un arco temporale plurisecolare di 330 anni, dal 1685 al 2014. Queste serie temporali rappresentano le registrazioni osservative più lunghe attualmente disponibili della circolazione atmosferica del Nord Atlantico, costituendo uno strumento di straordinaria importanza per analizzare la variabilità climatica europea oltre l’era industriale, quando le ricostruzioni della NAO si basano principalmente su proxy indiretti, come anelli degli alberi, carote di ghiaccio o sedimenti lacustri (Cook et al. 1998; Appenzeller et al. 1998; Ortega et al. 2015). Le nostre serie sono state ottenute dagli indici direzionali (DIs) sviluppati da Mellado-Cano et al. (2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), che misurano la persistenza del vento nelle quattro direzioni cardinali principali (settentrionale, meridionale, orientale, occidentale) attraverso osservazioni storiche della direzione del vento nel Canale della Manica. Questa regione, situata nella zona di uscita del getto nord-atlantico, offre una posizione strategica per catturare le dinamiche atmosferiche, grazie ai legami dinamici tra la persistenza del vento e i gradienti di pressione su scala regionale e globale. Tali legami rendono i DIs indicatori ottimali per identificare le firme della circolazione atmosferica su scale spaziali più ampie e le anomalie climatiche superficiali su vaste aree dell’Europa, in particolare quando considerati congiuntamente (Mellado-Cano et al. 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics).

I nostri indici NAODI (NAO derivata dagli indici direzionali) ed EADI (EA derivata dagli indici direzionali) dimostrano una correlazione significativa con le serie temporali tradizionali della NAO e dell’EA, come quelle di Hurrell (1995), Jones et al. (1997), Luterbacher et al. (2001) per la NAO, e di Comas-Bru e Hernández (2018) per l’EA, con una capacità predittiva comparabile a quella osservata tra alcuni indici strumentali, in particolare per l’EA. Questa coerenza è confermata dalle correlazioni statistiche riportate nella Tabella 1, con valori di Pearson che raggiungono 0,77 per NAODI con l’indice NAO di Luterbacher et al. (2002) e 0,71 per EADI con l’indice EA di Second EOF SLP ERA-20C (Poli et al. 2016). I nostri indici non solo replicano le principali firme climatiche associate a NAO ed EA, come le variazioni di temperatura e precipitazione in Europa, ma catturano anche periodi eccezionali del record strumentale, come gli inverni freddi del 1916/17 e 1962/63 (Cornes et al. 2013; Greatbatch et al. 2015) per la NAO e gli anni ’50 e il 2004/05 per l’EA (Moore e Renfrew 2012; Comas-Bru e Hernández 2018).

Per approfondire l’influenza combinata di NAO ed EA sulla variabilità climatica euro-atlantica, abbiamo analizzato il ventesimo secolo suddividendo lo spazio delle fasi NAO/EA in quattro gruppi di inverni, definiti dalle combinazioni NAODI1/EADI1, NAODI1/EADI2, NAODI2/EADI1 e NAODI2/EADI2, come illustrato nella Figura 3. Quando NAODI ed EADI sono in fase (ad esempio, NAODI1/EADI1 o NAODI2/EADI2), il centro d’azione meridionale (tipicamente l’alta delle Azzorre) si estende verso l’Europa, favorendo un getto nord-atlantico più forte e lineare, con effetti climatici coerenti con le firme canoniche della NAO. Al contrario, quando NAODI ed EADI sono in fase opposta (ad esempio, NAODI1/EADI2 o NAODI2/EADI1), il centro d’azione meridionale si ritira verso ovest nell’Atlantico, portando a spostamenti più marcati della latitudine del getto e a pattern climatici meno prevedibili. Questi risultati evidenziano un ruolo cruciale dell’EA, oltre alla NAO, nel modulare la posizione geografica dei centri d’azione del Nord Atlantico (alta delle Azzorre e bassa islandese), come già suggerito da studi precedenti (Jung et al. 2003; Vicente-Serrano e López-Moreno 2008).

I nostri risultati dimostrano che gli effetti congiunti di NAO ed EA producono anomalie climatiche superficiali europee che possono divergere significativamente dalle loro firme canoniche, come descritte in letteratura (Trigo et al. 2002; Comas-Bru e McDermott 2014). Sebbene il segno delle risposte di temperatura sia largamente determinato da NAODI, con fasi positive associate a riscaldamenti in Europa centrale e settentrionale e fasi negative a raffreddamenti, EADI modula il pattern spaziale delle anomalie, influenzando la magnitudine e la posizione di queste variazioni. Ad esempio, durante le fasi positive di EADI, le anomalie termiche si spostano verso il nord-est europeo, mentre nelle fasi negative si concentrano più a ovest, come evidenziato nella Figura 3. Le risposte di precipitazione, tuttavia, si rivelano più sensibili allo stato concomitante di NAODI ed EADI, con aree geografiche in cui EADI può attenuare, amplificare o persino invertire il segnale di precipitazione legato a NAODI. Un esempio emblematico è il Mediterraneo occidentale, dove il segnale canonico di deficit di precipitazione durante le fasi negative di NAO (NAODI2) è confinato principalmente agli inverni con EADI in fase opposta (ad esempio, NAODI2/EADI1), ma si indebolisce quando EADI è in fase con NAODI (ad esempio, NAODI2/EADI2), a causa di uno spostamento verso est delle anomalie di precipitazione, verso il Mediterraneo orientale. Questo spostamento ovest-est, indotto dall’interferenza di EADI, ha implicazioni critiche per la robustezza delle impronte climatiche ampiamente riportate della NAO e per le ricostruzioni basate su proxy, che spesso trascurano il ruolo dell’EA, portando a interpretazioni semplificate o imprecise della variabilità climatica storica (Sousa et al. 2011; Domínguez-Castro et al. 2008).

Inoltre, i nostri risultati rivelano che NAODI ed EADI hanno impronte complementari significative sul getto nord-atlantico su scale temporali stagionali, estendendo e integrando studi precedenti basati su diagnosi giornaliere, come quelli di Woollings et al. (2010). La velocità del getto è principalmente influenzata da NAODI, con fasi positive associate a un rafforzamento del flusso e fasi negative a un indebolimento, mentre EADI agisce nella stessa direzione, contribuendo in misura minore a modulare l’intensità. Al contrario, NAODI ed EADI hanno un’importanza comparabile ma effetti opposti sulla latitudine del getto: NAODI sposta il getto verso il polo durante le sue fasi positive, mentre EADI lo sposta verso l’equatore durante le sue fasi positive, riflettendo le dinamiche complementari o contrastanti tra NAO ed EA descritte nelle Figure 3 e 5. Di conseguenza, le deviazioni più grandi nella velocità del getto tendono a verificarsi negli inverni con fasi dello stesso segno (ad esempio, NAODI1/EADI1 o NAODI2/EADI2), mentre le deviazioni più marcate nella latitudine si osservano negli inverni con fasi opposte (ad esempio, NAODI1/EADI2 o NAODI2/EADI1), come evidenziato nella Figura 3.

Questi risultati sono parzialmente in linea con studi modellistici storici, come quello di Woollings e Blackburn (2012), che, basandosi su simulazioni per il periodo 1960–2000, hanno trovato che gli spostamenti meridionali del getto sono principalmente dovuti alla NAO, mentre NAO ed EA hanno un’importanza approssimativamente uguale nel descrivere le anomalie della velocità del getto. Tuttavia, le discrepanze con i nostri risultati potrebbero derivare da bias nei modelli climatici relativi alla rappresentazione del getto, da differenze metodologiche tra i nostri indici (basati su osservazioni di direzione del vento) e quelli considerati in quegli studi (basati su pressione al livello del mare o geopotenziale), o da influenze non stazionarie di NAO ed EA sul getto nel tempo, che potrebbero variare su scale plurisecolari non catturate dalle simulazioni moderne. Queste discrepanze sottolineano la necessità di integrare dati osservativi storici, come i DIs, con modelli climatici per migliorare la comprensione delle dinamiche atmosferiche e ridurre le incertezze associate alle proiezioni future.

Implicazioni Scientifiche e Metodologiche

Le nostre ricostruzioni rappresentano un progresso metodologico nella climatologia storica, offrendo le serie temporali osservative più lunghe disponibili di NAO, EA e del getto nord-atlantico, estendendo le analisi oltre i limiti delle registrazioni strumentali moderne. La capacità di NAODI ed EADI di catturare le firme climatiche e le anomalie del getto su scale plurisecolari fornisce un benchmark fondamentale per validare i modelli climatici, interpretare le anomalie climatiche passate e supportare le proiezioni di cambiamento climatico futuro. L’importanza dell’EA nel modulare le risposte climatiche e la posizione del getto sottolinea la necessità di un approccio integrato che consideri entrambi i pattern, superando le semplificazioni basate solo sulla NAO, spesso utilizzate nelle ricostruzioni basate su proxy (Schmutz et al. 2000; Schultz et al. 2015).

Tuttavia, alcuni limiti devono essere considerati. La regionalità degli indici direzionali, limitata al Canale della Manica, potrebbe non rappresentare pienamente i pattern atmosferici su larga scala in aree remote, come l’Islanda o le Azzorre, introducendo potenziali bias spaziali. Inoltre, le discrepanze con i modelli o gli indici tradizionali potrebbero riflettere incertezze nelle osservazioni storiche o nelle simulazioni, suggerendo la necessità di ulteriori studi per raffinare le metodologie. Studi futuri potrebbero integrare proxy climatici (ad esempio, anelli degli alberi, carote di ghiaccio) o rianalisi ad alta risoluzione (ad esempio, ERA5; Hersbach et al. 2020) per migliorare la completezza e la precisione delle ricostruzioni, esplorando ulteriormente le interazioni non lineari tra NAO, EA e il getto nord-atlantico su scale secolari.L’evoluzione degli indici dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO) e del Modello Atlantico Orientale (EA), ricostruiti attraverso NAODI (NAO derivata dagli indici direzionali) ed EADI (EA derivata dagli indici direzionali) negli ultimi tre secoli (dal 1685 al 2014), fornisce evidenze fondamentali sulle dinamiche atmosferiche alla base di periodi climatici anomali ed episodi estremi, rivelando una variabilità sostanziale del getto nord-atlantico su scale temporali che spaziano dall’interannuale al centenario. Queste serie temporali, basate su osservazioni storiche della direzione del vento nel Canale della Manica (Mellado-Cano et al. 2018, 2019, manoscritto sottoposto a Climate Dynamics), rappresentano le più lunghe registrazioni osservative dirette della circolazione atmosferica euro-atlantica, estendendo significativamente le analisi oltre i limiti delle serie strumentali moderne, che coprono tipicamente solo dal XIX secolo (Jones et al. 1997; Hurrell 1995). La variabilità osservata nel getto nord-atlantico, un flusso d’aria ad alta quota che regola la circolazione atmosferica e influenza i regimi climatici regionali, riflette le complesse interazioni tra NAO ed EA, come evidenziato nelle sezioni precedenti (Figure 3 e 5), e offre un contesto storico per interpretare i cambiamenti climatici recenti e futuri.

Tra i cambiamenti più rilevanti nella circolazione euro-atlantica, si annovera lo spostamento dei centri d’azione del Nord Atlantico—l’alta delle Azzorre e la bassa islandese—durante gli ultimi decenni del ventesimo secolo, un fenomeno ben documentato da studi precedenti (Jung et al. 2003; Vicente-Serrano e López-Moreno 2008). I nostri risultati dimostrano che queste modifiche sono coerenti con transizioni temporanee tra stati preferiti di NAODI ed EADI su scale decennali, come ad esempio il passaggio da EADI2 a EADI1 durante il periodo 1975–2000, che ha favorito migrazioni verso sud del getto e un rafforzamento delle anomalie climatiche regionali (Figura 5). Queste transizioni non sono un fenomeno recente, ma si sono verificate ripetutamente negli ultimi tre secoli, come osservato in periodi come l’inizio del ventesimo secolo (da NAODI1/EADI1 a NAODI1/EADI2) o la metà del diciannovesimo secolo (da NAODI2/EADI1 a NAODI2/EADI2). Tali cambiamenti spiegano alcune discrepanze osservate tra gli indici storici della NAO, come quelle riportate da Cornes et al. (2013) e Luterbacher et al. (2001) per gli anni ’30 e ’40 del XIX secolo, indicando che il Modello Atlantico Orientale può essere una fonte significativa di firme non stazionarie della NAO, cioè variazioni temporali nei suoi effetti climatici che non possono essere considerate costanti nel tempo.

Queste osservazioni hanno implicazioni profonde per le ricostruzioni della NAO basate su record proxy, come anelli degli alberi, carote di ghiaccio o sedimenti lacustri, che spesso calibrano i loro segnali climatici esclusivamente sulla NAO, assumendo relazioni stazionarie tra il pattern atmosferico e le variabili proxy (Cook et al. 1998; Appenzeller et al. 1998; Ortega et al. 2015). Tuttavia, poiché le anomalie climatiche sono frequentemente influenzate dallo stato concomitante di NAO ed EA, anche in aree considerate canoniche per la NAO, come la Penisola Iberica e la Groenlandia, l’effetto di sfocatura dell’EA può portare a relazioni deboli o fuorvianti tra NAO e proxy. Ad esempio, il raffreddamento (o riscaldamento) della Groenlandia, tipicamente attribuito alle fasi negative (positive) della NAO, è largamente confinato alle fasi negative (positive) dell’EA, come evidenziato nei compositi della Figura 3 (Davini et al. 2012; Hanna et al. 2016). Analogamente, il segnale di precipitazione della NAO identificato nei proxy iberici e dell’Atlante è legato agli inverni con una EA fuori fase (ad esempio, NAODI2/EADI1), mentre nelle regioni della Turchia le risposte di precipitazione sono rilevanti solo quando entrambi gli indici sono in fase (ad esempio, NAODI1/EADI1 o NAODI2/EADI2), come discusso nella sezione precedente (Sousa et al. 2011; Sánchez-López et al. 2016). Questo fenomeno può compromettere la capacità di ricostruzione della NAO, portando a interpretazioni imprecise della variabilità climatica storica, specialmente in regioni sensibili come il Mediterraneo e la Groenlandia.

Per mitigare questo problema, le ricostruzioni basate su proxy potrebbero concentrarsi su regioni in cui le interferenze conflittuali tra NAO ed EA si compensano, o meglio ancora, considerare gli effetti congiunti di entrambi i pattern per una calibrazione più accurata. I nostri risultati, che mostrano che quasi la metà degli inverni degli ultimi tre secoli è stata dominata dall’EA (con valori assoluti più grandi di NAODI), supportano questa necessità, evidenziando che una caratterizzazione adeguata della circolazione atmosferica euro-atlantica non può essere raggiunta considerando solo la NAO, ma richiede un’integrazione sistematica di NAO ed EA (Hurrell et al. 2003; Woollings et al. 2010).

I nostri risultati sottolineano anche la necessità di intensificare gli sforzi per ricostruire l’evoluzione passata dell’EA, oltre a quella della NAO, ampliando la comprensione della variabilità climatica storica. Un passo avanti significativo potrebbe essere raggiunto integrando completamente le osservazioni marine, come quelle dai diari di bordo delle navi, con le serie strumentali terrestri, come quelle di pressione al livello del mare (SLP) o geopotenziale a 500 hPa (Z500). Questa integrazione potrebbe produrre ricostruzioni migliorate della pressione al livello del mare, generando pattern spazialmente coerenti che offrano approfondimenti più dettagliati sulla variabilità climatica passata rispetto agli indici regionali come i DIs. Un tale approccio permetterebbe di identificare con maggiore precisione la variabilità a lungo termine del getto nord-atlantico, distinguendo tra la sua variabilità interna, legata a processi naturali come le oscillazioni atmosferiche, e le risposte forzate esternamente, come quelle indotte da variazioni solari, eruzioni vulcaniche o aumenti delle concentrazioni di gas serra (Lamb 1977; Peings et al. 2018).

Questa distinzione assume particolare rilevanza nel contesto del cambiamento climatico in corso, dove le proiezioni future del getto nord-atlantico sono caratterizzate da grandi incertezze, come evidenziato da studi recenti (Peings et al. 2018). I nostri risultati, basati su modelli di regressione lineare con diverse capacità predittive per la velocità e la latitudine del getto, indicano che questi due parametri sono in gran parte indipendenti e potrebbero rispondere in modo diverso a cambiamenti nelle forzanti esterne, inclusi gli aumenti delle concentrazioni di gas serra. Ad esempio, un rafforzamento della velocità del getto potrebbe non necessariamente implicare uno spostamento della sua latitudine, e questi cambiamenti distinti avrebbero impatti differenti sui climi regionali europei, influenzando le traiettorie delle tempeste, le precipitazioni e le temperature in modo non uniforme. Pertanto, studi futuri dovrebbero distinguere chiaramente i cambiamenti futuri nella velocità e nella latitudine del getto, considerando le loro implicazioni specifiche per la variabilità climatica regionale, la gestione delle risorse idriche e la pianificazione agricola, specialmente in un contesto di crescente vulnerabilità ai cambiamenti climatici estremi.

In sintesi, questa analisi storica della variabilità di NAO, EA e del getto nord-atlantico offre una base scientifica robusta per comprendere le dinamiche atmosferiche euro-atlantiche su scale plurisecolari, con applicazioni dirette per la validazione dei modelli climatici, l’interpretazione delle anomalie climatiche passate e la previsione dei cambiamenti futuri. I risultati sottolineano l’importanza di un approccio integrato che consideri NAO ed EA congiuntamente, evidenziando la necessità di ulteriori ricerche per migliorare le ricostruzioni storiche e ridurre le incertezze nelle proiezioni climatiche, contribuendo a una gestione più efficace delle sfide climatiche globali e regionali.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »