RIASSUNTO: I piccoli laghi montani costituiscono archivi naturali per comprendere l’impatto a lungo termine, sia naturale che antropogenico, sull’ambiente. Questo studio si è focalizzato sui cambiamenti della vegetazione a lungo termine (degli ultimi circa 13.000 anni) e sui processi sedimentari nell’area del bacino del Lago Planina pri jezeru (1430 m s.l.m.) attraverso metodi mineralogici, geochimici e palinologici. I risultati palinologici indicano che la vegetazione regionale tra 12.900 e 11.700 anni cal BP era caratterizzata da una tundra erbosa-forestale (Pinus, Artemisia, Poaceae). Il riscaldamento climatico all’inizio dell’Olocene (circa 11.700 anni cal BP) ha causato la transizione da una zona umida (Cyperaceae) a un lago eutrofico con alternanza di condizioni anossiche (pirite) e ossiche (gesso). In aggiunta, l’area circostante è divenuta boscosa (Picea, Larix, Ulmus). Fagus si è espansa a 10.200 anni cal BP e Abies a 8.200 anni cal BP. Tra 7.500 e 4.300 anni cal BP, l’impatto umano sull’ambiente era appena percepibile e maggiormente limitato al pascolo. Durante il periodo 4.300–430 anni cal BP, l’impatto umano è diventato più evidente e si è gradualmente intensificato. L’influenza maggiore si è registrata a partire da 430 anni cal BP in poi, quando lo sfruttamento eccessivo dell’area circostante (taglio di legname e pascolo) ha gravemente eutrofizzato il lago. © 2022 Gli Autori. Journal of Quaternary Science pubblicato da John Wiley & Sons Ltd.
PAROLE CHIAVE: ambiente alpino; geochimica; impatto umano; paleolimnologia; dinamiche della vegetazione
Introduzione
Lo sviluppo del manto vegetale è influenzato principalmente dalla variabilità climatica (Leuschner e Ellenberg, 2017). Ciò è particolarmente notabile nelle aree alpine, dove un marcato gradiente climatico esercita un’influenza aggiuntiva sullo sviluppo e la distribuzione dei taxa (Lotter et al., 2006; Schwörer et al., 2014). A causa di numerose limitazioni topografiche quali basse temperature, intensa radiazione ultravioletta e una stagione di fioritura ridotta, le foreste e i prati alpini sono soggetti a numerosi parametri climatici e successionali (Leuschner e Ellenberg, 2017). Uno dei temi più dibattuti tra i paleoecologi riguarda l’espansione di Fagus nel primo Olocene e le potenziali cause del suo ritardo di dispersione rispetto ad altre specie arboree (Tinner e Lotter, 2006). Tale ritardo è stato interpretato come un lag migratorio (Lang, 1994; Gardner e Willis, 1999), influenza umana (Lang, 1994; Küster, 1997), disturbo da incendi (Tinner e Lotter, 2006), cambiamenti climatici (Firbas, 1949; Gardner e Willis, 1999; Tinner e Lotter, 2001), o una combinazione di questi fattori. Tuttavia, queste ricerche sono limitate a specifiche regioni alpine, e le Alpi sud-orientali sono state studiate in modo insufficiente, in particolare per quanto riguarda le dinamiche a lungo termine.
Inoltre, l’impatto umano sull’ambiente alpino fragile è evidente e si è evoluto nel tempo, passando da attività di caccia e raccolta a pratiche agricole. Il pastoralismo è spesso considerato l’attività economica principale nelle aree di alta quota (Giguet-Covex et al., 2014; Bajard et al., 2017), ma non si dovrebbero trascurare altre attività come la metallurgia e la lavorazione dei prodotti lattiero-caseari (Dietre et al., 2020).
Gli ecosistemi alpini sono stati trasformati nel corso del tempo in un paesaggio antropizzato, principalmente attraverso l’uso di tecniche di taglio e bruciatura per ampliare i pascoli e l’abbattimento di foreste per attività metallurgiche (Pini et al., 2017; Andrič et al., 2020). Tuttavia, l’impatto umano sull’ambiente alpino non è stato costante né omogeneo in tutta l’area alpina. Di conseguenza, è essenziale studiare e integrare analisi paleoecologiche e archeologiche in diverse aree delle Alpi durante i periodi storici (Walsh et al., 2014).
Sia i cambiamenti naturali che le precedenti pratiche di utilizzo del territorio sono documentati in numerosi archivi naturali, quali i sedimenti lacustri. Tuttavia, discernere le influenze naturali e/o antropogeniche sull’ambiente può risultare complesso. In questo contesto, abbiamo selezionato il Lago Planina pri jezeru (indicato come ‘Lago PNI’), un piccolo lago montano sensibile alla variabilità climatica, che registra eventi climatici di breve periodo così come mutamenti a lungo termine. Nel 2014, abbiamo prelevato un nucleo di sedimenti il cui registro si estende da circa 13.000 anni cal a BP ad oggi. Attraverso l’utilizzo di analisi chimiche, mineralogiche e palinologiche, miravamo a ricostruire i cambiamenti ecologici ed economici a lungo termine. Questo lavoro rappresenta il primo studio paleoecologico ad alta risoluzione che copre l’intero Olocene nell’alta regione delle Alpi Giulie.
Area di Studio
Il Lago PNI è un bacino di origine glaciale posizionato a un’altitudine di 1430 metri sul livello del mare nelle Alpi Giulie, nella parte nord-occidentale della Slovenia (Fig. 1a). Questo lago ha una superficie relativamente ridotta, estendendosi per 1,5 ettari, ed è caratterizzato da una notevole profondità, raggiungendo un massimo di 11 metri. Attualmente, il lago presenta condizioni di forte eutrofizzazione, come documentato da Dobravec e Šiško nel 2002. Il sistema idrico del lago è costituito da un modesto afflusso superficiale e da uno deflusso sottomarino, con variazioni del livello dell’acqua limitate, che non superano il metro di altezza. L’area imbrifera del lago copre una superficie di 95 ettari ed è influenzata da un clima alpino, che si manifesta con precipitazioni annue elevate, nell’ordine dei 2500-3000 millimetri, temperature medie di gennaio comprese tra 0 e -3°C e temperature di luglio tra 15 e 20°C, secondo quanto riportato da Ogrin nel 1996 e da Dobravec e Šiško nel 2002. Le vette circostanti raggiungono un’elevazione massima di 2864 metri, rappresentata dal Monte Triglav (Banovec, 1986). Nelle vicinanze, la presenza di laghi è piuttosto comune, in particolare nella Valle dei Laghi del Triglav, mentre nelle zone pianeggianti il Lago di Bohinj rappresenta il più grande lago permanente della Slovenia, come indicato da Remec-Rekar e Bat nel 2003.
Dal punto di vista strutturale, il bacino del lago fa parte delle Alpi meridionali (Nappe Giuliana) ed è composto da calcari triassici (Fig. 1b), localmente ricoperti da depositi quaternari di till e sedimenti lacustri, come evidenziato nelle immediate vicinanze del lago (Rman e Brenčič, 2008, vedi Figura Supplementare 1). L’area è interessata da faglie trasformi destrogire del Miocene-recente, che hanno indotto una parziale dolomitizzazione dei calcari.
La vegetazione circostante il lago è dominata da praterie alpine. Le zone rocciose sovrastanti sono colonizzate da larici (Larix decidua) e da foreste di abete rosso (Picea abies), come descritto da Culiberg nel 2002 e da Dobravec e Šiško nel 2002. La fascia subalpina è prevalentemente occupata da foreste di faggio alpino (Anemone – Fagetum). Al di sopra dei 1800 metri s.l.m., prevale una vegetazione caratterizzata da pino mugo associato al rododendro cotonoso (Rhododendro hirsuti–Pinetum prostratae), come riportato da Marinček e colleghi nel 2002. Sui pendii scoscesi vicino al pascolo montano Planina pri jezeru (sopra il Lago di Bohinj) si trovano popolamenti di carpino nero e frassino da manna (Ostryo-Fraxinetum orni e Cytisantho-Ostryetum; Fig. 1c; Dakskobler, 2015).
I ritrovamenti archeologici nelle Alpi Giulie attestano la presenza umana sin dal periodo Mesolitico (11.700–7.500 anni calibrati prima del presente, cal BP). Le zone elevate circostanti il Lago di Bohinj (Fig. 1d) risultavano già insediate durante l’Età del Bronzo (4.300–2.800 anni cal BP), con siti archeologici che si estendevano fino a un’altitudine di circa 1900 metri (Horvat, 2019). Durante l’Età del Ferro (2.800–2.000 anni cal BP), le aree di pianura erano più densamente popolate, mentre nelle regioni montuose si procedeva alla raccolta e all’utilizzo del minerale di ferro denominato “bobovec” per la produzione siderurgica (Gabrovec, 1966; Cundrič, 2002; Ogrin, 2010). Nonostante ciò, le dinamiche economiche e le modalità di utilizzo del suolo nelle aree montuose rimangono ad oggi poco chiarite. I ritrovamenti archeologici nelle vicinanze dell’area pascoliva del Lago PNI sono rari e privi di datazione.
Le analisi palinologiche precedentemente condotte sulle alture delle Alpi Giulie (Šercelj, 1961, 1963, 1965, 1971) presentavano una risoluzione campionaria limitata, e i campioni estratti erano raramente datati, rendendo quindi difficoltoso il loro confronto con altri dati. Le ricerche moderne si sono concentrate o su siti situati nelle aree di pianura (Andrič et al., 2009, 2020) o hanno abbracciato archi temporali più ristretti (Andrič et al., 2010, 2011). Gli studi palinologici specifici per l’area circostante il Lago PNI hanno esaminato le variazioni della vegetazione negli ultimi 250 anni (Culiberg, 2002). Culiberg (2002) ha evidenziato l’importanza del pascolo nell’area del Lago PNI, identificando la presenza di pollini di specie indicatrici di attività antropica (Urtica, Plantago lanceolata e Rumex). Il faggio è stato estensivamente tagliato per finalità metallurgiche o per liberare spazi destinati ai pascoli. Nonostante ciò, la proporzione di copertura arborea ha mostrato variazioni, suggerendo che le attività di pascolo e disboscamento non abbiano avuto un’intensità costante nel tempo.
la Figura 1 è un insieme di quattro mappe che forniscono dettagli multidisciplinari sull’area di studio del Lago PNI nelle Alpi Giulie:
a) Area di studio del Lago PNI: Questo pannello mostra una carta topografica dettagliata dell’area intorno al Lago PNI. Le caratteristiche topografiche come l’altitudine sono rappresentate da linee di contorno, fornendo una visione tridimensionale del paesaggio. I simboli e le etichette indicano specifici corpi idrici, formazioni geografiche e insediamenti umani, cruciali per orientarsi nell’area di studio e per la comprensione delle potenziali interazioni tra questi elementi e il lago.
b) Mappa geologica: Questo pannello offre una rappresentazione della geologia superficiale dell’area. La legenda indica diverse unità litologiche come il calcare triassico, i depositi fluvioglaciali e glaciali, e il till quaternario. Queste informazioni sono fondamentali per interpretare la geologia dell’area, che può influenzare sia l’idrologia del lago che la distribuzione della vegetazione e l’uso del terreno da parte degli esseri umani.
c) Mappa della vegetazione: Elaborata dagli istituti indicati, questa mappa dettaglia la distribuzione della vegetazione nell’area del Lago PNI. Le informazioni botaniche qui rappresentate sono essenziali per comprendere la biodiversità dell’area, le comunità vegetali presenti e la loro relazione con il clima, il suolo e le attività umane.
d) Mappa archeologica: Questo pannello illustra i siti archeologici nell’area, datati a diversi periodi storici, come evidenziato dalla legenda. I siti sono distribuiti in base all’altitudine e alla loro relazione spaziale con i laghi PNI e Bohinj. Questa mappa è un riferimento cruciale per gli studi di archeologia preistorica e storica, fornendo insight su come gli esseri umani hanno utilizzato e modificato l’ambiente nel corso di millenni.
Insieme, queste mappe forniscono un quadro complesso e integrato dell’area di studio, essenziale per chiunque conduca ricerche scientifiche o storiche nella regione. Ogni mappa è una risorsa preziosa per la comprensione degli aspetti specifici dell’area, e quando combinata con le altre, consente un’analisi olistica dell’ambiente naturale e umano del Lago PNI.
Metodi
Carotaggio Nel 2014, i sedimenti del Lago PNI sono stati carotati utilizzando un carotiere a gravità Uwitec con martello (N46.31116000 W13.82719000, WGS84) nella parte più profonda del bacino a 11 m di profondità d’acqua. Il nucleo lungo 237 cm è stato recuperato e poi tagliato in due sezioni (sezione PNI14–01A 127 cm, sezione PNI14–01B 110 cm), che sono state divise longitudinalmente in due metà presso il laboratorio EDYTEM. Ogni mezza sezione è stata descritta in dettaglio e fotografata. Una descrizione litologica della sequenza, per la quale abbiamo utilizzato la carta dei colori Munsell, ha permesso l’identificazione di diversi facies sedimentari.
Datazione Radiocarbonio Il modello età-profondità si basa su 15 campioni di 14C di resti terrestri organici (foglie d’albero, ramoscelli o aghi, non tutti identificati), che sono stati misurati nel Laboratorio di Radiocarbonio di Poznan e nel Laboratoire de Mesure 14C (LMC^14) ARTEMIS presso l’istituto CEA (Commissariat à l’Énergie Atomique) a Saclay.
Mineralogia La composizione mineralogica dei campioni (n = 42) è stata identificata tramite diffrattometria a raggi X. È stato utilizzato un diffrattometro a raggi X Philips PW3710 con radiazione Cu-Kα di 1.54060 Å generata a 40 kV e 30 mA. I campioni sono stati scanditi a una velocità di 3° al minuto, nell’intervallo di 2–70° (2θ). I modelli di diffrazione sono stati identificati con i dati del software X’Pert HighScore Plus utilizzando i dati dal database PAN-ICSD, versione 2.3 e il metodo di Rietveld per la determinazione quantitativa delle fasi. Il composto amorfo è stato determinato utilizzando una fase standard esterna (NIST-676a) per determinare una costante di intensità strumentale (fattore K) (O’Connor e Raven, 1988).
Geochimica L’analisi mediante fluorescenza a raggi X (XRF) è stata effettuata sulla superficie dei nuclei sedimentari divisi, che era coperta con Ultralene di 4 μm di spessore, a intervalli di 2 mm utilizzando uno scanner per nuclei Avaatech (EDYTEM). I dati geochimici sono stati ottenuti con due impostazioni di tubo: 10 kV a 0,175 mA per 10 s per Al, Si, S, K, Ca e Ti, e 30 kV a 0,2 mA per 15 s per Cu, Zn, Br, Rb, Sr, Zr, Mn, Fe e Pb (Richter et al., 2006). Tre replicati sono stati misurati ogni 10 cm per stimare la deviazione standard. Ogni spettro di potenza individuale è stato scomposto in componenti relative (intensità), espresse in conteggi al secondo (cps).
Un’analisi delle componenti principali (PCA) è stata eseguita sui risultati geochimici utilizzando il software R (R Core Team, 2018) per identificare correlazioni tra gli elementi e, di conseguenza, identificare i principali membri terminali sedimentari, utilizzati per definire meglio ogni facies sedimentologica (ad es., Sabatier et al., 2010).
Le abbondanze relative degli elementi sono state espresse come rapporto log-centrato (CLR) per evitare effetti di diluizione dovuti all’acqua (ad es., Weltje et al., 2015). I seguenti elementi (n = 15) sono stati utilizzati per calcolare la media geometrica: Al, Si, S, K, Ca, Ti, Mn, Fe, Cu, Zn, Br, Rb, Sr, Zr e Pb. Per gli stessi potenziali effetti di matrice, i rapporti tra gli elementi sono stati espressi come logaritmi naturali (ln) dei rapporti dei conteggi XRF, che sono correlati linearmente ai logaritmi dei rapporti delle concentrazioni assolute corrispondenti (Weltje e Tjallingii, 2008).
Analisi degli isotopi stabili Campioni per il contenuto totale di carbonio organico (TOC), contenuto totale di azoto (TN) e analisi dell’isotopo stabile del carbonio (δ13Coc) sono stati prelevati con una risoluzione di 2 cm per la maggior parte del nucleo. TOC, TN e δ13Coc sono stati determinati utilizzando uno spettrometro di massa con analizzatore elementare (EA/IRMS) IsoPrime100 – Vario PYRO Cube (Piro/Analizzatore Elementare OH/CNS). Prima dell’analisi, i campioni per il contenuto di TOC e δ13Coc sono stati trattati con HCl 2 M per rimuovere i minerali carbonatici, mentre il contenuto di TN è stato determinato sui campioni grezzi senza acidificazione. Un’aliquota di campione secco è stata avvolta in una capsula di stagno e analizzata dopo combustione in un’atmosfera di O22 in un reattore di quarzo a 1020°C. I valori di δ13Coc sono stati riportati rispetto allo standard V-PDB (Vienna-Pee Dee Belemnite). I risultati sono stati normalizzati rispetto ai seguenti materiali di riferimento: IAEA-CH-6, USGS40. Per garantire l’accuratezza dei risultati, è stato analizzato un altro materiale di riferimento, IAEA-CH-3, attraverso la sequenza e utilizzato come materiale di controllo. La precisione analitica della misurazione per δ13Coc era di ±±0.2‰, mentre per TOC e contenuto di TN era di ±±3%.
Analisi Palinologica Campioni sono stati prelevati dal nucleo utilizzando un sottocampionatore volumetrico metallico ogni 1-2 cm (ad eccezione dei sedimenti rielaborati, ossia i depositi degli strati eventuali; vedi Risultati, Unità C e A) per ottenere una risoluzione approssimativa di circa 50-100 anni lungo l’intero nucleo. In totale, 160 campioni con un volume di 1 cm³ sono stati preparati seguendo il metodo standard, che prevede l’aggiunta di spore di Lycopodium, HCl, NaOH, HF, acetolisi, colorante safranina e olio di silicone (Bennett e Willis, 2002). In ogni campione è stato conteggiato un numero minimo di 500 granuli di polline utilizzando un microscopio ottico Nikon Eclipse E400. Per l’identificazione dei pollini sono stati utilizzati chiavi di identificazione, atlanti (Moore et al., 1991; Reille, 1992, 1995; Beug, 2004; Faegri e Iversen, 1989) e la collezione di riferimento dell’Istituto di Archeologia, ZRC SAZU. Sono stati osservati anche palinomorfi non palinologici (Sporormiella; Van Geel, 2002; Gelorini et al., 2011), stomi di conifere (Hu et al., 2016) e particelle di carbone. Il diagramma pollinico è stato realizzato con il software Psimpoll 4.261, dove la zonazione è stata determinata mediante divisione binaria basata sulla somma dei quadrati (Bennett, 2005).
Risultati Unità Sedimentarie Il nucleo sedimentario del Lago PNI può essere suddiviso in quattro diverse unità sedimentarie (Fig. 2).
Unità D L’unità più antica è l’Unità D (237–221 cm), caratterizzata da silt fino a argilla di colore grigio scuro (2.5Y 4/1) con alcune lamine di colore grigio più chiaro (2.5Y 7/2) (Fig. 2). Mineralogicamente, è caratterizzata da un contenuto relativamente basso di materiale amorfo, che varia dal 38% nella parte inferiore dell’unità al 22% nella parte superiore (Fig. 3). I componenti minerali nella parte inferiore sono prevalentemente argille (36–45%) e quarzo (11%), mentre i carbonati sono rari (calcite 0–15%, dolomite 3–13%). È presente anche l’albite (1–4%). Il TOC (contenuto totale di carbonio organico) è il più basso, in parallelo con bassi valori di δ^13Coc (‐30.3‰) (Fig. 4). Il rapporto atomico C/N varia da 12,8 a 24,4. I valori di Ti sono i più alti in tutta la sequenza, mentre i valori di Br sono molto bassi.
Unità C L’Unità C (221–127 cm), consiste di argilla nera (2.5Y 2.5/1), ricca di materia organica con alcune lamine ricche di carbonati chiari. A 185 cm, abbiamo osservato un blocco carbonatico di 1 cm. Tra 177,2 e 181,8 cm è presente uno strato di deposito di un evento, caratterizzato da una gradazione normale da sabbia silicea a cappello di argilla, con la base ricca di resti macro-organici. Una laminazione fine è osservata tra 165 e 175 cm. Mineralogicamente questa unità è simile all’Unità D precedente. I minerali argillosi raggiungono il 22–33% di tutto il contenuto mineralogico. Altri minerali presenti sono calcite (1–25%), dolomite (1–15%) e quarzo (3–12%). L’eccezione è la parte inferiore dell’Unità C, dove osserviamo alcuni strati ‘esotici’. Una notevole differenza è l’occorrenza di un contenuto piuttosto elevato di gesso a profondità 201–200 cm (4,2% di tutti i minerali) e a 208–209 cm con il 4,9%. Questo secondo strato è caratterizzato dall’unica presenza di anfibolo in tutta la successione del PNI. L’anfibolo rappresenta il 5,2% della frazione minerale totale, accompagnato da argille (21,9%), gesso (4,9%), quarzo (2,8%) e quasi nessun carbonato (solo 0,3% di calcite e 1% di dolomite). Il record geochimico mostra una variazione ad alta ampiezza di TOC (11,3–35,9%), δ13Coc (‐37,9 a ‐27,8‰) e Ca. Il rapporto C/N varia da 14,3 a 40,1. I valori di Ti sono più bassi e i valori di Br più alti rispetto all’Unità D.
Unità B L’Unità B (127–78 cm) consiste di un silt fino a argilla omogeneo di colore marrone oliva (2.5Y 4/4) con lamine scure spesse 5 mm. Mineralogicamente, è relativamente omogenea, con minerali silicoclastici (argille 22–32%, quarzo 5–7%) che predominano sui carbonati (calcite 5–27%, dolomite 1–9%). Altri minerali sono presenti solo in quantità minore. L’unica differenza si trova nella parte superiore dell’unità, a una profondità di 80 cm, dove i carbonati possono raggiungere circa il 30% di tutti i minerali. Geochimicamente, questa unità registra un contenuto geochimico relativamente uniforme di Ti, Br, TOC (21,1–34,4‰), δ13Coc (‐35,8 a ‐30,8‰). Il rapporto C/N varia da 15 a 24,5. I valori di Ca sono inferiori rispetto all’unità precedente. I valori di Pb mostrano un picco verso la parte superiore dell’unità.
La Figura 2 presenta un modello di età-profondità insieme al tasso di sedimentazione per i sedimenti raccolti, presumibilmente dal Lago PNI.
- Colonna Stratigrafica (lato sinistro): Questa rappresenta la successione stratigrafica del nucleo sedimentario prelevato. Le diverse tonalità e la larghezza delle bande riflettono le varie unità sedimentarie (Unità D, C, B e A), ciascuna caratterizzata da diversi processi deposizionali e composizioni.
- Modello di Età-Profondità (al centro): La curva sinuosa rappresenta la relazione tra la profondità dei sedimenti (asse verticale) e la loro età (asse orizzontale superiore). Questa relazione è fondamentale per comprendere la cronologia dei processi deposizionali. Le stelle blu rappresentano punti di calibrazione o marcatori temporali specifici, ottenuti tramite datazione assoluta, che ancorano la curva alle età note, permettendo di interpolare o extrapolare le età per le profondità in cui non sono stati effettuati direttamente dei test di datazione.
- Tasso di Sedimentazione (lato destro): L’asse verticale indica il tasso di sedimentazione misurato in millimetri per anno (mm/anno). La curva illustra come questo tasso sia variato nel tempo. Variazioni significative nel tasso di sedimentazione possono indicare cambiamenti ambientali, eventi geologici o climatici. Ad esempio, un picco nella curva può indicare un periodo di deposizione rapida, che potrebbe essere associata a eventi come inondazioni maggiori o attività antropica intensificata.
- Età delle Unità Sedimentarie:
- Unità D: La più antica, formata tra 13.100 e 12.000 anni calibrati prima del presente (cal a BP), che corrisponde alla fine dell’ultima glaciazione e agli inizi dell’Olocene.
- Unità C: Si è formata in un periodo intermedio tra 12.000 e 3.500 cal a BP, un periodo che potrebbe coprire significativi cambiamenti climatici post-glaciali e inizi dell’antropizzazione.
- Unità B: Si estende dal 3.500 al 430 cal a BP, che potrebbe includere periodi di sviluppo umano significativo e potenziali impatti sul paesaggio e sui tassi di erosione.
- Unità A: Rappresenta il deposito più recente, iniziato dopo 430 cal a BP fino al presente, e potrebbe riflettere l’ambiente più influenzato dall’uomo.
La nota a piè di pagina menziona che una versione a colori di questa figura è disponibile sul sito wileyonlinelibrary.com, suggerendo che la visualizzazione a colori può fornire ulteriori dettagli distintivi non immediatamente evidenti in questa rappresentazione in bianco e nero.
La Figura 3 è un insieme di grafici che presentano i dati mineralogici di un nucleo sedimentario, illustrati come percentuali relative di diversi minerali in funzione della profondità del nucleo. Questa figura è particolarmente utile per gli studi paleoambientali e geologici, poiché permette di interpretare le variazioni di composizione minerale nel tempo, che possono essere legate a cambiamenti ambientali, climatici o diossidogenici.
Analizziamo ogni parte della figura:
- Asse Verticale (Profondità): Indica la profondità nel nucleo sedimentario, misurata in millimetri. La profondità serve come proxy per il tempo, con i sedimenti più profondi che rappresentano periodi più antichi.
- Assi Orizzontali (Percentuale): Ogni grafico ha un asse orizzontale che mostra la percentuale del minerale specifico nel campione a quella profondità. Le scale percentuali sono diverse per ogni minerale, quindi è fondamentale considerare la scala quando si interpretano i picchi o le depressioni nei dati.
- Dati Mineralogici:
- Anfibolo (%): Questa colonna mostra la variazione nella percentuale di anfibolo, un gruppo di minerali indicatori di processi metamorfici o magmatici, o talvolta di trasporto a lunga distanza.
- Minerali Argillosi (%): Rappresenta la percentuale combinata di minerali argillosi (illite, caolinite, clorite), indicatori delle condizioni di deposizione e del clima di erosione a monte.
- Gesso (%): Indica la percentuale di gesso, che può suggerire ambienti evaporitici o acque ricche di solfati.
- Pirite (%): La presenza di pirite può essere un indicatore di condizioni riducenti, tipicamente associate a deposizione in ambienti anossici.
- Quarzo (%): Il quarzo è un minerale resistente e la sua percentuale può riflettere input di materiale silicoclastico da processi erosivi terrestri.
- Dolomite (%): La percentuale di dolomite può indicare ambienti di deposizione in acque salmastre o l’alterazione di calcite.
- Calcite (%): Indica la percentuale di calcite, un minerale comune in ambienti marini poco profondi o lacustri.
- Frazione Amorfa (%): Include materiali di origine biologica, vulcanica o materiali organici, che non hanno una struttura cristallina definita.
- Albite (%): La percentuale di albite, un feldspato plagioclase, può suggerire l’alterazione di rocce o l’apporto da fonti ignee o metamorfiche.
- Zone Ombreggiate: Corrispondono alle unità sedimentarie (A, B, C e D), che sono state identificate in precedenza nel nucleo. Queste indicano fasce di profondità specifiche dove la composizione minerale è coerente e possono corrispondere a periodi geologici distinti o eventi deposizionali.
- Interpretazione dei Dati:
- I picchi e le valli nei grafici rappresentano un aumento o una diminuzione della percentuale di un dato minerale, rispettivamente.
- Un incremento improvviso della percentuale di un minerale può indicare un cambiamento nel regime deposizionale, un evento geologico, o variazioni climatiche.
- Confrontando i diversi minerali, si possono identificare correlazioni o patterns che aiutano a ricostruire le condizioni ambientali del passato.
La combinazione di questi dati consente ai geologi e paleoclimatologi di interpretare la storia deposizionale del sito di studio, identificando gli eventi ambientali significativi e i cambiamenti nel tempo.
Unità A La porzione superiore del nucleo è identificata come Unità A, costituita da argilla di colore grigio scuro (10YR 4/1) arricchita da inclusi neri e lamelle di marrone grigiastro (10YR 5/2). Sono stati rilevati tre depositi attribuibili a eventi specifici (77,6–77 cm, 40,8–40 cm, 31,8–30,8 cm) caratterizzati da lamelle di limo giallo-marrone (10YR 6/6) maggiormente ricchi di materiale terrigeno. Per le analisi cronologiche, tre eventi istantanei in Unità A e uno in Unità C sono stati rimossi prima della modellazione delle età (Sabatier et al., 2017). In Unità A, i carbonati (calcite 33–54%, dolomite 1–5%) prevalgono sui minerali argillosi (8–19%) e sul quarzo (3–6%), con altri minerali presenti in quantità traccia. I livelli di Ca mostrano un aumento, mentre quelli di Br registrano un calo. Il contenuto organico totale (TOC) si mantiene piuttosto uniforme (14,2–24,3% δ13Coc da −36,5 a −28,7‰), con un rapporto C/N che varia da 13,2 a 27,9.
Analisi dei Componenti Principali (PCA) Una PCA è stata applicata ai dati XRF totali integrati con TOC, C/N e δ13Coc (cfr. Figura Supplementare 2), dove le Dimensioni 1, 2 e 3 spiegano il 73,9% della variabilità totale osservata. I risultati della PCA identificano tre gruppi distinti: i) un carico positivo elevato sulla Dimensione 1 per gli elementi terrigeni (Zr, Ti, Sr, K, Si, Al, Sr); ii) un carico positivo sulla Dimensione 2 per il carbonio organico (TOC) e per altri elementi come Pb, Mn e Br; iii) un carico negativo sulla Dimensione 2 per il Ca, associato ai contenuti di carbonato e δ13Coc. Il rapporto C/N evidenzia un carico positivo sulla Dimensione 3, analogamente a Ca e TOC, mentre Pb mostra un carico negativo su questa dimensione (cfr. Figura Supplementare 2). L’Unità D è principalmente influenzata dai componenti terrigeni, mentre l’Unità A mostra una correlazione negativa con i componenti terrigeni e positiva con quelli carbonatici. Le Unità C e B presentano influenze compositive simili, caratterizzate da una miscela di componenti organici terrigeni e, in misura minore, carbonatici per l’Unità C, con una maggiore variabilità osservata per l’Unità C (Fig. 4).
Modello Età-Profondità Il modello età-profondità è stato elaborato utilizzando 11 date al 14C (Tabella 1) ottenute da resti organici terrestri nelle sequenze sedimentarie prive di eventi, coprendo gli ultimi circa 13.100 anni. Quattro date sono state escluse perché risultavano eccessivamente antiche, probabilmente a causa di macroresti depositatisi nel bacino imbrifero del lago, che avrebbero causato un’inversione delle età (in grassetto nella Tabella 1). Per fini di datazione, tre eventi istantanei nell’Unità A e uno nell’Unità C sono stati rimossi prima della modellazione dell’età (Sabatier et al., 2017, vedi Risultati, Modello Età-Profondità). Il modello età-profondità calcolato (Fig. 2) è stato generato attraverso un’interpolazione spline liscia utilizzando la curva di calibrazione IntCal20 (Reimer et al., 2020) e il pacchetto R ‘Clam’ versione 2.2 (Blaauw, 2010). L’intervallo temporale delle unità sedimentarie è il seguente: 13.100–12.000 cal anni BP (Unità D), 12.000–3.500 cal anni BP (Unità C), 3.500–430 cal anni BP (Unità B) e successivamente a 430 cal anni BP (Unità A). Il tasso di sedimentazione calcolato evidenzia due periodi distinti. Il primo, con un tasso di sedimentazione inferiore a 0,2 mm anno^−1, si verifica nella parte inferiore del nucleo tra 13.100 e 600 cal anni BP. Dopo 600 cal anni BP, il tasso di sedimentazione aumenta, registrando un primo picco di 1,6 mm anno^−1 a 420 cal anni BP. Si osserva che questo picco potrebbe essere stato generato artificialmente dalla modellazione età-profondità. A 300 cal anni BP, il tasso di sedimentazione scende a 1,2 mm anno^−1 e incrementa gradualmente fino a 1,8 mm anno^−1 raggiungendo la sommità del nucleo.
La Figura 4 mostra una serie di dati geochemici acquisiti lungo la profondità di un nucleo di sedimenti, con vari parametri graficati rispetto alla profondità e all’età calibrata in anni (cal a BP – Before Present).
- Profondità (cm): L’asse verticale mostra la profondità del nucleo in centimetri, con la superficie all’inizio del grafico (in alto) e il punto più profondo (più antico) alla base (in basso).
- Unità stratigrafiche (a, b, c, d): Sul lato sinistro, bande colorate con lettere indicano le unità stratigrafiche distinte nel nucleo, ognuna rappresentante condizioni deposizionali o periodi storici differenti.
- Ti(CLR), Sr(CLR), Pb(CLR), Ca(CLR), Br(CLR): Sono presentati i profili di vari elementi o isotopi in termini di log-ratio centrato (CLR), che standardizza i dati per facilitare il confronto. L’asse orizzontale per questi elementi è un indice logaritmico centrato, dove il valore 0 rappresenta la media geometrica. Variazioni al di sopra o al di sotto dello zero indicano concentrazioni più alte o più basse rispetto alla media geometrica.
- δ¹³C (‰): Il grafico mostra le variazioni nel rapporto isotopico del carbonio-13 (δ¹³C) nei sedimenti, espressi in per mille (‰). Questo parametro è utile per interpretare cambiamenti paleoambientali, come variazioni nella vegetazione e nella produttività primaria.
- TOC (Total Organic Carbon): La curva del TOC riflette le variazioni percentuali di carbonio organico totale nei sedimenti. Livelli più elevati di TOC possono indicare una maggiore produttività biologica o migliori condizioni di conservazione della materia organica.
- C/N (Carbonio/Azoto): Il rapporto C/N indica l’origine della materia organica, con valori più alti che suggeriscono un apporto maggiore di materiale vegetale terrestre e valori più bassi che indicano un’origine più algale o marina.
- Età (cal a BP): L’asse grigio sulla destra mette in relazione la profondità del nucleo con l’età calibrata in anni prima del presente, fornendo un contesto temporale per i dati geochemici.
L’interpretazione congiunta di questi parametri aiuta a ricostruire la storia geologica, climatica e ambientale della regione da cui proviene il nucleo di sedimenti. Ad esempio, un picco in Pb(CLR) potrebbe indicare un evento di inquinamento antropogenico o vulcanico, mentre variazioni in δ¹³C potrebbero riflettere cambiamenti nella vegetazione o nel bilancio del carbonio. La combinazione di questi dati permette di fare inferenze su cambiamenti ambientali a largo spettro.
La Tabella 1 presenta i dati delle datazioni al radiocarbonio di campioni prelevati da un nucleo di sedimenti o torba. Ecco una spiegazione dettagliata dei suoi componenti:
- PNI: Numero di identificazione del campione. Questo è un codice univoco assegnato a ogni campione per tracciarne la provenienza e i risultati.
- Depth (cm): La profondità misurata in centimetri dal top del nucleo di sedimenti alla quale ogni campione è stato raccolto. Questo indica la posizione fisica del campione nel contesto del nucleo.
- Age ¹⁴C (years BP): L’età del campione calcolata attraverso la datazione al radiocarbonio, indicata in anni prima del presente (il “presente” è standardizzato all’anno 1950). Il valore è accompagnato da un margine di errore espresso come ± anni, che rappresenta l’incertezza della misurazione.
- 2σ cal a (years BP): Questa colonna mostra l’intervallo di calibrazione a due deviazioni standard (2σ) per l’età del campione. Dopo la calibrazione, che tiene conto delle fluttuazioni storiche del ¹⁴C atmosferico e degli aggiustamenti del calendario, si ottiene un intervallo di anni che rappresenta il periodo in cui c’è una probabilità del 95.4% che la vera età del campione cada all’interno di quel range.
- Sample type: Il tipo di materiale organico di cui è composto il campione, che può includere materiale vegetale non identificato, aghi di conifere, semi, ecc.
Le date in grassetto sono quelle escluse dal modello di età-profondità, il che suggerisce che tali date non sono state utilizzate per costruire la curva di età dei sedimenti. Ciò potrebbe essere dovuto a vari motivi, come incoerenze con altri dati, possibili errori di misurazione o contaminazione dei campioni.
Un modello di età-profondità ben costruito è cruciale per interpretare correttamente la cronologia degli eventi geologici, climatici ed ecologici registrati nel nucleo. Escludendo date specifiche, i ricercatori mirano a creare un modello più accurato e rappresentativo della sequenza temporale effettiva.
Risultati palinologici Il diagramma pollinico (Fig. 5, 6) è suddiviso in sei zone polliniche (PNI P1 – PNI P6). Nella zona più bassa, PNI P1 (13.100–12.000 cal anni BP, 236–220 cm), corrispondente all’Unità D, Pinus predomina tra i taxa arborei (fino al 50%) e le Poaceae (10–15%), Artemisia (5–30%) e Chenopodiaceae (fino al 10%) tra i taxa erbacei. Nella zona PNI P2 (12.000–10.200 cal anni BP, 220–200 cm, Unità C) i taxa temperati Picea, Larix, Quercus e Ulmus si sono espansi intorno a 11.700 cal anni BP. Stomati di Picea sono stati trovati a circa 11.600 cal anni BP. Una foresta chiusa (oltre il 90% di taxa arborei) si è stabilita intorno a 11.000 cal anni BP. Nella zona PNI P3 (10.200–8.900 cal anni BP, 200–188 cm), Corylus e Fagus hanno raggiunto più del 2% intorno a 10.200 cal anni BP e si sono rapidamente diffusi (fino al 25%). I taxa arborei dominavano l’area, in particolare Fagus (10–30%) e Picea (20–40%). Nella zona PNI P4 (8.900–4.500 cal anni BP, 188–136 cm), Abies si è espansa intorno a 8.200 cal anni BP. I primi indicatori antropogenici (Plantago lanceolata, Sporormiella) sono apparsi intorno a 7.500 cal anni BP, ma la percentuale di Poaceae è rimasta bassa (0,5–2%). Nella zona PNI P5 (4.500–430 cal anni BP, 136–77 cm, Unità B), Fagus è il taxon più dominante (25–45%), seguito da Picea (15–40%). Si osserva un lieve aumento di Carpinus orientalis/Ostrya, Carpinus betulus e Poaceae (2–5%). Gli indicatori antropogenici sono presenti in tutta la zona. Secale e Cerealia compaiono rispettivamente intorno a 1.500 cal anni BP e 1.000 cal anni BP. La percentuale di taxa arborei è leggermente diminuita, attestandosi all’incirca tra l’80 e il 90%, mentre la percentuale di erbe (Poaceae – 10–20%, Rumex – fino al 7%, Plantago lanceolata – fino al 5%) e spore (Selaginella – fino al 10%) è aumentata. Nella zona superiore PNI P6 (dopo 430 cal anni BP, 77–0 cm, Unità A), Fagus è diminuito mentre Picea è aumentato, con Fagus tra il 5 e il 15% e Picea tra il 10 e il 20%. La percentuale di taxa arborei è diminuita significativamente, variando tra il 30% e il 60% in tutta la zona. Di conseguenza, si osserva un incremento maggiore dei taxa erbacei, con Poaceae tra il 5 e il 25%, Rumex fino al 5%, Cichoriaceae fino al 5% e Asteraceae fino al 5%.
La Figura 5 è un grafico pollinico che illustra la distribuzione e l’abbondanza relativa di vari taxa di polline all’interno di un nucleo di sedimenti. Ogni fila orizzontale nel grafico corrisponde a un differente taxon di polline, che rappresenta le specie di piante da cui il polline proviene. Questi taxa possono includere, ad esempio, alberi come querce o betulle, erbe, e altre piante tipiche di determinati ambienti o climi.
La profondità del nucleo è rappresentata lungo l’asse verticale (generalmente con il passare del tempo verso il basso nel grafico). Questo permette di visualizzare come la composizione del polline cambia con la profondità, che corrisponde a diversi periodi storici.
L’asse orizzontale rappresenta la percentuale relativa di ciascun taxon di polline nei campioni, rispetto al totale del conteggio del polline. Le barre grigie che si estendono orizzontalmente indicano l’abbondanza relativa di ogni taxon in un dato livello del nucleo. Una barra larga significa che il taxon di polline era molto abbondante in quel campione, mentre una barra stretta indica una presenza minore.
I punti solidi segnati su alcune barre indicano che il taxon di polline è presente ma in una quantità inferiore allo 0,5% del totale del conteggio del polline per quel campione. Questa è una soglia comune utilizzata per indicare una presenza scarsa ma rilevabile di un taxon.
I paleoecologi utilizzano queste informazioni per inferire le condizioni ambientali passate. Ad esempio, un aumento del polline di taxa che preferiscono climi caldi può indicare un periodo più caldo, mentre l’aumento del polline di taxa che prediligono climi freddi può suggerire un raffreddamento climatico. Allo stesso modo, i cambiamenti nella varietà di piante possono indicare alterazioni nel paesaggio dovute a fattori naturali o all’intervento umano.
In sintesi, questo grafico pollinico fornisce una ricostruzione dettagliata delle tendenze ecologiche e climatiche in un determinato sito durante un intervallo di tempo esteso.
La Figura 6 che hai condiviso è un grafico stratigrafico che mostra l’abbondanza relativa di polline di diverse specie vegetali (taxa) e la presenza di stomi lungo un profilo di sedimentazione. Questo tipo di analisi viene utilizzata per ricostruire le variazioni della vegetazione e le condizioni ambientali in un determinato sito nel corso del tempo geologico.
Ecco una spiegazione dettagliata di ciascun elemento del grafico:
- Profondità (cm): L’asse verticale indica la profondità del nucleo di sedimenti da cui sono stati prelevati i campioni. I campioni prelevati a profondità maggiori sono più antichi.
- Percentuale di Polline: L’asse orizzontale mostra la percentuale relativa di ciascun taxon di polline presente in ogni campione. I dati sono espressi come percentuale del conteggio totale del polline.
- Righe Orizzontali (Taxa di Polline): Ciascuna riga rappresenta un diverso taxon di polline, come indicato dai nomi sul margine sinistro del grafico. Le variazioni nella larghezza delle barre grigie che attraversano il grafico indicano l’abbondanza relativa di quel particolare taxon in ciascun livello del nucleo.
- Punti Solidi: I punti solidi indicano la presenza di un taxon di polline in quantità inferiore allo 0,5% del totale, indicando una presenza minore ma rilevabile.
- Simboli di Stomata:
- Triangoli: Indicano la presenza di stomi di Taxus.
- Diamanti: Indicano la presenza di stomi di Picea.
- Punti: Indicano la presenza di stomi di Abies.
Gli stomi sono minuscole aperture nelle foglie delle piante attraverso le quali avviene lo scambio di gas. La loro presenza nei sedimenti è un forte indicatore della vicinanza di alberi specifici al momento della deposizione dei sedimenti, dato che gli stomi non viaggiano lontano dalla loro fonte come può fare il polline.
L’interpretazione combinata di questi dati pollinici e degli stomi fornisce una visione dinamica di come le comunità vegetali si siano evolute nel tempo in risposta a cambiamenti climatici, disturbi ambientali o interventi umani. Per esempio, un aumento significativo in un particolare taxon di polline potrebbe indicare un cambiamento verso condizioni climatiche che favoriscono quella specie, mentre un aumento degli stomi di specie arboree specifiche potrebbe suggerire cambiamenti nella composizione della foresta locale.